venerdì 10 febbraio 2017

Sul confronto tra Giovanni il Battista e l'uomo chiamato Paolo

...e quando anche i colori del paganesimo appassiranno per l'ultima volta dissolvendo nel desolato biancore di un inverno cristiano senza fine

CIMITERO: Terreno benedetto e scoperto dove, fino alla resurrezione dei morti, la Chiesa permetterà ai propri figli defunti di marcire all'aria aperta, quando non abbiano avuto abbastanza denaro per acquistare il diritto di marcire in un tempio e d'infettare i viventi. Poiché i ricchi non vanno in Paradiso, è onesto dar loro una buona sistemazione in cambio del loro denaro in attesa del Giudizio.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

Sin dall'alba del mito di Gesù perdurava la convinzione, tra gli antichi cristiani, che ci sia un piano d'esistenza completamente estraneo all'uomo nel quale l'angelo Gesù aveva già riportato la sua vittoria, per quanto ancora invisibile ad occhio umano, e tuttavia pronta a manifestarsi anche nel mondo reale, nell'imminenza della Fine.
Ma ci fu realmente una manifestazione di Gesù anche nel mondo reale? Naturalmente no. C'è solo il nostro mondo e solo lui ci è realmente alieno, intrinsecamente tale in virtù della mancanza in esso di veri misteri.
Se solo questo mondo fosse stato veramente sconvolto dai poteri invisibili dell'arcangelo Gesù, se solo fosse stato suscettibile di reale stranezza, solo allora la missione dei cosiddetti “Pilastri” di Gerusalemme poteva dirsi per davvero compiuta: loro soli avevano visto in una visione il Messia Gesù, l'arcangelo celeste. Avevano saputo da lui in persona che era morto per mano dei demoniaci “arconti di questo eone”. E si apprestavano, nel breve futuro, a sedersi alla destra e alla sinistra del suo trono celeste, all'incombente Fine di tutte le cose.
Ma quando l'attesa stessa della Fine muore, tramontando disillusa verso la Terra, insorge, a tagliare i sogni degli uomini, la fredda lama dello scetticismo.
Al bilancio della loro esistenza, i seguaci dei Pilastri non provarono particolare piacere a sperare invano in una Fine che mai arrivava, per il divertimento di qualche sconosciuto fattore d'inganni, di un qualche cosmico messia burlone maestro della mistificazione. E ancor più non potevano provar piacere chi era scettico fin dall'inizio, sul fatto che l'angelo Gesù esperito dai Pilastri, e solo da loro, fosse il Messia predetto nelle scritture.
Come constatò mirabilmente Paula Fredriksen:
Un messia, crocifisso o meno, non era un messia agli occhi della tradizione ebraica se dopo la sua venuta il mondo continuava come prima.
(Paula Fredriksen, From Jesus to Christ, pag. 168, mia libera traduzione)

Ben presto nacque negli stessi primi cristiani una disperata insicurezza perchè esisteva una minaccia che nemmeno il potere di una allucinazione prolungata riesce a contrastare: l'inatteso ritardo del Messia.
Allora, nel momento in cui si infiltrano disillusione e disincanto tra le maglie di una fede apparentemente granitica, quando le barriere dell'ansia apocalittica e dell'entusiasmo estatico hanno ceduto da un pezzo, il silenzio del Messia appare per portare tormento e angoscia agli stessi individui ai quali si era in un primo tempo rivelato in sogni, visioni e allucinazioni.

Tuttavia in realtà non ci fu un vero trauma, una vera sorpresa. Gli sventurati testimoni del fallimento dei Pilastri erano già stati avvertiti quando i Pilastri stessi erano ancora vivi e vegeti nel pieno della loro attività profetica, a causa dei negativi presentimenti di gran parte dei loro avversari, ebrei o pagani: se l'angelo Gesù era veramente il Messia, perchè non appariva sotto gli occhi di tutti?

Anche l'uomo chiamato Paolo era un fervente apocalittico. E anche lui era accusato dagli stessi dubbi che attanagliavano i Pilastri. Soltanto che Paolo era più forte del destino. Lui andò per la sua strada, col solo desiderio di portare a realtà la manifestazione finale del Messia Gesù sulla Terra: col solo desiderio di sottomettere tutti i pagani a Gesù.
In fondo non aveva fatto altro che portare alle estreme conseguenze logiche il suo apocalitticismo: se Gesù era il Messia, allora il Messia Gesù doveva dominare il mondo.
E se il mondo cominciava ad accettare la dominazione del “Signore Gesù”, allora quella era la prova che il Messia Gesù stava per giungere veramente.
Anche i Pilastri covavano da lontano quel desiderio. Ma il loro compito era reso certamente più difficile e utopico dall'ostinata riluttanza dei pagani ad abbracciare in toto il giudaismo. Allentando volutamente su di loro la morsa e il giogo della Torah, Paolo facilitò enormemente la loro auspicata conversione al Cristo. E il simbolo di quell'allentamento divenne per lui la stessa immagine sinistra del Messia crocifisso.
Se Paolo era riuscito ad aprirsi finalmente una breccia nell'ostile mondo pagano circostante, a differenza dei Pilastri, brandendo la morte dell'angelo-Messia, allora quello era il segno che la Fine era già arrivata e che tuttavia era ancora di là da venire.
Gli ebrei osservanti non l'avrebbero mai capito, ma tanto peggio per loro: se la crociata contro il mondo pagano era appena cominciata, e prometteva vittoria a lungo termine al solo prezzo di rinunciare alla rigida osservanza della Torah, e di fare dello stesso Messia inchiodato il simbolo di quella lecita rinuncia – con gran scorno degli stessi Pilastri! –, allora i tempi erano ormai maturi per vedere nella morte del Messia la fine della sottomissione alla Torah, e nell'inizio della sottomissione ai pagani a Cristo il marchio inconfondibile dell'incombente prima venuta di Gesù sulla Terra.

Neppure il profeta Giovanni il Battista – personaggio storico, a differenza di Gesù – era riuscito in questo. E la Parabola del Seminatore, la sintesi esoterica dell'intero vangelo (naturalmente del primo, di cui tutti gli altri sono mere volgari riedizioni [1]), sta lì a dimostrarlo:

 

Ciascun Seme della Parabola…
…e il suo Significato allegorico:
Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare.
(Marco 4:3)
Nella sua considerazione autobiografica, Paolo dichiarò che le chiese di Giudea stavano ripetutamente ascoltando di lui (ἀκούοντες ἦσαν : Galati 1:23a). Marco per via narrativa illustrò quest’osservazione, specialmente il suo significato iterativo, tramite la composizione di cinque parabole consecutive, apparentemente separate, che assieme suggeriscono che la folla sul lato ebraico del mare ripetutamente, iterativamente ascoltava (ἀκούω) cosa Gesù stava dicendo loro (Marco 4:3.9.23-24.33). Pur di rafforzare il legame coll’ipotesto paolino (Galati 1:23a), l’evangelista ripetutamente usò in Marco 4:2-34 il verbo paolino chiave ἀκούω (10 volte: Marco 4:3.9.12.15-16.18.20.23-24.33).
(Bartosz Adamczewski, The Gospel of Mark: A Hypertextual Commentary, pag., mia libera traduzione)
Mentre seminava, una parte cadde lungo la via e vennero gli uccelli e la divorarono.
(Marco 4:4)
La “via” è la stessa percorsa da Giovanni il Battista: “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,
egli ti preparerà la via,
Voce di uno che grida nel deserto:
preparata la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri”
(Marco 1:2)

Non a caso è proprio la prima parte dei semi a cadere lungo “la via”: la predicazione di Giovanni precedeva l’azione dei primi apostoli dell’arcangelo Gesù.
Fu dunque Giovanni ad essere “divorato” allegoricamente dagli “uccelli”. Il tema di un macabro pasto affiora qui, perpetrato da simboli del male. Assieme ad un senso di tragica inutilità nello sperpero di quella parte di semi caduta lungo la “via”.  Quel senso tragico di inutilità torna ad affiorare quando “Marco” (autore) si inventa l’episodio della morte di Giovanni il Battista, non a caso una specie di macabra anti-Eucarestia dove assente è ogni senso di resurrezione (per la vittima Giovanni):

La vana Anti-Eucarestia di Giovanni il Battista:
L’eterna Eucarestia di Gesù (chiamato Cristo):
Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.

Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le fece questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista». Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto. Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
(Marco 6:17-29)
Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio». E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto:
Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.
Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea».
(Marco 14:22-28)

Come introduzione a questa sezione, Marco narra in 6:14-29 l'incidente circa Erode e Giovanni il Battista in maniera che i lettori lo vedano come dotato di un significato simbolico. Ciò che otteniamo è una pervertita contro-eucarestia: un deipnon tra i capi politici ebrei che è dominato dalle passioni del corpo (desideri sessuali) e in cui la testa di Giovanni il Battista è servita su un vassoio. (Fortunatamente, io non sono il solo a leggere la storiella in questo modo; si veda Iersel 1998 ad hoc.).
(Henrik Tronier, “Philonic Allegory in Mark, pag. 33, mia libera traduzione)
Un'altra cadde fra le pietre, dove non c’era molta terra, e subito spuntò perché non c’era un terreno profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò.
(Marco 4:5-6)
Ovviamente il riferimento è a quel testone di Pietro (la “pietra” per antonomasia, appunto), che prima accolse favorevolmente l’uomo chiamato Paolo, salvo poi abbandonarlo e tradirlo pubblicamente, all’aperta luce del giorno, ad Antiochia. Come con Paolo, così con “Gesù’’.

Una criptica allusione è anche alla “roccia” dove fu scavato il sepolcro di Gesù:


Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. [ἐκ πέτρας]
(Marco 15:46)

Quel sepolcro vuoto non bastò a far arrivare a Pietro le buone nuove della resurrezione (simboleggiata dal Sole stesso nella parabola del Seminatore: “ma quando si levò il sole …”, ovvero quando Gesù resuscitò), data la disobbedienza delle donne:

Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
(Marco 16:8)

Perciò, secondo una lettura strettamente letterale del primo vangelo, tutto ciò che il Gesù di carta fece sulla Terra non servì a nulla per quel demente testone di Pietro!
Un’altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto.
(Marco 4:7)
Ovviamente sappiamo grazie allo stesso Gesù di carta a chi si sta riferendo precisamente Marco (autore):

Il seme tra le spine:
E il suo significato allegorico:
“Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto.” (Marco 4:18)

“E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potere bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».”
(Marco 10:35-40)


E un’altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno.
(Marco 4:8)
La “terra buona” è la “Galilea dei Gentili”, allegoria dell’Impero romano, dove il Cristo risorto è già stato visto dall’uomo chiamato Paolo – che proprio nel mondo pagano era destinato a convertire un sacco di pagani –, il quale attende invano Pietro, rimasto nel frattempo a Gerusalemme in Giudea totalmente ignaro della resurrezione del Messia (a causa della disobbedienza delle donne all’angelo: Marco 16:8). Ergo ora nella Storia reale Paolo dovrà ricalcare (di certo non per magico incanto, ma piuttosto per l’abilità letteraria di “Marco”) le orme del Gesù di carta: cercare invano di convincere Pietro e i Pilastri che il destino della chiesa è nell’accoglienza dei gentili.
 
E così il miracolo accadde che il Regno di Dio era già venuto nella persona e nell'azione dell'uomo chiamato Paolo, perfino se gli stessi Pilastri non se n'erano colpevolmente accorti (proprio come Giovanni il Battista):
COSA ASCOLTAVANO I PILASTRI (e tutti i non-iniziati)
COSA NON CAPIRONO I PILASTRI (e tutti i non-iniziati)
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea, predicando il vangelo di Dio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo.»
(Marco 1:14)
E l’iscrizione del motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.
(Marco 15:26)
E diceva loro: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza».
(Marco 9:1)

E la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo.
E il centurione che era lì presente di fronte a Gesù, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio!»
(Marco 15:38-39)

Identificando il “corpo di Cristo” con la stessa chiesa paolina, Paolo aveva di fatto portato “Gesù” la prima volta sulla Terra. I suoi nemici avrebbero insistito: noi non vediamo affatto il tuo Messia. Ma i fratelli spirituali del Messia erano già tra loro, e intanto continuavano a sognare il giorno in cui tutti i dubbi degli ebrei saranno sopiti, quando ogni pagano, come una foglia raggrinzita, affonderà nel terreno sempre più freddo di una Terra senza più il Sole pagano ad illuminarla, e quando anche i colori del paganesimo appassiranno per l'ultima volta dissolvendo nel desolato biancore di un inverno cristiano senza fine.  




NOTE:

[1] A cominciare da Matteo, tutti i vangeli successivi a Marco vanno oramai denunciati come mere volgari riedizioni ad uso e consumo degli stupidi “hoi polloi”:
[il vangelo di Matteo è] ...una riscrittura biblica del racconto di Marco e qui stiamo testimoniando una chiara re-giudaizzazione. A quanto pare, questo non accadde “scavando” tradizioni dietro il vangelo di Marco, ma esattamente riscrivendolo. . . . Non è né un libero riassunto del vangelo di Marco, né un commentario, ma “una ri-scrittura, una seconda edizione”. . . .
(Mogens Müller, The New Testament gospels as Biblical rewritings : On the question of referentiality, pag. 30, mia libera traduzione e mia enfasi)

Se “Matteo” (autore, o meglio, rieditore del primo vangelo) ci teneva così tanto a contrapporre un presunto storico “Gesù ebreo”, perchè si limitò a correggere Marco con ciò che gli dava Marco, invece di brandire contro di lui un'autentica tradizione gesuana anteriore a Marco? Forse che una tale tradizione non esisteva per cui “Matteo” (autore) dovette semplicemente arrangiarsi? Credo proprio che questa conclusione sia d'obbligo.

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