martedì 12 gennaio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELIL'annuncio del regno

 (segue da qui)

7° L'annuncio del regno

Così numerosi sono i passi dedicati all'annuncio dell'instaurazione di un «reame» o «regno» di Dio, che si è potuto vedervi la missione essenziale di Gesù. La prima affermazione che gli presta Marco è: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino». [281] Matteo gli fa anche dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino». [282]

Che cos'è il regno di Dio? L'espressione greca [283] può benissimo tradursi sia con «reame» che con «regno», resta vaghissima. Matteo non la chiarisce minimamente, quando impiega come equivalente «regno dei cieli» (33 volte). Si parla del regno 51 volte in Matteo, solo 14 volte in Marco e 34 volte in Luca. Ma se Gesù parla spesso dell'avvento del regno, non ne dà mai una definizione precisa. Ci si potrebbe stupirsene, se non si sapesse che i nostri vangeli si sforzano di conciliare due nozioni contrarie. 

DEFINIZIONI DEL REGNO — Secondo una concezione di origine ebraica, il Messia doveva instaurare sulla terra un regno temporale. Ma quella speranza fu infranta nel 70 e poi nel 135, e fu proprio necessario dare un altro senso alle profezie: ci si sforzò di trasformare il regno terreno e materiale in un regno spirituale, un mondo nuovo dove Dio sarebbe stato meglio obbedito, dove avrebbe regnato più Giustizia. Ma questo passaggio dal senso materiale a quello spirituale, già realizzato nei vangeli, lascia sussistere molte incertezze sulla definizione del regno. Due concezioni vi si scontrano ancora, che sarebbe vano voler armonizzare. [284]

A — La prima concezione è quella di una trasformazione immediata, o almeno rapidissima, del mondo per l'intervento del Cristo. La Legge e i profeti hanno dominato fino al sorgere del Battista, ma questi apre la nuova era in cui il regno di Dio è annunciato; [285] da Giovanni il Battista fino ad «ora», il regno dei cieli soffre violenza, perché dei malvagi lo rapiscono, [286] ma dovrebbe essere già realizzato.

Alcuni versi assicurano addirittura che esso è già stato realizzato, e ciò risulta in particolare dal fatto che Gesù scaccia i demoni, [287] ma quella affermazione è troppo contraria ai fatti per potersi imporre. Perché l'avvento del regno sia possibile, ci deve essere un cambiamento brusco e violento, una sorta di catastrofe generale, di guerre, di terremoti, di carestie, [288] una tribolazione come non se ne è mai vista. [289] Che ciò si confonda un po' con la rovina di Gerusalemme [290] o con la rivolta di Bar-Kochba e l'installazione nel luogo santo dell'«abominio della desolazione», [291] poco importa: tutto ciò, al contrario, costituisce un insieme di segni premonitori, in uno spirito apocalittico. Ciò che è certo è che l'avvento del regno si farà con violenza.

Questo è perché Gesù può dire: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada». [292] Si può entrare nel regno solo «a forza». [293]

B — A quella concezione brutale si oppone, in altri punti, un'idea del tutto contraria: l'arrivo del regno non sarà improvviso, ma graduale; non sarà violento, ma pacifico; poiché il regno non è un cambiamento esteriore, ma interiore, consiste in un cambiamento delle anime. 

Il fatto che questo regno non sia ancora arrivato, ciò risulta dalla preghiera del «Pater», in cui si domanda a Dio che questo regno arrivi. Che debba realizzarsi lentamente, con la sola forza dell'insegnamento, è quel che consegue dalla parabola del granello di senape [294] o da quella del lievito. [295] Niente di brutale, di conseguenza, ma un'instaurazione graduale, e soprattutto nascosta, confidenziale: «A voi è stato dato IL MISTERO del regno di Dio». [296] Ritroviamo là, opposta alla concezione ebraica, la tradizione dei misteri dell'ellenismo, dove tutto si fa per iniziazione segreta e graduale; è anche quella di Paolo, che si dice investito della missione di rivelare il «mistero», quello anche, senza dubbio, degli Esseni.

Infatti il grande segreto è questo; il regno non è un fatto materiale, politico, un dominio esteriore; «il regno di Dio non verrà in maniera che si possa osservare... poiché il regno di Dio è dentro di voi». [297] È ciò che rivela anche un frammento apocrifo su papiro: «Il regno di Dio è dentro e fuori di voi: chi conosce se stesso, lo troverà». [298] Matteo lo paragona ad un tesoro nascosto in un campo, o ad una perla di grande prezzo. [299] Il vangelo di Tommaso precisa: «Il regno del Padre è sulla terra, e nessuno lo vede». [300]

DATA DELL'AVVENTO — Quando deve essere instaurato il regno? La domanda non ha senso per i seguaci della tesi spirituale: l'avvento del regno è già cominciato, perché la «buona novella» è stata annunciata. In questo senso, è già corretto dire: «Beati i poveri, poiché a loro appartiene il regno di Dio». [301] Ma la sua piena realizzazione dipenderà da un progresso lento, e senza dubbio incompleto, progresso fino alla fine dei tempi.

Quella fine dei tempi, i difensori della concezione violenta la confondono con l'avvento del regno: questa è la tesi dell'Apocalisse, secondo la quale, dopo le prove e le carneficine, la Gerusalemme celeste discenderà sulla terra. Non si può più credervi nel II° secolo, ma i vangeli hanno raccolto echi di queste promesse. 

Secondo Luca, i discepoli, salendo a Gerusalemme, pensavano che il regno di Dio sarebbe apparso «subito». [302] Si vuole sempre rappresentarci i discepoli come stupidi, sordi agli avvertimenti, al fine di dimostrarci paradossalmente che nessuno, nemmeno tra i suoi intimi, ha capito nulla dell'insegnamento di Gesù. Non resta meno vero che quella attesa immediata del regno si traduce in versi più coerenti, dove ci viene detto, in modo insistente, che il tempo è vicino, che l'avvento del regno è imminente, e che le persone della generazione apostolica lo vedranno prima della loro morte: «Vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza». [303

Tuttavia, siccome è evidente che ciò non è realizzato quando si scrivono i vangeli, è ben necessario correggere quelle espressioni divenute incoerenti. Invece di rimuoverle, vi si è sovrapposto un altro insegnamento. Leggiamo ora che la data dell'avvento del regno rimane sconosciuta, che Gesù stesso l'ignorava, solo il Padre la conosce. [304] È quindi vano speculare su quella data, ma si deve nondimeno tenersi pronti, poiché il «padrone» può venire all'improvviso, [305] e coloro che non saranno pronti resteranno fuori dal regno: è ciò che insegna la parabola delle dieci vergini, «vegliate, perché non sapete né il giorno né l'ora». [306] Il tempo trascorso ha ben abbassato le speranze.

L'ACCESSO AL REGNO — Cosa bisogna fare per meritare di essere ammessi nel regno? La risposta dipende ancora dalla concezione del regno.

A — Se si parla soltanto di un regno interiore, è di un progresso morale che si tratta, e le condizioni di accesso al regno sono di natura morale. Bisogna prima di tutto avere fede: «Convertitevi e credete al vangelo». [307] L'importanza della fede è tale che sembra bastare alla salvezza: «Chi non crede è già giudicato», [308] cioè condannato, escluso. Ma in generale la fede non basta, bisogna anche obbedire ai comandamenti di Dio: amare Dio con tutte le proprie forze, e amare il proprio prossimo come sé stessi, in queste due regole si riassumono la Legge e i profeti. [309]

Più difficile è la rinuncia ai beni materiali: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo», dice Gesù al giovane uomo ricco. [310] Ma quella richiesta rattrista il candidato, che non aspira alla perfezione. Si riconosce là uno dei tratti propri dell'Essenismo, la cui regola cercava di fare dei santi per mezzo della povertà.

A volte infine si esige che il convertito cambi l'anima, che accolga il regno di Dio «come un bambino», [311] e ciò potrebbe paragonarsi alla rinascita dell'iniziato nei misteri pagani. In tutti i modi, si tratta di una trasformazione interiore, grazie alla quale si può avere in sé il regno di Dio.

B — La prospettiva è ben diversa per coloro che attendono un avvento brusco e violento del regno. Certo bisogna sempre prepararvisi, e in particolare pentirsi. [312] Ma il Cristo violento esigerà molto di più dai suoi fedeli; vuole farne dei militanti. «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo». [313] Questo Cristo è venuto a sollevare i figli contro il loro padre e la figlia contro sua madre, [314] a gettare il fuoco sulla terra. [315] Ciascuno deve impegnarsi in una lotta che non ammette i tiepidi: «Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me». [316] Ecco che vengono i giorni in cui si dirà: «Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato». [317]

Così, a seconda che si guardi una faccia o l'altra di questo Cristo-Giano, si potranno ricavarne lezioni di umiltà e d'amore, oppure lezioni di violenza e di odio: queste ultime non saranno mai perse di vista. 

A CHI È APERTO? — Le principali contraddizioni sul regno noi le troviamo domandandoci a chi è accessibile: lo è ai soli ebrei, a tutti i popoli, oppure infinte a tutti ad esclusione degli ebrei ? 

Al tempo in cui Gesù è ritenuto aver insegnato, il giudaismo ha abbandonato la sua intransigenza, e tende verso un'apertura dell'alleanza ai goyim. Jahvé non è più il dio dell'unico popolo d'Israele, aspira all'universalità: «Tutte le estremità della terra si ricorderanno di Jahvé e si convertiranno a lui, tutte le famiglie delle nazioni adoreranno al suo cospetto». [318] Ma quella estensione può avvenire solo mediante la conversione generale al dio degli ebrei, — al di là se quella risulti da una propaganda pacifica che istruisca i proseliti, [319] oppure se Jahvé sottometta tutti i popoli ai piedi dei figli di Israele, [320] come alcuni attendevano ancora dal Messia. Non è dunque contrario all'insegnamento dei profeti che il «regno» ebraico sia aperto a tutti i figli di Adamo, a condizione che gli ebrei vi mantengano la preminenza, poiché essi sono il popolo dell'alleanza, e che i convertiti vi pratichino la legge data a Mosè. Ma queste due condizioni costituiscono le maggiori difficoltà del problema.

Quando si scrissero i vangeli, le pretese ebraiche al dominio universale sono state gravemente smentite dalla disfatta, e l'unificazione del mondo sotto la dominazione di Roma apparve definitiva. Un nuovo mondo sta per nascere, e l'idea si diffonde di una «nuova alleanza», che non si sarebbe più fatta con i soli ebrei. Su questo punto, i vangeli sono in contraddizione: il sangue di Gesù è quello della nuova alleanza, come dirà Luca [321], o ancora quello dell'alleanza, come dicono Marco e Matteo? [322] Questo non è ancora chiaro in Marco, ma tra la stesura di Marco e quella di Matteo un'importante evoluzione si è verificata, oppure una influenza nuova si è fatta sentire: l'episodio del centurione da solo non ci illuminerebbe a sufficienza, se la lezione non fosse subito emessa: «E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli». [323] L'apertura è quindi insegnata intorno al 160, e Giustino, che conosce questo verso, [324] ne discute con Trifone. 

Ma a quale condizione i goyim saranno ammessi, e che ne sarà della legge di Mosè?

La risposta era chiara per Marcione: il Cristo era venuto ad abolire la Legge. Essa è molto meno certa, dal momento che l'espressione è stata ribaltata, e poiché il Gesù di Matteo proclama: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti, non son venuto per abolire, ma per dare compimento». [325] Allora, cosa si dovrà imporre ai Gentili? 

A dire il vero, l'affermazione precedente non ha più molto senso nel nostro Matteo, poiché il suo Gesù si comporta esattamente come il Cristo di Marcione. Egli insegna di sua propria autorità, e se necessario contro ciò che è stato insegnato prima di lui: «Avete inteso che fu detto agli antichi... ma io vi dico». [326] Non prescrive più la circoncisione, di cui non si fa più menzione nei vangeli; si permette di violare il sabato, malgrado la pena di morte che colpiva quella violazione, [327] e si dichiara padrone del sabato; [328] non rispetta il digiuno; [329] in disprezzo delle prescrizioni alimentari, mangia con i pubblicani carne non rituale; [330] non rispetta l'obbligo di lavarsi le mani prima del pasto. [331] A un giovane che domandava di andare a seppellire suo padre, che era un dovere imperativo per gli ebrei, osa rispondere: «Lascia i morti seppellire i loro morti». [332] Come il Cristo gnostico del vangelo di Tommaso, [333] egli insegna che «non è quello che entra nella bocca che rende impuro l'uomo». [334] Egli paga l'imposta del Tempio solo con disprezzo, [335] e osò dirsi: «più grande del Tempio». [336] In Giovanni, si spingerà ancora più oltre, dicendo che non si adorerà più il Padre secondo la legge ebraica, ma in spirito e in verità. [337]

In breve, è Marcione che aveva ragione: egli è venuto proprio ad abolire la legge ebraica! Tutto è cambiato: le condizioni di accesso al regno non sono più le stesse, la legge e i profeti non valevano che fino a Giovanni il Battista, come preciserà Luca, [338] ma con il Battista si è aperta una nuova via. Quella via non è più quella del formalismo, è quella di una Giustizia superiore: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli». [339]

Questa profonda inversione di valori, che costituisce il contributo essenziale del cristianesimo, sappiamo che proviene dall'Essenismo. Capiamo quindi perché, pur professando un rispetto ufficiale della Legge, la nuova morale arriva, di fatto, a superarla, ad espanderla, a partecipare all'universalismo spirituale dell'ellenismo.

Si deve dunque concluderne che gli Esseni intendevano aprire il regno dei cieli a tutti gli uomini, che la «Nuova Alleanza» fosse offerta all'umanità tutt'intera, senza privilegio per gli ebrei? È difficile non ammettere quella conclusione alla lettura degli inni del Maestro di Giustizia.

Egli si dice incaricato di «far conoscere a tutti i viventi» le potenti opere di Dio; [340] rende grazie a Dio per aver messo nella sua bocca «come una pioggia d'autunno per tutti i figli degli uomini». [341] Egli dice a Dio: «Io racconterò la tua gloria nel mezzo dei figli degli uomini... e la tua misericordia è concessa a tutti i figli della tua benevolenza». [342] Per la sua bocca i messaggi divini «brillano agli occhi di tutti coloro che li ascoltano», ed egli è andato «evangelizzando gli umili secondo l'abbondanza della tua benevolenza». [343] Ma soprattutto proclama: «E tutte le nazioni conosceranno la tua verità, e tutti i popoli la tua gloria, perché tu li hai fatti entrare nella tua Alleanza gloriosa». [344] Non è possibile vedervi un appello limitato ad una piccola setta ebraica: oltre alla rottura con il formalismo, la grande idea del Maestro di Giustizia era proprio quella apertura del regno a tutti i viventi, quella entrata nell'Alleanza di tutte le nazioni e di tutti i popoli. 

Si sa che quella estensione sarà messa in attuazione da Paolo, apostolo dei Gentili, che lo avvicina ancora all'Essenismo. Per Paolo non è più una questione di privilegi né di distinzioni, tutti saranno chiamati, [345] il regno è aperto a tutti, senza distinzione di provenienza.

A tutti, ivi compresi gli ebrei? Già leggiamo in Matteo che «i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre di fuori». [346] Né Paolo, nemmeno Marcione (che ripudiava solamente la legge e i profeti) hanno voluto ciò: insegnavano una sorta di grande fratellanza umana, in cui gli ebrei avrebbero perso solo il privilegio di un'alleanza divenuta obsoleta, ma senza esclusione. È difficile immaginare che gli Esseni abbiano potuto pensarla diversamente. 

Ma quella concezione accogliente era troppo bella: avendo concluso con Dio una nuova alleanza, i cristiani non tarderanno ad escluderne gli ebrei. L'idea non tarderà ad imporsi che il «banchetto», preparato per gli ebrei, sono altri ospiti che lo consumeranno. [347] Passi pure che si invitino altre persone a sostituire quelli che si sottraggono, ma perché cacciare brutalmente quello che non ha l'abito di nozze, [348] e pronunciare quella esclusione finale: «Io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena» ? [349]

Gli ebrei sono quindi esclusi dal regno. È perché, si dice, non hanno creduto, perché hanno rifiutato l'invito al banchetto preparato per loro. Quella spiegazione potrebbe essere valida, se non leggessimo, d'altro canto, che, come aveva predetto Isaia, [350] Dio li ha volontariamente accecati. [351] Gli ebrei non dovrebbero quindi essere ritenuti responsabili del loro accecamento, ma questa non è la «giustizia» cristiana. Sant'Agostino spiegherà che, per un decreto sovrano della Provvidenza, i cristiani sono stati sostituiti agli ebrei e questi ultimi privati del loro diritto, come Esaù fu privato del suo diritto di nascita a favore di Giacobbe: questo equivale a invocare una cattivissima argomentazione, perché l'esclusione di Esaù non è altro che una truffa. [352]

Questa è però la dottrina che ha prevalso e che domina nei vangeli. Ancora non è molto coerente, poiché ci si è dimenticato di far scomparire versi contrari: quando Gesù invia i dodici in missione, dice loro ancora di non prendere la via dei pagani e di non entrare in una città dei Samaritani, ma di limitarsi alle pecorelle smarrite della casa d'Israele. [353]

Risulta da quella analisi che i vangeli non hanno una dottrina coerente del regno: dei testi di provenienze diverse vi formano un amalgama confuso, in cui le contraddizioni abbondano. Ancora oggi, la Chiesa non sa molto bene a chi è aperto il regno dei cieli.

Essa ha a lungo insegnato che ne aveva il monopolio e le chiavi: «Chi crede nel Figlio non vedrà la vita (eterna), ma l'ira di Dio incombe su di lui». [354] Su questo fondamento, la Chiesa ha a lungo insegnato che la salvezza passava per essa, il che comportava la condanna di tutte le altre religioni, di tutte le filosofie; in nome di questo diritto che si era arrogata, ha perseguitato, massacrato, organizzato le Crociate e l'Inquisizione. Oggi verrebbe quasi ad ammettere che la «buona fede» possa bastare, senza la fede in Gesù; ma ci sono volute lunghe lotte perché accettasse quella sconfitta — poiché, in quella nuova prospettiva, essa non serve più a nulla.

I cristiani del II° secolo erano lontani dall'ammettere quella tolleranza. Non appena uscita dalle persecuzioni con Costantino, la Chiesa si metterà essa stessa a perseguitare. È dal lato dei pagani che c'era la tolleranza:  «non v’era rischio di perseguitarsi e di dilaniarsi a vicenda; tutte le religioni, tutte le teologie, erano ritenute parimenti buone; le eresie, le guerre e le dispute di religione erano sconosciute». [355]

L'avvento del cristianesimo ha cambiato tutto ciò, perché, fin dalla stesura dei vangeli, pretende il monopolio della verità e della salvezza. Dopo aver spiritualizzato la nozione del «regno», i cristiani pretenderanno di vietarne l'ingresso: il regno sarà tolto ai primi servi e dato esclusivamente ad altri vignaiuoli; ma prima si sarà fatto uccidere i primi, [356] — beninteso, nel nome di un Dio di amore e di carità. 

 NOTE

[281] Marco 1:15.

[282] Matteo 4:17.

[283] Basileia tou theou, letteralmente la regalità di Dio. Giustino impiega una espressione più curiosa: basileia... méta theou, il regno con Dio (Apol. § 11).

[284] I tentativi in questo senso sono del puro verbalismo. Si veda CAUSSE, L'évolution de l'espérance messianique dans le christianisme primitif, pag. 66; HARNACK, L'essence du christianisme, pag. 71.

[285] Luca 16:16.

[286] Matteo 11:12.

[287] Matteo 12:28, Luca 11:20.

[288] Marco 13:7-8.

[289] Marco 13:19, Matteo 24:21.

[290] Luca 21:20.

[291] Marco 13:14, Matteo 24:15.

[292] Matteo 10:34, Luca 12:51.

[293] Luca 16:16.

[294] Marco 4:30-32, Matteo 13:31, Luca 13:18-19.

[295] Matteo 13:33, Luca 13:20-21.

[296] Marco 4:11, si veda Matteo 13:11, Luca 8:10.

[297] Luca 17:20-21.

[298] Papiro di Ossirinco, Apocrypha 3:18.

[299] Matteo 13:44-46.

[300] Vangelo di Tommaso, logion 113.

[301] Matteo 5:3, Luca 6:20.

[302] Luca 19:11.

[303] Marco 9:1, si veda Luca 9:27. Matteo corregge: «Finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nel suo regno» (16:28). Si veda anche Matteo 10:23, e l'espressione sinottica: «In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutto questo non sia avvenuto» (Marco 13:30, Matteo 24:34, Luca 21:32).

[304] Marco 13:32, Matteo 24:36.

[305] Marco 13:35.

[306] Matteo 25:1-13.

[307] Marco 1:15.

[308] Giovanni 3:18.

[309] Marco 12:29-31, Matteo 22:37-39, Luca 10:26-27.

[310] Marco 10:21, Matteo 19:21, Luca 18:22.

[311] Marco 10:15, Matteo 18:3, Luca 18:17.

[312] Marco 6:12.

[313] Luca 14:26.

[314] Matteo 10:35, Luca 12:53.

[315] Luca 12:49.

[316] Matteo 10:38, Luca 14:27.

[317] Luca 23:29.

[318] Salmo 22:28.

[319] Salmo 57:10.

[320] Salmo 47:4.

[321] Luca 22:20.

[322] Marco 14:24, Matteo 26:28.

[323] Matteo 8:11.

[324] Dialogo con Trifone 76:3-4.

[325] Matteo 5:17.

[326] Matteo 5:21-22, 27-28, 31-32, 33-34, 37-39, 43-44...

[327] Esodo 31:44.

[328] Matteo 12:8, e anche Marco 2:28, Luca 6:5.

[329] Matteo 9:14-15, si veda Marco 2:18-20, Luca 5:33-35.

[330] Matteo 9:10, si veda Marco 2:15.

[331] Matteo 15:1-2, si veda Marco 7:1-3.

[332] Matteo 8:22, si veda Luca 9:60.

[333] «Quello che entra nella vostra bocca non può rendervi impuri, è quello che viene fuori dalla vostra bocca che può rendervi impuri» (logion 14).

[334] Matteo 15:11.

[335] Matteo 17:24-27.

[336] Matteo 12:6.

[337] Giovanni 4:21-23.

[338] Luca 16:16.

[339] Matteo 5:20.

[340] Inno H:29.

[341] Inno O:16.

[342] Inno S:6 e 9.

[343] Inno F':7 e 14.

[344] Inno J:6:12.

[345] Si veda Galati 3:28.

[346] Matteo 8:12.

[347] Matteo 22:1-14, Luca 14:16-24.

[348] Matteo 22:12-13.

[349] Luca 14:24.

[350] Isaia 6:9-10.

[351] Matteo 13:14-15, Giovanni 12:37-40.

[352] Genesi 25:29-34.

[353] Matteo 10:5-6.

[354] Giovanni 3:36.

[355] MONTESQUIEU, Dissertation sur la politique des Romains dans la religion.

[356] Marco 12:1-12, Matteo 21:33-46, Luca 20:9-19. 

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