mercoledì 12 luglio 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (XXXVIII)

(per il capitolo precedente)


XXXVII
Molti di coloro che cercano qualche sorta di piedistallo storico tra le leggende dei vangeli sinottici, si sono aggrappati all'improbabilità che quelle, prive di fondamento in realtà, dovrebbero raccontare che cosa avrebbe indotto a collocare il  Salvatore in una luce relativamente  sfavorevole. Per questa ragione parecchia enfasi è sempre stata riposta sui passi che suggeriscono una relazione piuttosto tesa tra Gesù, sua madre, e i suoi fratelli . . . passi nei quali egli è raffigurato riluttante a riconoscere dei legami naturali di parentela, mentre invece egli proclama i discepoli la sua vera famiglia (Matteo 12:46-50; Marco 3:31-35; Luca 8:19-21). Un altro passo che ha ricevuto un'attenzione considerevole da lettori perspicaci è quello dove, dopo essere stato accolto con disprezzo e malvagità nel suo paese nativo, Gesù grida: Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua” (Matteo 13:53-58; Marco 6:1-4; Luca 4:24).
Di tali episodi non c'è nessuna traccia reperibile nel quarto vangelo. Nella potenza propria del Messia, qui Gesù è svincolato  da ogni tipo di relazione con un paese natale o con una sua famiglia. Adesso egli è un membro della famiglia celeste. Nessuno riceve considerazione a parte il Padre, la Parola, lo Spirito Santo, il Paraclito. La sua ascensione a dire il vero si svolge nella prima riga del vangelo: “Nel principio era la Parola”.
Ma anche ciò che appare sfavorevole, e storicamente probabile perchè detto con riluttanza, non porta alcuna certezza. Reca la medesima impressione di un contrasto drammatico come se qualcuno, pur di sottolineare la grandezza di Beethoven, dovesse raccontare una storia su come da ragazzo avesse suonato il violino in un villaggio della regione e fosse stato considerato inferiore al musicista preferito del luogo. Aggiungi a questo l'improbabilità che
fosse esistito a quel tempo un villaggio di nome Nazaret.
È senza speranza cercare un qualche fondamento storico nei vangeli sinottici. Sembra come se la morte di Stefano fosse stata il grande evento tragico che si verificò proprio al tempo in cui il cristianesimo cominciò a farsi strada come religione, e sembra possibile che il racconto circa la morte misteriosa di Gesù potrebbe aver preso forma sulla base di quel che fu detto circa l'odioso assassinio di Stefano. Secondo una tradizione efesina a partire dall'inizio del secondo secolo, si racconta che Marco sia stato l'interprete di Pietro, e abbia scritto il vangelo dopo la morte di quest'ultimo, basandosi su nient'altro che la sua memoria. Se fosse stato così, quel vangelo è stato modificato da qualche partigiano di Paolo, dato che Pietro è coerentemente rappresentato come un idiota, e un codardo da pungolare. Ed è strano notare che parecchi miracoli attribuiti a Pietro  negli Atti, sono stati trasferiti da Marco, quel presunto suo interprete e discepolo, a Gesù.
A Lidda, Pietro guarisce un uomo colpito da paralisi, che era stato sul suo letto per otto anni (Atti 9:33-35). Pietro gli dice: “Alzati, e rifatti il letto”. E l'uomo fa come gli è detto. Marco 2:3-12 fa guarire da Gesù un uomo a sua volta malato di Cafarnao, e utilizzando proprio le stesse parole.
Una donna buona di nome  Tabita muore a Ioppe. Pietro è mandato da lei e le dice: “Tabita, àlzati”. Al che lei torna in vita (Atti 9:36-42). In Marco 5:21:43, Gesù resuscita dai morti la piccola figlia di Giairo dicendole: “Ragazza, àlzati!”. Queste parole sono date nella Bibbia in aramaico: “Talità kum”. Non è assai lontano da Talità a Tabita, e comunque la storia è stata fabbricata per servire due volte, a quanto pare.

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