mercoledì 21 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZALa difesa di Paolo dopo il suo arresto.



La difesa di Paolo dopo il suo arresto.

Tuttavia vi è motivo di esaminare ancora una testimonianza che recano gli Atti degli Apostoli, relativa al modo in cui Paolo enunciava la morte di Gesù: si tratta dei capitoli dal 21 al 26, contenenti la difesa che Paolo avrebbe presentato della sua dottrina e della sua azione al momento del suo arresto e nel corso della sua prigionia in Palestina.

Paolo è stato arrestato a Gerusalemme da una folla inferocita, su istigazione degli ebrei dell'Asia: «Questo è l'uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo; ora ha introdotto perfino dei Greci nel tempio e ha profanato il luogo santo. Avevano infatti visto poco prima Trofimo di Efeso in sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio» (21:27-29).

Paolo si spiega prima di tutto in lingua ebraica davanti agli ebrei sollevati. È qui che si trova il resoconto della conversione di Paolo a Damasco, come lo riportano gli Atti 22:3-21: [130] «...Caddi a terra e udii una voce che mi disse: Saulo, Saulo, [131] perché mi perseguiti? Io risposi: Chi sei, Signore? Ed egli mi disse: Io sono Gesù di Nazaret, che tu perseguiti».

Poi Paolo racconta la visione che avrebbe avuto, poco dopo, nel tempio di Gerusalemme (22:17-21): «Io vidi il Signore che... mi disse: Va' perché io ti manderò lontano, tra i popoli...».

Paolo compare in seguito dinanzi al tribunale religioso ebraico, il sinedrio (23:6-11). «Paolo, sapendo che una parte dell'assemblea era composta di sadducei e l'altra di farisei, esclamò nel Sinedrio: Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; ed è a motivo della speranza nella resurrezione dei morti, che sono chiamato in giudizio. Appena ebbe detto questo, nacque contesa tra i farisei e i sadducei, e l'assemblea si trovò divisa. Perché i sadducei dicono che non vi è resurrezione, né angelo, né spirito; mentre i farisei affermano l'una e l'altra cosa. Ne nacque un grande clamore; e alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi, protestarono, dicendo: Non troviamo nulla di male in quest'uomo; e se gli avesse parlato uno spirito o un angelo?... La notte seguente, il Signore si presentò a Paolo e gli disse: Fatti coraggio; perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma».

In effetti Paolo, già prima della sua comparsa davanti al sinedrio, invoca il suo status di cittadino romano; di conseguenza, è trasportato a Cesarea, sulla costa di Palestina, e compare davanti al procuratore Felice. Tertullo sostiene davanti a quest'ultimo l'accusa della gente del Tempio (24:5-6): «Abbiamo dunque trovato che quest'uomo è una peste, che fomenta rivolte fra tutti i Giudei del mondo, ed è capo della setta dei Nazareni. Egli ha perfino tentato di profanare il Tempio. Perciò lo abbiamo arrestato...». Paolo risponde (24:14-21): «Io ti confesso questo, che adoro il Dio dei miei padri, secondo la via che essi chiamano setta, credendo in tutte le cose che sono scritte nella legge e nei profeti; avendo in Dio quella speranza, condivisa anche da costoro, che ci sarà una resurrezione dei giusti e degli ingiusti. Per questo anch'io mi esercito ad avere sempre una coscienza pura davanti a Dio e davanti agli uomini... Dicano costoro quale misfatto hanno trovato in me, quando mi presentai davanti al sinedrio; a meno che si tratti di questa sola parola che gridai, quando comparvi davanti a loro: è a causa della resurrezione dei morti, che io sono oggi giudicato da voi»

«Dopo alcuni giorni Felice, venuto con sua moglie Drusilla, che era ebrea, [132] mandò a chiamare Paolo. Lo ascoltò sulla sua fede in Cristo. Siccome Paolo parlava di giustizia, di temperanza e del giudizio a venire, Felice si spaventò e replicò: Per ora va'; e quando ne avrò l'opportunità, ti manderò a chiamare. Egli sperava, allo stesso tempo, che Paolo gli avrebbe dato del denaro: per questo lo mandava spesso a chiamare e conversava con lui» (24:24-27). [133]

Quando fu sostituito da Porcio Festo, quest'ultimo, su richiesta delle autorità del Tempio, fece comparire Paolo, non tuttavia a Gerusalemme, come avevano richiesto, ma a Cesarea. Di nuovo, la gente del Tempio accusò Paolo (24:1-6); «portarono contro di lui numerose e gravi accuse, che non potevano provare» (25:7). «Paolo a sua difesa disse: Non ho commesso alcuna colpa, né contro la legge dei Giudei, né contro il tempio, né contro Cesare» (25:8). Festo, «volendo fare un favore ai Giudei, si volse a Paolo e disse: Vuoi andare a Gerusalemme per essere là giudicato di queste cose, davanti a me?» (25:9). Come osserva Mireaux, Paolo «non poteva avere il minimo dubbio: il giudizio del sinedrio era la condanna certa, era la morte». [134] Paolo, cittadino romano, dichiara: «Ai Giudei non ho fatto alcun torto, come anche tu sai perfettamente. Se dunque sono in colpa e ho commesso qualche cosa che meriti la morte, non rifiuto di morire; ma se le cose di cui mi accusano sono false, nessuno ha il potere di consegnarmi a loro. Io mi appello a Cesare». Festo decide in questo senso (25:10-12): «è a Roma che la sorte dell'apostolo sarà decisa». [135]

Pochi giorni dopo, il re Agrippa II [136] e sua sorella Berenice arrivano a Cesarea, dove sono gli ospiti di Festo. Il procuratore racconta loro dell'affare di Paolo, del suo imbarazzo e della sua decisione. Sull'oggetto del processo, si sarebbe espresso così: «Gli accusatori, essendosi presentati, non addussero niente di ciò che io immaginavo; avevano solo con lui non so quali questioni relative alla loro religione e riguardanti un certo Gesù, che è morto, e che Paolo affermava essere in vita». [137] Su richiesta del re, Paolo è ascoltato il giorno dopo da Agrippa e Berenice (25:13-23).

Paolo avrebbe raccontato di nuovo i suoi inizi: «fariseo..., egli aveva creduto di dover agire attivamente contro il nome di Gesù di Nazaret», — così come la sua conversione, ma in altri termini rispetto a Gerusalemme davanti al Sinedrio (26:19-23). [138] «Perciò», continuava Paolo, «io non sono stato disubbidiente alla visione celeste; ma, prima a quelli di Damasco, poi a Gerusalemme e per tutto il paese della Giudea e fra i Gentili, ho predicato che si ravvedano e si convertano a Dio, facendo opere degne del ravvedimento. Per questo i Giudei, dopo avermi preso nel tempio, tentavano di uccidermi. Ma per l'aiuto che viene da Dio, sono durato fino a questo giorno, rendendo testimonianza a piccoli e a grandi, senza dir nulla al di fuori di quello che i profeti e Mosè hanno detto che doveva avvenire, cioè: che il Cristo avrebbe sofferto, e che egli, il primo a resuscitare dai morti, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle nazioni» (26:19-23).

«Qui si situa un incidente di seduta», spiega Mireaux. Festo, rappresentante della religione ufficiale, dei culti degli dèi dell'Impero, di quello di Roma e di Augusto, sente di dover protestare davanti all'affermazione scandalosa che la fede nel Cristo e nella resurrezione ha un valore universale. Interrompe l'oratore e ad alta voce: «Tu sei pazzo, Paolo. La troppa scienza ti ha dato al cervello» (si veda Atti 26:34). [139]

«Non sono pazzo, eccellentissimo Festo, disse Paolo, ma sto dicendo parole vere e sagge. Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso che niente di questo gli sia sconosciuto, poiché non sono fatti accaduti in segreto. Credi, o re Agrippa, nei profeti?... So che ci credi» (Atti 26:25-26).

Al che il re ebreo Agrippa risponde, «benevolo e ironico», commenta Mireaux: [140] «Per poco non mi convinci a farmi cristiano» (Atti 26:28). E Paolo replica: «Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che non soltanto tu, ma quanti oggi mi ascoltano diventassero così come sono io, eccetto queste catene» (Atti 26:28-29).

Come si può interpretare quella sequenza di episodi? Mireaux si erge contro la critica che hanno fatto del racconto degli Atti Goguel e soprattutto Loisy. [141] Secondo quest'ultimo, gli Atti degli Apostoli «sarebbero l'opera di un falsario cristiano, che, rielaborando senza scrupoli l'opera di san Luca, si sarebbe accinto, all'inizio del II° secolo, a dimostrare che il cristianesimo fosse il vero erede del giudaismo e avesse diritto alla libertà che la legge romana riconosceva al culto ebraico. La comparsa di Paolo davanti ad Agrippa e Berenice sarebbe solo un'invenzione apologetica, volta a illustrare quella tesi». Ma «l'episodio non riguarda per nulla la questione dei rapporti tra il cristianesimo e l'Impero. Esso verte interamente attorno alle persecuzioni che le autorità ebraiche, e in particolare quelle del Tempio, fanno subire ai cristiani di origine ebraica, come blasfemi e nemici della Legge. [142] Problema che la distruzione del Tempio nel 70 ha fatto scomparire, che apparteneva dunque, intorno all'anno 100, data presunta degli Atti secondo Loisy, [143] ad un passato tanto più lontano, poiché la distinzione giuridica per l'autorità romana tra ebraismo e cristianesimo era in questo momento del tutto acquisita».

«Ne consegue che l'episodio di san Paolo davanti a Berenice e Agrippa non corrisponde a nessuna preoccupazione reale del mondo cristiano nell'ultimo quarto del I° secolo».

«Se quindi l'autore degli Atti, chiunque egli sia..., ha introdotto questo episodio nel suo racconto, è perché vi era invitato a farlo da una tradizione solida e già antica... Paolo non parla che della sua sola condotta; la sua apologia è una apologia strettamente personale...» [144]

Tuttavia, Mireaux riconosce che «su questo piccolo palcoscenico della sala d'udienza di Cesarea, gli attori appaiono... miracolosamente stilizzati, come da un drammaturgo fin troppo sicuro del suo mestiere». [145]

Ricordiamo inoltre che l'ostilità degli ebrei non era allora diretta contro il cristianesimo, ma contro il modo in cui Paolo lo esprimeva, poiché nello stesso tempo Giacomo, membro di spicco della Chiesa cristiana di Gerusalemme, era tenuto in alta stima da tutte le categorie della popolazione per la pietà fervente che manifestava costantemente al tempio. [146]

Dal canto suo, Guignebert ritiene improbabile un certo numero di episodi: l'ascolto da parte di una folla esasperata a Gerusalemme del lungo discorso che Paolo le rivolge, la comparsa dell'apostolo davanti al Sinedrio dopo essersi appellato al suo status di cittadino romano. [147]

D'altra parte, due critici, Couchoud e Sthal, — che non credevano nella crocifissione di Gesù per ordine di Pilato, — hanno tentato, nel 1930, di riconoscere negli Atti degli Apostoli la traccia di due autori diversi, basandosi, non solo, come Loisy, sul contenuto dei passi considerati, ma anche su segni di natura scritturale: [148] in particolare l'impiego della «forma grecizzata, plurale, declinabile di Hiérosolymes», [149] per designare la città santa di Giudea, sembrava praticato da un primo autore, «narratore più che teologo», ma che ha lasciato «comunque percepire di professare la dottrina paolina»... [150] della vita eterna; al contrario l'uso in greco della «forma indeclinabile, modellata sull'ebraico, Iérousalem», manifesterebbe l'intervento di uno scrittore, «imitatore della Bibbia», «teologo della stessa scuola di Giustino», preoccupato «di restaurare le... speranze tradizionali: la Resurrezione dei morti, materialmente intesa, il Giudizio finale a cui tutto è sospeso, il regno terreno del Messia».

Couchoud e Stahl, come Loisy e Guignebert, hanno attribuito a questo secondo scrittore il discorso di Paolo alla folla presso la fortezza di Gerusalemme, la comparsa dell'Apostolo davanti al sinedrio, così come la sua difesa davanti a Felice, che rinvia a quella comparsa.

Veniamo ora alla comparsa di Paolo davanti a Festo, poi davanti a Festo, Agrippa e Berenice. La difesa dell'apostolo davanti a Festo è riportata non in una sola volta, ma in due passi successivi (25:6-12 e 25:14-21). Nei versi 9-12 del capitolo 25 è riportato il dibattito giuridico sull'autorità competente a giudicare Paolo, dibattito che si conclude con il rinvio di Paolo davanti a Cesare; le accuse degli ebrei e la difesa di Paolo sono riassunte molto brevemente in due versi (25:7-8), che Loisy da un lato, Couchoud e Stahl dall'altro, concordano ad attribuire al primo autore degli Atti.

Quanto ai versi in cui Festo racconta al re Agrippa la vicenda di Paolo (25:14-21), così come per quelli relativi alla comparsa dell'apostolo davanti a Festo, Agrippa e Berenice (25:24-27, e 26), Couchoud e Stahl, come Mireaux, e contrariamente a Loisy, li hanno attribuiti, nel complesso, al primo autore degli Atti, e non al secondo scrittore. Couchoud e Stahl pensano addirittura che il racconto della conversione di Paolo fatto nei versi 9-20 del capitolo 26, e che si avvicina al racconto della Epistola ai Galati (1:13-17), sia il «prototipo» che è servito al secondo scrittore per presentarlo, con modifiche, «al suo posto cronologico» in relazione alla vita di Paolo (9:1-30), come come nel discorso di quest'ultimo alla folla sollevata di Gerusalemme (22:3-21). [151]

Sembrerebbe dunque che delle varie affermazioni attribuite a Paolo negli Atti, tra il suo arresto e il suo trasporto dalla Palestina in Italia, le prime tre: dichiarazioni davanti alla folla, davanti al sinedrio, davanti a Felice sarebbero attribuibili al secondo scrittore, le ultime due: dichiarazioni davanti a Festo e davanti ad Agrippa deriverebbero dal primo autore.

Ora che si realizzano tutte le frasi che abbiamo sottolineato in queste dichiarazioni, — quale che sia la loro origine, — da nessuna parte si parla di Gesù crocifisso trent'anni prima a Gerusalemme, per ordine di Ponzio Pilato, procuratore dell'imperatore Tiberio. Due passi sono particolarmente significativi. 

«Gli accusatori», riporta Festo ad Agrippa e Berenice, «avevano solo con Paolo non so quali questioni relative alla loro religione e riguardanti un certo Gesù, che è morto, e che Paolo affermava essere in vita» (Atti 25:19). [152] Come credere, se questo «certo Gesù» fosse stato torturato a Gerusalemme trent'anni prima, che né Paolo né i suoi accusatori avrebbero menzionato questo evento? E se fosse stato rivelato a Festo che l'oggetto della fede di Paolo era un profeta ebreo, condannato alla crocifissione dal suo predecessore Ponzio Pilato, tutto il corso del processo sarebbe stato capovolto; Festo non avrebbe mai pensato di Paolo che «quest'uomo non aveva fatto nulla che meritasse la morte o la prigione». Egli avrebbe sospettato, come aveva forse già fatto il suo immediato predecessore Felice, che lui fosse un pericoloso agitatore; [153] avrebbe rinunciato alla sua neutralità nei confronti di Paolo, se il Gesù a cui costui si reclamava fosse apparso come «morto» sulla croce, condannato a sua volta per pericolosa agitazione. 

D'altra parte, in che modo Paolo esprime il suo credo davanti a Festo, Agrippa e Berenice? «Io ho reso testimonianza a piccoli e a grandi, senza dir nulla al di fuori di quello che i profeti e Mosè hanno detto che doveva avvenire, cioè: che il Cristo avrebbe sofferto, e che egli, il primo a resuscitare dai morti, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle nazioni» (26:22-23). Professione di fede, riferimento ad un insieme di credenze religiose che comprende sia Mosè che Cristo, e non appello ad un fatto storico recente, la passione di Gesù per ordine del procuratore Pilato. [154]

Resta un passo che può prestarsi alla discussione: lo si trova nella risposta di Paolo a Festo: «Io pronuncio parole di verità, e di buon senno. Il re è istruito su queste cose, e io gli parlo con franchezza, perché sono persuaso che nessuna di esse gli è nascosta; poiché esse non sono accadute in segreto. [155Credi tu nei profeti, o re Agrippa?... Io so che ci credi» (26:25-27). Vi sarebbe là un'allusione all'esecuzione pubblica di Gesù? [156]

Si può all'inizio supporre che la frase abbia veramente questo senso, mai pensare che rappresenti un'invenzione del secondo autore degli Atti. In quella parte del capitolo 26, una frase del verso 20 solleva il sospetto: «ho predicato il ravvedimento e la conversione a Dio, facendo opere degne del ravvedimento». Quella frase sembra una conciliazione tra il pensiero di Paolo e quello dei suoi avversari, l'uno che dà la precedenza alla fede, gli altri alle opere. E si ritroverebbe in questo passo la tendenza generale dell'autore degli Atti, «che riflette», secondo le parole di Loisy, «lo sviluppo anti-gnostico della fede e dell'istituzione cristiana tra l'anno 125 e l'anno 150». [157] Ora si constata, allo stesso modo, che la frase: «esse non sono accadute in segreto», è in contraddizione con il pensiero paolino a proposito della «crocifissione» del «Signore della gloria» ad opera dei «principi di questa Età», nella 1° Epistola ai Corinzi, mistero rivelato dalla fede. [158]

Comunque, il senso di un'allusione è di per sé discutibile. Vi ritroviamo il problema della strana «indifferenza» di Paolo riguardo alle circostanze della morte di Gesù. [159] Ma inoltre, bisognerebbe ammettere che il giovane re Agrippa II abbia potuto comprendere l'allusione alla crocifissione di Gesù sotto Tiberio, — di cui non si è parlato, ricordiamolo, in nessun verso dei capitoli dal 21 al 26 degli Atti, relativi all'arresto di Paolo. Ora Agrippa II sembra essere nato intorno all'anno 27 dell'era cristiana; [160] era dunque un bambino al tempo in cui si colloca tradizionalmente la Passione di Gesù; è stato educato a Roma; a diciassette anni, nel 44, alla morte di suo padre, Agrippa I, è divenuto re di Calcide: dove avrebbe conosciuto un evento di Gerusalemme che, in ogni caso, sembra essere passato inosservato all'estero? Infine sarebbe difficile supporre che Paolo, che affermava così apertamente la sua fede, non abbia affatto enunciato in termini espliciti il ricordo del supplizio di Gesù e abbia proceduto con un'allusione che rischiava di portare davanti ad un procuratore romano un ricordo del passato.

Pensiamo quindi che se si considera la frase in questione come facente parte della tradizione primitiva, converrebbe dargli il significato seguente. Paolo si rivolge al giovane re Agrippa, in quanto «istruito» non delle vicende del suo tempo, ma delle parole dei «profeti» ai quali, da buon israelita, egli deve «credere». Ora Paolo ha appena ricordato le profezie di Mosè: secondo la tradizione, Mosè, solo con Dio, ha ricevuto da lui, sul Sinai, le due Tavole della Legge: [161] Un credente oserebbe dire che allora le cose si sono svolte «in segreto» ? Per gli ebrei dell'epoca, ortodossi o cristiani, la parola dei profeti portava con sé la certezza. [162]

In conclusione, riteniamo che la frase controversa sia un'invenzione dell'autore di questo capitolo degli Atti, oppure abbia il significato appena presentato. A parte questa frase, sembra che in tutti i capitoli dal 21 al 26, che contengono cinque dichiarazioni di Paolo, in nessun momento si parla della crocifissione di Gesù al tempo del procuratore Ponzio Pilato.

NOTE

[130] Si veda il racconto sullo stesso soggetto in 9:1 e 30; altro racconto in 16:9 e 20: si veda più avanti, pag. 164.

[131] Saulos, nome ebraico (Saul), grecizzato, dell'apostolo; Paulos, suo nome romano (Paulus), egualmente grecizzato. Gli Atti lo designano col suo nome ebraico prima della sua conversione, col suo nome romano dopo.

[132] Era la figlia di Erode Agrippa I e la sorella di Agrippa II e di Berenice. Agrippa I si era visto restaurare per lui, nel 41, col valore dell'imperatore Claudio, il regno di Giudea, quando questo paese era governato da un procuratore al tempo di Augusto, di Tiberio e di Caligola; ma alla morte di Agrippa I, nel 44, si ritorna, per la Giudea, al regime dei procuratori; Agrippa II non era che re di Calcide, nella regione del Libano; egli diviene nel 53 re di Cesarea di Filippo, sul Giordano settentrionale (si veda Emile MIREAUX, La reine Bérénice, 1951).

[133] La maggior parte degli storici ammettono che la frase di Atti 24:27: «Trascorsi due anni, Felice ebbe come successore Porcio Festo», significa che Paolo, imprigionato sotto Felice, restò due anni in prigione; essi situano la visita di Paolo a Gerusalemme nel 58 e il cambiamento di procuratore nel 60 (si vedano gli argomenti di MIREAUX, in La reine Bérénice, pag. 110-112). Al contrario, Léon HERRMANN, professore all'Università di Bruxelles, pensa che la frase degli Atti significa semplicemente che Felice fu sostituito dopo due anni di governo da un nuovo procuratore; egli colloca l'arrivo di Paolo a Gerusalemme alla vigilia della Pentecoste del 55; ritiene che l'apostolo sia stato arrestato subito e mantenuto in prigione da Felice, il quale è stato sostituito poco dopo da Porcio Festo; il martirio di Paolo a Roma avrebbe avuto luogo nell'anno 58 (si veda Léon HERRMANN, Du Golgotha au Palatin, Bruxelles, 1934, pag. 140-142, e Le trizième apôtre (san Paolo), Bruxelles, pag. 59 e 73-74).

[134] MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 113.

[135] MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 113.

[136] Si veda sopra, pag. 156, nota 132.

[137] Data l'importanza dell'ultima frase, abbiamo riprodotto la traduzione de La Sacra Bibbia, edita sotto la direzione della Scuola biblica di Gerusalemme (cattolica), 1956. 

[138] Si veda più avanti, pag. 164.

[139] MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 116-117.

[140] MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 117.

[141] MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 107-110, 114-116, 117-122. Ha in vista l'opera di GOGUEL, Introduction au Nouveau Testament, III, Le livre des Actes, 1922, e quella di LOISY, Les Actes des Apôtres, nel 1920, Loisy ha pubblicato un grande commentario degli Atti degli Apostoli; nel 1925, ne ha dato una piccola edizione, dove, secondo una introduzione, sono distinte nella traduzione, per mezzo della tipografia, da una parte «i frammenti» che Loisy considerava primitivi, dall'altra «la massa dell'opera redazionale».

[142] Si veda GUIGNEBERT, Le Christ (1943), pag. 317: «Ciò che interessa lo scrittore degli Atti», è «lo sviluppo del suo tema dell'ostilità sistematica e accanita degli ebrei».

[143] «Verso l'anno 80», scriveva LOISY nella sua piccola edizione degli Actes del 1925 (Introduzione, pag. 17). LOISY nel 1933, Les Origines du Nouveau Testament (pag. 183-184, 207 e 344-345), doveva attribuire agli Atti una data più recente ancora: stesura primitiva, intorno al 110-120; «edizione successiva» del testo, «fissato», nell'insieme, «un po' prima del 140».

[144] MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 107-108, e 117-148.

[145] MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 120.

[146] Si veda più sopra, pag. 38-39 e 127-129, e più avanti, pag. 233.

[147] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 315.

[148] COUCHOUD e STAHL, Les deux auteurs des Actes des Apôtres, capitolo 7 dell'opera Premiers écrits du christianisme, pag. 163-214 (studi di G. A. VAN DEN BERGH VAN EYSINGA, Paul-Louis COUCHOUD e Robert STAHL), 1930.

[149] Forma francese plurale; Couchoud e Stahl danno così in caratteri greci il neutro plurale Hiérosoluma. 

[150] Couchoud e Stahl non sembrano distinguere tra la dottrina di Paolo e quella dei suoi discepoli mistici. 

[151] COUCHOUD e STAHL, Les deux auteurs des Actes des Apôtres, op. cit., pag. 194. Nel «prototipo», «non si tratta né di Anania», che istruisce Paolo a Damasco (e che si trova negli altri due racconti), «né della presentazione di Paolo agli apostoli» di Gerusalemme (che si trova nel capitolo 9 soltanto).

[152] Si può osservare la somiglianza con le parole pronunciate da Gesù Cristo all'inizio dell'Apocalisse: «Ero morto, ma ecco, sono vivo per i secoli dei secoli» (si veda più sopra, pag. 135, e più avanti Appendice 3, pag. 282 e 300).

[153] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 317. — Si veda Léon HERRMANN, Le treizième apôtre (san Paolo), 1946, pag. 59, in merito a Felice: Egli «non poteva essere ingannato dagli argomenti di Paolo. Egli non ignorava che aveva davanti a lui uno dei capi del cristianesimo, uno di coloro che avevano lavorato di più per diffonderlo nell'Impero...» Herman pensa che Paolo ha perseguito costantemente una grande missione di conquista religiosa dell'impero romano (si veda in particolare l'Introduzione, pag. 3, e la conclusione, pag. 75; — si veda, dello stesso storico, Autour de saint Paul, Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 17, 1° trimestre 1958).

[154] Sulla difficoltà di trovare nell'Antico Testamento una dottrina relativa alla resurrezione che si possa applicare a Gesù, si vedano le osservazioni, citate più sopra, riguardanti la 1° Epistola ai Corinzi, di Loisy (pag. 130-131) e di Guignebert (pag. 133).

[155] Si veda più sopra, pag. 160.

[156] È così che lo interpreta in effetti una nota de La Sacra Bibbia, tradotta sotto la direzione della Scuola biblica di Gerusalemme (cattolica) (1956).

[157] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 58 (si veda più sopra, pag. 161, nota 143).

[158] Si veda più sopra, pag. 46-50.

[159] Si veda più sopra, pag. 113-115 e 140-143.

[160] Nel momento della morte di Agrippa I (nel 44), «il figlio del re defunto, Agrippa il giovane, ha l'età di appena diciassette anni, si trovava... a Roma, dove completava la sua educazione di futuro principe favorito» (MIREAUX, La reine Bérénice, pag. 76).

[161] Antico Testamento, Esodo 31:18; 34:1, 4-5.

[162] Si veda più avanti, Appendice 4, pag. 305-306, esame di diversi passi dell'Epistola agli Ebrei, paragrafo: Il Figlio, che insegna nel nome di Dio, come un verso dei Salmi era considerato una «testimonianza».

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