sabato 7 luglio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Il Vangelo Primitivo (VIII) — Il Figlio di Dio un Salvatore

(segue da qui)
CAPITOLO VIII


IL VANGELO PRIMITIVO

4. IL FIGLIO DI DIO UN SALVATORE

Il Vangelo Primitivo dev'essere stato notevolmente più corto perfino del Marco esistente. Forse non è possibile ricostruirlo; ma è possibile decidere che certi paragrafi vi furono contenuti e che certi altri non lo furono. È risaputo, per esempio, che “la Piccola Apocalisse” (Marco 13:14-27) sia un'inserzione piuttosto tarda nel vangelo. Anche se ciò non fosse dimostrabile su motivi critici avremmo potuto decidere con fiducia che nessun passo escatologico può aver fatto parte in origine di un'opera gnostica. I critici hanno concordato che i discorsi di Gesù presenti in Matteo furono presi da una collezione — o collezioni — di “Detti” (Logia), che, perciò, non erano nel Vangelo Primitivo. Ora se, come mantengono parecchi teologi, Gesù fu principalmente un maestro etico e nel suo insegnamento risiede il suo valore supremo per il mondo, quant'è straordinario che lo scrittore del Vangelo Primitivo, che presumibilmente era in una posizione migliore per stimare il significato della sua vita e probabilmente era di più sotto l'influenza della sua “personalità” rispetto a coloro che scrissero più tardi, non avesse da dire circa l'insegnamento etico di Gesù  più di quanto ne avevano da dire gli scrittori delle epistole più antiche. E perché gli Apologeti — tranne Giustino, che cita da un vangelo, non hanno niente da dire circa il suo insegnamento? Vero, ci viene detto in Marco che egli insegnò al popolo “molte cose”. Ma insegnare molte cose non significa prima facie istillare moralità, e in realtà l'esempio dell'insegnamento che segue immediatamente non è un discorso ma la parabola del “Seminatore”, di cui si discuterà tra breve. È detto anche che Gesù avesse “predicato”; ma il soggetto della sua predicazione non era la moralità, era il “Regno di Dio”; e il soggetto era esposto in parabole che neppure i discepoli potevano capire. Subito dopo i miracoli sono quelle parabole che possiamo attribuire con più fiducia al documento primitivo. Ed è impossibile togliere da loro la dichiarazione con cui si conclude la serie (Marco 4:33-34): 
Con molte parabole di questo genere esponeva loro la parola, secondo quello che potevano intendere. Non parlava loro senza parabola; ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Tutto l'astuto contorcimento dei critici teologici è stato incapace di pervertire il chiaro significato di questa dichiarazione, che è che nel Vangelo Primitivo non fu ricordato nessun discorso di Gesù inequivocabilmente chiaro al popolo. Nelle comunità cristiane senza dubbio veniva inculcata una moralità e furono compilati “Detti del Signore” dai maestri o “profeti” per quello scopo. Ma il Figlio di Dio gnostico non venne a insegnare moralità; egli venne a salvare.
Dottor Bacon ha osservato che la spiegazione della parabola del “Salvatore” non dà il significato inteso originariamente dalla parabola, ma “un'applicazione allegorizzante intesa a rimproverare varie classi di ascoltatori”. L'opinione del dottor Bacon è certamente corretta. La “parola” che è “seminata” nella parabola (Marco 4:3-8) non è un'istruzione verbale; essa è il Logos, e il seminatore è Dio. La parabola descrive in una metafora diversa il soffocamento o l'uccisione del Logos di cui leggiamo nella dottrina dei Naasseni. La concezione del Logos come il seme di Dio era corrente nel primo secolo, applicata, comunque, in maniere diverse. [15] In Pimander la “Volontà di Dio” riceve il Logos, da cui poi come da un seme è prodotto il cosmo. Nel Corp. Herm. 14 troviamo una dottrina che approssima più strettamente quella della parabola. Qui di nuovo il seminatore è la “Volontà di Dio”, ma il seme è “il vero bene” dal quale procede la rinascita degli uomini pneumatici. Essa non si può insegnare, ci viene detto; è indefinibile e si deve afferrare per mezzo di sé — ossia, intuitivamente. Questa è la dottrina gnostica del Logos e la Gnosi. La Salvezza giunge non da un'istruzione o dal fare qualche “opera buona”, ma da una conoscenza intuitiva del Logos interiore, il Figlio di Dio, da cui segue una conoscenza dell'unico vero Dio.
Il Gesù “storico” non può aver insegnato che la condizione indispensabile di salvezza fosse un'unione mistica con, o perfino la “fede in”, lui stesso. Infatti la fede in Gesù significava la fede nella sua divinità e nel suo potere salvifico. Ma nella pericope, Marco 10:17-22, Gesù, dopo aver recitato i comandamenti, dà chiaramente al giovane che lo aveva interrogato la comprensione che l'osservanza dei comandamenti non è sufficiente per la salvezza. Allo scopo di assicurarsi le vita eterna è necessario “seguire me”. E si insiste più perentoriamente sulla necessità nei versi 23-31. “Seguire Gesù” non può significare seguire il suo esempio, poiché ciò sarebbe semplice moralità, che era appena stata dichiarata insufficiente. E neppure può essere stato inteso letteralmente il “seguire”. Se Gesù credeva davvero che i soli mezzi mediante cui un uomo potesse assicurarsi la vita eterna fosse spogliarsi di tutto ciò che possedeva e seguirlo nei suoi vagabondaggi per la Galilea c'è una giustificazione per l'opinione di coloro che hanno pensato che egli fosse pazzo. La richiesta che ognuno che desiderasse seguirlo deve cominciare coll'impoverire sé stesso è irragionevole. La richiesta non è una richiesta eccezionale rivolta ad un particolare “uomo ricco”; infatti ai poveri discepoli (10:30) è promessa una “vita eterna” perché essi avevano “lasciato tutto” e seguito Gesù. Di nuovo, in 8:34, è detto che Gesù, avendo chiamato a sé la moltitudine, disse loro: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. In nessuno di quei casi le parole citate possono mai essere state pronunciate da qualche “maestro”. Esse sono le parole di uno scrittore cristiano. Compreso letteralmente, non c'è nessuna “realtà” nell'episodio del Giovane Ricco. Esso è parte di un'allegoria che è stata spiegata da W. B. Smith. [16] Il significato della richiesta è che l'ebreo dovrebbe rinunciare ai privilegi che erano il suo orgoglio e condividere col gentile — il povero — vale a dire, diventare un cristiano. [17]
In Matteo Gesù è stato umanizzato ed è divenuto un maestro nel senso più generale del termine. Il Logos Ermes, un altro Figlio di Dio, fu un “maestro”. Anch'egli insegnò “molte cose”, alcune delle quali davvero enigmaticamente, come sappiamo dal Corpus Hermeticum. Ma egli, al pari del Cristo gnostico, fu un Salvatore, ed egli insegnò, non la moralità, ma una tradizione mistica, come potremmo supporre era stato insegnato ai “perfetti” nella dottrina esoterica delle comunità cristiane gnostiche. 

NOTE

[15Giustino, Apol., 1:32 definisce il Logos il seme di Dio.

[16] Ecce Deus, pag. 98ss.

[17Confronta la storia dell'uomo ricco (l'ebreo) e Lazzaro (il gentile). I “molti beni” dell'ebreo sono ricordati in Romani 9:4-5.

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