sabato 26 agosto 2017

Cristo: Mito o Realtà ? (XVI)

(continua da qui)
Informazioni Da Fonti Non-Evangeliche
Gesù come rappresentato dagli evangelisti fu un uomo o un uomo-e-dio la cui azione generò un potente movimento popolare che dilagò per l'intera Palestina nei primi trent'anni del primo secolo della nostra era. Ma in quegli anni non ci fu un movimento del genere; Oppure se ci fu non fu ampiamente riflesso nella letteratura del tempo o nei ricordi delle persone di Palestina. 

Nel romanzo storico Figli di Lion Feuchtwanger Flavio Giuseppe, mentre viaggia in Palestina negli anni ottanta del primo secolo, cercò di raccogliere informazioni circa la persona che i Minei (o cristiani) adoravano come il Messia. Certamente siamo a che fare qui con un prodotto della fantasia dello scrittore. Tuttavia, in questo caso non abbiamo solo un lavoro di finzione, ma una ricostruzione storicamente plausibile degli eventi basata su un attento studio delle fonti originali. Noi faremo uso della narrazione di Feuchtwanger non come prova di qualche proposizione, ma esclusivamente a scopi di illustrazione. Nel libro di Feuchtwanger Flavio Giuseppe “supponeva di sapere tutto di coloro che erano stati portati in giudizio come falsi profeti negli ultimi dieci anni, ma circa il Gesù dei Minei lui non ne sapeva niente”. [32]

Giuseppe udì delle voci secondo cui “questo Gesù fu crocifisso sotto il governatore Ponzio Pilato”. [33] Lo storico ebreo dubitò parecchio di questo, infatti “la crocifissione fu una punizione eseguita solo dai Romani”. [34] Gli ebrei avrebbero optato per un'altra forma di esecuzione. Nella sua ricerca delle tracce di Gesù, Flavio Giuseppe fece indagini tra gli abitanti locali che avrebbero potuto o ricordare gli eventi relativi a Gesù oppure udire di loro dalla generazione che solo di recente era scomparsa. “Egli indagò qui e investigò là. Egli indagò a Nazaret, dove si diceva che quest'uomo fosse nato, e investigò sulle rive del Lago di Genesaret. Ma a Nazaret e sulle rive del Lago di Genesaret la gente disse 'Noi non sappiamo niente di lui', e a Magdala la gente disse: 'Noi non sappiamo niente di lui'. 'Noi non sappiamo niente di lui', disse anche la gente di Tiberiade e Cafarnao”. [35] Infine Flavio Giuseppe trovò un uomo che era capace di riferirgli qualcosa. Tachlifa, un cristiano di Cafarnao, disse che Cristo “operò segni e miracoli. Ma i teologi non vollero vedere questo, essi erano avidi e non vollero ammettere che mediante quei segni e miracoli il loro Yahweh venisse proclamato al mondo intero. Essi vollero mettere da parte Yahwhe come l'usurpatore mette da parte i suoi denari ricevuti in prestito”. Per questo Gerusalemme fu punita: essa fu distrutta per aver “assassinato il divino profeta e fallito di riconoscere l'unto”. [36] Quella fu tutta l'informazione che oricavò Flavio Giuseppe, e semplicemente cinquant'anni dopo il passaggio di eventi così epocali.

Fu probabilmente così nella vita reale: alla fine del primo secolo gli abitanti di Palestina, compresi scrittori e storici, non sapevano quasi niente circa Gesù Cristo. Questo è evidenziato anche dai materiali di Qumran.

A giudicare dal contenuto dei documenti finora decifrati e pubblicati, non vi è la minima traccia di alcun testo del Nuovo Testamento, nè alcuna menzione di Cristo o dei cristiani. 

Qumran è situata nell'immediata vicinanza delle località dove gli eventi principali descritti nei vangeli avrebbero dovuto verificarsi. I suoi abitanti appartenevano alla setta ebraica degli esseni i cui dogmi erano abbastanza vicini a quelli del cristianesimo. Membri della comunità di Qumran attribuivano grande importanza alle “scritture”, o manoscritti in cui esposero i principi che disciplinano la loro vita e la loro dottrina teologica ed etica. Al sito del loro insediamento sono state scoperte una grande biblioteca di questi manoscritti così come resti di “tipografie”, cioè luoghi dove erano copiati i manoscritti. E la vasta letteratura che è stata trovata non contiene alcun accenno a quei grandi eventi che, se si dovesse credere ai vangeli, accaddero solo dai trenta ai trentacinque anni prima in località situate a circa venti chilometri dalla comunità di Qumran.

È difficile immaginare che durante il periodo dei suoi viaggi in Palestina Gesù non visitò neppure una volta la regione dove si trovava la comunità essenica. Avrebbe potuto deliberatamente evitare la regione? E se sì, perché? Ciò è tanto più strano alla luce della somiglianza tra il suo insegnamento e l'intero spirito della dottrina e stile di vita degli esseni. Nei vangeli, si potrebbe ricordare, nulla è detto degli esseni, mentre  nella letteratura essenica niente è detto di Cristo. Che cosa può significare questo?

Negli scritti accademici ci sono molte ipotesi riguardo al perchè nei libri del Nuovo Testamento sono menzionati solo tre partiti politico-religiosi, i farisei, i sadducei e gli zeloti, mentre non è detta una parola circa la quarta setta, gli esseni. Alcuni studiosi spiegano questo dicendo che il Nuovo Testamento, in particolare i vangeli, parlano solo di quelle tendenze di cui Gesù era critico; quanto agli esseni, essi gli erano vicini nella loro prospettiva ed egli aveva loro in mente quando parlò dei giusti, dei poveri in spirito e così via. Ma è impossibile provare questo. Più probabilmente gli evangelisti non dissero niente sugli esseni perché non seppero niente di loro. Questo è abbastanza plausibile se assumiamo che gli evangelisti non furono abitanti nativi di Palestina o non vi avevano vissuto per nulla e semplicemente non sapevano abbastanza bene la vita religiosa e sociale della Palestina. Inoltre, dal momento che essi vissero e scrissero nella metà del secondo secolo, quando il movimento essenico aveva praticamente finito di esistere, essi avrebbero potuto ottenere informazioni su di esso solo dagli scritti di Flavio Giuseppe, Filone e Plinio il Vecchio, e quelli scritti o alcuni loro paragrafi potevano esser sfuggiti alla loro attenzione.

Qui siamo interessati, comunque, non tanto a quanto ne sapessero gli evangelisti circa gli esseni ma a quanto ne sapessero gli esseni a proposito degli evangelisti. E sembra che gli esseni, che vissero nel cuore della Palestina negli anni sessanta del primo secolo, non seppero niente circa Gesù Cristo o il movimento religioso e sociale che le sue azioni avrebbero originato. Quindi, Feuchtwanger aveva buoni motivi per considerare che in Giudea nella seconda metà del primo secolo pochi avessero conosciuto Cristo, le sue azioni e la sua tragica morte. Questo è ancora un altro indizio che gli eventi eccezionali e i grandi movimenti popolari che dovvrebbero essere stati associati a Gesù Cristo mancano di autenticità. Ma gli evangelisti descrivono proprio questi eventi e questo movimento!

Ora immaginiamo che io abbia un opponente che desideri dibattere questa questione.

Opponente: Osserviamo la questione da un nuovo angolo e consideriamo alcuni fatti che tu hai fallito di menzionare fin qui.

Noi sappiamo, per esempio, che la parola “Cristiano” non apparve prima della metà del secondo secolo, e non era il nome dei seguaci della nuova fede utilizzato quando parlavano di sé stessi. Era un nome attribuito loro da altri. Nei primi decenni dell'esistenza del cristianesimo i seguaci si chiamarono ebioniti; la parola “ebionita” è derivata dalla parola greca ebyōn che significa “povero”. È anche il nome usato dai qumraniti in riferimento a sé stessi. Quando il cristianesimo era già diffuso, tra i suoi numerosi rami ci fu una setta giudeo-cristiana che era esistita per parecchi secoli sotto il nome di ebionismo. Non possiamo rintracciare qui una linea diretta di evoluzione del cristianesimo nel suo complesso? I cristiani più antichi, da questo punto di vista, erano gli ebioniti di Qumran. Ad esser precisi, si trattava ancora di un cristianesimo non separato dall'ebraismo, ma dopotutto il cristianesimo fu in origine un giudeo-cristianesimo. Successivamente, nella misura in cui la nuova religione si diffuse tra i genili e il cristianesimo diventò separato dall'ebraismo, l'ebionismo cessò di essere il tronco principale della religione e si ridusse ad un suo ramo minore, ad una setta che infine si estinse. Se accettiamo questa versione delle origini del cristianesimo, molti dei tuoi argomenti non sono più validi.

In quel caso sarà visto che nei documenti di Qumran il cristianesimo apparve sotto il nome di ebionismo. L'argomento che Cristo fosse una figura mitica, che la sua immagine cambiò da quella di Dio a quella di un uomo, e non viceversa, in altre parole, che Cristo fosse inizialmente un Dio, è anche privo di fondamento. Il punto è che gli ebioniti consideravano Cristo non come un Dio, ma come un uomo. Essi respinsero, in particolare, la storia dell'immacolata concezione e credettero che Cristo fosse nato da genitori terreni, al pari di altri uomini. Che cosa puoi dire in opposizione a questa soluzione del problema?

Autore: Essa suona plausibile. Ma vediamo se sia basata su fatti incontrovertibili.

È vero che i qumraniti spesso si definivano ebioniti nei loro documenti, e consideravano la povertà una condizione necessaria per una vita pia. Si potrebbe assumere che il nome “ebionita” si riferisse a membri della comunità di Qumran, sebbene quello non fosse il loro unico nome. Ma gli antichi cristiani vennero a chiamarsi ebioniti? Questo è davvero dubbio.

L'espressione “i poveri” capita parecchie volte nel Nuovo Testamento, ma non denota alcuna fede religiosa. Per esempio, leggiamo: “...vendi tutto ciò che hai, e distribuiscilo ai poveri...”; “...quando fai una festa, chiama poveri...”; “...c'era un mendicante, di nome Lazzaro...”; e così via. È chiaro che in tutti questi casi si intende la povertà nel senso solito della parola. Non c'è alcuna prova che un riferimento venisse fatto qui a qualche stato confessionale. E non ci sono altri argomenti per sostenere l'idea che i primi cristiani si chiamassero ebioniti. La catena trinomiale di qumraniti→antichi cristiani→ebioniti è più debole al centro, sebbene il primo link non sia a sua volta davvero forte. Se ciò è così,  la concezione ebionita di Cristo come un semplice uomo potrebbe ben essere caratteristica non della prima fase della storia della leggenda, ma di una delle sue fasi successive. 

Opponente: Ecco qui un punto che vale la pena di considerare. Negli scritti dei Padri della Chiesa, che sono la fonte della nostra informazione circa l'ebionismo, si menzionano anche le eresie dei nazareni e degli elcasaiti, mentre non si fa alcuna netta distinzione fra quei tre rami del giudeo-cristianesimo. Nei vangeli Gesù stesso fu più volte chiamato un nazireo e un nazareno. Naturalmente i nomi non sono generati dal villaggio di Nazaret poiché il villaggio non esisteva allora e, grammaticalmente parlando, una simile derivazione della parola è improbabile. Ma cosa succede se ipotizziamo che, fin dall'inizio, i cristiani si chiamassero nazareni, che forse è la stessa cosa di chiamarsi ebioniti? In quel caso reggerebbe l'anello intermedio nella catena sopra menzionata.

Autore: Ancora tu stai parlando di qualcosa che è puramente ipotetico. Nei vangeli solo Cristo era chiamato un nazireo e un nazareno, ma i nomi non sono utilizzati per parlare dei suoi seguaci, nemmeno degli apostoli. E da dove fu preso il nome “nazireo”? Dal libro dei Numeri (6:2) nell'Antico Testamento:
Quando un uomo o una donna avrà fatto un voto speciale, il voto di nazireato, per consacrarsi al Signore ...”. Poi segue un elenco degli obblighi individuali che consistevano nella pratica di una vita ascetica. In altri due libri dell'Antico Testamento (Giudici e Amos) il nazireato è anche menzionato come un concetto secondo cui un nazireo era qualcuno eletto da Dio ed era particolarmente giusto. Più tardi anche tra gli antichi ebrei la parola significava apparentemente qualcuno scelto da Dio, un giusto e un asceta. Così è comprensibile che i primi cristiani dovessero chiamare con questo nome il fondatore reale o immaginario della loro religione.

Nella successiva tradizione ebraica Gesù fu spesso chiamato, non nazir, che significherebbe “Nazireo” nel senso descritto sopra, ma nozri, che significa un germoglio. Non sorprende che i rabbini rifiutassero di associare l'uomo Gesù Cristo all'onorata istituzione dell'Antico Testamento nota come nazireato; essi usarono un'altra parola nel parlare di Gesù, una parola associata al concetto di un germoglio, di un distacco, perfino di una deviazione.

Ma continuiamo la nostra discussione, che è stata interrotta
due volte dalle repliche dell'opponente.

Come sappiamo, non esiste una prova scritta contemporanea degli eventi descritti nei vangeli. È vero, va ricordato che un numero enorme di antichi documenti furono distrutti dalla chiesa e dal clero nel primo secolo della nostra era e ancora nel Medioevo. I rabbini fecero lo stesso, procedendo dalle loro considerazioni religiose. Un numero colossale  di manoscritti perirono nei fuochi che distrussero la famosa biblioteca di Alessandria. Con i suoi quasi 800.000 volumi, era probabilmente il più grande deposito di libri a quel tempo. E chi sa se contenesse materiali che, se fossero arrivati fino a noi, avrebbero risolto i nostri dubbi?

Poiché non sappiamo cosa c'era nei documenti che non furono sopravvissuti, non possiamo completamente escludere la possibilità che contenessero materiali circa il Cristo storico. Ma la ricerca non deve poggiare su ipotesi. La perdita di documenti preziosi è certamente da rimpiangere, ma il ricercatore deve concentrare la sua attenzione sull'analisi dei materiali che sono stati conservati. Se così, egli non può che essere impressionato dall'estrema scarsità di prove non cristiane circa Gesù; ed esse non si trovano nei documenti dove ci si potrebbe ragionevolmente aspettarsi di trovarle. Perchè, per esempio, la maggior parte delle fonti storiche relative al tempo di Gesù sono silenziose circa di lui e circa gli eventi a lui associati come riferiti nei vangeli?

Nel primo secolo della nostra era, nel tempo quando si potrebbe supporre che Gesù fosse vissuto, c'era già una ricca letteratura scritta in greco e latino sul territorio dell'Impero romano, e in ebraico e aramaico in Giudea. Essa comprendeva opere letterarie come pure storiche e filosofiche. A questo periodo appartennero diversi autori ebrei, fra i quali il filosofo Filone di Alessandria (54 E. C.) e gli storici Giusto di Tiberiade (seconda metà del primo secolo) e Flavio Giuseppe (37 dopo 100); il versatile scrittore greco Plutarco (40-120) e molti autori romani, tra i quali lo storico Tacito (54-119), Plinio il Giovane (61-113) e Svetonio (75), il filosofo Seneca (65) e i poeti Lucano (39-65), Persio (34-62) e Giovenale (45-130), il versatile scrittore e studioso Plinio il Vecchio (23-79) e numerose altre figure di letterati. Sarebbe ragionevole domandare che cosa quelli scrittori abbiano da dire, se qualcosa, circa Gesù, che fu un loro contemporaneo?

Da chi degli scrittori di cui sopra potremmo aspettare la prova storica più convincente circa Cristo? Ovviamente da coloro che vissero in Giudea, poichè essi avrebbero potuto essere testimoni oculari dell'attività di Gesù e degli eventi associati al suo martirio.

Ma non esistono tali informazioni. Ora andiamo alla generazione successiva, a coloro che avrebbero potuto ascoltare Cristo da testimoni oculari. Ma essi sono silenziosi sul soggetto. L'intero secolo era silenzioso.

Prendi uno degli scrittori di quel periodo, Giusto di Tiberiade, autore di una serie di opere storiche tra cui una storia dei re di Giudea fino ad Agrippa II (metà del primo secolo). Ci si potrebbe aspettare che essa contenga descrizioni dei regni di Erode “il Grande” e di Erode Antipa che coincidevano nel tempo colla vita e l'azione di Gesù Cristo secondo la tradizione cristiana. Giusto avrebbe certamente scoperto l'attività di Gesù, soprattutto perché Tiberiade, città natale di Giusto, distava a pochi chilometri da Cafarnao dove, secondo i vangeli, si svolsero un numero di eventi importanti nella vita di Gesù. Sfortunatamente, non una sola riga degli scritti di Giusto ci sono pervenuti. Poteva essere che nei suoi scritti avremmo trovato la testimonianza fondamentale di un testimone oculare?

La risposta è no. Non si parla di Cristo e della sua attività nelle opere di Giusto. Lo sappiamo dal patriarca bizantino Fozio del nono secolo. Egli possedeva una grande biblioteca e ci aveva lasciato non solo un catalogo dei suoi libri ma anche un gran numero di estratti da 279 di loro su vari argomenti; ad alcuni di questi estratti aveva aggiunto le sue  osservazioni e note personali. La sua biblioteca conteneva una copia della Storia dei Re di Giudea di Giusto, e in essa Giusto non disse nulla circa Gesù, un fatto che sollevò un'osservazione critica da parte del patriarca.

Opponente: Per quanto riguarda Giusto il tuo argomento può essere confutato. Nel 1964 fu pubblicata un'iscrizione dall'isola di Chio in onore di Giusto lo storico. Vi è riportato che oltre ad altri titoli onorari a Giusto si donò la cittadinanza della città di Efeso (in Asia Minore). Questo potrebbe significare che anche se Giusto o i suoi genitori fossero nativi di Tiberiade, Giusto visse tutta la sua vita non in Palestina ma in Asia Minore. In quel caso il tuo argomento sul “testimone” che fallì di confermare l'esistenza del Cristo storico non regge più. Il motivo è semplicemente che Giusto non avrebbe potuto essere un testimone simile.

Autore: Sfortunatamente, la tua obiezione non è un'obiezione valida. Il titolo onorario di cittadino di Efeso non indica che il suo destinatario deve necessariamente aver vissuto tutta la sua esistenza in quella città. Secondo il Nuovo Testamento, l'apostolo Paolo era cittadino di Roma, ma questo non significa che Paolo non avrebbe potuto passare un certo periodo della sua vita in Asia Minore e in Palestina. Giusto poteva essere stato molto onorato dai cittadini di Efeso per i suoi successi letterari. Sappiamo, per esempio, che la città di Efeso aveva ricche tradizioni letterarie e filosofiche.

Ci si potrebbe forse aspettare di trovare qualche materiale sulla questione che ci interessa negli scritti dell'antico filosofo ebreo, teologo e figura politica, Filone. Ciò non sarebbe la testimonianza di un testimone oculare dal momento che Filone visse tutta la sua vita nella città egizia di Alessandria, e non in Palestina. Ma gli ebrei che vissero nella Diaspora avrebbero naturalmente sentito parlare di eventi, anche quelli di minore importanza, che avvennero nella loro patria. E Filone non fu isolato dai suoi connazionali ma coltivò un attivo interesse alla loro vita. Ad esempio, egli guidò una delegazione ebraica a Roma per presentare una petizione all'imperatore Caligola in relazione agli affari degli ebrei di Alessandria. Il nome di Ponzio Pilato, che secondo i vangeli, svolse un ruolo fatale nella vita di Gesù, fu menzionato diverse volte nelle sue opere. Filone descrisse in notevole dettaglio la setta palestinese degli esseni e la setta ebraica dei Terapeuti che era allora diffusa in Egitto. Entrambe erano simili al cristianesimo primitivo in termini di dogmi e di rituali. Negli scritti di Filone troviamo anche informazioni circa diverse sette ebraiche, ad esempio i Cainiti. Ma non c'è nessuna menzione di Cristo o del cristianesimo.

Questo è tanto più notevole dal momento che Filone stesso, grazie alle sue inclinazioni spirituali, simpatizzava per gli insegnamenti e movimenti religiosi e filosofici del suo tempo. La sua dottrina filosofica e teologica aveva offerto molto materiale alla formulazione dei dogmi del primo cristianesimo. Engels infatti chiamò Filone il padre del cristianesimo. Eppure questo padre non sapeva nulla della sua progenie o di una figura così importante nella nuova religione come Gesù Cristo.

Lo stesso, o quasi lo stesso, si può dire del filosofo romano Seneca. La vicinanza ideologica di Seneca con il cristianesimo antico è indiscutibile. Engels lo definì lo “zio del cristianesimo”. [37] Secondo la tradizione cristiana, come ricordata anche negli Atti, c'erano molti cristiani a Roma già all'inizio della seconda metà del primo secolo. E fu a Roma che gli apostoli Pietro e Paolo subìrono il martirio negli anni sessanta, al tempo in cui Nerone perseguitò il cristianesimo su vasta scala. Eventi di questa natura non potevano esser sfuggiti all'attenzione di Seneca che era una figura attiva nella vita sociale e letteraria del suo tempo. Egli avrebbe indubbiamente sentito molto su Cristo anche dai cristiani se, cioè, ogni cosa accadde come prevedeva la tradizione cristiana. Ma Seneca non disse niente di Cristo o dei cristiani.

È vero, c'è una serie di documenti in cui Seneca parlò diffusamente della sua opinione su Cristo. Quelli sono le sue corrispondenze con l'apostolo Paolo. Ma neppure i teologi dubitano che si tratta di falsificazioni fabbricate nel Medioevo.

Ci sono altri documenti relativi a questo argomento, che sono a loro volta indubbiamente non autentici. Tra gli altri, potremo citare qui il Rapporto di Ponzio Pilato all'Imperatore Claudio, la corrispondenza di Agbar re di Edessa con Cristo e con l'imperatore Tiberio, e il cosiddetto vangelo tibetano.

Di particolare interesse in questa connessione sono frammenti di opere degli storici romani Svetonio e Tacito e dello scrittore ebreo Flavio Giuseppe. Svetonio menziona Cristo nei suoi Dodici Cesari, e Tacito, nei suoi Annali. Entrambe le opere furono scritte durante il secondo decennio del secondo secolo. Il riferimento a Cristo in quelle opere diventò il soggetto di numerosi studi analitici e critici.

Svetonio scrive che “poichè gli ebrei a Roma causavano continui disturbi su istigazione di Chrestus [impulsore Chresto] egli [l'imperatore Claudio] li espulse dalla città”. [38] Nell'interpretare questo passo noi dobbiamo tener conto di una serie di circostanze che gettano un dubbio considerevole sul suo significato preciso.

Claudio fu imperatore dal 41 al 54 E.C., che significa che egli diventò imperatore otto anni dopo che è detto che Gesù era morto. Questa circostanza da sola rende dubbio il fatto che la persona menzionata nel passo citato sopra sia Gesù. E supponendo che Gesù visse per qualche tempo a Roma, questo metterebbe in discussione la validità dei vangeli dove è detto che Gesù trascorse tutta la sua vita in Palestina. Naturalmente, le parole “su istigazione di Chrestus” possono essere interpretate come un riferimento all'influenza delle idee di Cristo sul corso degli eventi. Ciò significherebbe che dieci anni dopo la morte di Gesù c'era già una comunità dei suoi seguaci a Roma che furono espulsi dalla città per aver provocato disturbi. Il fatto che gli ebrei, non i cristiani, furono menzionati nel passo, non rende meno plausibile questa spiegazione. Infatti i romani in quel tempo non avrebbero potuto distinguere tra cristiani ed ebrei.

Dovremmo attribuire grande importanza al fatto che Svetonio non parla di Cristo, ma di Chrestus? Da una parte, questo sembra irrilevante, perché nei nomi greci di quel periodo le vocali “e” ed “i” erano spesso intercambiabili. D'altra parte, il nome Chrestus era molto comune, specialmente fra gli schiavi liberati di Roma. Quindi, il passo di Svetonio potrebbe ben riferirsi ad un altro Chrestus che aizzò i suoi compatrioti a Roma.

Il riferimento a Cristo negli Annali di Tacito è ancora più dubbio. Tacito ci racconta di un grande incendio che distrusse quasi tutta Roma nel 64 E.C.. Secondo alcune voci, il fuoco fu provocato da Nerone stesso per poter godere della vista di una grande calamità. L'imperatore decise di attribuire la colpa dell'Incendio sui cristiani. Tacito scrive:
Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale pratica religiosa di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso. Inoltre, è detto che fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio, quanto per odio del genere umano. I condannati furono messi a morte con vari mezzi crudeli; alcuni diventarono torce viventi che illuminarono il parco di Nerone durante la notte. Secondo Tacito, i cristiani meritarono la punizione, ma egli espresse disgusto al fatto che essi furono sterminati non per il bene comune, ma per la ferocia di un solo uomo. [39]

Dovremmo considerare questo passo di Tacito genuino oppure un'interpolazione posteriore? La disputa su questa questione continua ancora oggi. Non andiamo nei vari argomenti proposti a favore di una tesi particolare, poiché questa questione non è di grande significato sul nostro soggetto. Tra l'altro, non è impossibile che questo passo fosse stato scritto da Tacito stesso, anche se molti scrittori hanno espresso seri dubbi su questo.

Ciò che è di importanza decisiva qui è qualcosa di diverso, e questo vale altrettanto per Svetonio. Entrambi questi storici hanno scritto le loro opere più di ottant'anni dopo la presunta morte di Cristo. A quel tempo, nessun contemporaneo di Gesù, nessun testimone oculare delle sue attività, sarebbe stato ancora vivo. Svetonio e Tacito appartenevano già alla terza generazione, se consideriamo i contemporanei di Cristo la prima generazione. Era perciò impossibile che Svetonio e Tacito ricavassero informazioni sugli eventi che descrissero da contatti personali con persone che erano vissute al tempo in cui avvenne l'evento.

All'inizio del secondo secolo c'erano già molti cristiani che trasmisero oralmente le tradizioni e leggende che circondavano la morte di Gesù. Sia Svetonio che Tacito potevano derivare le loro informazioni solo da questa tradizione orale — nessun'altra fonte era loro disponibile. A questo proposito la loro posizione non era molto meglio delle nostre.

Ma forse entrambi quelli autori avevano usato documenti dagli archivi romani? Alcuni ricercatori, nel tentativo di provare l'autenticità delle informazioni di Tacito, mantengono che lo storico fece uso di tali documenti. Essi puntano al fatto che Tacito aveva come suo patrono il noto funzionario romano Cluvio Rufo, che occupò il posto di console sotto l'imperatore Caligula ed ebbe libero accesso ai protocolli del Senato. Ma una maggioranza di storici, compresi quelli che riconoscono la storicità di Cristo, negano fortemente l'ipotesi che la fonte originaria dell'informazione di Tacito fossero documenti di archivi.

È improbabile che il Senato Romano avrebbe ricevuto dalla provincia lontana e non molto importante di Giudea una relazione sulla condanna a morte di un artigiano della Galilea. “Questa condanna a morte”, dice Drews, citando Johannes Weiss, “era solo una di numerose condanne a morte che venivano eseguite a quel tempo dalle autorità provinciali romane, e sarebbe stato più straordinario se essa fosse stata notata in un documento ufficiale”. [40] Più di un centinaio di anni fa, quando discusse questo soggetto, Bruno Bauer citò con qualche sarcasmo la prova offerta da Tertulliano, il quale rimandò tutti quelli che dubitavano della veridicità dei vangeli agli archivi storici di Roma. Questo Padre della Chiesa ci assicurò che potremmo trovare informazioni sull'eclissi solare che si verificò su tutto il globo alla morte di Gesù....

Secondo gli specialisti della storiografia antica, nessuna ricerca archivistica fu condotta nei tempi antichi. Non c'è nessuna prova di sorta per sostenere la tesi che Tacito avesse in qualsiasi momento utilizzato documenti dagli archivi. È molto improbabile che Tacito si rivolgesse a materiale d'archivio  per la sua breve descrizione della persecuzione dei cristiani sotto Nerone, materiale che non usò mai nel trattamento di soggetti di maggiore importanza per lui.

Un problema ancora maggiore è presentato da un brano in Antichità degli Ebrei di Flavio Giuseppe. Il passo recita: “Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denuncia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani”. [41] Qui, sembrerebbe, possediamo una prova chiara, non ambigua. È vero, essa non fu il resoconto di un testimone oculare degli eventi, perché fu scritta sessant'anni dopo. Ma anche una prova simile sarebbe di notevole valore storico — se, cioè, un'analisi approfondita del brano non dia luogo a seri dubbi sulla sua autenticità.

I ricercatori hanno da tempo notato che Flavio Giuseppe, che è noto per essere stato un seguace dell'ebraismo per tutta la sua vita, in questo brano sembra essere un cristiano. Se Giuseppe, un pio fariseo, dovesse scrivere qualcosa su Gesù, senza dubbio lo condannerebbe come un bestemmiatore e un impostore che meritò la pena crudele riservatagli. Ma nel brano appena citato abbiamo qualcosa piuttosto del contrario. E anche il punto dove si presenta questo brano nell'opera di Flavio Giuseppe solleva interrogativi. Flavio Giuseppe descrisse in dettaglio alcuni eventi insignificanti che accaddero a Gerusalemme, eventi che non ebbero gravi conseguenze. E poi, come se di passaggio, egli riportò in solo poche righe gli atti di Gesù che a quanto pare avevano provocato un grande movimento sociale; e quelle righe non hanno alcuna connessione apparente con ciò che li precede oppure che li segue. Tutto questo è diverso dallo stile letterario di Flavio Giuseppe, che è caratterizzato da una notevole compattezza e coerenza. 

Il brano sopra citato appare in tutti i manoscritti dell'Antichità degli Ebrei che ci sono giunti fino a noi. Nella maggior parte dei manoscritti esistenti di un'altra opera di Flavio Giuseppe, la Guerra Giudaica, non c'è nessuna menzione di Gesù, ma cinque di loro contengono proprio il brano a cui siamo interessati qui. Il brano appare in punti differenti nei manoscritti: in un manoscritto dell'11-esimo secolo appare alla fine; in un manoscritto del 14-esimo secolo si trova all'inizio, e in un manoscritto del 15-esimo secolo è nel mezzo. In quest'ultimo il brano contiene, oltre al testo che si trova in tutti gli altri manoscritti, circa una dozzina di righe in cui viene predetta la seconda venuta di Gesù. A quel tempo “tutti i giusti e i malvagi saranno giudicati secondo la parola di Dio, poiché il Padre lo [Gesù] aveva costituito giudice”. [42] Tuttavia, il fatto che il brano si presenta in punti diversi nei manoscritti è prova sufficiente che fu aggiunto da copisti che avevano deciso per loro conto dove dovrebbe essere posto.

Alcuni studiosi hanno cercato di risolvere diversamente l'enigma circa questo brano. Essi sostennero che il brano fosse parte dell'Antichità degli Ebrei e fosse stato scritto da Flavio Giuseppe in persona, ma che in un primo momento non aveva tali elementi di glorificazione di Gesù come sono presenti nella versione che è giunta fino a noi; quelli elementi furono interpolati più tardi nel testo dai copisti cristiani. Quest'interpretazione sembra aver ricevuto qualche sostegno documentario nel nostro tempo. Nel 1911 il passo in questione è stato trovato in un manoscritto arabo cristiano dell'11-esimo secolo. Il testo differisce notevolmente da quello noto in precedenza. Per qualche ragione il nuovo testo scoperto attirò poca attenzione dagli studiosi a quel tempo, ed è solo negli anni settanta che venne ad essere considerata una dimostrazione importante del fatto che Flavio Giuseppe sapesse di Cristo e scrisse su di lui. Il testo trovato nel manoscritto dell'11-esimo secolo recita come segue:
ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù; egli dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso ed aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono alla sua dottrina e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo ed era forse il Messia del quale i profeti hanno detto meraviglie”. [43]  Non risulta da questo testo che Flavio Giuseppe considerasse definitivamente Gesù come il Messia. Probabilmente egli non avrebbe nemmeno pensato a questa possibilità. Ma non si può escludere che quello che abbiamo qui sia un testo “scheletrico” della versione originale scritta da Flavio Giuseppe e che fu successivamente modificato dai copisti cristiani secondo la loro fede. Anche supponendo che questo sia il caso, come può aiutare a risolvere la questione della storicità di Cristo?

Una simile supposizione, senza dubbio, rafforzerebbe la posizione di coloro che appartengono alla scuola storica, ma solo in misura minima. L'opera Antichità degli Ebrei fu scritta all'incirca nel 94 E.C. A quel tempo aveva preso forma una definita tradizione cristiana, da cui egli avrebbe potuto ottenere le sue informazioni.

Non esiste nessun bisogno reale di ricercare una prova della storia di Cristo nei vangeli. Molti degli eventi ivi descritti  che sono pesumibilmente collegati alla vita di Gesù sarebbero certamente stati notati dagli abitanti non solo di Palestina ma anche di altre regioni. L'eclissi solare durata tre ore che si suppone avesse luogo in tutto il mondo quando Cristo fu crocifisso deve aver impressionato ovunque l'immaginazione di persone, e potremmo aspettarci di trovarla menzionata nei ricordi dei contemporanei. Non solo Plinio il Vecchio, un osservatore della natura che ci lasciò una descrizione di tutti i notevoli fenomeni naturali a cui aveva assistito, ma anche molti altri autori del tempo avrebbero scritto su un simile evento straordinario. Lo stesso si può dire del grande terremoto che segnò la morte di Cristo l'uomo-e-Dio. E anche alcuni avvenimenti meno significativi descritti nei vangeli non avrebbero potuto eludere l'attenzione dei contemporanei.

Eppure sarebbe sbagliato dire che nessuno degli eventi associati a Gesù avrebbe potuto aver luogo. I miracoli raccontati nei vangeli sono ovviamente fantasiosi: né il grande terremoto né l'eclissi solare universale avrebbero potuto verificarsi al momento della morte di Gesù. E andremo al di là dei limiti dell'obiettività scientifica se volessimo insistere nel trovare una prova di quelli eventi nella letteratura di quel tempo. Lo stesso vale per le informazioni su eventi naturali ma improbabili, in particolare il massacro dei bambini eseguito per ordine di Erode.

Molto è conosciuto sulla crudeltà di Erode il Grande, che fu in realtà un tiranno sanguinario. Ma sembra improbabile che perfino Erode avesse ordinato lo sterminio di tutti i bambini maschi di un intero villaggio. Su questo soggetto gli storici sembrano essere entrati in una cospirazione del silenzio. Ma quello che forma lo scheletro delle narrazioni evangeliche consiste di eventi naturali (non soprannaturali). Essi sono: la predicazione di Gesù in Palestina e Galilea e il movimento popolare da essa originatasi; la reazione verso di essa da parte degli ambienti superiori della società ebraica e dell'amministrazione romana, l'arresto, il processo e la morte di Cristo; e il movimento che emerse subito dopo la sua morte e portò al sorgere di una nuova religione.  Quelli eventi potrebbero ben essere accaduti. Ci si aspetterebbe di trovare riferimenti ad essi nella letteratura del primo secolo della nostra epoca. E se non esistono tali riferimenti, molto probabilmente gli eventi non accaddero.

Nel primo secolo A.E.C. e nel primo secolo della nostra era ci fu una comunità religiosa di settari ebrei come la setta di Qumran, una dei rami degli esseni. Il suo insediamento era situato sulla riva rocciosa nord-occidentale del Mar Morto, a venti chilometri da Gerusalemme. Nel 68 E.C., sotto la minaccia di un attacco delle truppe romane, i membri di questa comunità abbandonarono il loro insediamento, dopo aver nascosto in una grotta vicina numerosi manoscritti che erano ovviamente di grande valore per loro. Tra loro c'erano vecchi libri e commentari (midrashim) dell'Antico Testamento, inni di ringraziamento, documenti relativi all'amministrazione e organizzazione della comunità e così via. Tutti quei manoscritti erano rimasti sotto terra fino al 1947 quando un pastore arabo si avvicinò a una delle grotte e trovò i manoscritti nascosti. Ne seguì un'intensa ricerca che condusse alla scoperta di decine di migliaia di frammenti di pergamena e frammenti di papiro di testi in ebraico e aramaico e tanti altri interi manoscritti. Gli studiosi si ritrovarono ad affrontare un compito più complesso di compilazione e decifrazione dei testi, traducendoli e pubblicandoli.

Ad oggi è stata pubblicata solo una parte relativamente insignificante dei materiali scoperti. Le difficoltà sorgono non solo dalla complessità del lavoro stesso. Il fatto è che la maggior parte degli studiosi che partecipa all'opera sono membri del clero di una o di un'altra religione oppure sono almeno non indifferenti agli interessi della religione. Il loro pregiudizio religioso è stato una delle ragioni principali per cui la pubblicazione dei manoscritti è stata ritardata. In ogni caso, molti dei documenti sono ancora inaccessibili agli studiosi. Così al presente siamo in grado di stimare il contenuto dei testi qumranici solo sulla base di quella parte che è stata pubblicata.

Alcuni dei documenti contengono riferimenti brevi ed enigmatici ad un maestro di giustizia. Nel commentario al libro di Abacuc dell'Antico Testamento, egli è menzionato sette volte, e nel cosiddetto Documento di Damasco, anche sette volte; viene menzionato una volta nel commentario agli inni e una volta in un frammento di un commentario al Libro di Michea. Ecco un esempio. Abacuc (2: 2) recita: “...
perché la si legga speditamente”. Dopo questo c'è il commento: “Con questo si intende il maestro di giustizia a cui Dio ha rivelato tutti i segreti delle parole pronunciate dai suoi servi, i profeti”. [44] Altri riferimenti al “maestro” non sono meno laconici e vaghi.

Se esaminiamo tutti i riferimenti al maestro di giustizia che si trovano nei documenti di Qumran pubblicati, otteniamo l'immagine di un leader e forse anche del fondatore della comunità di Qumran. Era un profeta costituito espressamente da Dio. A lui Dio spiegò i segreti più nascosti di tutte le profezie dell'Antico Testamento e rivelò quando sarebbe arrivato il Giorno del Giudizio. Non è chiaro se i membri della comunità di Qumran lo considerassero il Messia oppure un araldo del Messia; in ogni caso, era considerato un intermediario tra Dio e gli uomini. Il maestro fu perseguitato spietatamente da un “sacerdote malvagio”“menzognero”, e un gruppo di persone indicato come “la casa di Absalom” fu accusato di rimanere inerte “nell'ora della tribolazione”. [45] Nel Documento di Damasco la morte del maestro è menzionata due volte, anche se non ci viene detto se sia stata una morte violenta o naturale. Poiché altrove nei documenti è detto che lui è stato perseguitato, si potrebbe supporre che la sua fosse stata una morte violenta. C'è stato un dibattito tra gli studiosi sulla questione se i membri della comunità di Qumran aspettassero la seconda venuta del maestro. È abbastanza possibile che essi pensassero che egli non fosse morto ma che fosse andato in esilio (indizi circa la sua morte sono alquanto vaghi) e stavano aspettando il suo ritorno.

Quando i testi nei quali è menzionato un maestro di giustizia furono pubblicati la prima volta, destarono sensazionalismo. Alcuni studiosi pensarono che alla fine avevamo documenti, oltre ai vangeli, che contenessero informazioni storiche circa Cristo. Ma presto sorsero dubbi sul fatto che il maestro di giustizia potesse essere identificato con Gesù Cristo.

In molti modi il dogma della comunità di Qumran coincide con quello del cristianesimo primitivo. Entrambe le sette si originarono nell'ebraismo e vi introdussero cambiamenti radicali, e i cambiamenti sono simili in parecchi modi. Entrambe credevano che la venuta del Messia così come il Giorno del Giudizio fossero vicini. Dopodichè la giustizia, la pietà e la luce finalmente trionferanno sulla trasgressione della Legge, la malvagità e l'oscurità. In entrambi i casi, la figura centrale era un'asceta, colui che fu inviato da Dio e perseguitato dai seguaci dell'oscurità e dell'empietà. Entrambi i settari di Qumran e i primi cristiani difesero la povertà e la proprietà comune e credevano che la ricchezza e i ricchi dispiacessero a Dio. Esistono anche paralleli nei rituali delle due sette: entrambe respingevano il rito dell'offerta degli animali sacrificali; entrambe praticavano un'abluzione rituale (il battesimo fra i cristiani) e la condivisione di pasti comuni. Questi paralleli suggeriscono che i qumraniti potrebbero essere considerati i primi cristiani. In quel caso il maestro di giustizia poteva essere identificato con Gesù Cristo. Tuttavia, tale identificazione è resa impossibile a causa di alcune differenze essenziali tra l'essenismo di Qumran e il cristianesimo.

Il cristianesimo fu la prima religione che pretese di avere un seguito universale e cosmopolita. La setta di Qumran, d'altra parte, era un'organizzazione chiusa che custodiva il segreto della sua dottrina e intendeva diffonderla solo tra gli ebrei. Il cristianesimo predicò la non-resistenza al male, mentre i settari di Qumran erano profondamente impegnati nella lotta contro i “figli delle tenebre” e aspettavano solo un segno per muovere guerra contro di loro. Il cristianesimo prese un'attitudine piuttosto liberale verso le regole dell'Antico Testamento e le ingiunzioni relative ai reati, mentre i settari di Qumran le osservavano alla lettera più degli ebrei ortodossi. Erano particolarmente severi nell'osservanza del sabato, che non è considerata obbligatoria nei vangeli. Il cristianesimo non prescrisse il celibato tra i suoi seguaci, mentre i settari di Qumran apparentemente lo praticavano. Infine, la comunità di Qumran aveva un'organizzazione gerarchica, mentre nelle antiche comunità cristiane l'uguaglianza era la regola.

Opponente (interrompendo): le differenze che hai menzionato si applicano al cristianesimo quando esso fu già formato da un credo. Ma gran parte di quello che hai detto non si applica ad una fase precedente del suo sviluppo. Per esempio, anche l'Apocalisse è ricolma d'odio per i nemici, proprio come i documenti di Qumran. E come tali opere, l'Apocalisse era destinata agli ebrei. Non è possibile che lo spirito del cristianesimo nella sua fase iniziale somigliasse strettamente a quello dei testi di Qumran, e solo dopo, fin dalla fine del primo secolo della nostra era, il cristianesimo prese la forma che lo rese essenzialmente diverso dall'essenismo di Qumran?

Autore: È possibile. Ma allora dovremmo datare la storia del cristianesimo non dal primo secolo E.C. ma da prima ancora, almeno dal secondo secolo A.E.C. Ovviamente, dipende molto dall'approccio personale: si può, se lo si desidera, considerare questo periodo la preistoria del cristianesimo, oppure si può considerarlo l'inizio della storia del cristianesimo. Ma vediamo dove la tua ipotesi ci porterebbe riguardo la figura di Gesù Cristo.

Secondo la maggior parte dei ricercatori, i più importanti documenti della comunità di Qumran risalgono almeno alla metà del primo secolo A.E.C. Ciò significa che tutti i riferimenti al maestro di giustizia precedono di almeno cento anni il tempo in cui presero forma il Nuovo Testamento e la tradizione cristiana. Se è così, è assolutamente impossibile considerare il maestro di giustizia e Gesù Cristo come la stessa persona.

Opponente: È impossibile solo se si associa strettamente la figura di Gesù Cristo col Nuovo Testamento in termini di cronologia e in tutti gli altri aspetti. Ma invece di far questo si potrebbe assumere che gli evangelisti si siano basati su una persona  reale che visse cento o perfino duecento anni prima della nascita della tradizione  del Nuovo Testamento e che il suo ritratto dato dai vangeli contenesse già aspetti scaturiti dalla fantasia su un periodo successivo di molti anni alla sua morte.

Autore: Piuttosto possibile. Ma noi non stiamo parliando circa qualche persona in generale, ma circa qualcuno che fu un personaggio centrale di alcune opere storiche e di un'intera tradizione, in altre parole, circa Gesù Cristo. Se troviamo una persona reale chiamata Gesù e che visse in un tempo e in concrete circostanze storiche corrispondenti ai racconti del Nuovo Testamento, allora possiamo dire che questo è il Gesù storico che stavamo cercando. Ma se i racconti del Nuovo Testamento sono basati su una persona che visse in un tempo diverso e in circostanze storiche diverse e che aveva perfino un nome diverso, allora ovviamente non abbiamo trovato la persona che stavamo cercando. È concepibile che i ricordi circa il maestro di giustizia diventassero una delle fonti della leggenda di Cristo. Non segue da questo, però, che essi fossero la stessa persona. Fra l'altro, alcuni studiosi hanno espresso l'opinione che lo stesso maestro di giustizia potrebbe essere una figura mitica.

Dal 1965 si ritenne possibile identificare Gesù Cristo con un'altra persona che fu brevemente citata in alcuni dei testi di Qumran, vale a dire il re Melchisedec. Fu pubblicato un documento di Qumran che si potrebbe chiamare provvisoriamente il “Midrash di Melchisedec”. Esso fu recuperato in uno stato davvero cattivo; consisteva di tredici frammenti che, grazie al lavoro faticoso degli studiosi, furono disposti assieme per formare una sorta di testo fluente, sebbene ci siano ancora delle lacune. Si pensa di datare indietro il documento al principio del primo secolo A.E.C. Contiene profezie sulla fine incombente del mondo e sul ruolo che un Melchisedec deve svolgere nel dramma imminente. Melchisedec è raffigurato come personaggio maestoso e esaltato: egli è giudice supremo, vendicatore di ogni male, proclamatore dell'imminente salvezza del giusto e figura principale nell'atto di salvezza, il Messia, il redentore e il capo dei “figli della luce” nella battaglia finale contro i “figli dell'oscurità”.

Il nome Melchisedec non è del tutto sconosciuto. Esso è menzionato due volte nell'Antico Testamento. Nella Genesi, Melchisedec è il re di Salem (probabilmente Gerusalemme più tardi), il “sacerdote dell'Altissimo” (14:18). In uno dei salmi (110:4) Dio parla di un
sacerdote per sempre al modo di Melchisedec”. Nel Nuovo Testamento Melchisedec ppare solo nell'epistola agli Ebrei, il cui autore più volte si riferisce all'“ordine di Melchisedec”, avendo in mente lo stesso re di Salem. Mentre mostrano grande rispetto per Melchisedec, l'autore non offre nessun chiaro indizio della relazione di quest'ultimo con Gesù Cristo o qualsiasi altro personaggio. Quindi Melchisedec rimane una figura misteriosa che consente ad alcuni teologi cristiani di identificarlo con Gesù Cristo o almeno di suggerire che tale identificazione sarebbe legittima.

In un'edizione polacca della Bibbia pubblicata nel 1965 il testo su Melchisedec è accompagnato da questa nota: “Il misterioso re pagano di Salem è in realtà il sacerdote del vero Dio, l'immagine di Cristo nel salmo messianico 110:4 e nell'Epistola agli Ebrei”. [46] Se Gesù Cristo è identificato con Melchisedec, allora il sopra-menzionato Midrash di Qumran può essere considerato la prova più antica in nostro possesso sul fondatore del cristianesimo e, ciò che conta di più, una prova da una fonte completamente nuova. Ma ci sono motivi per una tale identificazione?

Se trascuriamo le tradizioni teologiche nell'interpretazione dei testi biblici e guardiamo la questione in modo oggettivo, otterremo un quadro piuttosto inaspettato.
 
Nel testo originale ebraico del libro della Genesi, Melchisedec non è presentato come “sacerdote del Dio altissimo”, ma come sacerdote di El-Elion. La parola “elion” fu ritenuta dai traduttori della Bibbia un attributo che significa “supremo”, “il più alto”. Tale interpretazione deve essere considerata dubbia in quanto contrasta con l'intera concezione dell'Antico Testamento secondo la quale Abramo e la sua famiglia soltanto conoscevano la religione del Dio rivelato. E qui abbiamo un re “pagano” che non solo professava questa religione, ma figurava anche tra i  sacerdoti del “più alto”. I teologi potrebbero uscire da questa difficoltà solo suggerendo che la situazione è una situazione misteriosa. In realtà, però, le cose sono molto più semplici e non c'è affatto alcun mistero qui.

La parola “elion” non è un aggettivo ma parte del nome del dio pagano El Elion, un nome ben noto nella storia della religione. Nei testi scoperti a Ras-Shamra e in altri luoghi negli anni 30 il nome Melchisedec, uno dei tanti dèi dell'antico pantheon cananeo, è menzionato più di una volta. Nel Libro della Genesi, si parla di Melchisedec come di un sacerdote di El-Elion e non come un ebreo o qualsiasi altro “più alto Dio”. Quindi, Gesù non ha apparentemente nulla in comune con lui. È vero, i settari di Qumran, naturalmente, avrebbero potuto considerarlo il servo del “più alto” e identificato col loro profeta e maestro.

 Il nome di Melchisedec, che significa “re di rettitudine” o “re di giustizia”, ha qualcosa in comune con more hassedeq, o maestro di giustizia. Forse nelle menti dei settari di Qumran l'immagine di Melchisedec era legata al maestro di giustizia. Ma questa circostanza non può avere alcun effetto sulla questione se Gesù è un personaggio storico oppure mitico. A parte le ipotesi teologiche, non ci sono argomenti per sostenere la tesi secondo cui qualche relazione stretta esistette tra Melchisedec e Cristo, tanto meno il loro essere la stessa persona.

Ora si consideri una serie di concezioni che si basano su un terreno più solido.

NOTE

[32] Lion Feuchtwanger, Figli, Mosca, 1938, pag. 309 (in una traduzione russa).

[33] Ibidem.

[34] Ibidem.

[35] Ibid., pag. 310.

[36] Ibid., pag. 312.

[37] K. Marx, F. Engels sulla Religione, Mosca, 1981, pag. 171.

[38] Caio Svetonio Tranquillo, I Dodici Cesari, s.l., 1984, pag. 176.

[39] Tacito P. Cornelio, The Annals and the Histories, Chicago, 1952, 15:44, pag. 168.

[40] Arthur Drews, Il Mito di Cristo, Volume 1, Mosca, 1924, pag. 75 (in una traduzione russa).

[41] The Works of Flavius Josephus, the Learned and Authentic Jewish Historian and Celebrated Warrior, Londra, 1825, Volume 2, pag. 586. 

[42] Citato da N.V. Rumyantsev, “Flavio Giuseppe su Gesù e Giovanni il Battista”, Ateist, Numero. 36, 1929, pag. 38.

[43] Si veda Vestnik drevnei istorii, Numero 2, 1973, pag. 180.

[44] Teksty Kumrana, Edizione 1, Mosca, 1971, pag. 154.

[45] Ibidem.

[46] Piśmo swięte Starego y Nowego Testamentu, Poznan, 1965, pag. 34.

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