martedì 1 dicembre 2020

IL PUZZLE DEI VANGELIIntroduzione

Ma se Gesù non è il fondatore della Chiesa, se non ha insegnato nulla di ciò che gli si attribuisce, che resta di lui? Il racconto della sua Passione è ricavato letteralmente da testi dell'Antico Testamento, tutta la Passione è inscritta in questi testi molto anteriori al cristianesimo, e non si sa niente di più. Allora, volete dirmi a cosa serve? Io arrivo allo stesso risultato sopprimendolo, e infine siamo d'accordo sull'essenziale, salvo su questo punto di dettaglio, di cui non vedo assolutamente l'importanza, di sapere se un uomo è esistito o no, dal momento che non ha servito a niente.

(Guy Fau)

Se colui che inventa il mito sta solo obbedendo all'impulso che agisce anche sulla mente dei suoi ascoltatori, egli non è che la bocca attraverso cui parlano tutti.

(J. M. Robertson)

Il Dio di Coincidenza   

Può qualcuno negare che  

Una cosa dopo l'altra  

In sequenza e logica  

Mai vista prima   

Non può essere che la  

Interferenza di un Dio  

Determinata a provare che   

Ognuno che pretende  

Di conoscere ora  

Una cospirazione è   

Demente? 

(Kent Murphy)

Il principio «non c'è fumo senza fuoco» è popolare e antico. È anche un argomentazione che fa appello alla creduloneria. Esso recita pressappoco così: «Perché mai qualcuno dovrebbe affermare che una persona o un luogo esisteva senza avere una solida base per la sua convinzione?» 

L'incapacità di concepire una situazione in cui ciò possa accadere significa che ogni accenno alla Storia reale è spesso brandito con uno zelo che può sorprendere coloro che sono più cauti o scettici. Questi accenni a volte brevi e ambigui a personaggi realmente esistiti (per intenderci: «Pilato», «Caifa», «Erode», «Giovanni il Battista», ecc.) sono il «fumo», e i fanatici storicisti - nonché i folli apologeti cristiani al loro guinzaglio — spesso impiegano una quantità sorprendente di tempo ed energia alla ricerca del «fuoco» che credono debba averli introdotti nelle sante favole chiamate vangeli: il Gesù «storico».

Questa creduloneria spesso sembra essere sempre più incontrollata, ingiustificata, in ultima istanza: irrazionale.

L'idea di un Gesù «storico», come oggetto di questa eccessiva creduloneria, soffre forse più di ogni altra singola figura del mito e della leggenda.

La domanda che occorre porsi, naturalmente, è se questa credenza nella storicità di Gesù abbia ragione nel suo assunto a priori che, per il Gesù dei vangeli, dove c'è fumo ci deve essere fuoco: se i sostenitori di questa credenza abbiano ragione a presumere che, se Gesù è dipinto come un personaggio storico nei vangeli, allora ci deve essere una ragione per questo, un elemento di verità nella raffigurazione. Per riassumere, chiunque abbia un approccio scientifico per le Origini cristiane e le fonti che pretendono di riportarla dovrebbe essere consapevole che «non c'è fumo senza fuoco» è una metodologia molto povera quando viene utilizzata come presupposto a priori. I testi antichi includono esempi sia di figure storiche mitizzate che di figure mitiche e leggendarie storicizzate, senza motivi a priori per privilegiare una spiegazione rispetto all'altra. In fondo, l'esistenza storica di personaggi della leggenda e del mito non può essere semplicemente presunta — non c'è alcuna giustificazione possibile per farlo. Deve essere dimostrato che l'esistenza storica sia probabile, possibile o provata attraverso un esame dettagliato e critico delle fonti pertinenti, tenendo conto della data dei vari concetti di quei personaggi, dell'attendibilità delle fonti in cui compaiono, e di tutto il peso delle prove in questione.

Qualsiasi altro personaggio storico non è accettato come tale dagli storici a causa di alcuni presupposti a priori per cui doveva essere esistito. È accettato perché ci sono numerosi riferimenti storici contemporanei/quasi contemporanei chiaramente affidabili a lui, alla sua identità e alle sue azioni. Gli storici migliori sono guidati da prove, non da supposizioni. La buona storia è scritta da coloro che prima mirano a comprendere la natura delle loro fonti e del loro contesto più ampio e soltanto dopo optano per «estrarre» o meno dei fatti da quelle fonti. Perciò ci si deve chiedere se si possa fare affidamento sui vangeli che ritraggono Gesù come storico. Queste fonti rappresentano per davvero il concetto più antico e dominante di Gesù? In sostanza, una volta che si rifiuta il presupposto a priori per cui Gesù deve essere esistito, in quanto presupposto metodologicamente stupido, davvero le prove indicano che Gesù era, come Giovanni il Battista, una figura storica avvolta nel tempo dalla leggenda e dal mito, oppure era solo una creatura dell'immaginazione, del mito o della leggenda che —come Osiride o Attis — a un certo punto è stata raffigurata come storica? A priori entrambe le ipotesi mi sembrano ugualmente probabili. La spiegazione corretta può essere determinata solo attraverso un esame corretto e critico delle fonti a disposizione. A cominciare dai vangeli.

Abbiamo così, nei vangeli, un concetto chiaro di Gesù come profeta e taumaturgo ebreo che predicò per la Galilea e la Giudea all'inizio del I° secolo. Bisogna quindi chiedersi se possiamo crederci. Questo ritratto ricavato dai vangeli è certamente «fumo», ma si è giustificati a credere che sia stato prodotto da un vero «fuoco» a inizio I° secolo ? In altre parole, sono i vangeli a poter essere utilizzati — in assenza di ipotesi a priori del tipo «non c'è fumo senza fuoco» - come prova che Gesù è realmente esistito, oppure è possibile, o anche altrettanto probabile, che i vangeli potrebbero semplicemente rappresentare una figura mitica trascinata nella storia? I vangeli sono davvero il tipo di testo su cui gli storici potrebbero fare affidamento per accettare la storicità di Gesù, in modo da poter prendere così una decisione tra i due modelli rivali dello sviluppo del cristianesimo ?

Per rispondere in breve a quella domanda, vi parlerò in parabola:

Un giorno un maestro diede ai suoi allievi il seguente tema come compito: fai il ritratto del tuo migliore amico. 

Mentre correggeva i vari temi consegnati dagli alunni, ne trovò uno che attirò la sua attenzione; un brano sembrava essere stato copiato da L’amico Ritrovato di Fred Hulman. Dopo un esame approfondito, si rese conto che l'intero tema era una vera e propria cucitura di brani estrapolati da vari autori sull'amicizia. 

Il maestro poteva pensare che l'amico descritto in quel tema potesse essere un amico reale dell'allievo? 

Ovviamente no. 

L'allievo poteva avere un amico, ma non avrebbe potuto corrispondere all'amico descritto nel tema, poiché quest'ultimo era interamente fabbricato.

Anche il Gesù dei vangeli è interamente fabbricato. La sua identità è ricavata dai testi precedenti, quello che fa, quello che dice, quello che gli succede..., tutto lo scenario che segue alla lettera (in più gli si fa dire, per esempio: «Devo morire a Gerusalemme e ci vado per questo!»). Un vangelo dovrebbe in qualche modo far sentire qualcosa, dovrebbe essere in grado di comunicare qualcosa, almeno la sua ESSENZA. Ma in questo processo di decostruzione del vangelo, vi si rimuovono così tante cose, una volta, ogni volta, che si rintracciano le scritture precedenti alle quali sono ispirate, che a un certo punto, non rimane più nulla del testo originale, si perde l'essenza stessa del testo originale. 

Questo personaggio è un puro prodotto letterario.

Sembra tutto un plagio... Eppure non lo è! Perché, secondo me, il genere letterario dei vangeli non è biografia, ma anticipazione. 

I vangeli sono scenari di anticipazione, proiezioni su un Messia a venire, fabbricate a partire da deduzioni su un Messia annunciato, il risultato di un lavoro volto a individuare in anticipo ciò che sarebbe stata la sua manifestazione, la sua identità e la sua azione. Un testo liturgico utilizzato in un culto misterico, una finzione religiosa... come l'Apocalisse. Con la differenza che, invece di dirci cosa accadrà nell'immediato futuro, ci dice cosa è accaduto «negli ultimi tempi»... ...senza mentire. 

Per l'apocalitticismo ebraico, la venuta del Messia è imminente, ma siccome quella venuta deve IMPERATIVAMENTE situarsi «negli ultimi tempi», l'«esistenza» di carta che bisognerà creargli potrà solo collocarsi all'epoca contemporanea: alcuni anni prima che si sia cominciato a scriverne.

Il Gesù di carta, o almeno l'impulso di inventarlo, nacque ufficialmente il 4 agosto del 70 E.C., nel pomeriggio. Fu allora che i Romani incendiarono il Tempio di Gerusalemme. 

RICORDA SEMPRE: PERCHÉ inventare Gesù?

 Necessità e opportunità. 

C'era un bisogno assoluto di un «piano B» per YHWH dopo che il Tempio fu distrutto. Perché? Lo Yom Kippur era ormai impossibile. Tutti gli altri giorni santi ebraici potevano essere accantonati in un certo senso, ma non lo Yom Kippur. Era il rituale annuale di remissione dei peccati. È impossibile, nel giudaismo, parlare di remissione dei peccati senza evocare quella formidabile macchina cosmica che è il Tempio, quella macchina capace da sola di lavare i peccati e mediare tra cielo e terra. Inventare Gesù equivaleva a dire: non abbiamo più bisogno di ottenere la remissione (salvezza) annuale al Tempio perché questo «dio uomo» si è sacrificato per noi e il sangue di Dio è buono per un'espiazione permanente una tantum ! 

E per quanto riguarda le opportunità? Il momento in cui il Tempio fu bruciato nel 70 E.C. Il cruento massacro aveva raggiunto l'ultimo bastione della civiltà ebraica, portandosi via tutto ciò che gli ebrei avevano erroneamente creduto eterno con la pigra disinvoltura di un'onda che spazza via un castello di sabbia. Ogni singola comunità ebraica istruita nell'Impero divenne una legge e un'autorità nell'ebraismo. Per la gioia di alcuni e l'orrore di altri. Chiunque fosse in grado di scrivere una santa favola convincente che soddisfacesse i bisogni degli ebrei avrebbe avuto la reale opportunità di prendere il controllo e dirigere una religione ormai senza leader e senza timone.

Prova ad immaginare un cristianesimo alternativo capace di giustificare la distruzione del Tempio, ma che alla fine fallisce a causa della memoria recente dell'evento: da qualche parte là fuori qualche setta doveva aver fatto circolare l'idea che lo Yom Kippur non fosse più necessario perché i caduti in guerra erano il sacrificio. 600.000 secondo stime prudenti. Ha perfettamente senso, morirono «eroicamente», da martiri, per la nazione, per mano del «nemico» e così via. Ma un tale cristianesimo alternativo sarebbe stato fatalmente difettoso perché la gente si sarebbe ricordata che nel momento in cui le varie fazioni si incontrarono a Gerusalemme per l'ultima, disperata difesa, si abbandonarono meschinamente a tali livelli di lotte intestine da bruciare le scorte di cibo e alla fine, per i loro stessi conflitti e per la loro stupidità, non solo persero la città ma anche il Tempio. Quell'assedio sarebbe stato molto diverso se le scorte di cibo fossero state conservate. E la Storia con essa.

Il sacrificio ideale doveva essere recente, ma non troppo recente. 

Resta il fatto che ci si può sempre ostinare a dire che un vero profeta chiamato Gesù (nome molto diffuso nel primo secolo) figurasse «dietro» o «sotto» il Gesù di carta. Ma questa vana pretesa non equivale che a sostituire quest'ultimo con un fantasma, immaginabile secondo le voglie di ciascuno. Secondo me, questo è poco più che un gioco di prestigio. Se avessi bisogno di consultare allucinatori, mi rivolgerei direttamente a Paolo e ai primi apostoli del Cristo.

Infine, un antico riferimento religioso alla crocifissione non implica il famigerato supplizio romano, perché gli antichi credevano che ci fossero diversi gradi di terrestrità, che arrivavano fino al cielo. Per i primi cristiani ancora ignari del Cristo di carta, Gesù il Servo Sofferente di YHWH avrebbe potuto subire il servile supplicium — essere crocifisso — in un corpo biologico «carnale» ma non umano, ad opera di Arconti o demoni in un cielo inferiore. È il dubbio finale, quindi, da aggiungere alla lista di ragionevoli dubbi che assilla la pretesa degli storicisti.

Ma gli ottusi storicisti e i folli apologeti cristiani hanno comunque ragione: non ha senso perpetuare una simile discussione. Può chiamarsi una «discussione» quando si preferisce un attacco personale ad una discussione?

Dopotutto, le idee false non ci impediscono di vivere. Vanno avanti da millenni.


Guy FAU

IL PUZZLE 

DEI VANGELI


«Se non mi spingesse l'autorità della Chiesa, io non crederei al Vangelo».
Sant'Agostino.

«Vi è una stupidità che va rispettata, dato che concerne cose rispettabili... La nostra miserabile specie è fatta in maniera tale che coloro che percorrono il sentiero già battuto scagliano sempre sassi contro quelli che insegnano un cammino nuovo».
Voltaire, Dizionario filosofico, (v° Lettere).

Introduzione

A causa del ruolo che hanno giocato nella storia della nostra civiltà occidentale, i Vangeli cristiani passano ancora, agli occhi di molti, per dei libri privilegiati. Anche se hanno troppo spesso servito a giustificare le persecuzioni e i massacri, si presume volentieri, sulla base di alcuni estratti, che contengano, accanto a miracoli poco credibili, almeno una storia dalle basi solide, una morale di fraternità, forse anche una metafisica ben strutturata.

Queste illusioni svaniscono ad una lettura attenta e applicata, a condizione che vi si apporti uno spirito critico: allora, le loro oscurità, le loro incoerenze, le loro contraddizioni sconcertano; a meno che la fede o i ricordi del catechismo non suppliscano alle loro mancanze, vi si trova difficilmente quello che vi si cercava; in compenso, si scoprono molte cose sorprendenti, sulle quali l'insegnamento religioso si era guardato bene dal richiamare l'attenzione. Si comprende perché la Chiesa romana abbia a lungo rivendicato il monopolio della loro interpretazione; ma quei giorni sono finiti, ed essa oggi deve rispondere, con sottigliezza o imbarazzo, a domande che rimettono in discussione il suo stesso fondamento. L'uomo colto non ignora l'esistenza e l'efficacia di una esegesi protestante, basata sul diritto al libero esame. Più recentemente la critica razionalista, escludendo il pregiudizio di un'ispirazione e la nozione di libri «sacri», si è sforzata di applicare a queste opere, ricollocate nel loro ambiente e nel contesto di una letteratura concorrente, i metodi della critica storica dei testi e i dati della storia generale delle religioni.

È diventato impossibile comprendere qualcosa dai Vangeli senza conoscere almeno l'essenziale di questo lavoro di dissezione, ma esso forma un insieme complesso, spesso poco accessibile; delle opinioni inconciliabili vi si affrontano, e la Chiesa ha buon gioco ad opporre l'antichità e la continuità delle sue lezioni alle inevitabili divergenze dei ricercatori indipendenti, alla necessaria evoluzione di una critica che non ha mai preteso di detenere una verità totale e definitiva. Per non perdersi in questo labirinto, il lettore non specialista ha bisogno di una guida: è a questo scopo che io ho scritto il presente libro, che si propone di essere una «introduzione critica alla lettura dei vangeli».

Questa analisi si rivolge dunque soprattutto a coloro che avrebbero il desiderio di iniziarsi alle opere studiate. 

Essa comporterà necessariamente numerosi rinvii ai testi. Tuttavia, non ho riprodotto questi testi integralmente, limitandomi il più delle volte a dare i riferimenti che permetteranno di riportarvisi: suppongo che tutti dispongano almeno di una traduzione qualunque dei quattro canonici, e questo sarà, più o meno, sufficiente.

È comunque preferibile disporre di una «sinossi», mettendo in parallelo i versi comparabili dei quattro Vangeli: questi confronti permettono di constatare meglio le divergenze e le contraddizioni. [1]

Beninteso, in uno studio più tecnico, è a volte necessario riportarsi al testo greco. Mi sforzerò però di evitare tali riferimenti, in modo che il mio libro resti il più possibile accessibile. Non esiste più alcun problema importante che richieda un ricorso al testo greco, e non insegnerei nulla agli studiosi.

Ciò che importa, al contrario, è facilitare una lettura critica dei vangeli per ogni persona di cultura media, aiutandola a liberarsi dall'insegnamento dogmatico e dalle idee preconfezionate che ne derivano.

Anche se si scartano le opere di pura apologetica, la letteratura dedicata da due secoli ai Vangeli è così abbondante che ci si può domandare a cosa serva aggiungervi un nuovo libro.

Non ho la pretesa di sconvolgere l'esegesi, e utilizzerò ampiamente le opere dei miei predecessori, antichi o recenti, credenti o liberi da qualsiasi presa religiosa. Ma l'abbondanza stessa di tali opere —e spesso la loro natura tecnica — mi è sembrata giustificare un'esposizione sintetica, accessibile al lettore impaziente del nostro tempo, e che non esige più la messa in discussione dei risultati da tempo acquisiti. Anche se non portassi nulla di nuovo, la condensazione in un unico libro di un'intera biblioteca si giustificherebbe per la sua utilità. 

Ma, come ogni ricerca, lo studio dei Vangeli sta progredendo. Essa ha fatto recentemente un nuovo passo avanti, con la scoperta dei manoscritti esseni del Mar Morto. Se sapessero quello che sappiamo noi, uomini come Strauss, Loisy, Guignebert, non scriverebbero probabilmente più quello che hanno scritto. Io non voglio dire che il loro lavoro abbia perso ogni interesse, ma che richiede una revisione. Alcuni problemi, come quello della crocifissione, devono essere ripensati alla luce dei lavori recenti, ed è impossibile non sottolineare ciò che il personaggio di Gesù debba al Maestro di Giustizia. Fare il punto delle conoscenze attuali significa dare, credo, una giustificazione sufficiente del presente libro.

A forza di studiare i numerosi problemi che pone ciascun verso evangelico, si arriva a non saper più a chi si debba di averne compreso il senso o scoperto la fonte. Rendere a ciascuno il suo dovuto sarebbe un atto di giustizia e di riconoscenza, ma io me ne confesso incapace: occorrerebbe poter ripercorrere la storia del mio pensiero negli ultimi trent'anni, riesaminare tutte le mie letture. Anche se fosse possibile, questo sarebbe probabilmente senza interesse. Rendo quindi omaggio in blocco a tutti i miei predecessori per tutto ciò che devo loro, scusandomi in anticipo per non citarli sempre, per aver l'aria di appropriarmi di tale espressione, che proviene in realtà da Turmel, da Alfaric o da qualche altro. 

Senza anticipare sulle conclusioni che emergeranno dalla presente analisi, credo di dover segnalare, a titolo di filo conduttore, una delle idee principali. Abbiamo troppa propensione a considerare un vangelo un blocco omogeneo, che comporta un'unità di fondo e di dottrina, mentre ciascuno di loro è una combinazione, spesso mal cucita, di fonti contraddittorie e inconciliabili, che riflette in strati sovrapposti le fasi successive della fede. Avrò spesso l'occasione di segnalare la natura composita dei vangeli, la diversità degli elementi che essi si sforzano di conciliare, o più semplicemente che sovrappongono senza preoccuparsi delle contraddizioni. Ci si stupirà dunque che io non ritrovi più in loro la bella unità, così spesso celebrata dall'esegesi cattolica. Io domando quindi al lettore di accettare, almeno come ipotesi o metodo di lavoro, questa frammentazione, le cui prove e le conseguenze gli appariranno progressivamente. 

Abbreviazioni. — Conformemente ad un uso stabilito e conveniente, indicherò i vangeli con il nome dei loro aggiudicatari ufficiali, senza che ciò pregiudichi la validità di queste attribuzioni, che intendo, al contrario, discutere. Utilizzerò quindi le solite abbreviazioni: Mc per Marco, Mt per Matteo, Lc per Luca e Gn per Giovanni. [2]

Darò in numeri arabi i riferimenti, sia ai capitoli che ai versi, per evitare gli errori che comporta troppo spesso l'utilizzo dei numeri romani. Per esempio, 25:2-6 significherà: capitolo 25, versi da 2 a 6. La divisione dei vangeli e dei testi cristiani in capitoli e versi è artificiale e tardiva, come preciserò, ma è impossibile farne a meno, e dobbiamo persino rallegrarci che un sistema di riferimenti, per quanto sia arbitrario, abbia potuto imporsi universalmente.

Impiegherò anche le abbreviazioni solite per indicare le epistole paoline: Romani per l'epistola ai Romani, 1 Corinzi e 2 Corinzi per la prima e la seconda epistola ai Corinzi, Galati per l'epistola ai Galati, ecc.

A parte queste abbreviazioni, rese necessarie dall'abbondanza di riferimenti, e con la sola eccezione della parola Atti per indicare gli Atti degli Apostoli, eviterò il più possibile le altre semplificazioni, note agli specialisti, ma che rischierebbero di non essere sempre comprese.

NOTE

[1] Io utilizzo quella di Padre Benoit e M.-E. Boismard (edizioni del Cerf, 1965). Essa è evidentemente di ispirazione cattolica, ma è la sola che si trova in commercio. È imperfetta, in particolare perché si basa sulla priorità di Matteo, ma contiene utili riferimenti all'Antico Testamento. Quanto ad una sinossi in lingua greca, bisogna cercarla in Germania.

[2] È consueto scrivere «Vangeli» quando si tratta dei quattro Vangeli Canonici e «vangeli» quando si tratta di uno qualunque degli altri 70.
Noi in quest'opera, dove questo termine è costantemente utilizzato nella prima accezione, abbiamo scritto «vangelo», salvo quando si tratta del «IV° Vangelo» o del «Vangelo di Marco», ecc.

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