martedì 26 marzo 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsPaolo non un Testimone della Storicità di Gesù

Le Prove della Storicità di Gesù in Paolo.

2. PAOLO NON UN TESTIMONE DELLA STORICITÀ DI GESÙ. 
Dobbiamo, perciò, accettare il parere di Wrede e di M. Brückner, che è anche presentato nel Mito di Cristo, secondo cui Paolo non era interessato alla vita terrena di Gesù, e la sua idea di Cristo era formata indipendentemente da un Gesù storico. “Della ‘vita’ di Gesù”, dice Wrede, “un singolo evento era importante per lui: la fine della vita, la morte. Per lui, tuttavia, anche questa non è l'azione morale di un uomo; anzi, non è assolutamente un fatto storico per lui, ma un fatto sovra-storico, un evento del mondo sovra-sensoriale”. [1] Wrede perciò dubita se il titolo di “discepolo di Gesù” si applichi correttamente a Paolo, se è inteso a esprimere la sua relazione storica con Gesù. “Non abbiamo bisogno di ripeterlo: l'opera della vita e la figura vivente di Gesù non si riflettono nella teologia paolina. Non ci possono essere dubbi intorno a questo fatto. Colui di cui Paolo si professava il discepolo e servo non era l'essere umano storico Gesù, ma un altro”.

Questa ammissione da parte di un esperto così illustre come Wrede è naturalmente sgraditissima ai teologi liberali. Ha messo in campo un gran numero di penne teologiche, desiderose di mitigare le osservazioni di Wrede, di rappresentarle come esagerazioni e di renderle innocue. “Tentativi di riconciliazione”, J. Weiss definisce giustamente questi sforzi nella sua opera Paulus und Jesus, in cui egli enfaticamente si oppone a Wrede, e si sforza di trovare argomenti migliori per dimostrare lo stretto legame tra Paolo e Gesù. Jülicher ha anche pubblicato un volume nel “Religionsgeschichtlichen Volksbücher”, intitolato Paulus und Jesus (1907), per correggere l'eresia di Wrede. In questo ha tentato, con più retorica che forza, di spiegare l'accordo e la differenza tra Gesù e i suoi apostoli, e di dimostrare che Paolo non era indifferente alla personalità di Gesù. “Il ‘Signore’, il maestro supremo, non gli fu mostrato dagli apostoli, ma solo da Dio; ma ciò che il Signore un tempo aveva insegnato, comandato e istituito sulla terra poteva essere [sic] appreso da Paolo solo dagli uomini. La cooperazione amichevole di Paolo con altri evangelisti, tali come Barnaba e Marco, che sicuramente non possedevano una così notevole esclusività, rende impossibile il fatto che la storia evangelica dovesse essere rimasta sostanzialmente sconosciuta a Paolo”. Chi non riesce a riconoscere qui il metodo che il teologo liberale considera l'unico metodo “scientifico” —, vale a dire, ad assumere precisamente ciò che deve essere provato — la connessione di Paolo e della “comunità primitiva” con un Gesù storico? Naturalmente, è più che improbabile che, se Pietro e Barnaba e tutti gli altri conoscessero qualche dettaglio circa Gesù, Paolo non avrebbe dovuto ascoltarli. Ma l'unico fatto della materia è che le lettere dell'apostolo non mostrano alcuna traccia di tale conoscenza. Qual è il valore di un argomento che cerca di dimostrare la storicità dei vangeli per mezzo delle epistole paoline, e la natura storica dei riferimenti paolini a Gesù con riferimenti simili nei vangeli? Domandiamo: c'è qualcosa nelle epistole paoline che ci obbliga a inferire da loro l'esistenza di un Gesù storico? Lo scrittore di quelle epistole conosceva qualcosa in dettaglio degli eventi che i vangeli descrivono come storici? Non possiamo essere dismessi con l'assicurazione: Sì, egli doveva averli conosciuti; vale a dire, se le cose si verificano precisamente come dicono gli scritti del Nuovo Testamento — che è la cosa da dimostrare. [2]

Ovviamente, non intendiamo il fatto che Paolo avrebbe dovuto prendere tutte le sue idee dalle parole di Gesù. Ma dovremmo trovare l'influenza del Gesù storico da qualche parte nei pensieri e nelle parole di Paolo, specialmente se tratta spesso di cose che sono prominenti nell'insegnamento di Gesù. Ma il fatto che egli non faccia mai appello ad alcun atto distintivo del “Signore”, che non citi mai i detti di Gesù nei vangeli come tali, e non li applichi mai, neanche dove le parole e la condotta di Gesù sarebbero più utili per rafforzare i suoi propri punti di vista e conclusioni — poiché dobbiamo ignorare ciò che è stato detto in confutazione di questa affermazione — tutto questo è per noi una prova certa del fatto che Paolo non sapeva nulla di Gesù. Ci piacerebbe che fosse spiegato come un uomo che ha l'autorità del “Signore” al suo fianco in un acceso conflitto con i suoi avversari (sulla questione della legge, per esempio), e per il quale la sua semplice menzione sarebbe bastata a far tacere i suoi avversari, invece di far così, impiega gli argomenti più complicati delle Scritture e la dialettica più determinata, quando avrebbe potuto agire in modo molto più semplice. Perché, ad esempio (Galati 3:31), non ricorda che Gesù aveva a sua volta discusso le leggi ebraiche sul cibo, pur di convincere Pietro che lui ha torto nell'evitare le tavole dei gentili? Perché non menziona che gli ebrei crocifissero Gesù alla Pasqua, la solennità principale, e avevano così dimostrato che la legge non era assolutamente valida? Egli non ha visto di persona la condotta personale di Gesù, come i discepoli di Gerusalemme. Egli conosceva le sue azioni e le sue parole solo di seconda mano, e quindi non poteva averle abbastanza chiare nella sua mente per citarle spesso. Ma alcuni tratti principali e principi fondamentali della vita di Gesù come quelli di cui sopra, che hanno influenzato la sua stessa propaganda, egli avrebbe dovuto conoscere e usare. Se conosceva di un Gesù storico, rimane il più insolubile dei problemi il perché egli non ha fatto uso della conoscenza.

Non ci venga detto che le lettere di Paolo sono “carte occasionali” e che l'apostolo non ha avuto l'opportunità di parlare più pienamente circa Gesù. Questa frase di Deissmann, “carte occasionali”, è una di quelle con cui i teologi nascondono a sé stessi e agli altri la difficoltà del problema. Quelle lettere, brulicanti di discussioni dogmatiche dalla natura più sottile, sono semplicemente carte occasionali, cosicché non ci si può aspettare che l'apostolo tradisca qualche conoscenza del Gesù storico! È lo stesso tipo di scienza come quella che, pur di districarsi da una difficoltà, ci vorrebbe persuadere che Paolo aveva pronunciato un sacco di Gesù nei suoi discorsi orali, e così non tornò sull'argomento nelle sue lettere. Questa sorta di “psicologia” non si impone su di noi, e la troviamo nient'altro che pietosa quando Weinel confessa dolorosamente: “Io stesso una volta ho considerato il problema in questa falsa luce” (cioè, che c'è poco o nulla riguardo a Gesù in Paolo); e poi aggiunge: “Ciò che Paolo dice di Gesù e delle sue parole è poco quando misurato secondo lo standard di un vangelo, e poco anche se si pensa che un Paolo debba basare tutti i suoi pensieri sulle parole di Gesù. Tuttavia, non è abbastanza per trovare l'esistenza di Gesù in modo convincente nelle epistole paoline; le stesse parole di Gesù si trovano in Paolo in ogni fase importante [!]; e non ci sono solo un certo numero di dettagli che Paolo conosce e trasmette [!], ma tutti i tratti salienti della predicazione e della natura di Gesù sono preservati per noi in Paolo. Vi è, perciò, un sacco, a patto che le epistole non siano approcciate con il vecchio pregiudizio, e se ricordiamo che sono tutte carte occasionali e non hanno mai motivo di parlare espressamente di Gesù” (pag. 16). [3] Questo pronunciamento è dello stesso alto livello di quello di Feine, il quale afferma che Paolo “ha fatto grandi sforzi per ricavare un quadro chiaro e completo dell'attività e della personalità di Gesù”. [4]

Dobbiamo, perciò, considerare un completo fallimento lo sforzo dei teologi di smentire qualsiasi affermazione che Gesù Cristo non sia una personalità storica in Paolo. Qualsiasi tentativo di trovare una prova dell'esistenza storica di Gesù nelle epistole paoline è futile per il semplice fatto che i vangeli sono usati per verificare il contenuto delle epistole, sebbene si suppone che essi siano stati scritti dopo le epistole. Una dimostrazione potrebbe essere trovata nelle epistole solo se esse indicassero inequivocabilmente il Gesù dei vangeli. Siccome questo non è il caso, e i passi rilevanti devono essere prima interpretati per mezzo dei vangeli e spiegati nello stesso senso di loro, è assurdo citare le espressioni paoline su Cristo come prova del Gesù evangelico, e fingere che la storicità di Gesù sia provata dall'apostolo. Questa prova cade in un circolo vizioso, e non è affatto una prova. Gli sforzi frenetici dei teologi per scoprire il Gesù storico nelle epistole paoline mostrano semplicemente, se mostrano qualcosa, l'impossibilità di citare Paolo come un testimone della storicità di Gesù.

NOTE

[1] Paulus, pag. 85 e 95.

[2] Nel suo opuscolo Hat Jesus gelebt? Julicher sembra negare assolutamente che vi sia qui qualche difficoltà, e si appella contro coloro che negano Gesù allo “storico giudizioso”, il quale deve essere, naturalmente, un teologo. È vero che egli generalmente concorda con Wrede. “Il nucleo del vangelo è per Paolo l'elemento sovra-storico nell'apparizione e nel fato di Gesù e l'elemento sovra-umano in esso”. “Ma”, domanda, “ci si dovrebbe aspettare in lui un vivo interesse nei dettagli della grandezza storica e della personalità umana di Gesù?” Allora abbiamo il pronunciamento dello “storico giudizioso”. “Si può soltanto spiegare l'appello, di coloro che negano Gesù, a Paolo e ai suoi successori come testimoni contro la storicità di Gesù, a partire dalla loro completa incapacità di pervenire con la loro mente in quella di un uomo che visse 1900 anni fa — vale a dire, l'incapacità a pensare, giudicare, e ragionare storicamente”. Noi rispondiamo: È soltanto l'assoluta incapacità di immedesimarsi nello schema mentale di un uomo che è convinto che il figlio di Dio, il secondo Dio, peregrinò sulla terra in forma umana e morì sulla croce — solo la completa ossessione dei teologi nel modo antico di pensare, che non permetterà loro di vedere la foresta al posto degli alberi, e disturba loro dover dire che un uomo del genere non aveva interesse nella vita terrena del Dio. Steudel ha detto tutto quel che bisogna dire sulla materia in occasione del dibattito di Berlino, ed è inutile ritornarvi. “Quando Paolo dice”, continua Julicher, “che Gesù, dopo una povera esistenza umana, è strappato alla cerchia dei discepoli dal cielo per la morte di un criminale, avendo dato [?] loro istruzioni in riguardo alla nuova Chiesa, ha lui rinunciato alla personalità di Gesù in favore di una figura mistica?” Chi misurerà le profondità di quella frase?

[3] Si veda, su questo, Krieck, Die neueste Orthodoxie und das Christusproblem, 1910, pag. 47.

[4] Jesus Christus und Paulus, 1902, pag. 229.  

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