(segue da qui)
III
COLLEGIO DELLO SPIRITO
Si comprenderà meglio cosa sia stata una generazione come la prima generazione cristiana confrontandola con quelle che hanno immediatamente seguito. Ma il confronto sarà particolarmente suggestivo se si tratta dei metodi secondo cui ciascuno di loro ha esercitato questo ministero dello Spirito.
Sulla formula di vita spirituale a cui si è ispirata la prima generazione cristiana, le nostre fonti sono sempre le parti antiche del libro degli Atti e, soprattutto e eminentemente le epistole di San Paolo, tenuto anche conto delle tracce che si ritroverebbero nelle opere successive. Quanto alle formule che sono state in onore tra le generazioni che hanno seguito, esse ci sono date in particolare dalle letterature pseudo-paolina e pseudo-apostolica, dai vangeli e dalle più antiche apologie; ma, lungi dal concordare tra loro, esse rivelano, tra i nuovi gruppi cristiani, tendenze nettissimamente divergenti.
Cosa siano state queste tendenze, come si siano precisate in ciascuno dei gruppi nel corso degli anni che hanno seguito la distruzione di Gerusalemme nel 70, come si siano espresse negli scritti in cui le scopriamo, queste sono questioni che appartengono alla storia della seconda e della terza generazione cristiana e che non abbiamo da trattare qui, ma di cui è indispensabile dare uno scorcio generale, indicando sommariamente in che senso si è operato questo considerevole lavoro. Ci scusiamo presso gli specialisti per rimandare ad un successivo volume la giustificazione delle nostre posizioni; ci atterremo qui, beninteso, al punto di vista che è quello del presente studio. [1]
Crediamo di poter distinguere, all'ingrosso, quattro tendenze principali nell'evoluzione che si è prodotta al seguito degli eventi dell'anno 70. In certi ambienti, e particolarmente a Roma, si perpetua la tradizione della prima generazione: opposizione rivoluzionaria al mondo pagano e l'attesa di un mondo nuovo che dovrà sostituirlo. Tracce visibili nel vangelo secondo San Marco come lo leggiamo, e che dovevano essere ancora più visibili nel Marco primitivo (di cui alcuni specialisti fanno un Proto-Marco), il quale, secondo probabilità equivalenti ad una certezza, è nato a Roma. Allo sfondo originale che costituisce il Marco primitivo, lo scrittore del Marco definitivo mescola elementi provenienti da una raccolta di Detti che ne alterano lo spirito ma sono abbastanza facilmente riconoscibili.
In altri ambienti, probabilmente nell'Oriente mediterraneo, l'entusiasmo rivoluzionario sembra essersi estinto, l'ardore combattivo in ogni caso è scomparso; si è dimenticato che l'opera del Signore vale solo mediante la collaborazione dei fedeli; si è già di coloro che, aspettandosi tutto dal Signore, ritengono di non aver nient'altro da fare che aspettare. Quella tendenza si esprime nelle raccolte di Detti di cui abbiamo appena detto che una piccola parte era penetrata nel vangelo secondo San Marco, ma di cui la quasi totalità è passata in quelli secondo San Matteo e secondo San Luca; essa si riassume nel famoso Sermone della Montagna, il quale è assente dal vangelo secondo San Marco. È a quella seconda tendenza che l'uso ha oggi riservato il nome di «spirito evangelico»; è l'insieme dei precetti dove essa si esprime che il gran pubblico chiama «il vangelo». I non specialisti non dovranno dunque dimenticare che soltanto nei vangeli secondo San Matteo e secondo San Luca si trova ciò che si denomina comunemente «il vangelo».
Ma già sono apparsi i «politici». In altri ambienti, ci si rassegna a vedere il mondo durare e ci si sforza di prendervi posto. Avatar frequente nei movimenti estremisti! Presto non basterà più essere tollerati, si vorrà essere «riconosciuti» e già l'ambizione si manifesta di raccogliere l'eredità del giudaismo, che sembra essere stata aperta dalla catastrofe dell'anno 70. [2] E tale sarà il primo tentativo di accomodare l'Impero e il cristianesimo. Tentativo che appare nella letteratura pseudo-paolina, [3] nella letteratura pseudo-apostolica, [4] nell'ultima redazione degli Atti degli Apostoli [5] e, subito dopo, nelle prime apologie. [6]
A queste tre tendenze vi sarebbe motivo di aggiungere infine quella, tutta gnostica, rappresentata dal vangelo secondo San Giovanni.
Queste grandi linee essendo poste, dedicheremo il presente capitolo alle regole della vita pratica osservate dagli uni e dagli altri, riservando al successivo le regole della vita interiore, vale a dire la morale propriamente detta. In quel confronto tra la prima e la seconda e terza generazione di cristiani, non avremo un grande sforzo da fare per dissociare il cristianesimo rivoluzionario dei primi tempi dal cristianesimo riformista e addolcito che gli è succeduto in certi ambienti; lo sforzo dovrà essere maggiore e una maggiore insistenza sarà necessaria per dissociare il cristianesimo «evangelico», intendiamo sempre il cristianesimo del Sermone della Montagna, tanto è potente il pregiudizio che colloca il cosiddetto insegnamento del Cristo all'origine della nuova religione!
Si è visto come i primi cristiani, seguendo la tradizione loro lasciata dai precristiani, avessero dato la loro adesione alle leggi che reggevano il paese dove vivevano. Per quanto in fondo al loro cuore essi si siano rifiutati di partecipare alle speranze e alle ambizioni del messianismo, vi dimoravano nondimeno, in Giudea, da esatti osservanti nei riguardi delle autorità ebraiche. Nei confronti delle autorità romane, qualunque odio abbiano provato nei loro riguardi, qualunque fretta abbiano avuto a veder arrivare il giorno in cui esse sarebbero state abbattute, non avevano cessato da nessuna parte di mostrarsi sudditi perfettamente sottomessi. Il che spiega la tolleranza che era stata loro così a lungo accordata. Tutto ciò è stato pienamente messo in luce. Non più nei gruppi di Gerusalemme, di Antiochia, di Roma, che in quelli fondati da San Paolo, non si vedrà la prima generazione cristiana entrare in lotta aperta con i poteri pubblici. Accettazione delle leggi e degli usi stabiliti, — fino al giorno pazientemente atteso in cui sarà ridotta in polvere, in un colpo solo, tutta quella potenza satanica.
Vi riconosciamo la regola seguita dai grandi rivoluzionari. Fino al giorno in cui dalla preparazione si passerà all'azione, si vive in armonia con il codice; ci si sforza di non attirare l'attenzione; si hanno tutte le apparenze di cittadini modello. Nessuna insubordinazione inutile, nessuna protesta rabbiosa, nessuna gesticolazione teatrale; niente che rassomigli ai metodi di agitazione turbolenta dei rivoluzionari politici.
Cosa diviene, dopo la morte di San Paolo, di San Pietro, di San Giacomo, quella sottomissione puramente tattica ed essenzialmente provvisoria alle autorità stabilite?
Nel gruppo in cui nasce il vangelo secondo San Marco, il principio si è mantenuto. Per ciò che è delle regole di vita come per ciò che è della morale, il vangelo secondo San Marco continua la tradizione di San Pietro e di San Paolo. Tra i quattro vangeli, esso rappresenta il raggruppamento rivoluzionario.
Nei gruppi che hanno invaso le preoccupazioni politiche, al contrario, la sottomissione tattica e provvisoria si è trasformata e doveva trasformarsi in una sottomissione di circostanza. Quando si vuole prendere posto in una società, la prima cosa da fare è riconoscerne le autorità. Per toccare concretamente a qual punto quel compromesso sia lontano dallo spirito primitivo, basta constatare che le autorità in cui San Paolo vede le potenze di Satana diventano, per lo scrittore che ha usurpato il suo nome, i ministri di Dio; e, facendosi beffe di ogni pudore, lo scaltro manovratore osa concludere che disobbedire a loro equivale a disobbedire a Dio!... [7] La Chiesa vi troverà più tardi l'affermazione del «carattere sacro dell'autorità»; commentando questo testo, l'abate Vigouroux spiega che i cristiani «si impregnarono così bene di questi insegnamenti che la loro fedeltà (all'Impero) non si smentì mai» e che essi «rimasero sottomessi ai Cesari negli eccessi stessi della tirannia». [8] Si immagina in San Paolo quella «fedeltà» alle potenze di Satana, quella sottomissione agli «eccessi stessi della tirannia» di Satana?... San Paolo non attendeva dall'Impero che gli si accordasse un posto; attendeva che esso fosse annientato. E gli bastava essere paziente.
Con l'ultimo editore degli Atti degli Apostoli e con gli apologeti (come San Giustino), nessun dubbio è possibile... Noi siamo, non domandiamo che essere buoni cittadini; fateci il nostro spazio, come avete fatto il suo al giudaismo... [9]
I vangeli secondo San Matteo e secondo San Luca, e specialmente il Sermone della montagna e le parabole della stessa origine, disvelano una terza tendenza. Nei gruppi derivati da San Pietro e da San Paolo, ci si inchinava per tattica e temporaneamente; tra i politici, ci si inchinava con un'intenzione che sapeva dove andava a parare; per i discepoli del Sermone della Montagna, la sottomissione si muta in capitolazione; ciò che era sistema di difesa o moneta di scambio diventa così una regola di condotta di ordine generale, permanente e universale. L'astuto interpolatore di San Paolo aveva la sua idea quando professava che disobbedire alle autorità equivale a disobbedire a Dio; «il vangelo» mette sullo stesso piano (e senza secondi fini) i doveri verso Cesare e i doveri verso Dio. [10]
Ma non è solo alle autorità derivate da Satana, ma a tutto ciò che proviene da Satana, quale che sia il suo rango e quale che sia la sua esigenza, che bisogna sottomettersi: «tu non resisterai al maligno», ordina il Gesù evangelico. [11] Il testo sacro non dice «al male», come si crede generalmente; esso dice «al maligno», e per i primi cristiani il maligno (vi ritorneremo presto) è tutto ciò che sta sotto l'obbedienza di Satana. Si vorrebbe vedervi solo l'espressione involontariamente iperbolica della risposta cristiana all'«Occhio per occhio e dente per dente» della Bibbia ebraica; ma il corollario che segue è tanto categorico quanto famoso: «Se qualcuno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche la sinistra». [12]
Semplice consiglio di perfezione, spiega l'abate Glaire, adatto a farci acquisire più merito agli occhi di Dio. [13] Resterebbe da sapere se quella «perfezione» fosse stata raggiunta e se fosse stata solo ricercata dai fondatori del cristianesimo.
Ora, non una parola degli antichi libri cristiani lo lascia supporre, e tutto lascia supporre il contrario.
Si prova che una cosa non è nei testi mettendo il proprio avversario alla prova di trovarlo. Domando che mi si segnali un caso in cui i primi cristiani avrebbero seguito il cosiddetto precetto di perfezione. Che si siano sottomessi alle autorità ebraiche e romane, certo! ma che in un modo generale e incondizionato abbiano teso la guancia sinistra a chi li percuoteva sulla destra, non un testo lo riporta. Quando i vangeli mostrano, tutt'al contrario, i discepoli di Gesù sempre disposti a combattere e persino a sguainare la spada, [14] il fatto non ha evidentemente nulla a che vedere con la Storia; ma prova che l'uomo che per primo ne ha scritto il racconto non li giudicasse capaci di fare «compagno perdona» alla prima occasione.
Quanto a San Paolo, vedremo presto come, nella sua vita oltre che nella sua dottrina, egli sappia conciliare una sottomissione tattica, una sottomissione provvisoria (ripeto le mie espressioni) alle potenze del secolo, con una indomita resistenza al «maligno» che ostacola la sua opera. Non meno contrario allo spirito di capitolazione, non meno anti-«evangelico» resterà il vangelo secondo San Marco. Né le epistole né il vangelo anti-«evangelico» secondo San Marco predicheranno il perdono delle offese [15] o l'amore per i nemici [16] o la capitolazione dinanzi al «maligno».
Il cristianesimo «evangelico» condiziona le sue promesse dell'aldilà tramite l'accettazione dell'oppressione quaggiù; è così che giustifica il detto: oppio del popolo. Se il programma della prima generazione cristiana è un programma di rivoluzione, si constata che il programma del «vangelo», ancor più di quello degli apologeti, è un programma di controrivoluzione.
Tra il cristianesimo primitivo e il cristianesimo detto «evangelico», il disaccordo è anche evidente quanto alle regole della vita privata.
Si deve distinguere, quando si studiano i grandi movimenti religiosi e sociali, tra la famiglia naturale, come la vediamo attorno a noi e come esiste da più millenni, e la famiglia spirituale delle età preistoriche, che è alla base del clan primitivo e che il cristianesimo ha ricostituito. [17] Il vangelo segue qui la tradizione inaugurata dalla prima generazione cristiana; ma va più oltre. La prima generazione cristiana aveva saputo unire la famiglia naturale e la famiglia spirituale in una commovente organizzazione di «fratelli» e di «sorelle» nello Spirito che sono allo stesso tempo mariti e mogli nella carne. Gettando via questo capolavoro di spiritualità vivente, il vangelo condanna la famiglia naturale. I veri genitori di Gesù non sono sua madre e i suoi fratelli, ma i suoi discepoli; [18] e, affinché non vi sia alcun equivoco:
«Se qualcuno viene a me», dichiara, «e non odia suo padre e sua madre e sua moglie e i suoi figli e i suoi fratelli e le sue sorelle e persino la sua stessa vita, non può essere mio discepolo». [19]
Non si può dire che il vangelo prescriva il celibato; ma senza la menzione della suocera di San Pietro si avrebbe l'impressione che nessuno dei discepoli si sia mai sposato, e di nessuno di loro è lasciato intendere che mai lo sarà. I principi di continenza che erano in onore tra i Pitagorici e che erano penetrati tra gli Esseni senza toccare la prima generazione cristiana, hanno trionfato nel cristianesimo evangelico. In un modo generale, le cose della carne sono presentate come l'opera del diavolo e nessuno avrà dimenticato, se lo ha letto una volta, il terribile comandamento di Gesù:
Se il tuo occhio destro ti scandalizza, cavalo e gettalo via da te, e se la tua mano destra ti offende, tagliala e gettala via da te. [20]
E, perché nessun dubbio sussista quanto al pensiero del maestro, quest'altro comandamento, decisivo nella sua atrocità:
Ci sono eunuchi che si sono fatti eunuchi a causa del regno dei cieli: che colui che è capace di comprendere comprenda. [21]
Il celibato, in ogni caso, appare nell'insegnamento di Gesù come uno stato superiore, e gli studiosi che credono in buona fede che questo insegnamento sia stato realmente professato da lui dovranno confessare che i suoi Apostoli, e San Pietro per primo, ne hanno proprio mal profittato!
Abbiamo riconosciuto che, mantenendo la ricostituzione della parentela spirituale nel programma del cristianesimo, il vangelo aveva probabilmente salvato il cristianesimo stesso. Resa quella giustizia, dobbiamo anche riconoscere nelle sue esagerazioni il punto di partenza per gli oltraggi che sarebbero seguiti.
Nello stesso tempo in cui abbiamo trovato i primi cristiani circondati dalle loro mogli e dai loro figli, abbiamo visto come ciascuno di loro esercitasse un mestiere e come San Paolo si preoccupasse di guadagnare il suo pane per mezzo dell'opera delle sue mani. Ora, proprio altrettanto nettamente come la famiglia, il lavoro è condannato dal Sermone della Montagna... «Guardate gli uccelli del cielo, non seminano né raccolgono...» E non crediamo ad uno scherzo del Signore: mai è questione che i discepoli lavorino; egli li strappa alla loro professione; di cosa vivranno? Dio provvederà. [22]
La chiesa cattolica spiega: consiglio e non comandamento... Spiega ancora: precetto per il piccolo numero degli uomini che vivono la vita in Dio e non per la massa dei fedeli... I protestanti rispondono, non senza ragione, che nulla nei testi implica l'una o l'altra di queste discriminazioni; altrimenti, risulterebbe che gli Apostoli e San Paolo hanno fatto parte della massa che non vive la vita in Dio!
Quanto alla povertà, essa è compresa del tutto differentemente nelle epistole e nei vangeli.
I vangeli non si accontentano di accettarla e nemmeno di onorarla; condannano la ricchezza per sé stessa, condannano, non (come si ripete) «il malvagio ricco», ma «il ricco», [23] e proibiscono a chi non è povero l'ingresso nella Chiesa, [24] mentre i primi cristiani ammettevano tra loro uomini e donne provvisti di beni di cui non si domandava loro di spogliarsi, ma piuttosto di prelevarne una parte in favore della cassa comune.
Le tendenze ascetiche del Sermone della Montagna si accentueranno nel corso del secolo che seguirà. Leggende nacquero che attribuiranno a San Giacomo [25] prodezze di super-pietà e agli Apostoli [26] meraviglie di continenza di cui nessuno di loro se ne era preoccupato.
Mentre si avevano visti gli Ellenisti di Gerusalemme, poi San Pietro e San Paolo stessi, fuggire la persecuzione, si vedranno moltitudini di martiri non solo deliziarsene, ma provocarla.
L'epoca verrà presto in cui sarà una sorta di dovere per i santi del cristianesimo rompere ogni legame con gli altri uomini, ritirarsi in solitudine o rinchiudersi nei chiostri e abbandonarsi a terribili sevizie contro il loro corpo; quelli dei miei lettori che sono riluttanti a documentarsi dagli agiografi potranno informarsi dai romanzieri cattolici come il signor Georges Bernanos. [27] Quanto alla mendicità, quella scelta estrema che dovrebbe comprendersi solo per lo sfortunato colpito dalla sorte, essa sarà non solo onorata ma proposta da modello.
Per quanto sconcertanti siano queste pratiche, è però impossibile sottovalutare il valore degli uomini che, in vista di una maggiore spiritualità, si sono imposti loro stessi le condizioni di esistenza più penose. Ed è la questione dell'ascetismo che si pone.
Il signor Homais concede che certi ordini religiosi hanno avuto la loro utilità... Sì, quelli che hanno dissodato la terra, quelli che hanno creato le scuole, quelli che ricoveravano i malati e gli anziani... E il signor Homais si inchina, allo stesso modo in cui rende omaggio ai missionari, poiché servono gli interessi nazionali, agli scienziati, poiché si devono loro le invenzioni di cui la nostra epoca si inorgoglisce, telefono, aviazione, guerra chimica; quanto agli artisti e agli scrittori, concede che l'umanità ha bisogno di intrattenitori... Ma gli ordini contemplativi? Uomini che sanno solo pregare?
Allo scetticismo del signor Homais, un medico scrittore rispose, in un giornale reputato liberale, che «i benefici del digiuno periodico e della dieta frequente si traducono, per i monaci della Trappa, nel ristabilimento delle funzioni difettose dello stomaco e dell'intestino»... [28] Non so se questi eccellenti risultati siano stati previsti dal fondatore della Trappa, ma dubito fortemente che lo siano stati da San Benedetto o San Giovanni della Croce; e dubito anche che convincano il signor Homais dell'utilità degli ordini contemplativi. Per fargli intendere quale funzione sociale svolgano gli uomini che, al di fuori di ogni servizio di carattere pratico, vivono la vita ascetica, chiamerò in mio soccorso due maestri che nessuno sospetterà di clericalismo, — anche a costo di trarre dal loro insegnamento una conclusione che essi non hanno previsto...
George Sorel ha esposto [29] quale scuola sarà stata la vita ascetica per gli uomini destinati ad essere capi, e come il rude regime monastico abbia formato la maggior parte dei grandi riformatori, allo stesso modo in cui l'educazione alla povertà ha formato un Lenin, e non ci si stupirà che egli abbia voluto vedervi un rimedio contro la mediocrità democratica.
Durkheim, applicando allo studio della questione il rigoroso e sicuro metodo che ha istituito, mostrava [30] come le pratiche ascetiche avessero la loro origine nei riti più primitivi dei semi-civilizzati e come, al posto di essere nelle religioni evolute «crudeltà arbitrarie e sterili», fossero mezzi per acquisire «le qualità di disinteresse e di sopportazione senza le quali non vi è religione». È bene, aggiungeva, «che l'ideale ascetico venga a incarnarsi eminentemente in personaggi... che sono come tanti modelli viventi che incitano allo sforzo... e tale è il ruolo storico dei grandi asceti»... I loro «eccessi sono necessari per mantenere nei fedeli un sufficiente disgusto per la vita facile e i piaceri comuni. Bisogna che un'élite metta l'obiettivo troppo in alto perché la folla non lo metta troppo in basso...». Dai fini religiosi passando ai fini sociali, il maestro spiegava in seguito quanto sia necessario «che noi fossimo addestrati a violare talvolta i nostri istinti», e così vi è «un ascetismo destinato a sopravvivere a tutte le mitologie e a tutti i dogmi» e che «fa parte integrante di ogni cultura umana».
Checché se ne pensi dell'azione presente della Chiesa in mezzo ai conflitti che lacerano l'Europa, un fatto mi appare evidente: essa sopravvive solo per mezzo dei suoi ordini contemplativi. Il clero secolare sembra oggi occuparsi del temporale; istruisce i bambini; presiede ai matrimoni e ai funerali; siede alla tavola delle famiglie benpensanti; sostiene la morale borghese; mette la religione al livello delle classi medie e si sforza di introdurla nelle classi operaie. Ben presto sarebbe spazzata via tutta quella politica, se nei loro monasteri alcuni Regolari non continuassero a testimoniare che l'uomo è, come ha detto Nietzsche, qualcosa che si oltrepassa.
Che la società borghese, se vuole vivere, non perda di vista questo esempio!
Quale conclusione trarre da queste considerazioni e dall'esegesi durkheimiana? Questa: che l'ascetismo è eminentemente un valore conservatore, — un valore riformatore, nel senso che la riforma ha per scopo la conservazione.
In effetti, gli ordini contemplativi che si sono perpetuati dal medioevo fino ai nostri oggi devono la loro origine agli uomini che hanno voluto frenare il rilassamento che invadeva la Chiesa... Come le società, le religioni sono condannate al declino per il fatto stesso che durano; finirebbero rapidamente in rovina senza i cambiamenti promossi, le une dopo le altre, dai grandi riformatori. Una volta ottenuta la riforma, si tratta di mantenerne il più a lungo possibile gli effetti, ed ecco perché gli ordini contemplativi si perpetuano.
Ma se l'ascetismo è il mezzo che usa una società per riformarsi e per mantenersi nella sua riforma, non ha nulla a che fare con l'opera di distruggere quella società e di sostituirla con un'altra. Se è l'esempio che danno i grandi riformatori, non è quello che danno i grandi rivoluzionari.
I grandi rivoluzionari non hanno da risvegliare nella borghesia le virtù cadute in disuso. I primi cristiani non dovevano portare ai settari di Iside o agli ebrei ortodossi o agli ultimi fedeli di Giove Capitolino un mezzo per rianimare la fede dei loro antenati, né per consolidare le fondamenta dell'Impero; piuttosto, lavoravano per completare di rovinarli. Religiose o laiche, le rivoluzioni hanno sempre una politica del peggio.
San Francesco vuole salvare la società; San Paolo vuole che sia sterminata. Si riconosce là tutto ciò che oppone rivoluzione e riformismo.
L'esempio che hanno lasciato i primi cristiani e i promotori del 1789 e del 1917 non è quello di salvatori che, riformandola, rimettono una società malata, ma quello di demolitori che, trascurando ogni altro interesse, vogliono abbatterla per edificarne un'altra. Per un'opera del genere la virtù è necessaria, ma è sufficiente. Alla base dell'attività rivoluzionaria vi è la virtù, non vi è l'ascetismo. La virtù è essenzialmente un valore rivoluzionario; l'ascetismo, essendo un valore riformista, è un valore controrivoluzionario.
I primi cristiani erano poveri, senza essere mendicanti né vagabondi. Erano persone della gente comune, e hanno permesso all'uomo delle classi superiori che veniva da loro di restare ciò che era. Avevano ciascuno il proprio mestiere. Il loro ritiro, unicamente spirituale, non è stata una fuga lontano dagli altri uomini. Hanno mantenuto le loro credenze e hanno praticato il loro culto, ma in attesa del giorno della liberazione hanno obbedito alle leggi dello Stato, alle leggi ebraiche, poiché ebrei erano nati. Non hanno ceduto alla persecuzione, ma non l'hanno cercata. Non hanno rinnegato le cose della carne ed erano sposati. Hanno vissuto una vita di rinuncia, ma non una riga nelle epistole, non una riga in nessuno dei libri del cristianesimo li mostra, o tende a mostrarli, abbandonarsi alle sevizie contro di sé di un San Francesco d'Assisi o di un San Labre. È sufficiente vivere la vita dello Spirito. I vicini li rispettano, i pontefici del sinedrio e i farisei li lasciano fare e i procuratori li trascurano. Non fanno, come faranno i loro successori, propaganda attorno a loro; sappiamo quali impossibilità di ogni sorta li avrebbero immediatamente arrestati se ci avessero un attimo pensato, e che solo la forza delle cose li ha portati a minimi accrescimenti. E così hanno potuto, per quasi quarant'anni, vivere pressappoco in pace. Non sono però agnelli belanti; hanno considerato la società che li circonda e hanno compreso che è votata allo sterminio; hanno la pazienza dei forti, sanno che il loro giorno verrà e sanno attendere.
D'accordo con il maggior numero degli studiosi indipendenti, abbiamo constatato frequentemente, nel corso dei nostri lavori, l'opposizione che si manifesta tra le epistole paoline e il «vangelo», e i nostri lettori hanno da tempo osservato che non è in quest'ultimo che cerchiamo le dottrine del cristianesimo primitivo. Confrontando ora le formule di vita spirituale che vi sono esposte, constatiamo la stessa opposizione, ma non abbiamo più questa volta il piacere di trovarci d'accordo con l'opinione più generalmente ammessa. Abbiamo ricordato precedentemente come si opponga spesso il «vangelo» alla «chiesa»; nella loro regola di vita come nelle loro dottrine, io oppongo il cristianesimo primitivo al «vangelo»; contrappongo l'eroica prima generazione cristiana ai pallidi discepoli del Sermone della Montagna, oltre che ai politici che, accettando che il mondo continui, hanno voluto prendervi il loro posto e raccogliere l'eredità del giudaismo.
La necessità sociologica, che ha agito in tutte le epoche della Storia nelle circostanze analoghe, ha obbligato il cristianesimo a diminuire spiritualmente nello stesso tempo in cui esso si accresceva temporalmente. I movimenti come quello che ha prodotto il cristianesimo si fanno in un rinnovamento al cento per cento dello Spirito, se si mantiene per questo termine l'accezione sociologica che noi proponiamo. Ma l'illuminazione che nasce dallo Spirito è dell'ordine della meteora che illumina il cielo; questo non è un fenomeno quotidiano, né che dura. La prima generazione cristiana, San Pietro, San Giovanni, San Giacomo, San Paolo e i compagni, è stata uno di quei momenti di umanità, o piuttosto di super-umanità, in cui gli uomini danno il cento per cento della grandezza. Con le generazioni successive, vale a dire con i vangeli, [31] e con la politica degli apologeti, non restano della meteora che i riflessi, e questi si deformano, come i raggi di una stella che ha cessato di brillare e che si vede ancora, a quel che dicono i fisici.
Tentiamo dunque di immaginarli, nelle loro comunità, come, se possibile, li si vede a Gerusalemme, confinati in un isolamento che è solo spirituale in mezzo ai loro compatrioti, vivendo la loro vita di tutti i giorni, accanto alla moglie e ai figli, lavorando ai loro umili mestieri, gli uni l'attrezzo alla mano, il maggior numero davanti al loro banco, offrendo agli compratori la loro merce; e quando il lavoro è terminato, quando le porte del mercato sono chiuse, seguiamoli per le strade, mentre in piccoli gruppi vanno a sedersi o a passeggiare lungo i cortili, i portici e le piazze dell'immenso foro che è il Tempio; lì, sotto voce, si intrattengono tra loro, in conversazioni interminabili, in polemiche che non finiscono mai, in esegesi che si protraggono inesauribilmente, sull'eterno oggetto della loro meditazione, e dall'uno all'altro si passano i frutti dorati; attorno a loro c'è la folla che incessantemente e innumerevolmente preme nel luogo sacro e, senza minimamente conoscerli, rispetta la loro santità; dietro c'è la città e la potenza formidabile dei sacerdoti e dei farisei; all'ingresso della Torre Antonia, un folto gruppo di legionari dai corpi atletici non permette a nessuno di dimenticare quale altra potenza grava, lontana e implacabile, su Israele; al di sopra delle loro teste c'è, si direbbe a portata di pietra, il cielo dell'Oriente mediterraneo; ai loro piedi, la ripida scarpata dove scorre il torrente del Cedron e, dall'altro lato, il monte degli Ulivi, le sue pendici coperte di fichi, terebinti e biancospini e le sue tre cime; gli occhi non vanno più oltre, ma l'anima vede, al di là, l'abisso in fondo al quale, a milleduecento metri più giù, tra i monti del Galaad e le alture di Moab, il Giordano sfocia nel deserto marino del Mar Morto, e là, non lontano dal punto in cui il fiume si perde nelle sue acque immobili, qualcosa a cui si pensa come si pensa ad un luogo visto in un sogno, e dove il Mistero si è compiuto; e ogni giorno comprendono un po' meglio il significato preistorico del rito che hanno perpetuato, e ogni giorno si profila con un po' più di precisione il volto di colui che è morto e che ha dormito e che è risorto, affinché essi stessi per mezzo di lui, in lui e con lui muoiano, dormano e risorgano, affinché la società tutt'intera perisca e risorga rigenerata.
Il paganesimo classico si è compiaciuto di modellare, come l'esemplare delle sue più alte aspirazioni, la figura del Sapiente, l'homo moderatus et gravis, l'uomo moderato ed equilibrato, vale a dire padrone di sé, che sa raccogliere i frutti che la terra produce nello stesso tempo di quelli che maturano nei giardini del pensiero, che accetta che le cose siano quelle che sono e giudica che lo spettacolo della vita è bello, — il Sapiente che sarà l'onore eterno dell'antichità aver immaginato, e che non è esistito e non può esistere.
...Che non può esistere, perché si concepisce, nel ciclo di una civiltà, solo nelle epoche in cui il grande movimento che lo introduce raggiungerebbe il suo punto di equilibrio e una tale stabilizzazione non si realizza mai totalmente; vale a dire, perché si concepisce solo nelle epoche irreali che non avrebbero bisogno né di evoluzione né di rivoluzione.
Ammirevole e senza dubbio infinitamente invidiabile, la vita del Sapiente; ma se lo Spirito è veramente l'appello dell'inconscio collettivo alla reintegrazione del Sociale, la vita del Sapiente non è una vita nello Spirito. Per la verità, la formula antica del Sapiente, con la sua accettazione delle cose, è, tanto quanto ma diversamente dalla formula ascetica, o da quella del riformismo politico, una formula controrivoluzionaria. I rivoluzionari rifiutano i frutti della terra che sono pagati con l'oppressione degli altri uomini; rifiuterebbero quelli dello Spirito se dovessero servire solo al loro personale piacere. I rivoluzionari sono, per definizione, uomini che il presente non soddisfa mai; morte e resurrezione, non avranno mai e da nessuna parte altro programma. Si potrà dunque attendere dal buon cittadino della città ideale, come pure dall'asceta rinchiuso nella sua torre d'avorio, come pure dal politico che negozia, il rispetto per gli altri, vale a dire la tolleranza verso gli altri; ma non si troverà nei primi libri sacri del cristianesimo altro che minacce di distruzione per il mondo pagano, esattamente allo stesso modo in cui nei manifesti bolscevichi per la società capitalista.
Ma, se non sono né asceti, né politici, né saggi, sappiamo che i primi cristiani hanno questo in comune con i saggi, che vivono la semplice vita che tutti vivono attorno a loro, durante il tempo in cui preparano la loro opera e fino al giorno in cui dalla preparazione passeranno (se passano!) all'azione.
Non più dei saggi non sono gente che sale su una tribuna, o che si arrampicano su un pulpito, o che si issano su una colonna per arringare il popolo; ma, al contrario degli asceti, non hanno per distinguerli dalle moltitudini con cui convivono quotidianamente se non ciò che è dello Spirito; non sono né miserabili, né mendicanti, né vagabondi; sono gente che si guadagna da vivere e che paga il fornaio; con nel cuore il programma di una società che non è quella dove vivono e che occorre che si realizzi. E così ci è permesso rappresentarli, nelle vie delle loro grandi città orientali e a Roma, pressappoco sotto gli stessi tratti che, nelle vie di Ginevra, di Parigi o di Londra, gli uomini che al principio del nostro ventesimo secolo vi preparavano la Rivoluzione ma mai furono degli agitatori. Né agitatori, né ribelli, né fuorilegge; né saggi altezzosi, né asceti ostentati; né furbi politici, né propagandisti scatenati; affatto dei santi con tanto di fiocchi, né tribuni per fotografi, sono anche loro rivoluzionari con facce da piccoli borghesi.
Riassumiamo, come segue, quel tentativo di immaginare gli uomini della prima generazione cristiana:
Numero ed estensione. — Oscuri raggruppamenti sparsi in poche città del mondo giudeo-greco-romano; in ciascuno, una dozzina, una sessantina o un centinaio di affiliati, in mezzo a cinquantacinque milioni di pagani e di ebrei.
Vita di tutti i giorni. — Si esercita ciascuno il suo umile mestiere, accanto alla moglie e ai figli; si ha tra sé un'organizzazione e un fondo di contribuzione; ci si riunisce per il pasto di comunione, per la preghiera e per lo scambio indefinito della meditazione tramite cui, a poco a poco, il nuovo mito si configura e la grande opera si prepara.
Propagazione. — Per irradiazione; si è il calorico che si terrebbe in una scatola di un metro cubo e che sarà capace di scongelare il Mar Glaciale Artico.
NOTE
[1] Sul rapporto dei tre vangeli sinottici tra loro, vi sarà motivo di tenere il maggior conto dei lavori del signor Hubert Pernod, che rinnovano la questione.
[2] Sopra, pagine 165, 172 e 235, abbiamo segnalato la notevole importanza dell'evento nell'evoluzione del cristianesimo primitivo.
[3] In particolare, Romani 13:1-7, e Pastorali.
[4] Epistole dette di San Pietro, ad esempio.
[5] Dove ci è impossibile riconoscere lo spirito generale del vangelo secondo San Luca.
[6] Come le Apologie di San Giustino.
[7] Romani 13:1-7; tutto il capitolo è riconosciuto dai critici indipendenti una delle pagine più sicuramente interpolate delle epistole.
[8] Poliglotta dell'abate Vigouroux, commentario del passo citato. Si potrebbe infatti supporre che le autorità di cui parla lo pseudo-Paolo siano le autorità ecclesiastiche, se 13:4, non specificasse che esse portano la spada!
[9] Il solo punto sul quale tutte le frazioni del cristianesimo si sono unite in un'intransigenza assoluta è il rifiuto di rendere un culto alle divinità imperiali (si veda sopra, pagina 55); ma se gli ebrei avevano ottenuto questo privilegio d'astensione, lo sappiamo, è perché le autorità romane li consideravano come costituenti una nazione avente le sue leggi proprie, il che non era il caso dei cristiani.
[10] Ad esempio, il famoso «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», Matteo 22:21, e Luca 22:25; anche Marco 12:17, ma in un passo che, provenendo dalla fonte detta fonte Q, non faceva parte del Marco primitivo.
Si noterà anche che da nessuna parte nelle parabole il potere assoluto e discrezionale del «maestro» è sfiorato dal minimo accenno di critica.
[11] Matteo 5:39.
[12] Ibidem; parallelo in Luca 6:29.
[13] La Sainte Bible selon la Vulgate tradotta in francese dall'abate Glaire. Si veda Poliglotta dell'abate Vigouroux.
[14] In particolare, Matteo 26:51-52, Marco 14:47-48 e molto espressamente Luca 22:49.
[15] Romani 13:1 e seguito, appartiene, come abbiamo appena detto, a un frammento notoriamente post-paolino. Quanto alle prescrizioni di Colossesi 3:13, esse devono intendersi da cristiano a cristiano e non da cristiano a pagano o a ebreo ortodosso.
[16] La prescrizione del Sermone della montagna, Matteo 5:43 e seguito, e Luca 6:27, manca in Marco.
[17] Si veda sopra, pagine 126 e seguenti.
[18] Matteo 12:47-50 e Luca 8:20-21; anche Marco 3:32-35, ma secondario (stesso caso di pagina 247, nota 1).
[19] Luca 14:26; anche Matteo 8:22 e Luca 9:61-62.
[20] Matteo 5:29-30 e 18:8-9; anche in Marco 9:43-48 ma secondario (stesso caso come sopra).
[21] Matteo 19:12; assente in Marco.
[22] Matteo 6:25-34, e Luca 12:22-31, nulla in Marco.
[23] Luca 6:24 e 14:19 e seguito (parabola di Lazzaro).
[24] In particolare Matteo 19:21-22, e Luca 18:18-25 (il cammello che non passa per la cruna di un ago); anche in Marco 10:17-25, ma secondario.
[25] Prima traccia in Egesippo, citato da Eusebio, Hist. Eccl. 2:23.
[26] Atti apocrifi di San Paolo, di San Pietro, di San Giovanni, di San Tommaso, di Sant'Andrea.
[27] Sous le soleil de Satan, pagine 130 e seguenti.
[28] Figaro, 26 febbraio 1932.
[29] Illusions du progrès, 1902, pagina 324.
[30] Formes élémentaires de la vie religieuse, pagine 441-453.
[31] Salvo riserve, non dimentichiamolo, per il vangelo secondo San Marco.
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