martedì 7 gennaio 2020

La Favola di Gesù Cristo — «Ultima catastrofe»

(segue da qui)

Ultima catastrofe

Il disastro del 70 colpì terribilmente il morale degli ebrei, ed è normale che si sia tentata, in quell'epoca, una spiegazione. Tuttavia, alcuni conservavano speranza: nel 132, un nuovo Messia provocherà una nuova guerra, che condurrà al disastro finale del 135. 

Da allora, non potevano più esserci dubbi, occorreva dare un significato diverso alle profezie, rinunciare al regno terreno. Il Messia è venuto, come predetto, ma si sono mal compresi i testi sulla sua regalità: il suo regno non era di questo mondo, come l'avevano ben visto gli Esseni. Allora, i vangeli cominceranno a fiorire, e a raccontare la vita terrena di questo Messia umiliato, che bisognava proprio rassegnarsi ad accettare.

Ma, tra il 70 e il 135, un'ultima speranza era stata delusa, quella di un ritorno trionfale del Messia. Dopo il 70, si sperava ancora che il castigo fosse temporaneo; alcuni prevedevano la vendetta «presto», come dice l'autore cristiano che ha co-optato l'Apocalisse, «per questa generazione» stessa, secondo delle tracce preservate nei vangeli. Nessun dubbio che Bar-Kochba, nel 132, abbia approfittato di queste ultime illusioni per tentare la sua rivolta. Il suo fallimento mise fine ai desideri di dominio e di indipendenza, e confermò l'opinione di coloro che non attribuivano al Messia che una regalità spirituale.

Il Messia era dunque venuto nel 15° anno di Tiberio, e la colpa grave era consistita nel non riconoscerlo. Un Messia inosservato, umiliato e sofferente era apparso sotto Ponzio Pilato: ciò non poteva più essere messo in dubbio da alcuni, poiché era il modo apparentemente più semplice per non rinnegare le profezie. Ma restava da identificarlo, da ricostruire la sua vita: il disastro del 70, i morti, l'esodo dei sopravvissuti rendevano impossibile ogni ricerca. Ma si avevano le profezie: si sapeva che doveva chiamarsi Giosuè (Gesù), e Isaia non aveva descritto in anticipo tutta la sua passione?

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