domenica 4 settembre 2016

Sull'intrinseca malvagità dei folli apologeti cristiani — di cui fu vittima il pagano Porfirio di Tiro


Un folle apologeta cristiano dipinto da Hieronymus Bosch

ODIO: Sentimento degno di lode che si rende necessario a ogni buon cristiano quando i suoi preti giudicano appropriato se esercitato per la causa di Dio, i cui interessi sono a loro noti, dato che di solito sono personalmente coinvolti. Sulla loro parola, quindi, e senza lesione alcuna della carità, un devoto può in coscienza odiare chiunque dispiaccia al suo caro confessore.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

È sorprendente come il puro odio, la pura cattiveria, di cui il pagano Porfirio fu reso oggetto per colpa dei fanatici cristiani proto-ortodossi che fecero a pezzi pressochè ogni traccia della sua monumentale opera “Contro i Cristiani” (dove gli evangelisti sono definiti “inventori non i reali conoscitori dei fatti che concernevano Gesù”), ricordino così da vicino lo stesso puro odio e la stessa pura cattiveria di cui sono fatti oggetto i miticisti odierni da parte dei teologi cristiani dediti, sotto mentite spoglie di storici, a perpetuare la menzogna della veracità storica di Gesù sin da quando gli atei, sbarazzatisi delle pastoie medievali, hanno manifestato il desiderio di vederci chiaro nella faccenda delle origini cristiane (e sottolineo “origini cristiane” e non “Gesù storico”), vale a dire senza più l'infetta intermediazione dei preti cristiani e dei loro lacchè a intorbidare le acque della vera ricerca storica. Col risultato che non vi è davvero nulla di nuovo sotto il Sole dai tempi di Porfirio fino ad oggi: da sempre i folli apologeti cristiani accusano di follia e di ignoranza proprio coloro che denunciano la loro tendenziosa, fabbricata Traditio e le numerose fallacie del loro fasullo “metodo storico” (che altro non è se non banale, goffa apologetica), nonchè la natura fittizia ed evanescente del Gesù dei vangeli. Non è mia intenzione offrire una lista esaustiva degli attacchi calunniosi e diffamatori dei folli apologeti cristiani ai danni del pagano Porfirio, quanto semmai dare un piccolo, minuscolo assaggio dell'imbastardimento ideologico dei medesimi, della loro arroganza montata ad arte pur di nascondere la loro profonda, deliberata ignoranza circa le vere origini della loro schifosa religione, ovvero del loro essere, alla fin fine, i peggiori nemici di sè stessi, perchè non sia mai che i dementi “bugiardi per Cristo” si credano da meno dei loro fratellini monoteisti maomettani quanto a volgare letteralismo, chiusura mentale, ostinata resistenza alla verità, vittimismo di convenienza, bieco fideismo e pervicace, ostinata, volontà di proselitismo unita ad una profondissima dose di cieca irrazionalità e puro odio dell'ateismo.

«Porfirio era accusato, da coloro che passavano da Tiro, proprio lui appunto, di aver osato attaccare il sacro Vangelo, tuttavia il suo scritto fu avversato da Gregorio Taumaturgo».
(Gregorio Taumaturgo)

«Di conseguenza quindi Porfirio, il nemico della religione, che compose alcune opere illecite contrarie al culto cristiano, ricevette il giusto castigo, così che questa persona vergognosa sarà ricordata per il tempo a venire non solo come colui che si è guadagnato la peggiore reputazione, ma anche come colui le cui opere blasfeme sono state distrutte; cosicchè si è pensato di soprannominare porfiriani Ario e coloro che concordano con Ario, in modo che questi ultimi possano imitare anche i comportamenti di coloro di cui hanno il soprannome».
(Atanasio, Il decreto del sinodo di Nicea, c. 39, 1, 7)

«oppure poichè quel tale ha chiamato gli Ariani Porfiriani, costui si preoccupa di riammetterli all'interno della chiesa e mettendosi a capo di questi li porta di comunità in comunità».
(Atanasio, Storia degli ariani,  51, 1, 3)

«È giusto che Ario che emulò i malvagi e i miscredenti subisca lo stesso disonore di quelli. Di conseguenza quindi Porfirio, il nemico della religione, che compose alcune opere illecite contrarie al culto cristiano, ricevette il giusto castigo, così che questa persona vergognosa sarà ricordata per il tempo a venire non solo come colui che si è guadagnato la peggiore reputazione, ma anche come colui le cui opere blasfeme sono state distrutte; così che si è pensato di soprannominare porfiriani Ario e coloro che concordano con Ario, in modo che questi ultimi possano imitare anche i comportamenti di coloro di cui hanno il soprannome. Inoltre, se venisse trovato qualche scritto composto da Ario, lo si getti nel fuoco; cosicchè non solo siano cancellate le menzogne del suo insegnamento, ma che non rimanga neppure il suo ricordo. Ordino pertanto che, chiunque venga scoperto a nascondere qualche opera redatta da Ario e non la consegni immediatamente affinché sia distrutta nel fuoco, costui sia condannato alla pena di morte; infatti chi sarà sorpreso in flagranza di tali fatti, immediatamente subirà la pena capitale».
(Costantino Augusto,  Lettera ai vescovi e al popolo, presso Gelasio, Storia ecclesiastica II, 36 e Socrate, Storia ecclesiastica)

  «Si dice che durante le notti del lungo inverno, l’'imperatore si applicava sui quei libri che affermano che l’'uomo della Palestina è dio e figlio di dio, con una lunga battaglia e con la forza delle contestazioni mostrò che il culto di Gesù era ridicolo e sciocco,  e in queste cose dimostrò di essere più sapiente del vecchio di Tiro.
Questo Tirio sarebbe addirittura benevolo con me, e accetterebbe di  buon grado ciò che è stato detto, come se fosse stato battuto da un figlio. Queste cose sono state dette dal sofista Libanio».
(Libanio,  Epitaffio, presso Socrate, Storia ecclesiastica,  III, 23)

«Porfirio difensore dei riti religiosi, nemico di dio, ostile alla verità, maestro di arti scellerate».
(Firmico materno,  Sull'errore delle religioni profane,  13, 4)

«E non avrebbe dovuto tacere su Porfirio che è un eccezionale nemico di Cristo, il quale, per quanto gli fu possibile, tentò con i suoi scritti di abbattere la religione cristiana; ebbene costui (Girolamo) si vanta di averlo come guida ed esperto nella Logica. Né può dimostrare prima di ora di avere studiato dove ti ha portato il perfido Porfirio se non in quel luogo dove lui stesso si trova, dove vi è pianto e stridore di denti?».
(Rufino,  Contro Girolamo,  II, 9)

«Tu invece ti vanti di avere Porfirio non Paolo come guida; nel seguire lo stesso Porfirio, che contro Cristo e contro Dio scrisse libri empi e sacrileghi; iniziato da lui, come tu stesso affermi, sei caduto in questa voragine di bestemmia».
(Rufino,  Contro Girolamo,  II, 10)

«Poiché noi non siamo stati avviati allo studio della Logica per mezzo dell’'Εισαγωγήν di Porfirio [...…] tu, come vedo, gridi con coloro che dicono: “Non questo, ma Barabba; infatti dimmi per carità, che cosa ti ha insegnato il tuo Porfirio, che ha composto volumi di bestemmie contro i cristiani e contro la nostra religione? Che cosa ti hanno insegnato di buono questi maestri (Porfirio e Baranina), di cui vai tanto orgoglioso, uno conoscitore delle immagini dei demoni, e l'’altro della sinagoga, come tu dici, di Satana? Non vedo nient'’altro che va al di là di ciò che essi hanno professato; infatti Porfirio ti ha insegnato a parlare male dei cristiani, a infamare le vergini, i casti, i diaconi, i presbiteri e a disonorare, direttamente coi tuoi noti opuscoli, ogni grado e ordine».
(Rufino,  Contro Girolamo,  II, 12)
                  
«Noi non saremmo graffiati dai suoi (di Girolamo) sfregi, al cui compito Porfirio aveva quotidianamente aguzzato il suo (di Girolamo) stilo». 
(Rufino,  Contro Girolamo,  II, 13)

«Sono queste tutte le tue arguzie tenute insieme dall'’acutezza d’'ingegno di Alessandro di Afrodisia, di Porfirio e dello stesso Aristotele».
(Rufino,  Contro Girolamo,  II, 29)

«I discepoli di Celso e, dopo di lui, il Bataneota Porfirio».
(Giovanni Crisostomo,  Omelia VI, 3 nella I Cor)

«Ma fanno talmente tanto ridere le opere scritte da loro, che da molto tempo quei libri sono stati distrutti e inoltre molti sono stati individuati ed eliminati. E se per caso una persona ne rinvenisse uno ancora integro, lo troverebbe conservato presso i cristiani».
(Giovanni crisostomo,  Sermone al beato Babila e contro Giuliano e ai Greci, c. 2)

«Imparino Celso, Porfirio, Giuliano, cani rabbiosi contro Cristo [...…], quanti e quali uomini abbiano edificato e costruito la Chiesa ecc.»
(Girolamo,  Sugli uomini illustri,  prologo)

 «Eusebio di Cesarea scrisse XXV libri Contro Porfirio, che, nello stesso arco di tempo, scriveva in Sicilia, come alcuni pensano».
(Girolamo,  Sugli uomini illustri,  prologo, 81)

«Metodio di Olimpo in  Licia e poi a Tiro compose dei libri contro Porfirio con uno stile chiaro e ben ordinato».
(Girolamo,  Sugli uomini illustri,  prologo, 83)

«Apollinare di Laodicea […...] esistono ancora i suoi XXX libri contro Porfirio i quali, fra le altre sue opere, sono considerati altresì al massimo grado».
(Girolamo,  Sugli uomini illustri,  prologo, 104)

«Origene, Metodio, Eusebio, Apollinare scrivono molte migliaia di righe contro Celso e Porfirio. Osservate bene con quali argomenti e quali problematiche pericolose essi abbiano ribaltato ciò che, con spirito diabolico, era stato ordito, e come talvolta siano obbligati a parlare contro quelle cose che dicono i gentili, non secondo ciò che essi credono, ma secondo ciò che è necessario sia sostenuto nei confronti dei gentili».
(Girolamo,  Lettera  48 a Pammachio, 13)

 «Scrissero contro di noi Celso e Porfirio. Al primo Origene, all'’altro Metodio, Eusebio e Apollinare replicarono in modo molto energico. Tra questi Origene scrisse VIII libri, Metodio si spinse fino a diecimila righe, Eusebio e Apollinare composero XXV e XXX volumi. Leggili e scoprirai che noi, al loro confronto, siamo assolutamente incompetenti».
(Girolamo,  Lettera 70 a Magno, 3)

«Apollinare scrisse contro Porfirio libri molto appassionati». 
(Girolamo, Lettera 84 a Pammachio e Oceano, 2)

«Ora di quanto Porfirio rimprovera a questo profeta, specialmente in questo libro, sono testimoni Metodio, Eusebio e Apollinare i quali replicano con molte migliaia di righe alla sua follia; non so se essi hanno appagato il curioso lettore, per cui vi scongiuro Paola ed Eustochio, pregate per me il Signore, affinché, per tutto il tempo in cui sono in questo povero corpo, scriva qualcosa a voi ben accetto, utile alla Chiesa, degno per i posteri; naturalmente non sono per niente turbato dalle opinioni dei moderni, che, o per amore o per odio, propendono o da una parte o dall'’altra».
(Girolamo,  Prefazione alla traduzione del libro di Daniele, Vulgata)

«E da quello ho dichiarato che Porfirio disse molte cose contro questo profeta (Daniele) e ho chiamato a testimoni di ciò Metodio, Eusebio e Apollinare, che con molte migliaia di righe replicarono alla sua follia; potrò essere biasimato perché non ho scritto contro i libri di Porfirio nel mio breve preambolo».
(Girolamo,  Apologia contro Rufino,  II, 33)
«Oh quanti dei nostri hanno scritto contro gli scelleratissimi Celso e Porfirio». 
(Girolamo,  Apologia contro Rufino,  III, 42)

«Se Cristo lo comanderà, combatteremo contro Porfirio in un'’altra opera».
(Girolamo,  Commentario a  Galati, Galati 2, 11)

«Ma anche Eudosso disse, oh Policronio, che l’'interpretazione sostenuta dal tuo Porfirio, era quella di uno sciocco».
(Anonimo,  Su Policronio)

«Si dice che Apollinare, che scrisse contro Porfirio, vince di gran lunga le obiezioni sollevate da Eusebio contro di lui (Porfirio), ma supera anche gli scritti di Metodio contro lo stesso argomento».
(Filostorgio,  Storia ecclesiatica)

«Anche questo scrittore (Filostorgio) dice che contro di lui (Porfirio) e in difesa dei Cristiani, si scrissero delle risposte polemiche».
(Filostorgio,  Storia ecclesiatica, nella parafrasi di Fozio)

«Poichè, dice, Apollinare, che scrisse contro Porfirio, superò di molto gli scritti che Eusebio aveva contrapposto contro di lui (Porfirio), ma superò anche gli scritti di Metodio contro lo stesso soggetto».
(Filostorgio, Storia ecclesiastica apud Photium, VIII, fr. 14, 1)

«Testimone di ciò è Porfirio, colui che scatenò la sua lingua contro Cristo».
(Nemesio di Emesa,  Sulla natura degli uomini,  3)

«Il loro grandioso filosofo Porfirio, successivamente acerrimo nemico della fede cristiana, che già visse ai tempi dei cristiani, vergognandosi tuttavia delle sue stesse stravaganze, attaccato da qualche parte dai cristiani, disse che bisogna evitare tutto ciò che è corporeo”».
(Agostino, Sermone CCXLII, c. 6)

«Ed in ciò che qui si è detto: che queste cose sensibili devono essere allontanate, e ci si è adoperati in modo da non attribuire alcuna importanza al detto del falso filosofo Porfirio, che dice che tutto ciò che è corporeo deve essere allontanato».
(Agostino,  Ritrattazioni, I, 4; 37)

«Frattanto mi furono mandate da Cartagine sei domande, che mi sottopose un amico, che desideravo diventasse cristiano, affinché io le chiarissi contro i pagani; disse che specialmente alcune di esse erano state proposte dal filosofo Porfirio, ma non credo che sia il siculo Porfirio, la cui fama è celeberrima».
(Agostino,  Ritrattazioni, II, 57 alla  Lettera  102)

«Invece quello che nel mio opuscolo, precisamente sotto il titolo "Contro Porfirio", pensate che io ho detto sul tempo della religione cristiana, l'ho detto appunto per superare questa polemica sulla grazia in modo più scrupoloso e preciso, non senza aver volutamente omesso il motivo per non averla spiegata in quel passaggio, affinchè possa essere spiegata agli altri o dagli altri».
(Agostino,  Sulla predestinazione dei santi, P.L.   XLIV, col. 973, 7)

«Se tu avessi amato realmente e fedelmente la rettitudine e la sapienza avresti conosciuto Cristo, rettitudine di Dio e sapienza di Dio, né ti saresti allontanato dalla sua utilissima umiltà, gonfiato dalla superbia di una scienza inutile […...] al contrario tu non credi che questi sia il Cristo, infatti lo disprezzi per il corpo che ha ricevuto da una donna e per la vergogna della croce».
(Agostino,  Sulla predestinazione dei santi, 10, 28)

«Filosofo celebre, importante filosofo dei gentili, il più colto tra i filosofi, anche se acerrimo nemico dei cristiani».
(Agostino, La città di Dio,  XIX, 22)

«E dichiarano di dimostrare ciò non solo con le testimonianze degli altri cattolici ma anche con la più importante discussione sulla tua santità, dove certamente avrai mostrato la stessa grazia con grande trasparenza, affinchè si verificasse ciò che la tua santità ha detto nella domanda sul tempo della religione cristiana contro Porfirio: "in quel tempo Dio volle che Cristo apparisse agli uomini e che predicasse presso di loro la sua religione, affinché si sapesse il verificarsi del quando e del dove, e affinchè ci fossero credenti in lui", o, secondo quello che viene detto sul libro nella Lettera ai Romani : "Dimmi dunque: Che cosa c'è ancora da lamentarsi?"».
(Lettere ad Agostino, lettera,  226, 57, 3, p. 471, 3)

«Porfirio. Certamente noi filosofi non osiamo biasimare o insultare il vostro Cristo, ma gli riconosciamo una straordinaria sapienza, anche se come uomo, però affermiamo che i suoi discepoli hanno attribuito al loro maestro di più di quanto egli fosse, per affermare che egli era il figlio di Dio e il verbo di Dio, per il quale tutte le cose sono state create».
(pseudo-Agostino,   Contro i filosofi,  disp. 3, 1299)

«Porfirio. Senza dubbio noi teniamo in considerazione alcuni libri che, non vi è dubbio, vennero scritti dal vostro Gesù, nei quali libri riteniamo che siano racchiuse le sue qualità, grazie alle quali dichiariamo che egli abbia fatto quei miracoli, la cui fama si diffuse in ogni luogo».
(pseudo-Agostino,   Contro i filosofi,  disp. 3, 1326)

«Porfirio. La distruzione dei templi, la condanna dei sacrifici e la distruzione delle statue non accadde per colpa della dottrina del vostro Cristo, ma per i suoi discepoli, i quali, come noi sosteniamo, hanno esposto qualche cosa di diverso da quanto egli aveva insegnato».  
(pseudo-Agostino,   Contro i filosofi,  disp. 3, 1395)

«Porfirio. Ma noi sosteniamo che il vostro Cristo non ha detto nulla di male contro i nostri dei, ma li venerasse più degnamente con un rito magico, i suoi discepoli invece non solo mentirono sostenendo che lui fosse dio, per mezzo del quale tutte le cose sono state create, sebbene non fosse niente altro che un uomo dotato di eccezionale sapienza, ma è anche vero che sui nostri dei non aveva insegnato ciò che invece loro (i discepoli) sostenevano».
(pseudo-Agostino, Contro i filosofi,  disp. 3, 1641)

«Porfirio. Se volessi ricordare e menzionare i miracoli che sono stati fatti dai nostri avi, penso che forse ti sarà difficile; ma tuttavia, che io taccia su quali e quanti sono i miracoli che in modo meraviglioso sono stati fatti dai nostri maghi in Egitto! Agostino».
(pseudo-Agostino, Contro i filosofi,  disp. 4, 1352)

«Porfirio. Ma noi filosofi sosteniamo che questi sono falsi miracoli e che non furono mai fatti, ma falsamente scritti».
(pseudo-Agostino, Contro i filosofi,  disp. 4, 1741)

«Porfirio. Ma a noi filosofi disgusta lo strano parto dal corpo di una vergine».
(pseudo-Agostino, Contro i filosofi,  disp. 4, 2165)

«Porfirio. Indubbiamente è vergognoso che noi, uomini istruiti dai discepoli di Platone, diventiamo i discepoli di non so quale Cristo».
(pseudo-Agostino, Contro i filosofi,  disp. 4, 2206)

«Oh quanto è considerato più credibile, ciò che i santi e gli angeli, che dicono la verità, hanno insegnato; ciò che i profeti hanno dichiarato condotti dallo spirito di Dio; ciò che io stesso ho premesso cioè che egli era il futuro salvatore che gli angeli avevano annunziato; ciò che gli apostoli che furono incaricati di diffondere il Vangelo a tutto il mondo - quanto, ripeto, è considerato più credibile far ritornare una volta sola le anime ai propri corpi piuttosto che farle ritornare tante volte in cose diverse! Oh Porfirio».
(pseudo-Agostino, Contro i filosofi,  disp. 4, 2229)

«Poichè, dice, Apollinare, che scrisse contro Porfirio, superò di molto gli scritti che Eusebio aveva contrapposto contro di lui (Porfirio), ma superò anche gli scritti di Metodio contro lo stesso soggetto».
(Filostorgio, Storia ecclesiastica apud Photium, VIII, fr. 14, 1)

«Frattanto su coloro che sono stati accusati dai prefetti grazie ad un intervento divino contro Porfirio ed Ireneo, la legge imperiale e le chiese hanno emanato lo stesso precetto del divino e piissimo imperatore Teodosio contro Porfirio e i Nestoriani e contro Ireneo, vescovo di Tiro». 
(Atti dei Concili Ecumenici, Concilio di Efeso, anno 431 T. I, 1,7, p. 166, 25)

«Perciò dunque per quanto concerne i libri di Porfirio scritti contro il santo culto dei Cristiani e i libri di Nestorio si è disposto che essi sono illeciti da un punto di vista dottrinale, e si è disposto anche che non bisogna interpretare alcun dogma concernente la dottrina».
(Atti dei Concili Ecumenici, Concilio di Efeso, anno 431 T. I, 1, 7, p. 166, 25)

«Come gli Ariani si chiamano tali per una legge della divina memoria di Costantino, così i porfiriani si chiamano tali da Porfirio per la somiglianza della loro empietà, così in ogni luogo, gli adepti della scellerata setta di Nestorio, siano chiamati Simoniani».
(Imperatori Teodosio II e Valentiniano Leonzio: anno 435;     Cod. Justin.  I, 5, 6)

«Insegna queste cose anche Plutarco il beota, e insegna queste cose anche Porfirio, colui che fu pieno di rabbia contro la verità, e sicuramente anche Numenio il pitagorico e moltissimi altri».
(Teodoreto, Graecarum affectionum curatio, I, 14, 3) 

«Per esempio che cos'è di più efficace di quell'esercizio pungente della dottrina cristiana? Quante numerose sette eretiche ha debellato coi suoi numerosi libri, quanti malvagi errori ha evitato alla fede, prova ne è quel lavoro famosissimo e magnifico di non meno di trenta libri, che con un gran numero di argomentazioni sconvolse le deliranti calunnie di Porfirio».
(Vincenzo lerinese, Ammonizione,  c. 11, 50)

«Afferma infatti quell'’empio di Porfirio che affascinato dalla sua fama andò ad Alessandria che era quasi un ragazzo e lì Origene lo vide gia vecchio, ma certamente era quel grand’'uomo che aveva fondato la fortezza di tutta la conoscenza».
(Vincenzo Lerinese,  Ammonizione,  I, 16, 23)

«Invece l'imperatore Giuliano disprezzò gli umili, ebbe atteggiamenti contro i cristiani, per sua volontà si rivolse verso la bestemmia di Porfirio; dunque entrambi furono chiamati empi, ed hanno come ricompensa la conoscenza del loro peccato».
(Socrate scolastico,  Storia ecclesiastica,  III, 23, 121)

«E la fissazione greca per gli idoli dei Porfiriani e dei Sabelliani, dei Frigi e degli Apollinariani, dei Fotiniani [...] e senz'altro ogni maledetta eresia va disonorata, mentre va considerata un vanto la fede ortodossa».  
(Cirillo alessandrino,  Encomio a santa Maria madre di Dio,  homilia diversa 11)

«E inoltre anche l'errore dei Greci, e i nefandi fumi sacrificali, e le sacrileghe vittime sacrificali disposte sugli altari; ma anche costui diffamò questa abitudine sconsiderata, e l'odiosa follia di Ario, e la lurida bestemmia dei Manichei e la condotta scellerata di Sabellio e di Porfirio e di Fotino il matto, contro la quale condotta anch'io mi sono scagliato. Ahimè la malvagità di costoro superò ogni cosa, e contro di lui (Fotino) si attaccò l'apice del pensiero di quel famoso arrogante che dice: "distruggerò le mie certezze e le ricostruirò più grandi". Così ha detto». 
(Cirillo alessandrino,  Encomio a santa Maria madre di Dio, homilia diversa 11)

«Dunque Porfirio, colui che scagliò contro di noi discorsi violenti e per poco non insultava la religione dei cristiani, dice che coloro che sono stati chiamati "saggi", sono sette di numero e si impadronirono di questo appellativo per questa ragione».
 (Cirillo alessandrino,  Contro Giuliano,  I 28 a-c, 544 D1- 545 A8)

«Scrissero su queste cose Plutarco e altri uomini illustri tra i pagani, e anche Porfirio colui che fu insolente contro di noi». 
(Cirillo alessandrino,  Contro Giuliano,  I 28C, 545 A 8 ss.)

«Ordiniamo che tutti quanti gli scritti di Porfirio, o di qualche altro, che egli scrisse spinto dalla sua follia contro il sacro culto dei cristiani, presso chiunque vengano trovate, siano gettate nel fuoco. Infatti tutti gli scritti che spingono Dio all'’ira e offendono le anime dei fedeli, non giungano alle orecchie; così facendo vogliamo venire in aiuto degli uomini».     
(Theodosio II e Valentiniano III, anno 448, Cod. Justin.  I, 1, 3)

«Editto disposto dagli imperatori riguardo alla pratica religiosa contro Porfirio, Nestorio ed Ireneo. [...] Pertanto ha decretato l'imperatore, il più divino tra noi, che per quanto concerne i libri di Porfirio, quelli scritti contro il sacro culto dei cristiani e quelli scritti da Nestorio che contengono dottrine empie, non si deve confutare alcun dogma della fede se non sia stato preventivamente approvato dai vescovi più santi riuniti insieme a Nicea, e per questo, insieme a Cirillo, la cui santa memoria è ancora presente nella città di Efeso, ancora oggi si parla della rovina di Ireneo il quale divenuto vescovo della città di Tiro, portò tutti al cospetto dello splendente oracolo divino che parlò in lingua greca, affinchè non ci fosse come pretesto l'ignoranza di queste cose».
(Atti dei Concili Ecumenici,  I 1,4 p. 67, 2-3; 7-15, Collect. Vatic . 139, 18 April. 448)

«Sullo stesso argomento vi è un editto a favore dei nostri cittadini di Costantinopoli. Allo stesso modo gli imperatori. [...] Ma affinchè nessuno abbia o ascolti o trascriva o esponga Nestorio o le sue parole o i suoi scritti dannosi e soprattutto i libri che Porfirio ha pubblicato solamente contro gli scritti cristiani».
(Atti del Concilio Ecumenico II 3,2 p. 88, 7-8; 14-16, versione delle giornate di Calcedonia edita da Rustico)

«E ora, come sembra, Porfirio subì le stesse cose; infatti costui venne picchiato da alcuni cristiani a Cesarea di Palestina, e non sopportando l’'ira, per la melancolia si allontanò dal cristianesimo, odiò coloro che lo avevano picchiato e si precipitò a scrivere ingiurie contro i cristiani; così lo confutò Eusebio di Panfilo che ribaltò le sue accuse».
(Socrate, Storia Ecclesiastica, 3, 23)

«Se Giuliano e Porfirio non le avessero lette superficialmente, le avrebbero accolte con buona predisposizione d'’animo, avrebbero rivolto sicuramente le loro speculazioni ad altre cose, e non avrebbero iniziato a scrivere quelle blasfeme elucubrazioni mentali».
(Socrate,  Storia ecclesiastica,  III, 23)

«Quel Porfirio, colui che con grande trasporto scatenò una guerra contro di noi». 
(Teodoreto, Cura delle malattie dei Greci, II)
«Porfirio, il nemico della verità».

(Teodoreto, Cura delle malattie dei Greci, III)

«il nostro implacabile e acerrimo nemico».

(Teodoreto, Cura delle malattie dei Greci, X, 12)

«Tagliente aveva la lingua Porfirio, ma la mente abituata all’'instabilità».
(Georg. Pisid.,  Hexaëm.  1071)

«Quel tale Porfirio nacque dopo l’'inizio della nostra epoca; sulle cose che sono state riportate sul suo conto, i santi hanno raccontato che, avendo ricevuto percosse da alcuni cristiani a Cesarea di Palestina, si allontanò da noi cristiani. Essendo avido di denaro, sposò una donna ricca, madre di cinque figli, già vecchia ed ebrea».
(Aristocrito, Teosofia, sec V, estratti)

«L'editto dell'imperatore Giustiniano è emesso contro Antimo, Severo Pietro e Zora. [...] Allo stesso modo non sia possibile trascrivere le opere di Nestorio nè reperirne i libri; similmente piaccia ai nostri imperatori porre le medesime disposizioni all'interno dei loro editti nei confronti dei libri di Porfirio "Contro i Cristiani"; in questo modo nè le parole di Severo nè i suoi scritti rimangano alla portata di qualsiasi cristiano, ma siano allontanati ed estranei alla chiesa cattolica e siano bruciati nel fuoco».
(Atti del Concilio Ecumenico III p. 119,26; 121, 22-26, Collezione  Sabbaitica  41)

«Ammonio: Quindi il mondo è eterno. Se è eterno è ingenerato nel tempo; infatti essendo la causa demiurgica eterna, anche l'opera è eterna nel tempo; come dice Porfirio che dimostra la verità».
(Zacharias, Trattato sulla creazione del mondo 102-143, Ammonio e un cristiano) 

«Porfirio fu un filosofo della città di Tiro e fu discepolo di Origene. Quest'uomo venne visto di mal'occhio da coloro che abitavano lì perchè aveva osato dare una spiegazione del santo Vangelo e la sua spiegazione fu confutata da Gregorio, il meraviglioso scrittore».
(Atanasio Sirio, Bibl. Apost. Vat. Cod. III 305  Assemanus)

«Porfirio infame e terribilmente empio».
(Anonimo di Ravenna,  Cronografia, Berlin, 1860, pp. 91; 171; 176)

«Sui filosofi pagani è anche possibile comprendere ciò che si intende col detto: "la bocca degli imbecilli dice solo sciocchezze", come furono Porfirio e Giuliano che contro i dottori della Chiesa spargevano fiumi della loro follia».
(Beda il venerabile,  I proverbi di Salomone, II, 15, 10)

«Di san Metodio, dai cui libri contro Porfirio. Tutto questo, per quel che concerne le circostanze reali, è bellissimo e citato in modo lodevole». 
«A questa posizione contraria alla nostra secondo la quale il serpente è il più saggio degli animali sulla terra, si sono schierati alcuni seguaci di Celso, Giuliano e Porfirio».
(Giovanni Damasceno,  Cose sacre parallele)

«Allo stesso modo in cui il piissimo re scrisse lettere indirizzate a tutti, dopo aver ordinato e aver  stabilito quelle cose, vennero promulgate le disposizioni sul santo sinodo; si è ritenuto opportuno chiamare porfiriani Ario insieme a coloro che concordano con lui, scomunicandolo, e si è ritenuto opportuno bruciare i loro libri e condannare a morte coloro che non facevano ciò (bruciare i libri). Si promulghi la legge imperiale di modo che queste disposizioni divengano obligatorie».
(Teofane confessore,  Cronografia,  I, p. 22, 25)

«Invece Porfirio, colui che fu pieno di rabbia contro di noi, era tiro di provenienza, all'inizio fu anche cristiano, il disgraziato; fu picchiato dai Cristiani a Cesarea in Palestina e per lo sdegno passò all'idolatria, e inoltre scrisse contro la Verità, tanto osò quel cane». 
(Teofane confessore,  Cronografia,  I, p. 51, 23)

«anche il filosofo Porfirio, colui che scrisse il Contro i Cristiani».
(Giorgio Monaco,  Cronaca breve, redactio recentior, PG CX, T.110, p. 532, 31)

«Tanti anni fa anche Porfirio di Tiro, mosso dalla pazzia, fu terribilmente violento contro la nostra fede; infatti era nato cristiano e, dopo essere stato percosso da un cristiano in Palestina, pieno di sdegno si avvicinò all'idolatria, lo sciagurato, e sostenne opinioni contro la fede».
(Giorgio Monaco, Cronaca breve, redactio recentior, P.G. CX, T. 110, p. 664, 34)

«Senza alcuna vergogna, come è l’'abitudine propria del cane di ritornare a controllare i suoi escrementi, alcuni ritornavano totalmente all'’antica superstizione, esattamente come il Fenicio Porfirio, altri invece, a causa di un radicale cambiamento di pensiero, sono stati ricondotti alla nostra religione, come l’'Egiziano Origene».
(Areta di Cesarea, Lo scoliaste di Luciano)

«Costui (Apollinare) scrisse in prosa contro l'empio Porfirio 10 volumi, e sui personaggi illustri presenti all'interno della Scrittura degli Ebrei».
(Suda, sotto la lettera, 3393, 2) 

«Chiama l'anima entelechia Porfirio, il filosofo di Tiro, colui che scrisse contro i Cristiani». 
(Suda, sotto la lettera, 1454, 14)

«Porfirio, colui che scrisse contro i cristiani, questi letteralmente si chiamava Basilio, filosofo di Tiro, scolaro di Amelio, discepolo di Plotino, maestro di Giamblico, nacque ai tempi di Aureliano e visse fino al regno dell’'imperatore Diocleziano. Scrisse un gran numero di libri: di filosofia, di retorica e di grammatica. Fu anche discepolo del critico Longino; [...] Discorsi contro i Cristiani in quindici libri.… Costui è Porfirio colui che ebbe un linguaggio insolente contro i Cristiani. Porfirio il nemico dei Cristiani, veniva dalla città di Tiro».
(Suda, s.v Porphyrios)
 
«Costui è Proclo, il secondo seguì l'insolente Porfirio colui che scatenò la sua lingua scellerata contro i Cristiani».
(Suda, sotto la lettera, 2471, 1)

«Queste cose vengono dette da Porfirio nel terzo libro dei suoi scritti contro i Cristiani, da colui che andò alla ricerca della vita ascetica di quel grande uomo Origene), da colui che mentì sapientemente su tutto il resto, infatti che cosa non venne in mente a quel pazzo furioso contro i cristiani».
(Suda, sotto la lettera, 182, 11)

«Anche Porfirio, colui che fu pieno di rabbia contro i Cristiani, ricorda proprio Origene e il suo talento e dice: "Questo metodo assurdo proviene da un uomo che anche io certamente ho incontrato essendo ancora giovane, che aveva un'ottima fama e ancora oggi è apprezzato per gli scritti che ha lasciato, parlo di Origene, la cui fama si è diffusa enormemente presso i maestri di queste dottrine».
(Suda, sotto la lettera, 182, 20)

«Invece dei nomi dei demoni e dei loro poteri, molti dei quali sono conosciuti in molti scritti, non venne trovato il nome di Gillo nè nei discorsi, nè nei falsi libri di Porfirio».
(Psellus, Sul demone Gillo,  p. 164, 6-8)

«Ma anche Porfirio il filosofo, colui che scrisse il Contra Christianos».
(Giorgio Cedreno,  Riassunto delle storie, I, p. 441, 1)

«Sarebbe bene che anche lui subisse le stesse cose che ha subito il padre e maestro Porfirio: quello infatti, avendo subito percosse a Cesarea da alcuni cristiani, non sopportando l'oltraggio, essendosi per questo motivo ammalato di melancolia, rifiutò il cristianesimo, e per odio nei confronti di quelli che lo avevano picchiato, si mise ad ingiuriare Cristo e le Scritture dei cristiani, come attesta Eusebio di Panfilo, il quale confutò in modo perfetto i suoi scritti contro di noi».
(Niceforo Callisto, Storia ecclesiastica, X, 36)

«Invece l'’empio Porfirio, famoso fra i pagani, afferma nel quarto libro della sua opera, che egli compose con inutile sforzo contro di noi, che Semiramide visse dopo Mosè, e regnò presso gli Assiri centocinquant’anni prima di Inaco. Pertanto ne consegue che Mosè è circa ottocentocinquant'’anni più vecchio della guerra di Troia».
(Euseb.,  Chronic. praef. interpr. Hieronimo

«(Si ordini loro di stare lontani dalle sozzure, dal sangue e dalla impudicizia X e di non fare agli altri quello che non vogliono si faccia a loro X); Il celebre Ireneo nel III libro contro le eresie e qui di seguito in quei libri che riguardano la figura degli apostoli, riporta così la citazione; e il grande Eusebio di Panfilo, nei libri sesto e settimo dell’'opera contro Porfirio similmente scrive che Porfirio ha menzionato la citazione a scopo di calunnia».
(Cod. Lawr. [Athos] 184, vol. 64, sec. X fol. 17r : Scolio ad Atti 15, 20)

«Perché si devono dire queste cose, quando anche Porfirio, un nostro contemporaneo, stabilitosi in Sicilia, cominciò a comporre libri contro di noi e cercando con essi di calunniare le Sacre Scritture, ricordando coloro che le interpretavano, non potè assolutamente accusare di volgarità le dottrine cristiane, allora, per mancanza di argomenti, ricorse all'’oltraggio, e a calunniare gli esegeti, tra essi soprattutto Origene. Dice di averlo conosciuto in giovane età e tenta di calunniarlo, senza accorgersi peraltro di dargli importanza, tanto quando dice la verità, nei casi in cui non può rivolgersi a lui diversamente, tanto quando mente, nei casi in cui pensava di non essere scoperto; ora accusandolo come cristiano, ora descrivendo il suo contributo negli studi filosofici. Ascolta quindi ciò che egli dice alla lettera: Alcuni desiderosi di trovare una soluzione alla malvagità delle scritture giudaiche, senza abbandonarle, diedero delle interpretazioni incompatibili e assurde con gli scritti, le quali non portarono alcuna difesa delle opere straniere (le Scritture), ma solo approvazione e lode per i loro autori. Infatti hanno spacciato come enigmi ciò che invece  è chiaramente detto da Mosè, e hanno considerato come divine quelle pratiche piene di misteri occulti, e proprio a causa di questa illusione, dopo aver ingannato la capacità critica dell'’anima, sovrappongono  le loro interpretazioni”. Poi più oltre dice: “Si sappia che questo metodo assurdo proviene da un uomo che anch'’io certamente ho incontrato essendo ancora giovane, un uomo che aveva un' ottima fama e ancor oggi è apprezzato per gli scritti che ha lasciato, parlo di Origene la cui fama si è diffusa enormemente presso i maestri di queste dottrine. Costui infatti fu discepolo di Ammonio il quale ai nostri tempi ha dato inequivocabilmente grande impulso alla filosofia; da tale maestro egli trasse grande beneficio nella conoscenza delle dottrine, invece quanto ad un corretto stile di vita prese una strada opposta alla sua. Infatti mentre Ammonio pur essendo cristiano, venne educato dai genitori nelle dottrine cristiane, e nel momento in cui abbracciò il pensiero e la filosofia, immediatamente si rivolse ad uno stile di vita conforme alle leggi; Origene invece, che era greco ed era stato educato nelle dottrine greche, deviò verso la barbara insolenza; comportandosi in questo modo guastò la sua capacità negli studi, vivendo, per quanto riguarda la sua vita, da cristiano, cioè in modo contrario alle leggi, ma seguendo invece i Greci per quanto concerne la concezione della realtà e di Dio; inoltre subordinò le teorie dei Greci alle favole straniere. Infatti seguì sempre il pensiero di Platone e si occupò degli scritti di Cronio, di Apollofane e di Longino e di Moderato, di Nicomaco e dei pensatori famosi tra i Pitagorici, consultò anche i libri dello stoico Cheremone e di Cornuto dai quali apprese il procedimento metalettico dei misteri dei Greci, metodo che applicò alle Scritture Giudaiche”. Queste cose vengono dette da Porfirio nel III libro del suo trattato contro i Cristiani, e, mentre ha confermato la vita ascetica e l’'erudizione di un tale uomo, invece ha mentito palesemente - infatti come poteva non farlo lui che era contro i cristiani? - quando ha detto che dalle dottrine dei Greci si era convertito a quelle cristiane, invece Ammonio da una vita rivolta alla santità precipitò nel paganesimo [...] Dunque queste cose servano come prova per esporre la calunnia del mentitore».
(Euseb., Storia ecclesiastica, VI, 19, 2 ss.)

«Ecco le cose scritte da Sanconiatone, tradotte da Filone di Biblo e considerate vere dalla testimonianza del filosofo Porfirio. Costui, nel capitolo riguardante i Giudei, scrive ancora queste cose su Cronos: Tauthòs che presso gli Egiziani è detto Thoth, si distinse presso i Fenici per la saggezza, e fu il primo che diede un assetto scientifico alla falsità della religione degli uomini volgari. Molte generazioni erano passate dopo di lui; il dio Surmubelòs e la dea Thurò la quale aveva cambiato nome in Eusarthis, i suoi seguaci, gettarono luce sulla teologia segreta di Tauthòs, nascosta dalle allegorie».
(Euseb.,  Praep. ev.  I, 9, 38, 20)

«Costui (Porfirio) dopo aver tradotto la Storia dei Fenici da Sanconiatone, racconta per osservazione diretta, e parla dei rettili velenosi che non sono di alcuna utilità per gli uomini, ai quali si attribuiscono danno e rovina, e che portano nell'uomo malattie incurabili e uno stato di prostrazione. Scrive queste cose alla lettera come se stesse parlando: Tauthòs in persona ha attribuito un carattere divino alla natura del drago e dei serpenti, e dopo di lui anche i Fenici e gli Egizi. Infatti è il dragone il più spirituale di tutti i rettili e la natura ignea si è trasmessa grazie a lui; perciò a causa della natura spirituale, ha un'incredibile velocità, sebbene sia senza piedi e mani e senza qualche altro arto esterno, grazie ai quali gli altri animali fanno i loro movimenti; si riproduce in svariate forme, e proprio per la sua andatura sinuosa fa delle accelerazioni secondo la velocità che più desidera; è molto longevo, non solo perchè ringiovanisce nel cambiare la vecchia pelle, ma anche perchè riceve un aumento di forza e ne produce ancora di più; e quando è giunto ad un punto determinato della sua vita si autodistrugge, nello stesso identico modo in cui nei templi lo stesso Tauthòs ha trasmesso nelle scritture. Ed è per questo motivo che l'animale è stato utilizzato nei templi e durante la celebrazione dei misteri. Abbiamo trovato diverse cose su questo argomento nei commentari dedicati ad Ethothii, nei quali si è dimostrato che era il dragone immortale, e come si autodistruggeva, come si è visto prima; infatti questo animale non muore di morte naturale se non riceve qualche percossa data con violenza. I Fenici lo chiamano demone buono; allo stesso modo gli Egiziani lo hanno chiamato Knèf; gli hanno dato inoltre una testa da falco, per l'operosità del falco. E dicono che Epeeìs parlando in forma allegorica chiamato anche da loro supremo ierofante e sacro scriba, di cui Ario di Eracleopoli ha tradotto l'opera, dice alla lettera in questo  modo: "per prima cosa il serpente più divino è quello che ha la forma, molto graziosa, di un corvo; se apre gli occhi riempie totalmente di luce il luogo della sua nascita; se invece li chiude, sopraggiunge la tenebra (Epeeìs ha dato anche un'immagine che è quella del fuoco) e dice che ha rischiarato, infatti è proprio della luce il rischiarare". Sui Fenici anche Ferecide coglie l'occasione per parlare della divinità del cosiddetto dio Ofione e degli Ofionidi, sui quali parleremo più avanti. Inoltre è indubbio che gli Egiziani, seguendo la loro concezione del mondo, hanno rappresentato un cerchio che gira di aria e di fuoco e in mezzo è collocato un serpente con la forma di un corvo (tutta la figura è come  la nostra theta [...]) il cerchio indica il mondo, e il serpente che è nel mezzo del cerchio simboleggia un demone buono. E Zoroastro il mago, nella scienza sacra dei Persiani,  dice alla lettera: "C'è un dio che ha la testa di corvo. Egli è il primo degli esseri incorruttibile, eterno, non generato, indivisibile, dissimile da tutti, amministratore di ogni bene, integerrimo, il più buono tra i buoni, il più prudente tra i prudenti; egli è anche il padre dell'equità e della giustizia, istruito, ingenerato, perfetto, saggio, l'unico scopritore della natura sacra". Anche Ostane dice tali cose su di lui nell'opera intitolata Ottateuco. Tutti coloro che hanno avuto l'occasione di parlare di Tauthòs, si sono espressi in questo modo. Ed essi hanno rappresentato i primi elementi all'interno dei templi dedicati ai serpenti, hanno edificato i loro templi, hanno celebrato feste, sacrifici ed orge in loro onore considerandoli i più importanti tra gli dei e i creatori di tutte le cose. Tali cose sono state dette per quanto concerne i serpenti. Infatti le cose concernenti la scienza degli dei Fenici presentano questa particolare caratteristica».
(Euseb. Praep. ev.  I, 9, 44, 8- 32)

«Lo stesso avvocato dei demoni nostro contemporaneo nell'opera scritta contro di noi conferma questa sua indole dicendo ad un certo punto: “E però si meravigliano se già da tanti anni la peste si è impadronita della città, non essendoci più diritto di residenza nè per Asclepio, nè per gli altri dei; infatti da quando vi è il culto di Gesù nessun dio fu di alcuna utilità per il popolo”».
(Euseb., Praep. ev.  V, 1, 9 ss.)

«Tra costoro viene ricordato quel nostro contemporaneo che ha ordito una calunnia contro di noi e nel IV libro del suo scritto contro di noi, confermando la notizia dell'uomo (di Filone), dice alla lettera: "I fatti più veri sui Giudei, perchè più consoni ai luoghi e ai nomi, li racconta Sanconiatone di Berìto, il quale aveva preso le fonti da Gerombalo sacerdote del dio Ieuò; costui (Sanconiatone) si occupò della storia di Abibalo (Abelbalo) re di Berìto, da quello (da Gerombalo) e da coloro che come lui facevano ricerca, apprese la verità sui fatti. Questi fatti si sono verificati prima degli anni della guerra di Troia e si avvicinano quasi ai tempi di Mosè, come dimostrano i successori dei re di Fenicia. Sanconiatone inoltre, che scrisse nella lingua dei Fenici e raccolse tutta la storia antica dagli annali di stato e dai registri dei templi, sicuramente scrisse su Semiramide che divenne regina degli Assiri. Queste cose scrive Porfirio».
(Eusebio,  Preparazione evangelica,  X, 9, 11)

«Con fede e con saggezza bisogna ascoltare quel "Tu puoi tutto" per non piegarci alla follia dei doceti letteralisti. Così il detto è chiaro se si distinguono correttamente le citazioni. Alcune potenze sono attive, altre sono passive. Le potenze attive sono quelle secondo le quali facciamo le cose, quelle passive sono quelle secondo le quali subiamo delle modificazioni. [...] Dunque quando si dice che Dio può tutto, non bisogna assegnargli anche le potenze passive. Infatti non solo non si può dire di lui che divenga qualcosa di diverso - non ci sono infatti potenze che sono a lui sottomesse per opportunità - ma non si può nemmeno dire che egli può mentire o mutare o rinnegare sè stesso. Le cose che convengono a Dio sono le cose che si dice lui possa fare. Infatti alcuni cavillano, e tra essi c'è anche Porfirio e gente simile a lui, che "se Dio può tutto", allora può anche mentire. E se tutto è possibile a chi crede (Mt.  17, 20), gli è possibile fare un letto o un uomo. Ma non è questo che significa, infatti è come se si dicesse che "il dottore può tutto se parlo dell'arte medica, e "il nocchiero può tutto" se parlo di ciò che compete alla sua professione, così se dico "Dio può tutto o il credente può tutto", dico questo cioè che Dio può fare ciò che compete a Dio, e il credente può fare ciò che compete al credente. Questa è la cosa giusta che si ottiene mediante la fede. E poichè questo lo conosce anche la Scrittura, essa dice su Dio: "Se negheremo, lui rimarrà fedele"; infatti lui non può rinnegare sè stesso (2  Tim.  2, 12 seg.). E di nuovo: "è impossibile che Dio menta in queste cose" (Ebrei 6, 18). Allo stesso modo con la conoscenza "non ti è possibile conoscere nulla" ecc.».
(Didimo il cieco.  Commentario a  Giobbe, 10, 13)

«Ora Porfirio, desiderando farci il rimprovero perchè noi procediamo forzatamente in quanto inventiamo spiegazioni spirituali e allegorie, ha interpretato il brano di Omero, in cui Achille ed Ettore sono citati allegoricamente come Cristo e il diavolo. E ciò che noi diciamo del diavolo, lui lo dice di Ettore, e ciò che noi diciamo di Cristo, lui lo dice di Achille. Egli riporta le seguenti parole: "Prima della vittoria di Achille, Ettore primeggiava su tutti ed era ritenuto il più forte di tutti". Ma faceva questo per calunniare. Qui termina la spiegazione anagogica (spirituale)».
(Didimo il cieco,    Commentario all'  Ecclesiaste,   9, 10)

«Infatti non è da tutti dire questo, ma solo colui che ha ricevuto un orecchio aggiuntivo per intervento divino. E avendo il Salvatore queste orecchie disse: "Chi ha orecchie per intendere, intenda". Ma invece non tutti avevano le orecchie per intendere le parole velate di Gesù, parole annunciate in parabole. Per cui Porfirio anche in ciò ha sostenuto cose da pazzi».
(Didimo il Cieco,  Commentario a Isaia  50, 4-5 e Salmi 137, 4)

«Per questo anche altri tra i filosofi greci, dico Porfirio e Celso e Filosabbazio, quest’'ultimo discendente dei Giudei, serpe maligno e ingannatore, dopo aver confutato la dottrina evangelica, lanciano accuse contro i santi evangelisti, mostrandosi attaccati ai piaceri della carne, e dediti ai piaceri del corpo. [...…] Ognuno di essi infatti, adirandosi contro le parole della verità, a causa dei limiti della loro ignoranza, quando si imbattevano in questo passo dicevano: “Com’'è possibile che nello stesso giorno si sia verificata: la nascita a Betlemme, la circoncisione dopo otto giorni, il viaggio a Gerusalemme in quaranta giorni, le vicende su Simeone e Anna, verificatesi lo stesso giorno? Nella notte - –dice l'’evangelista - in cui nacque Gesù, quando apparve l’'angelo? Forse dopo la venuta dei Magi, giunti per adorarlo, i quali aprirono le loro borse da viaggio e offrirono doni, come si narra? L'’evangelista infatti dice: “ ''Gli apparve un angelo dicendo'' [...…] Se quindi nella stessa notte in cui nacque fu portato in Egitto e lì rimase fino a quando non morì Erode, come è rimasto ed è stato circonciso Gesù che aveva solo otto giorni?  Ma in che modo Luca è stato trovato mentitore sull’'episodio dei quaranta giorni, come attestano i calunniatori “''sulla loro testa''” come dice il detto?»
(Epiphan., Eresie, 51, 8)

«Dicono molti e soprattutto coloro che seguono il miscredente Porfirio, il quale scrisse contro i cristiani e allontanò molti dalla dottrina di Dio, dicono quindi: "Perchè Dio impedì la conoscenza del bene e del male? D'accordo, ha proibito la conoscenza del male; ma perchè anche la conoscenza del bene? Infatti dicendo: "Non mangiate dall'albero della conoscenza del bene e del male", impedisce, dicono costoro, che si conosca il male in sè; ma perchè anche il bene? Sempre la cattiveria viene usata astutamente in favore di sè stessa e l'occasione per farlo si trova all'interno della stessa cattiveria».
(Severianus Gabal.,  De mundi creatione, orat. VI)

«Gesù negò che sarebbe andato, ma poi fece ciò che prima si era rifiutato di fare (Giov.  7, 8. 10). Latra Porfirio e accusa Gesù di volubilità e di cambiamento di parere, non sapendo che le occasioni di peccato devono essere riferite alla carne».
(Girolamo,  Contro Pelagio  II, 17)

«Porfirio scrisse il dodicesimo libro contro il profeta Daniele, sostenendo che esso non fu composto da colui il cui nome figura sull'intestazione, ma da un tale che ai tempi di Antioco, soprannominato Epifane, era stato in Giudea; e che Daniele aveva predetto non tanto eventi futuri quanto fatti già passati. Insomma ciò che Daniele ha raccontato fino ad Antioco, presenta un autentico spessore storico; mentre ciò che sostiene sugli eventi futuri, sarebbe una menzogna, poichè Daniele non li avrebbe conosciuti. A Porfirio replicarono con grande abilità Eusebio vescovo di Cesarea in tre volumi, cioè il XVIII, il XIX e il XX; anche Apollinare con un unico libro voluminoso, cioè il XXVI, e prima di loro in parte Metodio. In verità poichè ci proponiamo di non ribattere alle calunnie dell'avversario, che avrebbero bisogno di un lungo discorso. [...] Poichè Porfirio vide che quelle [cioè le predizioni di Daniele su Cristo, sui re e sugli anni] si erano compiute in modo totale e completo, non aveva potuto negarle; quindi vinto dalla verità della storia, proruppe in questa calunnia, secondo cui le cose che si dicono sull'anticristo nella futura fine del mondo, egli sostiene con forza che si siano compiute per la somiglianza di alcuni eventi verificatisi sotto Antioco Epifane. Tuttavia il suo attacco è una testimonianza di verità. Infatti tanto grande fu la veridicità delle parole che non sembrava che il profeta parlasse di cose future a uomini increduli, ma che descrivesse il passato. E tuttavia se per caso nella spiegazione del libro di Daniele si presenterà l'occasione, tenterò brevemente, con una semplice spiegazione contraria, di rispondere alla calunnia di Porfirio e agli artifici della filosofia, o piuttosto alla malignità profana, per mezzo della quale egli si sforza di capovolgere la verità e di portare via la chiara luce degli occhi».
(Girolamo,  Commentario a Daniele, inizio del prologo)

«E dobbiamo osservare tra le altre cose che sul libro di Daniele Porfirio ci rimprovera anche questo e cioè che esso sembra chiaramente inventato, cioè non si trova presso gli Ebrei ma sembra essere stato composto in lingua greca, poichè nel racconto di Susanna, si legge che quando Daniele parla agli anziani dice: "sotto il lentisco Dio ti taglierà e sotto il leccio Dio ti segherà", etimologia che si addice più al greco che all'ebraico. Allo stesso modo sia Eusebio, che Apollinare gli hanno replicato che i racconti di Susanna, di Bel e del Serpente non sono composti in ebraico ma sono una parte della profezia di Abacuc, del figlio di Gesù della tribù di Levi. [...] E Origene ed Eusebio e Apollinare e altri uomini di Chiesa e dottori della Grecia riconoscono che, come ho detto, questi costrutti non si trovano presso gli Ebrei, nè che, a loro parere, si deve replicare a Porfirio, in quanto non presentano questi costrutti alcuna importanza per la sacra scrittura».
(Girolamo,  Commentario a Daniele, prologo)

«Invece, per comprendere le ultime parti di Daniele è indispensabile la molteplice storiografia dei Greci, cioè dire: Sutorio, Callinico, Diodoro, Girolamo, Polibio, Posidonio, Claudio Teone e Andronico soprannominato Alipio, i quali anche Porfirio dice di aver seguito. Anche Giuseppe, e coloro i quali Giuseppe prende in considerazione, specialmente il nostro Livio e Pompeo Trogo e Giustino, i quali raccontano tutti insieme la storia dell'ultima visione».
(Girolamo, Commetario a Daniele, prologo)

«E a causa di ciò nel Vangelo secondo Matteo sembra esserci una sola discendenza perché la seconda  finisce con Geconia figlio di Giosia e la terza comincia da Geconia figlio di Geconia. Porfirio, ignorando ciò ordisce la calunnia contro la Chiesa, mostrando la sua ignoranza, mentre si sforza di accusare di menzogna l’'evangelista Matteo».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,   I, 1, 1)

«"Diventò una grande montagna e riempì tutta la terra" - i Giudei e l'empio Porfirio attribuiscono questo sasso inopportunamente al popolo di Israele, il quale popolo, vogliono che, alla fine dei secoli, diventi  fortissimo, sottometta tutti i regni e domini in eterno».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  I, 2, 40-45)

«Porfirio critica malignamente questo passaggio per il fatto che giammai il superbissimo re si sarebbe prosternato davanti ad uno schiavo».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  I, 2, 46)

«E in questo luogo il falso accusatore della chiesa Porfirio si sforza di criticare il profeta, perchè non rifiutò i doni e accolse volentieri le onorificenze di Babilonia».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  I, 2, 48 ss.)

«La lettera di Nabucodonosor è collocata nel libro del profeta, affinchè non si pensi che il libro sia stato scritto in seguito da un altro autore, come sostiene il bugiardo sicofante Porfirio, ma si creda che il libro sia dello stesso Daniele».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  I, 3, 98 ss.)

«"Regina" - scrivono rispettivamente Giuseppe, che questa sarebbe la nonna di Baldassarre, Origene che questa sarebbe la madre, da cui consegue che era a conoscenza del passato, che il re ignorava. Si svegli dunque Porfirio, che delira sul fatto che essa sia la moglie di Baldassarre e si fa beffa del fatto che ne sappia più del marito».
(Girolamo,  Commentario a Daniele, II, 5, 10)

«Porfirio colloca le ultime due bestie, quella dei Macedoni e quella dei Romani, nel solo regno macedone, e distingue: la "pantera" con cui vuole indicare lo stesso Alessandro, invece nella bestia differente dalle altre, vuole indicare i quattro successori di Alessandro. E poi passa in rassegna dieci re fino ad Antioco, soprannominato Epifane, che furono violentissimi, ma non li considera come re di un unico regno, per esempio della Macedonia, della Siria, dell'Asia e dell'Egitto, ma da diversi regni raccoglie una sola successione di re, affinchè, in modo evidente, il versetto "una bocca che proferiva parole insolenti" non si creda pronunziato dall'Anticristo ma da Antioco».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  II, 7, 7b)

«Invano Porfirio identifica il piccolo corno, spuntato dopo le dieci corna, con Antioco Epifane, e le tre corna, strappate dalle dieci, si riferiscono a Tolomeo VI soprannominato Filometore, Tolomeo VII Evergete e Artaxia re dell'Armenia di cui i primi due morirono molto tempo prima che nascesse Antioco [...] Risponda Porfirio a quale degli uomini può convenire ciò, oppure chi sia costui tanto potente che ha spezzato e polverizzato il piccolo corno che viene riferito ad Antioco? Se avrà risposto che i prìncipi di Antioco furono vinti da Giuda Maccabeo, dovrà mostrare in che modo con le nubi del cielo venga ecc.».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  II, 7, 8-14)

«Costui è Dario che con Ciro aveva vinto i Caldei e i Babilonesi, affinchè non pensiamo che sia quel Dario, nel cui secondo anno di regno fu edificato il tempio - come pensa Porfirio, per allungare gli anni di Daniele - o colui che fu sconfitto da Alessandro re dei Macedoni».
(Girolamo, Commentario a Daniele,  III, 9, 1)  

«Seleuco Filopatore, figlio di Antioco il Grande Porfirio pretende che questo non sia Seleuco, ma Tolomeo Epifane, il quale avrebbe tramato inganni contro Seleuco e avrebbe predisposto un esercito contro di lui e per questa ragione sarebbe stato ucciso col veleno dai suoi generali. Per questo quando una persona gli chiese dove avesse il denaro per macchinare intrighi così grandi, rispose che i suoi amici erano le ricchezze. Così quando la cosa  venne resa pubblica tra la gente, i generali temettero che egli portasse via il loro patrimonio e per questo lo uccisero con artifici malefici. Ma in che modo Tolomeo può stare in luogo di Antioco Magno, lui che in alcun modo fece ciò? Ecc.».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,   III, 11, 20)

«Fin qui la successione dei fatti storici corrisponde, e tra Porfirio e i nostri scrittori non vi è alcuna discordanza. Le altre cose che seguono fino alla fine del libro egli le interpreta sulla persona di Antioco, soprannominato Epifane, fratello di Seleuco, figlio di Antioco il Grande, che dopo Seleuco regnò undici anni in Siria e occupò la Giudea. Si narra che sotto di lui vi fu la persecuzione della Legge di Dio e le guerre dei Maccabei, i nostri scrittori invece».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 11, 21, 1-12)

«Al posto di Seleuco dicono ci starà suo fratello Antioco Epifane, a cui in principio non veniva riconosciuto l'onore regale da coloro che in Siria appoggiavano Tolomeo. Ma poi, con l'inganno dell'indulgenza, Antioco si impossessò del regno della Siria; e le braccia di Tolomeo che combatteva e devastava ogni cosa furono sconfitte e annientate dalla persona di Antioco. Chiama "braccia", invece di forza, come viene chiamata "mano", un esercito molto numeroso, e non solo dice egli vinse Tolomeo con l'inganno, ma con insidie sconfisse anche il capo degli alleati che è Giuda Maccabeo, in altre parole questo è ciò che dice: "dopo che offrì la pace a Tolomeo e divenne capo dell'alleanza, successivamente tramò inganni contro di lui. D'altra parte il Tolomeo di cui qui si tratta non è Epifane, il quinto Tolomeo che regnò in Egitto, ma Tolomeo Filometore, figlio di Cleopatra sorella di Antioco, di cui costui fu zio. E quando dopo la morte di Cleopatra governarono l'Egitto l'eunuco Eulalio, curatore del Filometore, e Leneo e rivendicarono la Siria, che Antioco aveva conquistato con l'inganno, tra lo zio e il giovane Tolomeo scoppiò la lite; e quando si scontrarono tra Pelusio e il monte Casio i generali di Tolomeo furono sconfitti. Poi Antioco avendo risparmiato il ragazzo e fingendosi amico salì a Menfi e lì, secondo l'usanza dell'Egitto, dopo essersi impossessato del regno e dopo aver detto che si sarebbe preso cura del ragazzo, con un esiguo numero di persone sottomise tutto l'Egitto. Entrato in città opulente e ricchissime, fece ciò che non avevano fatto mai i suoi antenati e i padri dei suoi antenati: nessuno tra i re della Siria infatti aveva devastato l'Egitto in questo modo; inoltre dissipò tutte le loro ricchezze, e fu tanto furbo che col suo inganno mandò all'aria gli oculati progetti di coloro che erano i tutori del fanciullo. Queste cose Porfirio ha raccontato, seguendo Sutorio, con un linguaggio troppo prolisso che noi abbiamo esposto con un breve riassunto».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 11, 21, 12-13)

«Porfirio riferisce queste cose ad Antioco, il quale avanzò contro Tolomeo figlio di sua sorella con un grande esercito. Ma il re dell'Austro, cioè i generali di Tolomeo, furono sfidati alla guerra con molte milizie ausiliarie dotate di grande coraggio, e non furono capaci di resistere ai piani fraudolenti di Antioco, il quale finse di essere in pace col figlio di sua sorella e mangiò con lui il pane e dopo si impossessò dell'Egitto».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 11, 25)

«Porfirio sostiene che per "aiuto insignificante" si alluda a Mattatia del villaggio di Modin,  che si ribellò contro i generali di Antioco e cercò di preservare il culto del vero Dio; d'altra parte si dice che Porfirio chiama l'aiuto "insignificante", perchè Mattatia cadde in battaglia e dopo, suo figlio Giuda, che era soprannominato Maccabeo, cadde combattendo, mentre gli altri suoi fratelli furono ingannati dalla frode degli avversari».
(Girolamo, Commentario a Daniele,  IV, 11, 34)

«Porfirio e tutti coloro che lo seguono sostengono che si alluda ad Antioco Epifane,  perchè impettitosi contro il culto di Dio era divenuto talmente superbo da ordinare di far collocare nel tempio di Gerusalemme la sua statua; e il passo che segue: "e prospererà finchè l'ira non si sia consumata perchè il compimento sarà in lui stesso", così lo interpretano: egli ha avuto potere fin tanto che Dio non si sia adirato contro di lui e non abbia deciso di farlo ammazzare; se appunto Polibio e Diodoro, che scrivono rispettivamente le  Historiae e la  Biblioteca storica, raccontano che egli non solo aveva fatto guerra contro il Dio della Giudea, ma infiammato dai fuochi dell'avarizia, tentò di saccheggiare il empio di Diana in Elimaide, che era ricchissimo; ma fu sconfitto dai custodi del tempio e dalle persone che erano lì vicino; impazzì colto da certe visioni e paure, e infine morì per una malattia. E ricordano ciò che gli accadde proprio perchè aveva cercato di profanare il tempio di Diana».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,   IV, 11, 36)

«"E oltre alla concupiscenza delle femmine" si adatta alla persona di Antioco, che si dice fu molto lussurioso e con adulteri e depravazioni fece giungere la dignità regale a tanto disonore che si accoppiava pubblicamente anche con mimi e prostitute e soddisfaceva la sua libidine alla presenza del popolo. Porfirio ha inteso in modo ridicolo il Dio Maozim per dire "nel villaggio di Modin" da cui proveniva Mattatia e i suoi figli, dove i generali di Antioco collocarono una statua e costrinsero i Giudei a sacrificargli, cioè al dio Modin, delle vittime. "Guarnigioni" ecc: Porfirio ha interpretato così: costui farà tutte queste cose per costruire una fortezza a Gerusalemme e per collocare nelle altre città delle guarnigioni e per insegnare agli Ebrei ad adorare un dio straniero, senza dubbio si allude a Giove. E mentre mostrerà loro e li convincerà che questo dio deve essere adorato, allora, a coloro che sono stati ingannati, darà moltissima gloria e onore e li farà comandare sugli altri che si trovavano in Giudea, e in cambio della collusione, dividerà beni e distribuirà doni».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 11, 37)

«Anche queste cose Porfirio le rivolge ad Antioco, poichè nell'undicesimo anno del suo regno combattè nuovamente contro Tolomeo figlio di sua sorella. Costui venendo a conoscenza che Antioco stava per arrivare, riunì molte migliaia di uomini. Ma Antioco come una tempesta violenta con carri e cavalieri e con un grande esercito avanzò in moltissime terre e al suo passaggio distrusse ogni cosa; poi entrò nella terra famosa, cioè la Giudea.[...] e costruì una fortezza sulle rovine delle mura della città e così si diresse in Egitto. [...] Antioco affermano affrettandosi contro Tolomeo, re del sud, non toccò gli Idumei e i Moabiti e gli Ammoniti, che stavano a lato della Giudea, perchè, impegnato in un'altra battaglia, non rendesse Tolomeo più forte».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 11, 40 ss.)

«Anche in questo luogo Porfirio vaneggia di non so quale cosa su Antioco: Combattendo dice contro gli Egizi e passando per la Libia e l'Etiopia, viene a sapere dal Settentrione e dall'Oriente che si sono accesi focolai di guerra; per cui durante il ritorno, conquisterà Arado che aveva opposto resistenza e saccheggerà tutta la regione lungo la costa della Fenicia. E subito si dirigerà contro Artaxia re dell'Armenia, il quale sarà allontanato dalle zone dell'Oriente e, massacrata la maggior parte del suo esercito, collocherà la sua tenda nella località di Apedno che è situata tra due grandissimi fiumi, il Tigri e l'Eufrate. Ma essendo avanzato nella spiegazione fino a questo punto, non può dire Porfirio su quale monte glorioso e santo si sia stanziato; e non può dimostrare, e del resto sarebbe sciocco, che "egli avesse stabilito la sede fra due mari" per intendere i due fiumi della Mesopotamia come due mari. D'altra parte, per questo motivo, ha tralasciato il monte glorioso perchè ha seguito l'interpretazione di Teodozione, che dice: "in mezzo ai due mari sul santo monte di Saba". E siccome pensa che Saba sia il nome di un monte o dell'Armenia o della Mesopotamia, non può dire per quale motivo sia santo; in più con questa sfrenatezza che ha Porfirio nel mentire, possiamo aggiungere noi ciò che lui ha taciuto: il monte è detto "santo" perchè secondo la follia degli Armeni fu consacrato agli idoli. "E arriverà - dice - fino alla cima di questo stesso monte" nella provincia dell'Elimaide, che è la più lontana regione ad Oriente della Persia; e qui volendo saccheggiare il tempio di Diana, che aveva un'infinità di tesori, fu cacciato dai barbari, i quali con straordinaria venerazione riverivano quel tempio; successivamente morì distrutto dal dolore a Tebe, città della Persia. Queste storie ha scritto il famoso Porfirio con un discorso fatto veramente a regola d'arte per insultarci, e anche se ha potuto dimostrare che queste storie non si riferiscono all'Anticristo ma ad Antioco, che cosa importerà a noi che, non in tutti i passi delle scritture, dimostriamo l'avvento del Cristo e la menzogna dell'Anticristo? [...] Queste cose che sono così evidenti (cioè la visione precedente) egli le omette e sostiene di avere fatto profezie sui Giudei, che, come sappiamo, ancora oggi vivono in schiavitù . E sostiene che colui che ha scritto il libro sotto il nome di Daniele mentì, per risollevare la speranza dei suoi (dei Giudei) - non perchè avrebbe potuto conoscere tutta la storia futura, ma perchè avrebbe ricordato fatti già passati; e insiste sulle calunnie dell'ultima visione, traducendo fiumi per mare e dove legge che il monte glorioso e santo si trova ad Apedno, non può addurre alcuna spiegazione storica. [...] Apollinare ha seguito i Settanta e ha taciuto del tutto sul nome di Apedno; per questo motivo ho presentato ciò in modo più esteso, sia per esporre la calunnia di Porfirio, il quale ha ignorato tutte queste cose o ha fatto finta di non conoscerle, sia per esporre la difficoltà della Sacra Scrittura, il cui intendimento molte persone, soprattutto inesperte, si arrogano senza la grazia di Dio e la scienza degli antenati».
(Girolamo, Commentario a Daniele,  IV, 11, 44-45)

«Fino a questo punto Porfirio in qualche modo si è difeso. [...] Su questo capitolo nel quale viene descritta la resurrezione dei morti, che cosa dirà? [...] Ma che cosa  non fa la testardaggine? Anche questo, dice è stato scritto su Antioco, il quale recandosi in Persia lasciò l'esercito  a Lisia, il quale governava Antiochia e la Fenicia, per combattere contro i Giudei e per far cadere Gerusalemme, la loro città. Tutti questi fatti vengono raccontati da Giuseppe, autore della Storia ebraica, il quale riporta che la sofferenza era stata tale come non mai, ed era sopraggiunto un periodo come mai vi era stato prima di allora, da quando cioè le persone avevano cominciato ad esistere. Ma ripristinata la vittoria e uccisi i generali di Antioco e lo stesso Antioco, morto in Persia, il popolo di Israele fu salvo, e tutti coloro che erano scritti nel libro di Dio, cioè coloro che difesero con grande coraggio la Legge; diversamente coloro che sono stati cancellati dal libro, cioè coloro che divennero traditori della Legge e si schierarono dalla parte di Antioco perirono. Allora, dice, coloro che, come se dormissero nella polvere della terra, coperti dal peso delle sciagure e come se fossero nascosti nei sepolcri delle angosce ad un'inaspettata vittoria, risorsero dalla polvere della terra e alzarono il capo da terra: i difensori della Legge risorgendo a vita eterna e i prevaricatori nell'eterno disonore. Mentre i maestri e i dottori, che ebbero conoscenza della Legge, brilleranno come la volta celeste, e coloro che incoraggiarono i popoli più deboli a custodire il culto di dio risplenderanno a guisa di stelle per tutta l'eternità. Porfirio cita anche la storia dei Maccabei, nella quale si narra che molti Giudei sotto Mattatia e Giuda Maccabeo si rifugiarono nel deserto e si nascosero in grotte e in caverne di rocce per uscire fuori  dopo la vittoria. E queste cose sono state preannunziate in senso metaforico, come se si trattasse della resurrezione».
(Girolamo, Commentario a Daniele,  IV, 12, 1ss.)

«Porfirio, secondo la sua abitudine, riferisce ciò ad Antioco».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 12, 5)

«Porfirio interpreta "Un tempo e i tempi e metà del tempo" come se fossero tre anni e mezzo. [...] Se quindi le frasi precedenti, che evidentemente sono state scritte sull'Anticristo, Porfirio le riferisce ad Antioco e ai tre anni e mezzo, nei quali, dice, il tempio fu abbandonato, allora anche ciò che segue: "E il suo regno sarà eterno, e tutti i re lo serviranno e gli obbediranno" egli Porfirio deve dimostrare che si riferisce ad Antioco o, come lui stesso crede, al popolo dei Giudei: è evidente che ciò non sta in piedi in alcun modo  [...…] "Quando il popolo di Dio sarà stato disperso" - durante la persecuzione di Antioco, come vuole Porfirio, allora queste cose si compiranno».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 12, 7)

«Porfirio dice che questi 1290 giorni si sono compiuti durante il periodo di Antioco e la desolazione del tempio».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,  IV, 12, 11)

«Porfirio spiega questo passaggio così: i quarantacinque giorni che si sommano ai milleduecentonovanta alludono alla vittoria contro i generali di Antioco, quando Giuda Maccabeo combattè coraggiosamente e purificò il tempio; distrusse la statua e offrì vittime nel tempio di Dio».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,   IV, 12, 12)

«Inutilmente Porfirio vuole riferire ogni cosa ad Antioco, alla sua calunnia; come abbiamo detto, hanno replicato in modo più che soddisfacente Eusebio di Cesarea e Apollinare di Laodicea e in parte il martire Metodio, uomo eloquentissimo; chi volesse conoscerle potrà trovarle nei loro libri».
(Girolamo, Commentario a Daniele,  IV, 12, 13)

«Poichè gli Ebrei respingono la storia di Susanna, in quanto sostengono che essa non si trova nel libro di Daniele, dobbiamo cercare scrupolosamente di scoprire se le parole schìnu kai prìnu, che si traducono in Latino con leccio e lentisco, esistano presso gli Ebrei e che etimologia abbiano, per sapere se nella loro lingua schìno si dice dividere e prìno si dice tagliare o piuttosto segare. Se ciò non verrà trovato, saremmo anche noi costretti di necessità a prestar fede al parere di coloro (cioè Porfirio) che vogliono che questa sia soltanto una pericopèn della lingua Greca, di cui ci sia soltanto l'etimologia greca e non quella ebraica».
(Girolamo,  Commentario a Daniele,   13, 58 ss.)


«Non capendo in alcun modo ciò, il bataneota, scellerato e famigerato Porfirio, nel I libro della sua opera contro di noi ha rinfacciato che Pietro è stato rimproverato da Paolo, in quanto non si sarebbe comportato correttamente nell’'evangelizzazione, volendo così bollare quello (Pietro) con la macchia dell'’errore, questo (Paolo) dell'impudenza; volendo inoltre incolpare entrambi di professare l’'imbroglio di una dottrina ingannevole, e volendo dimostrare che i principi delle chiese erano in disaccordo tra di loro».
(Girolamo,  Commentario a Galati, prologo)

«La maggior parte delle persone crede che ciò sia stato detto dagli apostoli; infatti anche Porfirio rinfaccia che, dopo la rivelazione di Cristo, Paolo non sarebbe stato meritevole di andare dagli uomini e conversare con loro, affinché dopo la scienza di Dio, non venisse istruito dalla “carne e dal sangue”». 
(Girolamo,  Commentario a Galati 1, 16)

«Soprattutto perché Luca, scrittore di storia sacra, non fa alcun accenno su questo contrasto, e non dice mai che Pietro fu ad Antiochia con Paolo, e al blasfemo Porfirio non viene dato motivo di credere: o che Pietro fosse in errore o che Paolo confutasse con insolenza il principe degli apostoli. [...…] Se per la calunnia di Porfirio dobbiamo immaginarci un altro Cefa (diverso da Pietro), affinché non si pensi che Pietro sia stato in errore, bisognerebbe cancellare dalle scritture divine quella quantità infinita di cose che egli, poiché non le ha capite, le diffama».
(Girolamo, Commentario a Galati 2, 11 ss.) 

«Dunque facciamo attenzione anche noi, affinchè non diventiamo nel popolo gli esattori di tasse; le matrone e le donne non siano il nostro senato e non prevalgano nelle chiese; e per quanto riguarda il grado sacerdotale non conti l'opinione delle donne, come invece sostiene l'empio Porfirio».
(Girolamo,  Commentario ad Isaia,  II, 3, 12)

«Abbiamo notato questo: ciò che leggiamo nell'ultima visione di Daniele è il dio Maozin, non come vaneggia Porfirio, il dio del villaggio di Modim (Moden), ma intendiamo un dio vigoroso e forte».
(Girolamo,  Commentario a Isaia,   IX, c. 30)

«Girolamo ha preso le citazioni di  un nugolo di scrittori ecclesiastici per spiegare Daniele così non ho voluto eliminarne nemmeno unoscrittore affinchè non sembrasse che accusassi gli altri. E certamente se uomini tanto grandi e tanto eruditi non piacciono ai lettori arroganti, che cosa faranno di me, che a causa della scarsità di ingegno sono esposto ai morsi degli invidiosi? [...] Comprendano che io non approvo la veridicità di tutti, che indubbiamente sono in contrapposizione fra di loro, ma ho detto queste cose per distinguere Giuseppe e Porfirio, che trattarono diffusamente questo argomento».
(Girolamo,  Commentario a Isaia,  XI, prefazione) 

«Coloro che per accontentare il blasfemo Porfirio dicono che la disputa tra Pietro e Paolo, riguardante l'’evangelizzazione, fu un litigio e una zuffa».
(Girolamo,  Commentario a Isaia  XV, c. 54)

« Gli apostoli decidevano ciò che era conveniente per i catecumeni e che non si opponesse alle circostanze, così rafforzarono la loro fede sulle testimonianze di altri tempi, non per abusare dell’'ingenuità e dell’'ignoranza dei catecumeni, come calunniosamente critica l’'empio Porfirio».
(Girolamo,  Commentario a Gioele,   2, 28- 32 ss.)

«Porfirio mette a confronto questo passaggio con il prologo di Marco evangelista nel quale è scritto: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo [...…] raddrizzate i suoi sentieri”. Infatti essendo legata la testimonianza di Malachia con quella di Isaia, Porfirio domanda in che modo riteniamo il contenuto del passaggio attribuibile al solo Isaia. Gli uomini di Chiesa gli hanno risposto in modo assolutamente completo».
(Girolamo,  Commentario a Matteo,  3, 3)

«In questo luogo Porfirio e l’'imperatore Giuliano denunciano sia l'’ignoranza dello storico che dice il falso, sia la stupidità di quelli che immediatamente seguirono il Salvatore, come se avessero seguito in modo irrazionale una qualsiasi persona che li chiamasse».
(Girolamo,  Commentario a Matteo,  9, 9)

«Su questo passo, cioè sull'abominio della desolazione, che viene predetto dal profeta Daniele, che si trova in un luogo santo, Porfirio nel tredicesimo libro della sua opera contro di noi proferì bestemmie, a cui replicò Eusebio vescovo di Cesarea nei libri diciotto, diciannove e venti; anche Apollinare scrisse in modo molto esaustivo. Per cui è inutile cercare di voler discutere in un capitolo ciò che è stato trattato in molte migliaia di righe».
(Girolamo,  Commentario a Matteo, 24, 16 ss.)

«A meno che non inventi, secondo la ferrea consuetudine dei gentili e degli empi Porfirio ed Eunomio, che queste sono illusioni dei demoni, e che i demoni non gridano veramente, ma simulano le loro sofferenze».
(Girolamo, Contro i vigilanti,  10)

«Il famigerato empio Porfirio, che scrisse contro di noi e sfogò la propria rabbia in molti scritti, esamina questo passo nel XIV libro e dice: “Gli evangelisti furono persone tanto inesperte non solo nelle scienze profane ma anche nelle sacre scritture, che ritengono di un altro profeta la testimonianza che era stata scritta altrove”. Questo egli rimprovera».
(Girolamo, Sul principio del vangelo di Marco  I, 29- 48)
                    
«Senza ragione Porfirio accusa Ammonio che da cristiano era diventato pagano, poiché è certo che abbia continuato nella professione del cristianesimo fino alla morte».
(Girolamo,  Sugli uomini illustri,  55)

«Replico a queste cose, non per accusare gli evangelisti di falsità, dal momento che questo è tipico degli empi Celso, Porfirio e Giuliano».
(Girolamo,  Lettera  57 a Pammachio, 9)

«Questa spiegazione del contrasto fra Pietro e Paolo che per primo Origene fece nel X libro degli Stromati, dove egli interpreta la lettera di Paolo ai Galati, la seguirono in seguito anche altri commentatori; ed essi danno quella spiegazione soprattutto per rispondere al blasfemo Porfirio, che denuncia la sfrontatezza di Paolo, per il fatto che egli abbia osato criticare Pietro, il principe degli apostoli, accusarlo davanti a tutti e obbligarlo con la ragione a capire che aveva fatto male, cioè che era stato nello stesso errore nel quale lui stesso (Paolo) si era trovato; così accusava l'’altro (Pietro) di aver sbagliato. […...] La sfacciataggine del blasfemo Porfirio, il quale dice che Paolo e Pietro si contraddirono tra di loro in una puerile zuffa, anzi che Paolo scoppiasse di invidia per le qualità di Pietro e scrivesse con arroganza cose o che non aveva fatto, o se le aveva fatte, le aveva fatte con prepotenza, criticando nell’'altro ciò che lui stesso aveva commesso».
(Girolamo, Lettera 112 ad Agostino, 6, 11)

«L’'apostolo Pietro non aveva in alcun modo invocato la morte di Anania e Saffira - come accusa falsamente lo stolto Porfirio».
(Girolamo, Lettera  130 a Demetrio, 14)

«E ciò che è solito obiettarci il vostro collega Porfirio - per quale ragione un Dio clemente e misericordioso ha permesso che tutti i pagani da Adamo a Mosè e da Mosè fino alla venuta di Cristo morissero per l'ignoranza della Legge e dei comandamenti di Dio? Infatti nè la Britannia provincia fertile di tiranni nè le popolazioni della Scozia nè tutti i popoli barbari, che si estendevano intorno all'Oceano, avevano conosciuto Mosè e i profeti. Quale fu l'ineluttabilità che lo spinse a venire all'ultimo momento e non prima che una innumerevole moltitudine di uomini andasse alla perdizione?».
(Girolamo, Lettera 133 a Ctesifonte, 9)

«Bisogna osservare che tutte le masse d' acqua, sia salata che dolce, in ebraico vengono chiamate mari; quindi senza motivo Porfirio accusa gli Evangelisti di chiamare "mare" il lago di Genezareth al solo scopo di presentare agli ignoranti il miracolo in cui il signore aveva camminato sul mare, in quanto ogni lago ed ogni massa d'acqua vengono chiamati "mari"» . 
(Girolamo,  Domande sul Genesi  c. I, 10)

«“Aprirò la mia bocca in una parabola ecc.”- Ciò non è detto da Isaia ma da Asaf. Insomma anche questo cita contro di noi il famigerato empio Porfirio e dice:“ il vostro Evangelista Matteo fu tanto ignorante da dire: ciò sta scritto nel libro del profeta Isaia: Aprirò la mia bocca in parabole ecc.».
(Girolamo,  Trattato sul Salmo LXXVII)

«Paolo ha sottomesso tutta la terra dall’'Oceano fino al mar Rosso. Qualcuno dirà: “Hanno fatto tutto ciò a scopo di lucro”; questo dice infatti Porfirio: “Uomini rozzi e poveri, che non avevano nulla; per mezzo delle arti magiche hanno fatto alcuni prodigi. Ma fare prodigi non è qualcosa di straordinario; infatti anche in Egitto i maghi fecero prodigi contro Mosè; fecero prodigi Apollonio e Apuleio, inoltre vennero compiuti un’'infinità di miracoli”. “Ti concedo, o Porfirio, che essi hanno compiuto prodigi per mezzo delle arti magiche, al fine di raccogliere le ricchezze di donnette danarose che essi avevano ingannato”. Questo infatti sostieni. Per quale ragione allora sono morti? Per quale ragione sono stati crocifissi?».
(Girolamo,  Trattato sul Salmo LXXXI, 225- 239)

«E che dire di quei vani parolai, ammiratori di Cristo e calunniatori biechi della religione cristiana? Essi non osano dir male di Cristo perché certi loro filosofi - come ha testimoniato nei suoi libri il siciliano Porfirio - hanno consultato i propri dei su quale responso dessero di Cristo e costoro negli oracoli che pronunziarono furono costretti a lodarlo! Né c'è da stupirsi di questo, se leggiamo nel Vangelo che i demoni lo confessarono, quei demoni di cui leggiamo nei Profeti: Tutti gli dei delle genti sono demoni. Per questo motivo costoro, per non agire contro i responsi dei loro dei, si astengono dallo sparlare di Cristo mentre invece scaricano ingiurie contro i suoi discepoli. Quanto a me, mi sembra che quegli dei del paganesimo che i filosofi pagani poterono consultare, se fossero interrogati su questo argomento sarebbero costretti a lodare non solo Cristo ma anche i suoi discepoli».
(Agostino, Il consenso degli evangelisti,  I, 15, 23)

«Hanno proposto altre domande, per così dire le più importanti, che dicono tratte dal "Contra Christianos" di Porfirio: "Se Cristo, dicono, si dichiara via di salvezza, di grazia e di verità e alle anime che credono in lui si presenta come l'unico tramite per il ritorno a Dio, come si comportarono gli uomini di tutti i secoli prima di Cristo? Lasciando stare, dice, i tempi anteriori al regno del Lazio, supponiamo per così dire dallo stesso Lazio l'inizio del genere umano. Nello stesso Lazio prima di Alba, furono venerati gli dei. Sempre ad Alba prevalsero le pratiche religiose e le cerimonie dei templi. Per un lungo spazio di tempo, che non fu certamente di pochi secoli, la stessa Roma rimase senza la legge cristiana. Che cosa avvenne, dice, di tante innumerevoli anime, che non ebbero assolutamente alcuna colpa, dal momento che colui al quale si poteva credere, non aveva ancora concesso agli uomini la sua venuta? Con la stessa Roma anche il mondo ardeva nelle cerimonie religiose dei templi. Perchè, dice, colui che fu chiamato il salvatore, si è nascosto per così tanti secoli? Ma, non sostengano che, continua, del genere umano si occupò l'antica legge dei Giudei; la legge dei Giudei apparve dopo un lungo periodo di tempo e fiorì nell'angusta regione della Siria, in seguito, è fuor di dubbio, avanzò lentamente anche nei territori Italici, ma solo dopo Gaio Cesare o di sicuro durante il suo impero. Che cosa avvenne dunque alle anime dei Romani o dei Latini che furono private della grazia di Cristo non ancora giunto fino al tempo dei Cesari?».
(Agostino,  Lettera 102 A Deograzia, contenente sei domande presentate contro i pagani, 8)

«"Biasimano, dice Porfirio, i riti dei sacrifici, le vittime, gli incensi e le altre cose che sono utilizzate nel culto dei templi, mentre lo stesso culto ebbe inizio da loro, dice, o dal dio, che adorano fin dai tempi antichi, poichè viene detto che dio ebbe bisogno di primizie"».
(Agostino, Lettera 102 A Deograzia, contenente sei domande presentate contro i pagani, 16)

«Dopo questa domanda, colui che le ha esposte prendendole da Porfirio, ha aggiunto questo: "Ti degnerai, dice, di istruirmi in modo razionale anche sul quel punto, cioè se è vero che Salomone ha affermato: 'Dio non ha un figlio'».
(Agostino, Lettera 102, A Deograzia, contenente sei domande presentate contro i pagani, 28)

«Porfirio, leggendo scrupolosamente i profeti (infatti a lungo si soffermò su di loro) sconvolgendo la nostra Scrittura, dimostra anche lui che sacrificare è una cosa non appropriata alla religione. [...…] Falsificò le divine Scritture e alterandone il senso, manipolò i libri autentici».
(Teodoreto, Cura delle malattie elleniche,  VII, 36)

«Come è caduto nel vuoto il sofisma del greco Porfirio; egli infatti, cercando di sconvolgere il Vangelo, utilizzò sofismi del genere: "infatti se il figlio di Dio è un  logos, o è verbale o è un logos della mente: ma invece non è nè l'uno nè l'altro: quindi non è nemmeno logos».
(Teofilatto, Commento a Giovanni)

«Allora Porfirio il filosofo poiché conobbe Origene confutò totalmente il suo insegnamento. E lo calunniò perché Origene aveva scritto sul modo di insegnare. E poiché Origene aveva castrato il suo membro - gesto con cui egli non aveva agito giustamente. Porfirio disse di Origene che Origene venne per insegnare ai pagani di un certo villaggio. Essi gli dissero: prendi parte con noi ai culti religiosi e poi tutti noi ti seguiremo. E quando diede loro ascolto, essi non vennero convinti da lui. Ancora Porfirio disse di Origene che credeva che le anime preesistessero ai corpi. E ancora Porfirio disse che Origene non professò mai la loro Trinità cristiana con un comportamento altamente morale. Queste accuse che egli fece contro Origene tenuto conto che erano in numero elevato, lo fece giudicare tra gli eretici (...). Eusebio comunque lo lodò moltissimo».
(Michele il Siriano, Cronaca, Traduzione dal siriaco) 

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