sabato 8 luglio 2017

Circa «Jesus — A Myth» di Georg Brandes (XXXI)

(per il capitolo precedente)

XXX
Questo stile trovò più tardi la sua classica espressione nel cosiddetto Libro di Daniele. Probabilmente fu scritto all'incirca nel 165 A.E.C., e non è solo il prototipo diretto dell'Apocalisse, ma l'opera nella quale possiamo vedere emergere l'immagine dell'incombente figura messianica  dal modo di pensare che caratterizza l'ebraismo antico.
Il Libro di Daniele ti fa sentire che è passato molto tempo da quando i profeti solevano proclamare le loro visioni all'aperto. È designato ad essere letto, e da lettori che hanno il tempo di rimuginare su di esso. Nello stile rassomiglia ad un rebus. E in quella più antica di tutte le filosofie della storia che è contenuta nella parte conclusiva dell'opera, incontriamo  tutti gli ingredienti stupefacenti utilizzati per la composizione dell'Apocalisse di San Giovanni. Qui troviamo il corno che parla, il corno che ha occhi. Qui troviamo l'antitesi essenziale al senso greco della forma espressa nel corpo umano . . . una perdita di realizzazione plastica piuttosto offensiva ad una mente che deriva il suo piacere principale da un pezzo di arte dall'abilità utilizzata nel procurargli una forma. Al contrario incontriamo un misticismo, e tutte le forme trovate in natura sono fuse nello stesso genere di caos disorientante che successivamente ricorre nell'Apocalisse.
Daniele vide quattro grandi bestie che arrivano dal mare. Il primo era come un leone, ma aveva ali d'aquila. Lo osservò finché le sue ali le furono tolte, e fu alzato da terra, e si rizzò sui piedi come un uomo, e il cuore d'uomo gli fu dato. Poi vide una seconda bestia, simile ad un orso, e aveva tre file di denti. E qualcuno gli disse: “divora molta carne”. Dopodichè vide una terza bestia, un leopardo che aveva quattro ali sulla sua schiena e quattro sulla sua testa. Alla fine vide la quarta bestia, spaventosa e terribile, che aveva enormi denti di ferro, e che divorò e frantumò a pezzi quel che restava e lo calpestò coi suoi piedi. Questa bestia aveva dieci corna. Poi un altro piccolo corno spuntò, e tre delle prime corna furono rimosse dalle radici per fagli posto, e in questo corno c'erano gli occhi di un uomo, e una bocca che proferisce grandi cose.
La storia procede in questo stile, suscitando l'entusiasmo e l'approvazione del suo giorno ad una tale misura che 235 anni dopo troviamo l'Apocalisse prendere il posto lasciato da Daniele.
Non si è dimostrato molto difficile scoprire il tempo in cui fu prodotto il Libro di Daniele, perché la natura delle allegorie allegoriche permette di determinare con esattezza quali eventi l'autore aveva testimoniato e quali gli erano ancora sconosciuti. Egli stava scrivendo mentre la dinastia greca rimaneva ancora al potere, ed era familiare con gli avvenimenti della metà del secolo a partire dall'ascesa al trono di Antioco il Grande. Altrimenti egli non tiene alcun conto di possibilità o probabilità di sorta. il suo Nabucodonosor trascorre sette anni a mangiare erba nei campi e poi viene restaurato nel suo regno di cui era stato in attesa per tutto quel tempo.
Il fatto significativo e decisivo è che, nel Libro di Daniele, si nota l'inizio di quella disintegrazione del rigido monoteismo ebraico che si continua nel cristianesimo. Il nome del Messia non è menzionato direttamente. Invece  incontriamo quello strano termine,    il Figlio dell'Uomo, che è utilizzato per designare il fondatore del “regno dei cieli” che doveva essere stabilito a Gerusalemme quando Giuda Maccabeo e i suoi seguaci avrebbero infranto l'impero dei Seleucidi. Poi inizierà la fase finale dell'esistenza del mondo, durante la quale la giustizia regnerà suprema. E per quella fase noi ancora attendiamo, ovviamente.
Ezechiele già parlò (9:3) di un uomo che era vestito di lino. In Daniele (10:5 et seq.) egli ritorna come figura principale . . . un uomo vestito di lino i cui fianchi sono adornati di oro prezioso. Il suo corpo è simile al topazio, e il suo volto come l'aspetto della folgore, e i suoi occhi come lampi di fuoco e le braccia e i piedi simili nel colore a bronzo lucente, e la voce delle sue parole come la voce di una moltitudine . . . di cui tutto ciò è trasferito, parola per parola, in Apocalisse 1:13-14. [Apocalisse 1:13-15 recita come segue: “E in mezzo ai candelabri c'era uno simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro. I capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano l'aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiuolo. La voce era simile al fragore di grandi acque”.]
La data di stesura si può determinare con non meno certezza per l'Apocalisse che per il Libro di Daniele. Non ci può essere alcun dubbio che è composto tra il giorno in cui morì Nerone, che fu il 9 giugno del 68 E.C., e il 10 agosto del 70 E.C., il giorno in cui i Romani distrussero il Tempio di Gerusalemme . . . una struttura che lo scrittore spera ancora che sarà risparmiata. Ma la data si può fissare con una precisione ancora maggiore. Il libro deve essere stato scritto prima che la notizia dell'assassinio di Galba, avvenuto il 15 gennaio del 69 E.C., avesse avuto il tempo di raggiungere Patmos, siccome il sesto re, menzionato in Apocalisse 17:10 come ancora presente, non può essere stato nient'altri che Galba.

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