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II
L'ESODO GALILEO
Nel determinare con qualche anno di approssimazione la data alla quale avrebbe avuto luogo la messa a morte di Gesù, come la presentano i racconti evangelici, i testi forniscono, mediante la stessa approssimazione, quella stessa alla quale ha avuto luogo la celebrazione del dramma precristiano di cui questi racconti sono la trasposizione: inizio del secondo quarto o, tutt'al più, fine del primo terzo del primo secolo della nostra era; da cui risulta che i primi cristiani (che sono in questo momento uomini nella forza dell'età) erano nati intorno all'anno 1. Dagli stessi testi si può dedurre, con la stessa certezza, che, nati e cresciuti in Galilea, avevano lasciato il loro paese nella stessa epoca per andare a vivere in Giudea. L'entrata in scena della prima generazione cristiana ci riporta dunque (d'accordo su questi punti fondamentali con la scienza indipendente come pure con l'ortodossia) al primo quarto o al primo terzo del primo secolo della nostra era, in quella Galilea dove situiamo il principale focolaio del pre-cristianesimo, ma che non doveva essere quello del cristianesimo.
Gli uomini che sarebbero stati i primi cristiani formano un gruppo di poca gente stabilita oscuramente sulla riva occidentale del lago di Genesaret. Vi sono tra loro alcuni agricoltori, alcuni artigiani, ma il maggior numero sono pescatori; il Gesù che duemila anni prima era il dio delle acque vive è restato un dio di pescatori. Alcuni esercitano il mestiere di guaritori; il Baal della Salvezza, vale a dire della Guarigione, è restato parallelamente un dio di guaritori. Noi ce li rappresentiamo sotto un'immagine non molto diversa, insomma, da quella che i vangeli hanno tracciato dei discepoli del Cristo, ma non dimenticando che l'incomprensione e la codardia che questi hanno attribuito loro sono lo sviluppo di un tema folcloristico, come pure la loro incredulità e la loro durezza di cuore. [1]
Quale poteva essere il loro numero? I testi hanno in vista solo i capi del gruppo; attorno a loro immagineremo un centinaio di famiglie che si perpetuano in questo angolo sperduto dell'immenso impero romano, lontanissimo dallo sguardo degli storici, che montano segretamente la guardia attorno al tesoro preistorico che gli dèi avevano loro affidato.
I vangeli collocano in Galilea la predicazione di Gesù, ma inviano costui a morire in Giudea; tre di loro dopo la sua morte fanno ritornare i suoi discepoli in Galilea, ma non li lasciano a dormire, e gli Atti degli Apostoli (così come le epistole) li mostrano presto insediati a Gerusalemme.
Già un secolo prima, l'invasione ebraica aveva obbligato gli antenati di questi uomini a scegliere tra lo sfratto e la sottomissione (queste sono, lo si ricorda, le espressioni stesse del signor Guignebert). Senza dubbio alcuni avevano preferito andare in esilio il prima possibile. Senza dubbio alcuni altri, dopo essersi rassegnati, si erano scoraggiati. Un certo numero di loro si erano così disseminati in Siria e nella Diaspora. [2] Era riservato alla generazione che doveva essere la prima generazione cristiana abbandonare definitivamente il bel paese di cui Renan ha cantato le verdi colline, le chiare fontane, le ombre idilliache.
Perché questo finale esodo, in un'epoca in cui il pre-cristianesimo si è adattato alla dominazione ebraica e probabilmente non ne soffre più?
Non è facile alla tesi evemerista spiegare perché i discepoli di Gesù hanno abbandonato la loro patria... Un ordine del maestro, ci viene detto,... l'ordine di andare ad evangelizzare il mondo?... all'indomani della Passione?... che fretta, Signore!... è vero che occorreranno ai vostri discepoli quasi trecento anni per imporvi all'Impero...
La spiegazione che proponiamo è più vicina alla realtà.
Abbiamo situato sulla riva occidentale del lago di Genesaret la sede del gruppo precristiano di Galilea; i racconti evangelici permettono di precisare: regione di Tiberiade. Flavio Giuseppe racconta [3] che tra gli altri grandi lavori intrapresi nel paese, quella città fu edificata da Erode Antipa, figlio del grande Erode, da cui aveva ereditato la Galilea. Lo scrittore aggiunge che la costruzione necessitò la violazione di numerose tombe, atto che passava allora e passa ancora oggi nel mondo semitico per una terribile profanazione. Racconta anche che Erode Antipa fece venire, per popolare la città, un gran numero di stranieri, alcuni della più bassa condizione... Da cui, partenza di una gran parte degli indigeni, gli uni espropriati dalle costruzioni e che rifiutano di diventare cittadini dopo essere stati contadini, gli altri che fuggono da luoghi contaminati dal sacrilegio, altri spaventati da quella invasione di indesiderabili. La data, anno 25 o 26 della nostra era, è fornita dall'arrivo di Ponzio Pilato in Giudea, anno 26, che seguì immediatamente.
Concordanza delle date; concordanza dei luoghi; concordanza degli eventi. È infinitamente probabile che fosse l'edificazione della città di Tiberiade che, intorno all'anno 26, cacciò dalla Galilea i precristiani.
Ci si permetterà di profittare dell'occasione per far toccare concretamente a qual punto i vangeli siano stati scritti lontano dai fatti che raccontano e lontano dai luoghi dove li situano, e per dirla tutta, lontano da ogni verità storica. Una città non si costruisce così rapidamente, soprattutto con i mezzi di cui si disponeva allora; niente era terminato nel 27, e nemmeno nel 30. I vangeli ignorano il fatto che collocano in un paese sconvolto dalle demolizioni e dalle costruzioni la maggior parte della predicazione di Gesù... Cosicché, se i vangeli sono racconti storici, cari amici lettori che vi dilettate con Renan nello squisito idillio galileo, è in mezzo ai cantieri che vi occorre immaginare il divino insegnamento, con, in guisa di risposta, il rumore delle vanghe e dei picconi, lo scricchiolio delle seghe e le grida degli operai, nella polvere e nel fracasso della terra che si smuove e dei muri che si montano... Guardate i gigli dei campi... Ma attenzione a quella buca!... Guardate gli uccelli del cielo... Ma attenzione a questo carro di pietre!... Fino al momento in cui i carrettieri esasperati non si abbattano a colpi di pugni e a colpi di fruste fruste sull'imprudente chiacchierone e sui suoi accoliti.
Queste cose, so bene che gli esegeti non le vogliono affatto sapere; e Renan poteva sacrificare la visione incantevole che portava ai suoi contemporanei?
La verità è che all'epoca in cui la tradizione colloca l'insegnamento di Gesù non ci sono più discepoli sulle rive del bel lago galileo.
Sono partiti dall'inizio dei lavori? La cosa sarebbe poco verosimile; un gruppo di uomini stabilitisi da secoli in un paese non leva il campo come una tribù di nomadi; occorre il tempo di decidersi; e poi si deve sapere dove si andrà; si esita; si tarda; fino al giorno in cui la scelta si precisa e in cui una circostanza particolare vi fa partire.
Mi si scusi di impiegare formule che non convengono alla Storia come noi la concepiamo. Questa scelta sembra che sia stata imposta da tutta l'eternità, Bossuet avrebbe detto dai disegni di Dio, noi diremo da una provvidenziale congiuntura delle leggi del materialismo storico e di quelle dello spiritualismo sociologico.
Non ci si stupirà dunque che alcune osservazioni di ordine economico intervengono qui. I nostri precristiani esercitano, per la maggior parte, il mestiere di pescatori. Ora, Gerusalemme, che è oggi una città importante, era nel primo secolo una grande città molto popolata dove si ammassava all'epoca delle feste una folla considerevole; e vi si faceva, come vi si fa ancora oggi, un ampio consumo di pesce. Ma Gerusalemme è situata su un altopiano, e occorre far venire l'approvvigionamento da lontano; già ai tempi di Neemia lo si portava dal Mediterraneo. [4] Lo si faceva anche venire dal lago di Genesaret, che è più lontano ancora; e forse una parte della pesca dei nostri precristiani vi era trasportata lì e venduta da intermediari. Ma lo si faceva venire anche dal Giordano e dai dintorni di Gerico, che sono altrettanto pescosi come il lago di Genesaret [5] e sono molto più vicini; un breve giorno o, più esattamente, una notte bastava a trasportare le ceste a Gerusalemme, sul dorso di asini o di cammelli. In questi ultimi anni, si vedevano ancora gli Arabi partire dai dintorni di Gerico al tramonto del sole con le loro bestie, viaggiare durante la notte e arrivare al mattino in città per effettuarvi la loro consegna.
Poiché non si può più restare sulle rive del lago di Genesaret, perché i nostri precristiani non andrebbero a insediarsi, gli uni a Gerico o nei dintorni, in prossimità del Giordano, a continuarvi il loro mestiere di pescatori, gli altri a Gerusalemme a vendervi il pesce pescato dai loro compagni, mentre alcuni farebbero la spola tra il fiume e la grande città, a titolo di trasportatori? Così potranno ancora guadagnarsi da vivere, e meglio forse che sulle rive del lago.
Quanto al percorso che dovevano seguire per compiere il loro esodo, era proprio quello che conveniva meglio ai pescatori. Da Tiberiade a Gerico, la distanza per una carovana è un po' più di cento chilometri; si segue la riva sud-occidentale fino al punto in cui il Giordano esce dal lago, e da lì si raggiunge la strada frequentata da ogni tempo che conduce dalla Siria a Gerico, dapprima per la riva sinistra, poi per la riva destra del fiume. E le barche? Esse dovranno solo costeggiare la riva del lago e discendere il corso stesso del Giordano, le difficoltà della sua navigabilità (sinuosità estrema, rapide a volte pericolose) non essendo capaci di arrestare dei marinai esperti. Il grosso della carovana prenderà la via di terra, mentre le barche prenderanno la via d'acqua.
Arrivati a Gerico (o dintorni), alcuni vi resteranno e continueranno il loro mestiere di pescatori; gli altri saliranno a Gerusalemme, dove si faranno pescivendoli. Quanto a quelli che tra loro esercitavano egualmente la professione di guaritori, essi dovevano trovare facilmente a Gerusalemme l'occasione di praticare la loro arte.
Si comprende che guaritori e pescivendoli abbiano potuto vivere a Gerusalemme; al di fuori della nostra ipotesi, ci si domanda cosa un gruppo di pescatori sarebbe stato a fare in una città situata su una altura, lontana da ogni corso d'acqua sfruttabile.
Ma ecco dove il materialismo storico non basta più a spiegare l'evento e dove si manifesta ciò che Bossuet avrebbe definito la volontà di Dio e dove ci piace discernere una necessità spirituale... Questo cammino è precisamente il cammino di pellegrinaggio che i loro padri avevano seguito per secoli e che dovevano seguire loro stessi per recarsi all'antico altoluogo dove la setta andava periodicamente a celebrare il dramma e il pasto sacro del suo culto, vale a dire al Ghilgal dei dintorni di Gerico, che si chiamava ora il Golgota.
Tiberiade, Giordano, Gerico, da dove si è ad un'ora dal Guilgal e ad un breve giorno da Gerusalemme.
Il cammino dell'emigrazione è il cammino del pellegrinaggio.
Così troveremo nel contempo la spiegazione e la descrizione dell'esodo galileo. Non ci si aspetterà che i testi forniscano informazioni circostanziate su queste diverse questioni; queste sono cose che non interessano gli scrittori sacri, non più che alcuna di quelle che riguardano la vita privata dei loro eroi. Non ci resta che trarre dagli elementi che noi possediamo le loro conseguenze probabili, e ricordarci quanto in Oriente la vita sia poco cambiata dall'antichità fino al giorno in cui la ferrovia, poi i furgoni hanno fatto la loro comparsa.
I testi contengono però tracce dell'esistenza di cristiani a quella data in questo paese di Gerico, [6] così come nei due villaggi di Betfage [7] e di Betania [8] che sono situati sul percorso da Gerico a Gerusalemme e dove è possibile che alcuni si siano fermati. Ma il riferimento cruciale, il riferimento decisivo che legittima la nostra ipotesi, è il racconto stesso, dato dai primi tre vangeli, del viaggio di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme.
Il viaggio che, in effetti, abbiamo appena visto fare ai precristiani di Galilea per lasciare il loro paese: Tiberiade, Giordano, Gerico, salita da Gerico a Gerusalemme passando per Betfage e Betania, con, come punto finale, l'antica Ghilgal, è esattamente (salvo la salita da Gerico a Gerusalemme) il cammino del pellegrinaggio che i loro padri avevano seguito da ogni tempo; e questo è esattamente il viaggio attribuito dai primi tre vangeli a Gesù prima della Passione: il lago, il Giordano, Gerico, Betfage e Betania, Gerusalemme e il Golgota. I tre vangeli sinottici sono d'accordo sull'itinerario; [9] ma situandosi il Golgota per loro alle porte di Gerusalemme dove la tradizione evangelica voleva che Gesù sia stato giudicato e giustiziato, è alle porte di Gerusalemme che lo fanno morire. E l'errore che, dal punto di vista del loro racconto, essi commettono nel mandare Gesù sulla riva sinistra del Giordano ci prova che l'itinerario era imposto loro dalla tradizione primitiva.
Il Giordano è in effetti la via diretta che conduce dalla Galilea a Gerico (e di conseguenza al Ghilgal dei dintorni di Gerico). È anche quella diretta che conduce dalla Siria e dalle regioni orientali della Palestina a Gerusalemme passando per Gerico. Non è affatto quella che conduce dalla Galilea a Gerusalemme. Dalla Galilea a Gerusalemme, il percorso più diretto e più facile attraversa la Samaria. Di fatto, la via di pellegrinaggio, classica questa, che al momento della Pasqua conduceva gli ebrei a Gerusalemme, era: per quelli delle regioni orientali, il Giordano; per quelli della Galilea, la Samaria. [10] L'uomo di nome Gesù che si sarebbe recato a Gerusalemme al momento della Pasqua (come lo raccontano i vangeli) avrebbe preso la strada della Samaria. L'errore degli evangelisti si spiega, come tanti altri, dal fatto che scrivono tanto lontano dal paese quanto dagli eventi.
...E sia! mi diceva un erudito tra i miei amici: Gesù non ha preso quel giorno il cammino più breve; la cosa non vi è mai accaduta?
Mi sovviene perfettamente che ai sostenitori della critica interna che sostengono che San Paolo ha dovuto pensare questo, ha dovuto scrivere quello, ho risposto che forse, in effetti, avrebbe dovuto farlo, ma che non l'aveva fatto... [11]
Ammetto dunque che se, intorno all'anno 27, un uomo di nome Gesù ha voluto recarsi da Tiberiade a Gerusalemme, ha potuto prendere il cammino più lungo, e mi limito a constatare che, così facendo, egli ha seguito il cammino di pellegrinaggio che seguivano da secoli i fedeli che si recavano all'antica Guilgal del suo ononimo, il dio Ieshu.
E vi è là un fatto considerevole, che non sembra minimamente essere stato sottolineato fin qui.
Ad Eleusi, nella celebrazione dei misteri di Demetra, il cammino seguito dal corteo dei fedeli è quello che, secondo la sua leggenda, avrebbe seguito la dèa. Nella religione di Dioniso, il dio è ritenuto che avesse preso, per andare alle Indie, il cammino che in realtà prendevano i suoi fedeli. Nel nostro medioevo, vediamo attribuire a certi santi, il signor Bédier lo ha dimostrato, il cammino che effettuavano i pellegrini per recarsi ai loro santuari.
Il cammino che la leggenda evangelica fa seguire a Gesù per condurlo al Golgota è quello stesso che seguiva il pellegrinaggio galileo precristiano per andare a celebrare il suo culto, salvo l'equivoco sulla localizzazione del Golgota.
Il movimento comporta tre tempi:
Primo tempo: I pellegrini seguono per recarsi al loro santuario un certo cammino. Somiglianza tra i pellegrini di Demetra e quelli di Gesù.
Secondo tempo: Si racconta che il dio abbia seguito questo cammino. Somiglianza ancora per Demetra e Gesù.
Terzo tempo: dopo che la leggenda è fissata, i pellegrini continuano a seguire il cammino. È ciò che si fa per Demetra, ma ciò che non si fa per Gesù, per la semplicissima ragione che il culto ha cessato di celebrarsi al Ghilgal e il pellegrinaggio proprio perciò è abolito.
Ma il principio qui e là è stato lo stesso: cammino degli uomini, cammino del dio.
NOTE
[1] Si veda sotto, pagina 90.
[2] Si veda sotto, pagina 135.
[3] Antichità 18, 2, 3, e Guerra, 2, 9, 1.
[4] Neemia 13:16.
[5] Baedeker, Palestine, 4° edizione, pagina 128.
[6] Matteo 20:29-34, Marco 10:46-52 e Luca 18:35-43 e 19:1-10.
[7] Matteo 21:1; Marco 11:1, e Luca 19:29.
[8] Matteo 21:17, e 26:6; Marco 11:1, 11, 12, e 14:3; Luca 19:29, e 24:50, e Giovanni 11:1, 18, e 12:1.
[9] Matteo 19:1, e 20:29; Marco 9:33, e 10:1 e 46; Luca 18:35 e 19:1.
[10] Che non era, quel che se ne sia detto, né proibita, né pericolosa da attraversare.
[11] Grandeur et décadence de la critique, pagine 74-75.
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