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III
I DOCUMENTI
Un lungo studio sarebbe stato necessario e lo spazio manca qui per classificare i documenti che interessano la formazione della leggenda evangelica. Ci si limiterà ad alcune indicazioni indispensabili per guidare il lettore non specialista e indicare agli specialisti le posizioni adottate. Non ci si attenderà quindi da questo capitolo la discussione di queste posizioni; prenderemo per punto di partenza i risultati generalmente accettati della critica neotestamentaria indipendente; il nostro ruolo sarà quello di trarre da questi risultati le conclusioni che comportano, e che non sono o non sono state sufficientemente tratte.
Ciascuno sa che il Nuovo Testamento è la raccolta di quelli dei più antichi libri cristiani che sono stati ricevuti dalla Chiesa come libri sacri. Questi sono:
Le Epistole, lettere indirizzate alle comunità cristiane da vari apostoli, le più importanti da San Paolo;
I quattro Vangeli secondo San Matteo, secondo San Marco, secondo San Luca e secondo San Giovanni, che raccontano la vita di Gesù, e di cui i primi tre sono chiamati Sinottici perché espongono parallelamente pressoché gli stessi fatti;
Gli Atti degli Apostoli, che si estendono al periodo che ha seguito la resurrezione;
L'Apocalisse, anticipazione sugli ultimi giorni del mondo.
Alcuni altri libri non sono stati ricevuti nel canone, che avrebbero potuto entrarvi; come il vangelo e l'apocalisse di San Pietro, di cui sussistono solo frammenti e che il signor Alfred Loisy ha compreso nella sua traduzione dei libri del Nuovo Testamento; come ancora la Didaché, o Dottrina degli Apostoli, che espone le credenze e le pratiche di una delle prime comunità.
Sole tra tutti questi libri, le principali delle epistole di San Paolo sembrano essere, almeno nella sostanza, l'opera dell'apostolo di cui portano il nome, e non comportare l'utilizzo di alcun documento precedente; sono, in sostanza, opere originali.
L'esegesi conservatrice ha visto, nei quattro vangeli, dei racconti perfettamente storici scritti seguendo tradizioni orali che si completavano l'un l'altro, la più antica essendo posteriore di circa un quarto di secolo alla morte di Gesù. Dopo lunghissimi lavori, l'esegesi razionalista era arrivata, alla fine del secolo scorso, alla teoria cosiddetta «delle due fonti»: la composizione dei vangeli avrebbe avuto per punto di partenza due fonti scritte che sarebbero state, l'una le Memorie di San Pietro e l'altra una raccolta di Detti del Signore, che si ha abitudine di chiamare i Logia. L'ipotesi di una raccolta di Detti ha conservato, da allora, il favore dei critici; al contrario, quella delle Memorie di San Pietro è completamente screditata. Per contro, si è visto consolidarsi di giorno in giorno quella di una raccolta di profezie dell'antica Bibbia, supposte adempiute da Gesù, e che si ha potuto indicare sotto il nome di Testimonianze, sorta di vade mecum che i propagandisti avrebbero compilato e portato con loro, a titolo di promemoria, per fornire temi alle loro predicazioni, e che sarebbe di conseguenza il punto di partenza dei racconti evangelici... Era scritto che il Messia avrebbe fatto questo o quello... Da cui la conclusione: Gesù ha fatto questo o quello... Si provava che Gesù era il Messia annunciato dalle Scritture; e si costruiva, allo stesso tempo, «la vita di Gesù». Il folclore ha fatto il resto.
Sempre più, in effetti, la critica si è resa conto che non si doveva cercare nei vangeli alcuna informazione storica, i loro autori non avendo mai avuto la volontà di scrivere della storia, ma quella di esprimere le preoccupazioni dogmatiche, morali, ecclesiastiche o cultuali dei gruppi ai quali si rivolgevano. Così vedremo presto il signor Loisy in Francia e la più recente scuola critica in Germania porre il principio che tutti i tratti della vita di Gesù sono stati creati dalle comunità al fine di esprimere il loro ideale religioso.
Conviene infine segnalare il movimento che si accentua a favore della tradizione orale nella formazione della leggenda evangelica. Già la più recente scuola critica tedesca aveva segnato questo ritorno, quando apparvero i primi lavori, la cui importanza si riconosce di giorno in giorno più considerevole, del Padre Jousse sullo stile orale... Laddove Padre Jousse trova evidentemente la dimostrazione dell'«ispirazione» dei libri sacri, la sociologia vedrà la prova che essi sono nati, non da disposizioni pseudo-storiche, ma dalle necessità sociali più profonde, — e questo equivarrà a dire la stessa cosa in altre parole.
Quanto alle date. — Le principali epistole di San Paolo sono state scritte da lui tra gli anni 50 e 60 circa.
Il vangelo secondo San Marco, attualmente considerato dalla maggioranza dei critici indipendenti come il più antico dei quattro, è datato da loro agli anni che hanno seguito la presa e la distruzione di Gerusalemme da parte di Tito nel 70. Quale che sia in realtà quello dei quattro vangeli che fu il più antico scritto, speriamo di stabilire, nel corso dei presenti studi, che la letteratura evangelica si caratterizza precisamente come posteriore al grande evento dell'anno 70, non solo perché esso vi è predetto (vale a dire conosciuto), ma perché ha avuto una importanza decisiva nel suo orientamento e governa l'evoluzione del primo cristianesimo.
Le date che si troveranno nella tabella seguente sono dunque, salvo un minimo ringiovanimento dei Vangeli, quelle pressoché generalmente adottate oggi dalla critica indipendente, come il signor Alfred Loisy le ha riprese nella sua traduzione dei libri del Nuovo Testamento e come il signor Maurice Goguel le accetta nella sua Introduzione al Nuovo Testamento.
Quanto allo stato dei testi. — Una domanda infinitamente seria si pone: lo stato nel quale noi leggiamo tutti questi libri, salvo varianti di dettaglio, è quello nel quale sono stati scritti?
Da quando esiste una critica indipendente, l'ipotesi di rimaneggiamenti importanti è stata esaminata. È certo che dopo la loro redazione le comunità hanno spesso (se non sempre) corretto in questi libri o ne hanno rimosso ciò che, alcuni anni più tardi, cessava di convenire loro e vi hanno aggiunto ciò che era loro divenuto necessario, — ciò fino al momento in cui sono stati riconosciuti libri sacri e sono da allora divenuti pressoché intoccabili (probabilmente seconda metà del secondo secolo). E niente sembra più probabile.
Bisogna comprendere, infatti, che la tradizione cristiana è stata, per più di un secolo, perennemente in movimento. Anche quando essa si era un giorno fissata in un testo, per esempio in un vangelo, continuava ad evolvere, e la conseguenza appare: a volte il vangelo esistente era ritoccato; a volte un nuovo vangelo era scritto. Il signor Loisy professa che questo è stato il caso di quasi tutti i libri del Nuovo Testamento, i quali avrebbero avuto due stati, e, aggiungendo l'esempio alla teoria, ha tentato di ricostruire un testo primitivo degli Atti degli Apostoli.
Accanto ai rimaneggiamenti considerevoli e sempre discutibili, certi rimaneggiamenti di dettaglio, egualmente tendenziosi, sembrano indiscutibili. Così vedremo in sua vece la Chiesa correggere nelle epistole di San Paolo i passi che le apparvero sospetti di marcionismo. [1]
A volte, semplici glosse sono state inserite nel testo, che vi introducono nozioni estranee. Un esempio importante, e sul quale dovremo ritornare, è quello della prima epistola di San Paolo ai Tessalonicesi 2:15-16. San Paolo parlando di ciò che i cristiani hanno sofferto da parte degli ebrei, un interpolatore ha aggiunto:
Sono questi Giudei che hanno messo a morte Gesù e i profeti, che ci hanno perseguitato, che non piacciono a Dio, ecc...
Da parte di San Paolo, questo antigiudaismo estremo stupirebbe già; ma il goffo interpolatore si tradisce aggiungendo che la collera di Dio ha finito per punire i colpevoli — allusione alla presa e alla distruzione di Gerusalemme, la quale ha avuto luogo un quarto di secolo dopo la data in cui San Paolo scrisse l'epistola.
Altrove, commenti esplicativi, nonché pie esortazioni sono interpolati. Ne citeremo un esempio. Il capitolo 15 della prima epistola ai Corinzi termina con una mirabile raffigurazione della resurrezione, la quale si conclude con una apostrofe patetica ispirata ai vecchi profeti:
Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?
Dopodiché leggiamo, nei versi 56-57, il giudizioso ma insipido commento esplicativo:
Ora il dardo della morte è il peccato...
e, nel verso 58, l'arringa dal tono professionale:
Perciò, miei cari fratelli, state saldi, incrollabili, sempre più applicati all'opera del Signore...
L'autenticità di alcune e persino della totalità delle epistole di San Paolo è stata contestata; noi crediamo all'autenticità all'incirca delle principali, vale a dire in un contenuto originale successivamente rimaneggiato e interpolato. [2] Per riconoscere ciò che è e ciò che non è di San Paolo, i critici non hanno usato abbastanza spesso il criterio dell'arte (non più del criterio filologico) e li si vede troppo spesso attribuire le banalità all'uomo di genio e le formule geniali all'interpolatore. — Noi ritorneremo su questo argomento.
Qualunque metodo che si impieghi pertanto, l'identificazione delle interpolazioni è raramente facile. Ne risulta che una diffidenza generale è d'obbligo e che è impossibile seguire meccanicamente la famosa regola di Fustel de Coulanges: «Avete un testo?» Bisognerà correre il rischio infinitamente pericoloso di discuterli, questi testi. E bisognerà soprattutto tentare di comprenderne il pensiero ispiratore... Ma ecco il dilemma; quel pensiero ispiratore si può comprenderlo solo studiando questi testi stessi... La parte di divinazione resta considerevole, e questo è ciò che i critici di alto livello non accettano di ammettere.
Abbiamo riassunto lo stato dei risultati che sembrano acquisiti dalla critica indipendente; e si potrà ritenere, tutt'al più, che abbiamo accordato troppo all'ultimo venuto delle scuole critiche; ma è importante che i non specialisti sappiano che non vi è nulla in questo riassunto che possa essere considerato un'opinione particolare, o persino un'opinione avventurosa.
Solo la critica cattolica resta nell'impossibilità di accettare questi risultati, e noi non possiamo stupircene; professiamo eppure troppo rispetto per i maestri che la rappresentano per non rivendicare il diritto di rilevare certi difetti professionali che interessano precisamente la questione delle datazioni del Nuovo Testamento.
In un brillante articolo dato al Mercure de France con l'intenzione di confutare il signor Couchoud, e pubblicato in seguito in forma di opuscolo, [3] il padre gesuita de Grandmaison presenta come ultimi risultati della critica indipendente i lavori del celebre professor Harnack, il quale situa i vangeli secondo San Marco e secondo San Luca prima dell'anno 70, e conclude per il loro valore storico; da cui il reverendo padre conclude lui stesso per «la tendenza rientrante, nettamente reazionaria, della critica indipendente».
Bisogna che lettori non specialisti sappiano:
1° che i lavori del professor Harnack citati nel 1925 da P. de Grandmaison come gli «ultimi risultati della critica indipendente» risalgono all'inizio del secolo, e che il testo citato da lui sul valore storico dei Sinottici risale al 1899;
2° che tutti i lavori, gli immensi lavori della critica indipendente ai quali abbiamo appena fatto allusione, sono stati pubblicati successivamente a queste date, — a meno che P. de Grandmaison non classifichi tra i «parassiti» che non meritano l'onore di essere presi in considerazione, non direi solo il signor Alfred Loisy, verso il quale non sembra mostrare pietà, ma gli studiosi così prudenti come i signori Guignebert e Goguel, per citare solo i francesi;
3° che il professor Harnack è il capo della scuola cosiddetta del protestantesimo liberale, che è stata battuta in breccia nel 1892 da Johannes Weiss e rovinata nel 1906 dal signor Alfred Loisy, — il che non impedisce che abbia continuato a pubblicare, grazie alla più ammirevole organizzazione di lavoro che si abbia mai conosciuta, notevoli opere di erudizione;
Infine, 4° che nei primi anni del secolo, e fino alla guerra, il professor Harnack è stato il portavoce di un tentativo essenzialmente politico di rivalorizzare o piuttosto di consolidare il protestantesimo liberale, intrapreso sotto l'egida di Guglielmo III, il quale sognava di costituire la nuova Chiesa tedesca e difatti lo ha promosso «von» Harnack.
Si vede se P. de Grandmaison, per quanto sia perfettamente informato per il resto su tutte le cose, ha la buona grazia di presentare al pubblico che non lo conosce o non lo conosce superficialmente il professor Harnack come il rappresentante up to date della critica indipendente.
A parte le epistole autentiche di San Paolo, non c'è uno solo dei libri del cristianesimo primitivo che non sia riconosciuto, oggi, 1927, dalla grande maggioranza dei critici indipendenti, come posteriore all'anno 70, data della presa e della distruzione di Gerusalemme da parte di Tito.
NOTA BENE
Il cristianesimo può essere nel contempo il nome della religione che è apparsa nel mondo greco-romano nel primo secolo, e il nome dell'antichissima religione palestinese di cui quella sarebbe la continuazione? Sembra ragionevole e sarà più comodo dare alla religione di Gesù il nome di cristianesimo solo a partire dal momento in cui attraversò i confini della Palestina, se non a partire dalla crocifissione stessa. È d'altronde a pochi anni di distanza la data in cui il termine Christos, divenuto un nome proprio, è stato aggiunto a quello di Gesù e in cui i fedeli hanno cominciato ad essere chiamati cristiani, a detta del libro degli Atti.
Il nome di «Pre-cristiani» e di «Pre-cristianesimo» è abbastanza comunemente impiegato per designare i fedeli e la religione di Gesù nella fase immediatamente precedente.
Secondo l'uso accettato, le epistole sono designate dai nomi dei loro destinatari: Romani, Corinzi (1 e 2), Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi, Tessalonicesi (1 e 2), Timoteo (1 e 2), Tito, Filemone, Ebrei, o dei loro autori così reputati: Giacomo, Pietro (1 e 2), Giovanni (1, 2 e 3), Giuda; i Vangeli dai nomi dei personaggi con cui si raccomandano: Matteo, Marco, Luca, Giovanni.
Alcuni di questi nomi sono dati essi stessi in forma abbreviata nel corso dei riferimenti.
In un'opera che non è uno strumento di lavoro, l'indicazione costante e minuziosa delle fonti, quando si tratta di fatti noti e che non sono contestabili, è il più delle volte tanto inutile per gli specialisti, a cui quelle sono familiari, quanto per i non specialisti che non ne hanno cura. Mi sono sforzato di alleggerire questo volume e quelli che seguiranno.
Si constaterà infine che, scrivendo per un pubblico di lingua francese, di cui una parte non è specializzata nella storia delle religioni, mi sono sforzato di prendere, per quanto possibile, dalle opere di storici e di critici di lingua francese (ai quali i miei lettori potranno facilmente ricorrere) le proposizioni sulle quali ho creduto di appoggiarmi o che mi sembrava necessario confutare.
NOTE
[1] Leggere l'articolo, decisivo, del signor Couchoud, nella Revue de l'Histoire des Religions, 1926, 93, pagina 242, intitolato «la Prima edizione di San Paolo».
[2] Vi sarebbe egualmente motivo di segnalare un certo numero di scambi di testi provenienti anche da epistole diverse e che per colpa dei copisti si sono cuciti a caso.
[3] Jésus dan l'histoire et dans le mystère, Parigi, 1925, pagine 14 e 16.
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