venerdì 11 marzo 2016

Sulla follia apologetica di Bart Errorman (IV)

ORDINE DELL'UNIVERSO: Sistemazione meravigliosa che hanno la fortuna di scorgere nella Natura coloro che la guardano con gli occhiali della fede: questi occhiali hanno la virtù di impedire a coloro che li portano di scorgere disordine nel mondo. Costoro non vedono né malattie né crimini nè guerre né terremoti né teologi intolleranti. Tutto è in ordine quando i nostri sacrificatori hanno mangiato bene; chiunque disturbi la loro digestione, minaccia l'ordine pubblico. Dio, per vendicarsi, è in coscienza obbligato a turbare l'ordine della Natura e i sovrani l'ordine della società.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)



Di seguito, nell'Appendice A di questo blog, offro la mia libera traduzione in italiano dell'ottima recensione che ha fatto lo storico miticista Richard Carrier del libro How Jesus Became God di Bart Errorman, perchè la trovo decisamente illuminante riguardo alla particolare necessità che hanno i folli apologeti cristiani - ed Errorman è uno di questi, sebbene si dichiari agnostico - di far precedere l'alta cristologia paolina (percepita in qualche modo come scomoda e disturbante per i motivi che poi illustrerò) con una versione di cristologia relativamente più bassa, sufficientemente bassa da rendere così più plausibile l'idea che alla sua origine vi fosse un Gesù storico: in altre parole, “la cristologia giusta al momento giusto” per storicizzare più facilmente Gesù. Chiamasi né più né meno che ipotesi ad hoc
Se qualcuno vuole credere ai folletti, possono sempre evitare di essere smentiti utilizzando ipotesi ad hoc (ad esempio, aggiungendo che "sono invisibili", poi che "le loro ragioni sono complesse", e così via.

Per farla breve, secondo Bart Errorman, la presenza di questa cristologia cosiddetta “dell'esaltazione” (il credo che Gesù fu elevato a vertiginose altezze metafisiche solo dopo la sua morte) sia in un punto di Atti degli Apostoli che nell'incipit di Romani dimostrerebbe la sua maggiore antichità rispetto alla cristologia dello stesso Paolo, dal momento che Paolo intese descrivere quella cristologia nella sua lettera di presentazione ai cristiani di Roma, così da sembrare più gradito ai loro occhi facendo finta di accettare le loro teologiche “regole del gioco” (anche se in cuor suo, si assume, lui non le condivideva). Spiegare le differenze teologiche nelle epistole di Paolo tirando fuori sempre in ballo la solita scusa che Paolo, da autentico apostolo-camaleonte, voleva farsi giudaizzante ai giudaizzanti per guadagnare i giudaizzanti - nonostante non fosse giudaizzante -, gnostico agli gnostici per guadagnare gli gnostici - nonostante non fosse gnostico -, gentile ai gentili, barbaro ai barbari, fariseo ai farisei, ecc, mi sembra la solita eccessiva armonizzazione apologetica cristiana per far rientrare tutto nella stessa logora scarpa. E se per giunta al quadro si aggiunge Atti degli Apostoli, ammesso (e non concesso) che quella tendenziosa propaganda protocattolica rifletta strati teologici precedenti non coerenti con le convinzioni dell'autore, come fanno di grazia quelli strati teologici a dimostrare la storicità di Gesù? Tutto ciò che dimostrano quelli strati è che cristiani precedenti avevano credi differenti su Gesù. Si può in realtà dimostrare che il tendenzioso autore di Atti ha usato gli scritti di Flavio Giuseppe, il che significa: ben dopo il 100 EC. Si può dimostrare che Atti degli Apostoli è una reazione a Marcione, il che significa: ben dopo il 140 EC. Ossia circa 2-4 generazioni dopo Paolo. A tutti i fini pratici l'autore proto-cattolico di Atti degli Apostoli e le sue (ipotetiche) fonti non avevano alcun modo di conoscere la veridicità o meno delle loro credenze e affermazioni.  E se Bart Errorman scorge nell'incipit di Romani una teologia che già pretende di vedere in Atti degli Apostoli, in realtà sta dando ampi motivi per dubitare dell'antichità di tale teologia, piuttosto che il contrario, dato che tutto ciò che tocca Atti degli Apostoli - ricordiamo: una mera fantasiosa propaganda del II secolo inoltrato -  è a sua volta assai probabilmente pura speculazione del II secolo inoltrato. Così evapora l'evidenza di una cristologia originaria che non fosse quella pura e semplice di Paolo esposta nell'Inno ai Filippesi. L'incipit di Romani non fa altro che ribadire quella medesima cristologia:
Paolo, servo di Cristo Gesù,
apostolo per vocazione,
prescelto per annunziare il vangelo di Dio,
che egli aveva promesso
per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture,
riguardo al Figlio suo,
nato dallo sperma di Davide secondo la carne,
costituito Figlio di Dio con potenza
secondo lo Spirito di santificazione
mediante la risurrezione dai morti,
Gesù Cristo, nostro Signore.

(Romani 1:1-4)

Dov'è qui un riferimento al fatto che Gesù, prima della “resurrezione dai morti”, non dovesse essere Figlio di Dio ma solo un puro e semplice uomo?
Paolo sta dicendo che Dio lo ha costituito apostolo del suo vangelo, un vangelo già predetto nei “profeti” e nelle “scritture” (il riferimento a “profeti” e “scritture” è fortemente sospetto di essere un punto anti-marcionita - Marcione, si sa, voleva abbandonare agli ebrei entrambi
“profeti” e “scritture” -, il che dovrebbe di regola indurre a sospettare dell'autenticità del passo) e quel vangelo è relativo al Figlio di Dio: questo Figlio è nato “dallo sperma di Davide secondo la carne”, probabilmente allo stesso modo in cui lo intendeva l'ebreo alessandrino Filone (contemporaneo di Paolo e dunque sicuramente con maggiore affinità quanto a prospettive teologiche di quanto lo fosse la mera tarda propaganda anti-marcionita di Atti degli Apostoli):
 Sono colpito anche dalle profezie esposte nei libri dei Re, stando alle quali coloro che sono vissuti molte generazioni dopo Davide e che sono ormai nel fiore degli anni sono chiamati, senza timore di cadere nel ridicolo, “figli di Davide”, colui che eleva inni a Dio (3 Re 15,11; 4 Re 18,3). E si noti che forse neppure i loro bisnonni potevano essere contemporanei di Davide; ma qui si tratta della nascita di anime rese immortali dalla virtù e non della genesi di corpi corruttibili. Si dà il caso, infatti, che questa generazione sia attribuita a coloro che primeggiano nel campo della perfetta virtù, quasi fossero genitori e padri.
(Filone di Alessandria, La confusione delle lingue, 28:146-148, mia enfasi)
Ma Paolo aggiunge qualcosa che Filone ha omesso: “secondo la carne”. Cosa significa in quel contesto?
Prima di rispondere alla domanda, si noti che il Figlio di Dio (quindi, che per definizione è già nato da Dio), nasce una seconda volta “dallo sperma di Davide secondo la carne” (dove “secondo la carne” sta a indicare che la nascita “dallo sperma di Davide” non tradisce la sua vera essenza metafisica di Figlio di Dio): quindi se Gesù ha bisogno di nascere una seconda volta nell'apparenza della carne è perchè lui già PRE-ESISTEVA come Figlio di Dio. A quel punto la “potenza” della resurrezione non fa che ripristinarlo al suo status originario, sbarazzandogli di qualunque vernice carnale esteriore che in qualche modo ne offuscavano la reale identità di supremo arcangelo celeste pre-esistente alla creazione, per tutto il tempo del suo dramma cosmico sulla croce.  Perciò “secondo la carne” è là non per ribadire l'umanità storica di Gesù (come pensano erroneamente i folli apologeti cristiani e Bart Errorman) ma per evidenziare, per puro e semplice contrasto, che la vera natura di Gesù era il suo essere già il pre-esistente Figlio di Dio. Tu non hai bisogno di relativizzare l'attributo di x “secondo y” a meno che  tu non stai contemporaneamente assumendo che quell'attributo di x sia visto anche almeno “secondo z”, per ogni z diverso da y. In parole povere, se Paolo sentì la necessità di aggiungere “secondo la carne” alla figliolanza di Gesù da Davide, è perchè lui stava già assumendo (assieme al lettore, in questo caso gli stessi cristiani di Roma) la figliolanza di Gesù da Dio secondo la sua più vera e autentica essenza costitutiva, ossia il puro etere di cui sono fatti gli angeli e gli arcangeli. 

Quale poteva essere, allora, la “carne” che avrebbe assunto temporaneamente un arcangelo? 

Quindi proprio quello che doveva essere maggiormente atteso sotto la storicità di Gesù - la sua figliolanza da Davide “secondo la carne” - si ritorce contro la stessa storicità per rivelarsi al contrario l'ennesimo indizio della divina pre-esistenza dell'arcangelo Gesù: “secondo la carne” Gesù è figlio di Davide, perchè “secondo lo spirito” già sappiamo che lui è pre-esistente a Davide. L'evidenza di ogni teologia “dell'esaltazione” nelle lettere di Paolo evapora completamente. E così i folli apologeti cristiani si trovano nuovamente alle prese con un Paolo che fissa sempre e sempre solo il cosmico celestiale “Cristo Gesù”, nella più assoluta impossibilità di storicizzarlo in qualche modo ricavando fantasiose traiettorie all'indietro da cristologie che non esistono e non sono mai esistite prima di Paolo, tantomeno nelle sue epistole. Il fatto stesso che speculano ossessivamente per trovare qualcosa che preceda Paolo dietro Paolo - qualcosa che possibilmente sfugga all'occhio-che-tutto-vede del suo cosmico Gesù celeste pre-esistente - rivela che nel più profondo del loro animo i folli apologeti cristiani provano disagio per Paolo. Non lo sentono “proto-cattolico”. Non lo amano veramente. Non lo comprendono sul serio. Paolo rimane troppo indomabile, troppo fiero, indomito e indipendente, refrattario ad ogni volontà di ridurlo al Gesù evangelico fabbricato decine di anni dopo la sua morte. 

 APPENDICE A


Bart Ehrman su How Jesus Became God

In questo ultimo libro di Bart Ehrman otteniamo un mix di risultati. Da un lato, è tornato in forma scrivendo un buon libro popolare su un tema spesso frainteso dal pubblico laico. In How Jesus Became God, Ehrman dimostra che Gesù era venerato come un dio fondamentalmente dal giorno uno. L'idea che l'Alta Cristologia si sviluppò in seguito, falsa. D'altra parte, sto iniziando a vedere una tendenza ora nella sua scrittura, laddove egli realizza perfettamente tutto ciò che semplicemente attinge dalla ricerca esistente e distilla per la comprensione del pubblico, ma non sempre coglie giustamente ogni cosa che cerca di aggiungere di suo proprio o a naso. E il problema con ciò è che i lettori laici non sapranno quale errore sta facendo, e quindi non puoi sempre fidarti di quello che dice.

La regola migliore che posso consigliare è, se Ehrman cita della ricerca scientifica per una dichiarazione che fa, egli sta dicendo almeno correttamente ciò che dice quella ricerca scientifica (che di per sé può essere sbagliata, ma non per colpa di Ehrman). Se egli non cita alcuna ricerca scientifica per una dichiarazione che fa, potrebbe essere sbagliato e dovresti mirare ad un doppio controllo prima di farvi affidamento. Per il resto devi figurarti i meriti della sua logica, giudicando dalle premesse alla conclusione. E a volte quella è solida. A volte non lo è.

Il resto di questa recensione lo disamina nel profondo, nel bene e nel male, nei dettagli del Diavolo.

La Tesi Principale

La caratteristica più sorprendente di questo nuovo libro è che in esso Ehrman ha ora completamente invertito una posizione che prese contro di me in Gesù è davvero esistito? (come è noto, ho pubblicato una critica dettagliata di quel libro orribile). Egli ammette ora che dalla più antica storia registrata, anzi anche prima di quella, forse anche nel loro stesso anno primo, i cristiani consideravano Gesù come un pre-esistente essere divino. Che questo non era uno sviluppo successivo prima incontrato nel vangelo di Giovanni, per esempio. “L'idea che Gesù è Dio non è un'invenzione dei tempi moderni ... era la vista dei primissimi cristiani subito dopo la morte di Gesù” (pag. 3). Perché, “subito dopo la morte di Gesù, la fede nella sua risurrezione portò alcuni dei suoi seguaci a dire che egli era Dio” (pag. 83). Ehrman conclude che almeno “alcuni cristiani dicevano che Gesù era un essere preesistente (una vista “più tarda”) prima ancora che Paolo cominciasse a scrivere negli anni '50 – ben prima che il nostro più antico vangelo fosse scritto” (pag. 235), infatti, ammette, “deve essere stato notevolmente presto nella tradizione cristiana”, perché “era in atto ben prima che nelle lettere di Paolo”, e quindi non si originò nel tempo del vangelo di Giovanni, come è stato comunemente insistito (pag. 276).

E su questo punto ha ragione. Io sto facendo questo argomento per anni. Vidi l'evidenza e la ricerca scientifica che dimostrano questo prima ancora di scrivere Not the Impossible Faith. Ora che ha guardato tutto questo, anche lui è giunto alla stessa conclusione. Ehrman delimita anche molto attentamente una varietà di distinzioni cruciali per questa realizzazione, che è uno dei migliori contributi che questo libro rende al campo: Ehrman mostra che non vi era alcuna differenza binaria tra o Dio o gli umani, ma che in realtà un intero continuum esisteva tra loro, anche nella concezione ebraica. Infatti, lungi dall'essere insolito, gli ebrei già credevano che “esseri divini (come gli angeli) potevano diventare umani” (pag. 5) e che c'erano molti altri gradi di divinità tra l'uomo e Dio.

Così, quando Ehrman dice che i primi cristiani dichiaravano che Gesù è Dio, non stavano dicendo che era identico a Dio il Padre, ma che era una divinità subordinata, un arcangelo costituito allo status di Signore celeste, che esisteva fin dal principio del tempo (e poi, nella concezione cristiana, discese per incarnarsi e morire, allo scopo di risorgere di nuovo alla condizione divina). Ehrman dimostra che questo era un tipo di vista comune all'interno di diverse teologie ebraiche del tempo, e quindi non era, e non sarebbe stato, considerato in contraddizione con il loro monoteismo. Non c'era nulla di non-ebraico intorno ad esso. In effetti era molto tipicamente ebraico.

Ehrman sostiene che questo servì anche come una pretesa ebraica in competizione contro le pretese di divinità dell'imperatore pagano, e quindi era tanto una dichiarazione politica quanto una dichiarazione religiosa. Ma questa è una visione più insostenibile. Innumerevoli figli di Dio erano adorati nell'Impero, da Romolo ad Asclepio, e Gesù era non meno sicuro nei cieli, e quindi non più una minaccia al potere imperiale, di quanto lo fossero loro. Lui era, infatti, non politicamente diverso da loro in alcuna misura. Non più di Antinoo (l'amante deificato di Adriano) o di Ercole (ritenuto essere stato un conquistatore storico del Peloponneso) o di Glicone (un artefatto ma comunque fisicamente vivente, e divinizzato, “uomo-serpente” adorato e ufficialmente riconosciuto come divino dagli stessi imperatori).

Quindi penso che la sua speculazione in quel punto è sbagliata. Ma ha ragione su Gesù, che è deificato, e riconosciuto come una divinità pre-esistente discesa nella carne, proprio fuori dalla porta. E ciò in disaccordo con il consenso “tradizionale”, che tale “alta Cristologia” si evolse più tardi nel tempo. Ma in realtà la maggior parte dei recenti studi in materia hanno preso la stessa vista che ora tiene Ehrman. Così egli si unisce ad una marea crescente contro il consenso tradizionale, e come ho osservato io stesso questa letteratura e l'evidenza, anch'io ho concluso che tale consenso è stato efficacemente smentito da questa nuova collettiva ricerca scientifica, decine di libri e articoli da cui Ehrman cita nelle sue note.

Questo, naturalmente, presenta un problema per Ehrman. Poiché ammettere che i primi cristiani consideravano Gesù un preesistente arcangelo divino presta un sostegno inaspettato al miticismo. In quanto molti miticisti hanno sostenuto questo punto ormai da decenni. Ed Ehrman non può avere questo. Così lui vuole avere entrambe le cose, e in tutto il libro lui cerca di sostenere sia che l'Alta Cristologia cominciò appena fuori dal cancello sia che si sviluppò nel corso del tempo. In un certo senso è corretto, in quanto la vista originale di Gesù come un subordinato essere creato, un arcangelo rivestito dei poteri di Signore Supremo, si evolse nella vista di gran lunga più assurda che Gesù era letteralmente identico al'Unico Vero Dio. Quest'ultima vista potrebbe essere stata blasfema per gli ebrei tradizionali. Ma la prima non lo fu (come dimostra ampiamente Ehrman). Eppure l'ultima vista non si evolse fino a molto tempo dopo che i primi apostoli erano morti e il cristianesimo era già stato stabilito in tre continenti. Questo boccia un sacco di accarezzate idee cristiane su come cominciò il cristianesimo e perché l'elite ebraica in origine vi si oppose.

Come Ehrman ora dice esplicitamente, identificare “Gesù come Messia, come Signore, come Figlio di Dio, come Figlio dell'uomo – [tutto] implica, in un senso o nell'altro, che Gesù è Dio.” E ancora “in nessun senso” significa che lui fosse “inteso come Dio Padre” (pag. 208). Questo è esattamente ciò che ho sostenuto in Not the Impossible Faith, e che Ehrman una volta denunciò come male informato (DJE, pag. 167). Eppure, ora lui ammette che io ero del tutto corretto. Sulla base dell'esperienza passata, io non trattengo il fiato per le sue scuse. Ma è bello ora vederlo a bordo almeno.

Ma Ehrman vuole anche affermare che il cristianesimo “deve” aver cominciato con una bassa Cristologia dell'esaltazione (perché la storicità è in guai seri se non fu così), e (suppone) una sua setta super-rapidamente (in appena un anno o due?) la elevò ad un Alta Cristologia dell'incarnazione, anche se non esiste nessuna evidenza del suo esserci mai stato in quella prima fase. Ehrman cerca solo di inventare quell'evidenza a partire da una lettura fondamentalista di Marco e da un paio di passaggi in Atti e in Paolo che egli insiste a leggere in congiunzione con una serie di presunzioni circolari su quello che succedeva nella loro formazione.

L'Inventata Evidenza

L'ironia dei difensori della storicità oggi è che sono costretti a comportarsi come apologeti cristiani, inventando letture e reclami contro l'ovvio, inventando evidenza che non esiste, escogitando armonizzazioni di contraddizioni sulla base di supposizioni ad hoc di convenienza, ricorrendo ad una logica egregiamente fallace, e poi, cosa più stupefacente di tutte, leggendo la Bibbia alla lettera. Ehrman ha fatto tutto questo prima.

In questo caso, Ehrman ricorre a una lettura letterale di Marco, trattando il testo essenzialmente proprio come fanno i  fondamentalisti cristiani. Ma Marco non sta scrivendo una storia letterale. Sta scrivendo un'allegoria (come ho abbondantemente dimostrato, citando entrambe evidenza e ricerca scientifica sul punto, in On The Historicity of Jesus, cap. 10). Quindi leggere Marco letteralmente significa capire  esattamente in modo sbagliato ogni cosa che lui sta dicendo. Marco in realtà non dice nulla a proposito di dove proveniva Gesù e non discute mai cosmologia o teologia. Inoltre, Marco sta difendendo il cristianesimo paolino decenni dopo Paolo, e tuttavia Paolo stava già saldamente e non-apologeticamente assumendo un'alta Cristologia dell'incarnazione, essa era infatti l'unica cristologia a lui nota, ed era così incontrastata da qualsiasi alternativa che nelle sue lettere non bisognò di alcuna difesa. Allora, perché avrebbero i suoi seguaci decenni più tardi invertito la rotta e raffigurato una Cristologia di bassa esaltazione, invece? Questo non ha senso come un'interpretazione di ciò che Marco sta facendo.

E qui è dove Ehrman cade fuori dai binari del metodo profondo: come in DJE, nonostante non essendo più un cristiano, lui sta ancora rimorchiando la linea ideologica cristiana che Marco è un libro di storia ed è sua intenzione dire ai suoi lettori che cosa realmente accadde, come qualche semplice storia. Ma questo è in contrasto ad ogni profonda analisi letteraria. Marco sta fabbricando un'allegoria simbolica. Egli, quindi, non può essere preso alla lettera per nulla. Egli non sta ritraendo alcuna cristologia. Egli sta assemblando lezioni sulla vita cristiana e il vangelo, e facendo così con miti. La dimostrazione più evidente di questo è l'incidente del fico, dove è ovvio che Marco in alcun modo intende che in realtà Gesù appassì un albero di fico per l'assurda ragione che non portava fichi fuori stagione. Il fico rappresenta il culto del tempio ebraico, e il suo essiccamento rappresenta ciò che Dio permise accadere su di esso, e la ragione (come risultato della distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 d.C.). Così, quando Marco ha un Gesù adottato da Dio al suo battesimo, Marco non sta cercando di dire che questo è storicamente quello che successe, non più di quanto stava cercando di rivendicare che Gesù nella realtà appassì un albero di fico per nessuna ragione sana di mente. L'episodio del battesimo è un modello per il battesimo cristiano. Questo è ciò che il battesimo significò nella chiesa: adozione da parte di Dio, la pulizia una volta sola dei loro peccati, e per tutti i tempi. Gesù è quindi semplicemente una mitica cifra per ogni modello cristiano. Questa è una storia non su Gesù, ma sul battesimo. E anche nella misura in cui fosse circa una storia del tutto, incarnava solo la pretesa (vera o no) che il culto del Battista approvò il culto di Gesù come loro superiore e successore.

Una volta che vediamo quello che Marco sta facendo, noi dobbiamo renderci conto che lui non è in grado di fornirci alcuna evidenza di una fase di cristologia dell'esaltazione, e tanto meno di una fase che fu gradualmente eliminata entro la sua stessa setta decenni prima che scrisse. Perché lui non sta scrivendo di come la chiesa si originò. O sui fondamenti cosmologici della sua Cristologia. E una volta che lasciamo cadere l'ipotesi insostenibile del contrario, non abbiamo lasciato più nessuna ragione per ritenere che ci fosse mai stata una fase del genere. Ehrman, naturalmente, ha bisogno che ci sia, perché se non ci fosse, la storicità di Gesù diventa davvero difficile da mantenere. Lui ha bisogno della storicità. Quindi ha bisogno della cristologia dell'esaltazione. Quindi ha bisogno che Marco sia uno storico. E così lui finisce per agire come un fondamentalista cristiano, e tratta Marco come se lui stesse scrivendo una storia delle origini della chiesa, mentre in realtà sta scrivendo una mitologia per  la vita e le idee cristiane di decenni più tardi.

Ma sul punto che il cristianesimo cominciò con un'alta Cristologia dell'incarnazione, molti studiosi concordano con Ehrman e con me. Un tempo era una vista marginale che ha ormai raggiunto le dimensioni di una grande e abbastanza decisiva sfida ufficiale alla vecchia guardia. È ovviamente la vista corretta. Come fa notare Erhman, l'evidenza proprio non può essere negata. Paolo non sapeva di nessun'altra versione del cristianesimo. Per Paolo, Gesù era un preesistente essere divino che Dio utilizzò come agente della creazione, e solo successivamente inviò ad assumere un corpo di carne e a morire, e a diventare così uno strumento di salvezza dal corrotto ordine mondiale. Ehrman cerca di spremere un paio di anni (o di giorni?) di cristologia di bassa esaltazione nella storia cristiana anteriore a quella. Ma questa è solo la sua congettura. Non esiste evidenza di ciò in Paolo. E Marco è di decenni più tardi, non è in contrasto con Paolo, e non sta scrivendo una storia letterale.

Tutta la restante evidenza di Ehrman consiste esclusivamente nel mostrare (da Paolo e  Atti), che c'era un antico credo che Gesù fu dichiarato il Figlio di Dio alla sua resurrezione. Ciò che egli non riesce a prendere in considerazione è che Gesù fu ri-dichiarato così, in altre parole, ri-affermato al suo status precedente, che aveva abbandonato (come dice Filippesi 2), dopo aver rinunciato a tale status per diventare umano e morire. Ehrman in nessun punto considera quest'alternativa, anche se è evidentemente quello che dice l'inno ai Filippesi, un inno che Ehrman riconosce essere pre-paolino e quindi tra la più antica tradizione cristiana recuperabile. In contrasto a questo, Ehrman ha niente di paragonabile a sostegno della sua teoria. Devo concludere che la sua teoria di una fase di esaltazione è priva di fondamento. Pende sulla più debole e più vaga delle prove, e così solo quando rafforzata da speculazioni convenienti, mentre al tempo stesso contraddice direttamente tutta l'evidenza che abbiamo.

Errori
Questo è un buon libro per i principianti, in quanto spiega un sacco di cose nello studio della religione che gli esperti danno per scontato, ma spesso dimenticano che tutti gli altri spesso non sanno. Ma ho ancora paura che Ehrman, essendo un pò pigro, disinforma prendendo i fatti un pò sbagliati (e, a volte più di un pò), come se fosse un dilettante. Non mi aspetto che tutto sia corretto (noi non possiamo sapere tutto), ma a volte i suoi errori non sono il tipo che dovremmo aspettarci fare da lui, e questo accade troppo spesso, due fattori che concorrono a rendere questo difetto del libro degno di nota.

Molti esempi non sono un grosso problema, se non per il fatto che un lettore che non sa che sono sbagliati potrebbe citare o quotare questo libro su questo o quel punto, assumendo che quello che sembra dire sia corretto, e finisce imbarazzato da qualcuno più esperto, oppure raggiunge conclusioni errate da premesse sbagliate. Altri esempi sono un pò più gravi, o anche un pò sorprendenti.

Per esempio…

(1) Ehrman dice che i cristiani consideravano Gesù come “figlio unico” di Dio (pag. 7), ma non è chiaro che cosa intenda con questo. Tutti i cristiani battezzati erano figli di Dio, così Gesù non era unico, lui era solo il primo (di qui primogenito). Egli fu provvisto unicamente dei poteri e del ruolo di Signore, ma quello non è proprio la stessa cosa. Allo stesso modo, Ehrman dice, “quando i primi cristiani parlavano di Gesù che diventa il Figlio di Dio alla sua resurrezione, essi dicevano qualcosa di veramente notevole su di lui” (pag. 232), che non può essere del tutto vero, perché i cristiani dicevano questo su se stessi, dicendo che loro stessi erano i figli adottivi di Dio (OHJ, pag. 108). Non può essere stato più notevole per Gesù di quanto non lo fosse stato per un cristiano. Forse questo fu notevole per certi aspetti, ma se è così, è stato notevole non perché è stato detto di Gesù, ma perché è stato detto di tutti i cristiani battezzati. Questo include il concetto cristiano di eredità, che è riportato da Paolo molte volte: noi erediteremo il regno di Dio, non Gesù solo lo erediterà, perché come Gesù noi siamo tutti figli e perciò eredi. Gesù è speciale solo per essere il primogenito, in altre parole, l'erede principale. La sfumatura è importante proprio per la comprensione di ciò che i cristiani stavano effettivamente predicando. Ehrman sembra non accorgersene.

(2) Questo è l'esempio più banale. Un altro è quando Ehrman definisce “enoteismo [come] l'idea che ci sono altri dèi, ma c'è un solo Dio che deve essere adorato” (pag. 53). Questo non è del tutto corretto. Gli enoteisti a volte possono adorare altri dèi come subordinati o manifestazioni del Dio supremo (come si vede nell'enoteismo pagano). Questo è un esempio di un piccolo errore che potrebbe trarre in inganno i lettori laici, che si aspettano una maggiore precisione, e potrebbero procedere a insistere che questo è ciò che significa enoteismo – quando, in realtà, non lo è, è solo una varietà di enoteismo. È un pò strano vedere Wikipedia superare Ehrman sulla definizione di un concetto di base nello studio delle religioni. Ciò che Ehrman sta definendo è monolatria. Ma ancora una volta, si tratta di un piccolo errore e non di un grosso problema (dopo tutto, si troveranno comuni dizionari non specialisti ripetere lo stesso errore).

(3) Un altro piccolo ma problematico errore è che Ehrman sembra non conoscere i Primi Principi di Origene che per lo più sopravvivono solo nella traduzione latina di Rufino, che alterò tutto per essere più in sintonia con il pensiero ortodosso, un fatto che Girolamo lamentava in modo esplicito. Quindi, in realtà ciò che viene detto, non sono le opinioni di Origene, né forse neppure di ogni cristiano del 3° secolo, ma le opinioni di Rufino, e di ortodossi anti-Origene del 4° secolo. Questo spesso non è noto nel settore ed è quindi un errore facile da fare, così di nuovo questo errore non è egregio. Ma tuttavia, non mina tutto ciò che Ehrman dice di questo testo (pag. 313), che si basa sul suo presupposto che esso contiene gli stessi pensieri del terzo secolo di Origene.

(4) Ma le cose si fanno più strane quando Ehrman dice “la maggior parte delle persone al tempo in cui visse Gesù, a parte l'elite romana di un livello superiore, non possedevano cognomi” (pag. 112-13). Questo è sbagliato due volte. Tutti i cittadini romani, indipendentemente dallo stato sociale, anche i più poveri dei poveri, perfino gli schiavi liberati, possedevano il trinomen, e avevano di conseguenza ciò che intendiamo per cognome (un cognome o nome di famiglia). In realtà era un indicatore fondamentale della cittadinanza. E quasi tutti gli altri avevano lo stesso tipo di cognome proprio come sono i nostri cognomi: Johnson, per esempio, è quello che dice letteralmente, figlio di John. Gesù Benjoseph, per esempio, sarebbe stato riconosciuto, e nei documenti anche utilizzato come nome di Gesù, se il nome di suo padre fosse davvero Giuseppe. Questo è un cognome. Non è chiaro il motivo per cui Ehrman pensa che i nostri cognomi siano in qualche modo differenti, a parte la curiosità di come grammaticalmente li costruiamo ora. (perfino se lui intende un nome di famiglia persistente, cioè nel trinomen romano, che tenevano tutti i romani di tutte le posizioni sociali. I cittadini appena divenuti tali potrebbero averli inventati o copiati per far cominciare la loro nuova tradizione di famiglia, ma ciò non è diverso dai nomi odierni di Ellis Island. [Oppure no.])

(5) Più preoccupante è quando Ehrman sembra ignorante della vera legge della Mishnah, e della letteratura più recente sulla crocifissione, e sull'uso della crocifissione nel giudaismo (pagine 256-57). Contrariamente a quanto implica Ehrman, Paolo non sta facendo alcuna distinzione nelle sue lettere tra la procedura di lapidazione ebraica e la “crocifissione”, né avrebbe senso che la facesse, dal momento che la legge ebraica della maledizione che egli cita in Galati, che maledetto è chiunque impiccato su un albero, vale non solo per quelli lapidati dai tribunali ebraici, ma è anche in realtà una citazione di quella stessa legge del Deuteronomio. Da Paolo soltanto, non vi è alcuna indicazione che egli mai intese o immaginò una crocifissione romana da qualche parte nelle sue lettere. Io posso capire chi fa quell'inferenza derivandola dai vangeli (se, come pensa Ehrman, tu ritieni che i vangeli siano libri di storia). Ma io non riesco a capire il motivo per cui Ehrman suggerirebbe che essia sia intrinseca nel linguaggio di Paolo, oppure necessaria alla soteriologia di Paolo. Non lo è. (OHJ, pagine 61-62).

(6) Oppure quando Ehrman dice che è “diffusamente ritenuto” che il vangelo di Giovanni “non si basava” sugli altri vangeli, cosa che è palesemente falsa, sia per quanto riguarda il fatto in sé, sia per quanto riguarda la parte “diffusamente ritenuto”. Quasi tutti i principali esperti su Giovanni hanno concluso altrimenti (Waetjen, Barrett, Cribbs, Dodd, Parker, Bailey, anche Raymond Brown: OHJ, pagine 268-69.). E l'evidenza è abbastanza innegabile che questo è il caso. In realtà non vi è alcun argomento valido per l'indipendenza. L'idea che Giovanni non sempre copiava la sua fonte testualmente, per esempio, viene colpita a morte dal fatto che la copia letterale è in realtà un modo insolito di utilizzare una fonte nell'antichità. Il modo in cui Giovanni usa le sue fonti riscrivendole a modo suo era in realtà il metodo di redazione e di cooptazione di materiale più assiduamente insegnato nelle scuole del periodo, le stesse scuole che noi sappiamo gli autori dei vangeli avevano fatto, poichè fare così era l'unico modo per acquisire la padronanza del greco composizionale esposto nella loro opera. Nel frattempo, Giovanni copia e risponde a così tante cose nei Sinottici che semplicemente non ha senso supporre che egli non stia, in realtà, utilizzando e rispondendo loro (ad esempio, OHJ, pagine 487-89, 503-05).

(7) Oppure quando Ehrman dice, “i romani che crocifissero [Gesù] non avevano alcuna preoccupazione di obbedire alla legge ebraica e praticamente nessun interesse alla sensibilità ebraica” e, pertanto, non erano tenuti a rimuovere Gesù per la sepoltura, una volta morto (pag. 156-59). I fatti sono esattamente il contrario, come dimostrato ampiamente da Flavio Giuseppe, che parla in modo esplicito di questo fatto, e cita perfino decreti imperiali che comandavano alle autorità romane il rispetto delle leggi ebraiche e la non-interferenza con la loro esecuzione (per l'evidenza e la ricerca scientifica su questo punto, si veda il mio capitolo “La sepoltura di Gesù alla luce della legge ebraica” in The Empty Tomb). Nel maldestro tentativo di Ehrman per dimostrare che i Romani non si facevano tali scrupoli, lui non riesce a citare un solo esempio della Giudea anteriore alla guerra giudaica, quando e dove quel decreto imperiale era ancora in vigore. Egli cita soltanto esempi da fuori la Giudea, e che non coinvolgevano ebrei o la Giudea. Il che è una fallacia, citare una pratica generale che è ben nota non applicarsi agli ebrei e alla Giudea del tempo, come prova che fu applicata. Questo è simile a sostenere che le donne devono avere un elevato livello medio di testosterone citando abbondanti prove che gli uomini li hanno.

Ehrman quindi erroneamente pensa che le stesse regole fossero applicate ai Giudei e alla Giudea del primo secolo, così come a tutti e ovunque e ogni quand'altro, quando in realtà questo decreto imperiale documentato e discusso da Flavio Giuseppe dimostra che gli ebrei sono stati trattati eccezionalmente proprio in questo senso. Ehrman non mostra alcun segno di nemmeno sapere se esistesse questo decreto, o qualcosa della discussione di Flavio Giuseppe su di esso. Ehrman invece fa un pasticcio nella sua lettura di Filone, la cui testimonianza Ehrman coglie in modo esattamente sbagliato, e nella sua lettura dell'archeologia, che Ehrman fa in modo parimenti sbabliato.

Per quanto riguarda il primo punto (Filone), nel passaggio che Ehrman discute, Filone sta in realtà sostenendo che la prassi consolidata fu quella di onorare i giorni sacri. E ciò che era contro la pratica standard era la scelta di non farlo, che è perchè mancare di fare così costituisce per Filone un procedimento penale contro il prefetto d'Egitto nel suo caso. Ehrman confonde ciò in qualche modo quando lui sostiene che “non era” la pratica standard, e che rifiutare la sepoltura legalmente richiesta fosse la norma. Questo non è semplicemente ciò che Filone sta dicendo. Lui sta dicendo tutto il suo contrario (come mostro nel mio capitolo per The Empty Tomb).

Per quanto riguarda il secondo punto (archeologia), il fatto che noi abbiamo recuperato le ossa di una persona crocifissa da un ossario conferma che in realtà i condannati ricevevano una sepoltura formale, perché l'unico modo perchè quelle ossa potevano trovarsi là è per essere state sepolte da qualche parte per recuperarle in vista della sepoltura secondaria, di solito da sei mesi a un anno più tardi. Ehrman non mostra alcun segno di sapere che la legge della Mishnah prevedeva che il Sinedrio stesso seppellisse i condannati in un cimitero speciale per i condannati (vedi, ancora una volta, il mio capitolo su questo in The Empty Tomb), che potevano poi essere recuperati per la sepoltura secondaria in un secondo momento, una volta che la carne si fosse decomposta dalle ossa. Così l'archeologia non supporta Ehrman su questo punto; lo contraddice.

(8) Ehrman anche segnala erroneamente che Pilato non mostrò alcun rispetto per la sensibilità ebraica. Al contrario, quando tentò di violare la legge ebraica contro le icone, Pilato acconsentì alla legge ebraica quando gli ebrei lanciarono una protesta. E se gli ebrei fossero così disposti a farsi tagliare la gola en masse pur di far rispettare la legge, si sarebbero comportati parimenti allo stesso modo per ogni altro punto su cui lui avesse cercato di interferire. E in mancanza di questo, avrebbero perorato una causa legale contro di lui presso l'imperatore, per aver violato editti imperiali, che di fatto alla fine fecero (per un'altra offesa), e lui fu deposto. Flavio Giuseppe quindi non dice che Pilato abolì o ignorò tutte le leggi ebraiche; ha semplicemente registrato quei casi specifici in cui lo ha fatto, che erano tutti specifici atti politici in funzione gli interessi imperiali di Pilato, e non una sfacciata ignoranza di tutte le leggi ebraiche. Casi eccezionali vengono presentati esattamente come tali, in particolare quando si mescolano oltraggio e violenza contro le violazioni sporadiche di Pilato del decreto imperiale. Mancar sfumature come queste è tipico degli apologeti cristiani. È un pò strano  che provenga da uno storico secolare.

(9) Alcuni errori di Ehrman potrebbero essere solo cattiva scrittura. Ad esempio, lui dice, “In nessuna delle storie di esseri umani divini nati dall'unione di un dio e di un mortale il mortale è una vergine” (pag. 24). Quando ho guardato questa riga, quasi duecento persone l'avevano evidenziata nel formato Kindle, a illustrare il pericolo della scrittura pigra di Ehrman (o il pensiero? O la ricerca?) che disinforma il pubblico. In qualità di esperto, so abbastanza per immaginare che quello che intende in realtà è “rimane” una vergine, non che “era” una vergine. Certamente molte concezioni divine nella leggenda greca e romana erano conferite a vergini, in realtà quello era un tropo comune (per ragioni narrative evidenti: l'unico modo per essere sicuri che la concezione fosse soprannaturale è se la madre non fosse ancora mai stata con un uomo, soprattutto, se tale fosse il caso, a seconda di quale uomo lei era al tempo sposata o promessa).

Ad esempio, Plutarco dice che una leggenda prevedeva che la madre di Romolo fosse vergine, impregnata misteriosamente dal dio Marte, mentre lei era rinchiusa (specificamente per evitare quella stessa cosa). Si potrebbe supporre che questo fosse compiuto sessualmente, ma ciò non è una distinzione davvero rilevante che Ehrman espone. E qui ancora una volta Ehrman agisce semplicemente come un apologeta cristiano, argomentando come se questa distinzione importi, quando in realtà non è così: tutto il sincretismo unisce il concetto preso in prestito, in questo caso un dio che impregna una vergine per stabilire un patrimonio divino, con un concetto nativo, in questo caso il comune disgusto ebraico per il sesso, che motivò la giudaizzazione del  mitema preso in prestito semplicemente cancellandone l'elemento sessuale  (si veda That Luxor Thing). Ma anche l'assenza di sesso è attestata nella mitologia pagana. L'esempio più famoso, nel caso di Perseo, una doccia d'oro (gocce d'oro che cadono dal soffitto nella vagina di sua madre) è molto più simile ad una Maria che è inondata dallo Spirito Santo (una sostanza altrettanto magica, che altrettanto sicuramente penetrò nel suo grembo per impregnarla). Così lei è rimasta tanto una vergine quanto Maria, come concedevano perfino i primi cristiani (Giustino, per esempio, dovette ammettere che Perseo nacque da una vergine). C'erano anche concezioni asessuate di altra natura, come ad esempio nel mito che prevedeva Era dare alla luce Efesto mediante un atto di volontà, piuttosto che tramite unione sessuale. Così gli ebrei non necessitavano di precedenti nella mitografia pagana.

Così Ehrman semplicemente dichiarò male quel che voleva dire, per caso? Nell'esempio da lui citato, Ehrman dice che la donna non era vergine prima ancora che il dio l'avesse visitata (Alcmena, che “aveva già avuto rapporti sessuali con il marito”), così una pessima scrittura non sembra essere la migliore spiegazione di questo errore. Sembra certamente come se Ehrman stia dicendo falsamente che non c'erano donne in queste leggende di concezione divina che fossero vergini quando avvicinate la prima volta da un dio, che non è corretto. Anche la madre di Alessandro Magno affermava che Dio l'aveva impregnata la prima notte di nozze (sotto forma di un fulmine, poi la storia diventò che si trattava di un serpente gigante), prima che il marito avesse consumato il loro matrimonio. E, ovviamente, lei dovette farlo, altrimenti il patrimonio divino di Alessandro sarebbe stato messo in dubbio. Allo stesso modo il famoso mito di Osiride, scolpito nelle stesse piramidi, descrive il Dio che si unisce alla madre alla sua prima notte di nozze, mascherato da suo marito, prima che il suo vero marito aspettasse il suo turno (vedi, ancora, The Luxor Thing). E proprio lo stesso si diceva di Platone nell'era cristiana (come riportato da Origene, “Infatti alcuni hanno ritenuto opportuno ... riferire come una cosa possibile che Platone fosse il figlio di Amfictione, Aristone essendo impedito dall'avere rapporti coniugali con la moglie fino a quando avesse dato alla luce colui del quale fu messa incinta da Apollo,” Contro Celso 37). Quindi l'esempio di Ehrman di Alcmena è falso e profondamente fuorviante.

(10) È tutto ancor più strano quando Ehrman dice nelle prime pagine del libro (pag. 18) che “non so di altri casi,” oltre a Gesù, “nel pensiero greco antico o romano di questo tipo di “Dio- uomo”, dove si dice che un essere divino già esistente sia nato da una donna mortale” E poi lui discute esattamente tale esempio: Proteo Peregrino; come se Ehrman avesse dimenticato di aver appena affermato che non sapeva di alcuno! Come riporta correttamente Ehrman (pag. 36), di Peregrino è stato detto che aveva affermato di essere il dio Proteo in carne e ossa, pur essendo nato da una donna. E non è l'unico esempio. Filostrato riferì che la stessa pretesa fu fatta da Apollonio di Tiana. E Plutarco riporta la convinzione che Romolo aveva detto che era una divinità pre-esistente (da chiamarsi Quirino) che si incarnò (e poi morì e “ritornò” al cielo), nonostante anch'egli fosse nato da una donna mortale. Ehrman stesso dice che Mosè fu parimenti creduto da alcuni ebrei  un pre-esistente essere divino nato successivamente di una donna (pag. 82). Quindi è quasi come se l'Ehrman che ha scritto il resto del libro non stesse parlando all'Ehrman che ha scritto la prima parte del libro. Forse Ehrman immaginò che quegli esempi fossero ambigui sul fatto che stavano sostenendo di avere una madre umana o di negarlo, ma non ci sono prove che stavano sostenendo il contrario. Così ciò sembra più simile a un parere che ad un dato di fatto.

(11) Ho anche trovato strano (come ho già notato in precedenza) che Ehrman affermerebbe che Gesù e gli imperatori romani (e si potrebbe forse comprenderlo che intenda anche i re greco-macedoni prima ancora) fossero le uniche persone storiche dell'antichità chiamate figli di Dio (pag. 355). Ma tutti i cristiani si chiamavano l'un l'altro figli di Dio (erano adottati come tali attraverso il loro battesimo, come Paolo dice ripetutamente e chiaramente). Platone fu creduto il figlio di Dio (Apollo). Glicone il dio-serpente incarnato di Alessandro fu anche esplicitamente il figlio di dio (di nuovo Apollo) e anche gli imperatori romani gli prestarono omaggio come tale. Sì, Glicone non era una vera e propria “persona” per se, sappiamo che era solo un serpente, ma era ancora un essere storico vivente, che perfino imperatori riconobbero come un dio incarnato esistente sulla terra e salutarono come il figlio di un dio, senza ramificazioni politiche. Questo mina profondamente l'intera tesi di Ehrman sulla politica di chiamare Gesù il figlio di Dio. Anche gli ebrei chiamarono angeli i figli di Dio. E ancora, i cristiani chiamavano sé stessi i figli di Dio. Così non sembra per nulla una sfida politica.

(12) Ci sono anche dichiarazioni che Ehrman fa che si potrebbero supporre non essere errori, ma differenze di opinione, tuttavia egli ritrae la sua opinione come dominante in misura schiacciante, mentre in realtà vi è un gran numero di esperti ampiamente rispettati che sono in disaccordo. E non riuscirlo a concedere o addirittura dirlo sembra troppo facilmente come un inganno perpetrato ai suoi lettori. Ad esempio, Ehrman definisce gli argomenti per Q “formidabili”, quando in realtà non sono nemmeno buoni. Come lui, io solevo pensare che ci fossero argomenti formidabili per Q, perché è quello che tutti dicevano. Fino a quando ho effettivamente letto tutti gli argomenti per Q (e gli argomenti contro). E poi mi sono sentito tradito da ciò che il “consenso” mi aveva detto. Questa è una delle numerose rivelazioni che mi hanno portato a concludere che il “consenso” in questo campo è semplicemente non degno di fiducia.

Ehrman non ha ancora imparato questa lezione. Ironia della sorte, considerando che questo suo stesso libro illustra ampiamente quanto fosse sbagliato il presunto consenso, intorno allo stesso soggetto che Ehrman sta delucidando. Si fidava del consenso, al punto che lo ha citato perfino contro di me. Poi ha controllato ... e ha trovato che il consenso lo aveva tradito. Ora egli sta contro di esso. In altre parole, ora lui è al mio fianco. E, come ha scoperto, non è solo. Gli esperti erano stati a dimostrare questo per decenni ... e il “consenso” li ha semplicemente ignorati, o li ha semplicemente smentiti senza alcun argomento solido. Perché il “consenso” non può mai essere sbagliato, l'evidenza sia dannata. Ehrman proprio non si è reso conto che questo non è un caso isolato. Ciò che ha trovato per questo punto, è vero per quasi tutto quello che lui cita per “il consenso”. Compreso Q. E il metodo dei criteri. E così via.

È un pò triste che Ehrman vada avanti non riuscendo a imparare questa lezione, e quindi vada a promuovere una certezza nel campo che non esiste e in effetti è stata profondamente minata da molti dei suoi pari. Credo che questo lo renda un cattivo educatore, che pone il suo ego prima dell'informazione accurata del pubblico. Sarebbe stato diverso se avesse effettivamente presentato le sue argomentazioni per le affermazioni che egli fa che sono sfidate da parte della comunità, e quindi se avesse ammesso che argomenti devono essere fatti per affermare la sua personale certezza, piuttosto che utilizzare invece un fallace, perfino disonesto, appello all'autorità ... un'autorità che non esiste neppure in modo rilevante.

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(Io anche disaccordo con lo sciocco relativismo  epistemico non-razionalistico di Ehrman, in sostanza la versione di uno storico dei magisteri non sovrapposti di Gould [pag. 132, 143-47, 163-65, 172-73, 187-88], che lui ha progettato in modo convoluto pur di non offendere i credenti. Ma non ho bisogno di pescare nulla di tutto ciò, perché il suo trattamento della filosofia della storia qui è sufficientemente contraddittorio e confuso da essere quasi incomprensibile. il miglior antidoto è già il mio libro Proving History, così io riferisco là chiunque sia interessato in quella questione. Non mi soffermerò su di esso ulteriormente qui.)

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Nonostante tutte le cose, come ho esaminato sopra, va detto pure che Ehrman riempie questo libro con un sacco di informazioni corrette, così tante in realtà che la maggior parte della gente non sa e anche molti studiosi negano, e un sacco di ciò lo supporta con evidenza, ricerca scientifica menzionata, e buon'argomentazione. È quindi utile a questo proposito. Per esempio, Ehrman coglie bene l'antica demonologia, quindi de facto confutando Maurice Casey, che negò tutto ciò che Ehrman qui prova corretto. Casey, per esempio, cita erroneamente 1 Enoch per rivendicare che demoni vivevano sulla terra; mentre Ehrman si rende conto che dice il contrario, e capisce l'importanza di questo per capire il cristianesimo primitivo (ad esempio, pag. 64).
Basta essere attenti a controllare due volte ogni pretesa che Ehrman fa che lui non supporta con fonti ed evidenza. In particolare pretese su ciò che non esisteva o mai accadde, pretese che richiedono familiarità molto più penetrante con la storia antica rispetto a quella che ottiene a scuola il tuo medio critico biblico testuale.  Io sono molto sorpreso da questo, perché egli dovrebbe avere già insegnato lui stesso la sua lezione. Tutto questo libro mostra che lui si era sbagliato su molte cose che una volta ha insistito che non erano vere o non esistevano. Lo dice anche lui esplicitamente così, più volte, per tutto il libro. Così dovrebbe sapere quanto siano precarie tali affermazioni se non le ricerchi accuratamente in primo luogo. Eppure, ahimè. Abbiamo tutti gli errori esaminati  sopra. È un peccato.

Risultati coi fiocchi
È comunque bello vedere Ehrman finalmente a bordo ora sostenere cose che i miticisti hanno sostenuto per decenni. Ad esempio, egli ora ammette esplicitamente che “dire ciò che gli ebrei pensavano è di per sé altamente problematico, dal momento che un sacco di diversi ebrei pensavano un sacco di cose diverse. Sarebbe come chiedersi ciò che i cristiani pensano oggi” (pag. 50). Molti dei suoi argomenti in DJE si basano sulla sua insistenza del fatto che gli ebrei sempre e solo monoliticamente pensavano una stessa cosa, e non avrebbero mai e poi mai pensato a qualcosa di diverso. Egli ora ammette, per esempio, che molti ebrei non solo credevano ma perfino adoravano angeli accanto a Dio. L'idea di adorare divinità subordinate, e ancora pretendendo di essere monoteisti, non era loro del tutto estranea. Anzi, ora ammette che, quando le fonti rabbiniche condannano un'idea come eresia, questo significa che esistevano in realtà ebrei che credevano in quell'idea, non che nessun ebreo vi avrebbe creduto (pag. 69). In realtà, dice Ehrman, con più veemenza i rabbini condannano un credo, con più diffusione quel credo era in realtà tenuto probabilmente dagli ebrei del tempo. Tra quei credi è la convinzione che ci fosse più di un dio degno di culto in cielo. Egli cita ricerca scientifica che dimostra ciò a fondo.

Ehrman ora riconosce anche che Filone attesta già una teologia ebraica in cui il Logos è il primogenito Figlio di Dio e l'immagine eterna di Dio, lo stesso essere con cui Gesù fu identificato (pag. 75). (trascura il passo in cui Filone dice che un Gesù nominato nell'Antico Testamento è questo stesso essere, ma ciò non è inatteso, in quanto richiede un pò di controllo incrociato per scoprirlo: si veda OHJ, pagine 200-05). Egli trova che Filone attesta anche ad un credo ebraico che Mosè era un essere divino pre-esistente che si è incarnato per vivere sulla Terra e poi salire di nuovo al suo posto in cielo, stabilendo l'ennesimo precedente ebraico per la cristologia cristiana dell'incarnazione (pag. 82).

Ehrman osa anche ammettere che le lettere di Paolo sono stranamente silenti su un Gesù storico. “A volte dò ai miei studenti il compito di leggere tutti gli scritti di Paolo ed elencare tutto ciò Paolo indica che Gesù ha detto e fatto,” riferisce Ehrman, e “i miei studenti sono sorpresi di scoprire che non hanno nemmeno bisogno di un francobollo di tre per cinque cm per elencarli” (pag. 89). Lui proprio non connette i punti. Ad esempio, egli utilizza liberamente argomenti del silenzio nelle lettere di Paolo che la storia di Giuseppe d'Arimatea fu inventata più tardi e non era nota a Paolo (pag. 141); ma lo stesso esatto ragionamento implica che tutti i racconti storicizzanti di Gesù furono inventati più tardi e non furono noti a Paolo. Solo un pò di coerenza porterebbe Ehrman alla posizione miticista su Paolo.

Ehrman trova anche evidenza in Paolo che afferma esplicitamente che Paolo e le suoi congregazioni cristiane semplicemente assumevano senza argomento che Gesù era in realtà un angelo. Lui trova questo dimostrato dall'analisi grammaticale di Gal. 4:14 eseguita da diversi studiosi precedenti (pag. 250). Non avevo scoperto quell'argomento da me stesso, ed è intrigante, a supporto del mio caso per quella stessa conclusione in OHJ.
 
Una delle mie osservazioni preferite da Ehrman è la sua ammissione che i “narratori erano suscettibili di aggiungere dettagli a storie che erano vaghe, o di dare un nome alle persone senza nome altrimenti lasciate anonime in una tradizione, o di aggiungere persone identificate a storie che originariamente menzionavano solo individui anonimi o gruppi indifferenziati di individui”, citando  il famoso articolo di Bruce Metzger “Names for the Nameless”, dove “illustrò tutte le tradizioni di persone che erano anonime nelle storie del Nuovo Testamento e ricevettero dei nomi più tardi”, la qual cosa, se visibile nella testimonianza scritta, poteva e avrebbe operato su ogni testimonianza orale precedente la nostra più antica testimonianza scritta (pag. 154). Dettagli perciò non rendono le storie più convincenti. Ho trovato questo stesso fatto confermato negli studi di leggende metropolitane, che cito in OHJ. Vale la pena notare che nelle leggende metropolitane che accumulano “fatti sullo fondo” su di loro (come storia e geografia), quei fatti spesso sono accurati. Eppure la storia a cui sono aggiunti è interamente fabbricata. Prendi nota di questo. È quasi esattamente quello che Luca fece a Marco e Matteo.

Ehrman presenta anche alcuni buoni argomenti contro l'affermazione apologetica cristiana che nessuno avrebbe affermato che Gesù fosse resuscitato a meno che non sapevano che la tomba fosse vuota (pag. 7, 174), e fa un buon caso per l'ipotesi dell'elaborazione del lutto (che certamente ha senso se si parte dal presupposto che Gesù esistette: pag. 194-96). Lui prende diverse nette posizioni contro l'apologetica cristiana, posizioni che anche (involontariamente) supportano il mio caso per la non esistenza di Gesù, come ad esempio che “non c'era nulla di categoricamente diverso intorno a qualsiasi” delle apparizioni ad ognuno dei primi apostoli, “esse erano tutte apparizioni dal cielo” (pag. 206).

Ma Deplorevoli Inganni


Purtroppo, Ehrman distorce poi l'evidenza in altri punti, tralasciando informazione a lui dannosa e quindi disinformando in modo disturbante i suoi lettori.
Ecco un esempio: 
“[i cristiani] puntavano a passaggi della Bibbia che parlavano di uno che soffrì e fu rivendicato, passi come Isaia 53 e il Salmo 22. Gli ebrei, però, avevano una pronta risposta: questi passaggi non parlano del messia. E puoi osservarlo leggendoli tu stesso, infatti la parola messia non occorre mai in loro”. (pag. 116)
Questo è fuorviante in modo disturbante in diversi modi. In primo luogo, Ehrman aveva spiegato in precedenza che gli ebrei usavano un certo numero di modi diversi per riferirsi al loro messia, tra cui “prescelto” o “eletto” (ad esempio, pag. 66). Indovina un pò come l'uomo morente-e-rivendicato di Isaia 53 viene chiamato? Hai indovinato, l'eletto di Dio, in altre parole “il prescelto” o “eletto”. Così è ipocrita da parte sua pretendere che la parola "messia" non era in quei passi perchè non erano messianici. Gli ebrei non limitavano i passi sull'identità del messia solo a quelli che utilizzavano in modo esplicito la parola messia. Ehrman stesso lo sa, persino lo dice in altre parti del libro stesso, ma qui il suo argomento richiede che i suoi lettori lo dimenticano. È quindi mendace sui falsi.

Peggio ancora, tutta la reale scrittura ebraica che da sempre discute Isaia 53 dice che è circa il messia. Tutta. Ad esempio, questo è semplicemente assunto senza discussione nel Talmud, dove tra l'altro le sue fonti rabbiniche concludono che questa stessa scrittura predisse che il Messia sarebbe morto e poi risorto. Questa è la seconda cosa sbagliata con le dichiarazioni di Ehrman: egli omette tutte l'evidenza che parla contro di lui, tutta l'evidenza invece che sostiene che gli ebrei in realtà immaginavano un messia morente e risorgente (che Ehrman ammette gli ebrei avrebbero considerato come in un certo senso un dio), e perfino vedevano una cosa del genere negli stessi passi che lui dice che i cristiani stavano sottolineando. Inoltre loro non erano scandalizzati da questo, e non videro nessun bisogno di essere sulla difensiva su ciò. È semplicemente dato per scontato, nessun argomento necessario. Così, la presentazione di Ehrman degli ebrei come incapaci di immaginare una cosa del genere è falsa alla faccia sua. Non esiste evidenza che gli ebrei avessero un problema a considerare quell'idea. Spesso la condideravano.

La terza cosa sbagliata in questo è che Ehrman stranamente “dimentica” di citare un altro passo dappertutto in questa discussione, Daniele 9, che veramente ha la parola messia, e dice veramente che il messia sarebbe morto (e, per inciso, dà anche una previsione matematica su quando questo sarebbe accaduto che sul calcolo più semplice ci dà l'era di Ponzio Pilato). Dice anche che una grande e definitiva espiazione per tutti i peccati si sarebbe effettuata al momento o poco dopo quella morte; e Isaia 53 dice che la morte del prescelto in un sol colpo avrebbe espiato tutti i peccati. Sarebbe quasi impossibile non vedere questi passi come un riferimento alla stessa persona, e abbiamo qualche evidenza che antichi ebrei potrebbero effettivamente aver fatto quella connessione (nel rotolo pre-cristiano del Mar Morto “Melchisedek”). Ehrman potrebbe obiettare (il rotolo è troppo danneggiato per cui il suo esatto significato può essere discusso), ma non può contestare il fatto che i passi sono facilmente visibili come allusivi alla stessa figura, e non può contestare il fatto che in Daniele le scritture ebraiche in realtà predicevano  la morte di un messia, in un passo che usa esplicitamente la parola Messia e dice esplicitamente che egli morirà.

Ehrman ha confusamente cercato di respingere quest'ultimo punto sostenendo che Daniele 9 fosse circa una figura del passato, ma ciò è discutibile: all'alba del primo secolo, pochi ebrei lo stavano vedendo in questo modo, considerando invece Daniele come una scrittura-ancora-da-realizzare, e perciò non circa una figura del passato (in realtà è innegabile che il rotolo di Melchisedec la vede in questo modo, e Flavio Giuseppe attesta ad altri che la pensavano così a loro volta). Ed Ehrman è perfettamente in grado di capire questo. Perché dice esattamente la stessa cosa di Daniele 7: “Comunque si interpreti Daniele nel suo contesto originale del II secolo AEC, ciò che è chiaro è che alla fine, in alcuni ambienti ebraici giunse ad essere interpretato che” si riferiva ad un “liberatore futuro” (pag. 65). Come per Daniele 7, così per Daniele 9. Per esattamente gli stessi motivi. Ehrman, quindi, non ha nemmeno seguito il suo stesso consiglio. Ancora una volta, molto simile ad un apologeta cristiano.

Quest'evidenza è dannosa all'argomento di Ehrman qui. Eppure lui sa tutto questo. Così la sua omissione è profondamente preoccupante per me. Sembra come un tentativo di ingannare, per modificare e alterare la testimonianza probatoria così da far sembrare praticabile solo la sua conclusione, e neppure riferire a tutti dell'evidenza che la contraddice, tanto meno tentare di divincolarsi da essa. Questo stesso comportamento affligge tutto il suo caso pro storicità ...

Ehrman Ancora Bloccato su Cattivi Argomenti pro Storicità


Ehrman di nuovo afferma solo, senza alcuna evidenza o argomento, che le storie che Matteo aggiunge a Marco “ovviamente le ha prese da qualche parte” (pag. 95), quando sembra più ovvio per me (e innumerevoli altri studiosi del settore) che Matteo è lui stesso a inventarle. Non li sta ottenendo “da” qualche parte. Allora perché Ehrman salto invece alla posizione dell'apologeta cristiano? Nessuna spiegazione. Dice lo stesso per Luca. Questa è la stessa cosa che ha fatto Ehrman in DJE:  lui solo fabbrica a destra e a sinistra fonti non esistenti, non attestate, senza fondamento, evidenza, o argomento. E poi le usa per dichiarare la sua conclusione una certezza. Nel frattempo, lui poi ammette che Giovanni ha fabbricato tutto. Ma perché concedere questo per Giovanni, ma poi non fai l'ovvio passo successivo e ti rendi conto che come per Giovanni, così per tutti?

Allo stesso modo di nuovo Ehrman difende il metodo dei criteri, anche se tutti gli esperti che hanno pubblicato studi specifici di loro li hanno trovato irrimediabilmente viziati e inutilizzabili (come io documento, ampiamente, in Proving History). Ehrman proprio non si è confrontato con quella letteratura. Tuttavia, egli sta dicendo ai suoi lettori che le sue conclusioni sono qui “prese come un dato di fatto da quasi tutti gli studiosi critici”, che non è vero. In effetti, le sue fonti false sono messe in dubbio da un gran numero di prominenti esperti. Come è l'idea per esempio, che ogni cosa ripetuta in più fonti risalga tutto a Gesù. Ovviamente i racconti della natività non risalgono a Gesù, per esempio, non importa quante numerose fonti indipendenti abbiamo per loro (ci sono infatti almeno sei). Come quasi tutti gli studiosi critici concordano. Quindi Ehrman non sta rappresentando con precisione neppure il consenso, tanto meno sta controllando se il consenso è corretto. Questo è strano, perché lui ammette che le storie dei vangeli hanno strati di abbellimento su di loro (pag. 96), ma poi dice: “di Gesù si dice che è stato crocifisso da Ponzio Pilato sia in Marco che in Giovanni, e ci sono aspetti indipendenti della storia riportati in M e L. E così ciò è probabilmente quello che è successo ... ” Ma i maggiori esperti su Giovanni concludono che Giovanni ottenne questo da Marco (Giovanni persino cita Marco alla lettera in più punti), ed M e L solo significano le cose che Matteo e Luca aggiungono a Marco indipendentemente l'uno dall'altro. In altre parole, “strati di abbellimento”.

La metodologia di Ehrman non fa quindi alcun senso logico. Egli ammette che i fatti di base sono stati abbelliti, ma nel momento in cui incontra uno di quegli abbellimenti, lo dichiara una fonte indipendente della storia di base che viene arricchita in tal modo! Immagina questo. Ho sentito una storia da Sue, e io la abbellisco. Ehrman arriva e dice che la storia di Sue dovrà allora essere vera, perché i miei abbellimenti devono avere una fonte indipendente di Sue! Quello è l'argomento di Ehrman.
 
Ehrman anche cita selettivamente la sua evidenza per distorcere la realtà. Perché in realtà, le fonti non concordano su questo dettaglio. Alcuni dicono che gli agenti del re Ianneo uccisero Gesù. Alcuni dicono che fu crocifisso da Erode. L'unica fonte, letteralmente l'unica singola fonte, che dice che fu crocifisso da Pilato, o anche da romani del tutto, è Marco. Tutte le altre fonti che ripetono quel dettaglio semplicemente lo ottengono da Marco e l'abbelliscono. Quindi non solo c'è una sola fonte, non molte, ma quando guardiamo tutte le fonti, vediamo diversi resoconti divergenti di chi uccise Gesù, non uno. Anche secondo gli stessi presupposti difettosi di Ehrman (crede ingenuamente che l'interpolazione in 1 Tessalonicesi 2 sia autentica), Ehrman deve concedere che Paolo dice che furono gli ebrei ad uccidere Gesù; non si parla neppure dei Romani, tanto meno di Pilato.

Questo lavoro illogico da parte di Ehrman per ammucchiare rotoli di nastro adesivo su tutta la tesi di storicità in un disperato tentativo di evitarne il collasso porta Ehrman a dire solo cose stupide. Per esempio, quando dice che Paolo “non dice mai che Gesù stesso dichiarò di essere divino.” Questa è una cosa sciocca da dire, in quanto è il peggiore argomento del silenzio concepibile (ironicamente per una persona così ostile all'argomento del silenzio – quando non va per la sua strada). In realtà Paolo mai discute Gesù perfino quando fa  una predicazione, tanto meno nell'atto di insegnare o dire qualcosa del tutto durante quella predicazione. In realtà, Paolo non si riferisce mai per nulla a qualcosa che Gesù disse prima della sua morte (e in effetti ci si dovrebbe chiedere perché!), ad eccezione di quanto sussurrato ai profeti, che di fatto proclamavano la sua divinità, e tuttavia Paolo dice che Gesù gli insegnò il vangelo durante il loro primo (rivelatorio) incontro (Galati 1).

Quindi certamente Paolo credette, e insegnò, che Gesù stesso dichiarò di essere divino (nel senso che Ehrman distingue giustamente e accuratamente, ossia come un subordinato essere divino), dal momento che dovunque Paolo parla del vangelo, la divinità di Gesù è essenziale per esso, ed è accreditata come essendo stata comunicata agli apostoli da Gesù (per rivelazione – sia direttamente, sia indirettamente attraverso la sua influenza sui profeti biblici). Infatti non vi è alcuna ragione plausibile per cui le allucinazioni di Paolo di un Gesù celeste (reali o pretese) sarebbero state reticenti su questo punto. Quindi sicuramente noi non dovremmo concludere che Paolo attesta a un tempo quando Gesù non stava affermando di essere divino. Non esiste evidenza di ciò in Paolo. A maggior ragione così poichè Paolo crede che Gesù stava annunciando il suo futuro trionfo e la sua divinità ai profeti già nell'Antico Testamento e, quindi, di fatto ciò era stato discusso da parecchio tempo. Paolo non sembra mai a conoscenza di qualche momento in cui Gesù non stesse dicendo questo.

Una Grande Palla Mancata


Nell'ultimo capitolo di Ehrman lui discute poi i più tardi sviluppi (come quelli del Medioevo) e come i cristiani si evolsero nell'insistenza su un monoteismo trinitario, anche se il cristianesimo non aveva mai abbracciato una cosa del genere prima di allora. Quello che ho trovato mancante qui è una vera spiegazione del perché erano così mortalmente ossessionati dall'agire così. Perché gli “ortodossi” cristiani così disperatamente bisognavano di affermare solo un “unico” Dio, e perché, allo stesso tempo insistevano che Gesù e lo Spirito Santo sono la stessa cosa esattamente come quell'unico Dio? Cosa c'era di così ripugnante, o pericoloso, o distruttivo delle loro altre credenze, nella nozione di abbracciare solo tre divinità, o semplicemente nel dire che Gesù era un arcangelo che fa la volontà di Dio, così come Paolo stava insegnando in un primo luogo? Non si può dire che questa ossessione fosse semplicemente intrinseca, dal momento che c'erano innumerevoli cristiani soddisfatti di alternative, sia all'origine della fede e sia in ogni secolo posteriore per sempre. Allora, perché c'erano quelli altri cristiani non soddisfatti di loro?

Ehrman offre solo una teoria in un paio di frasi, indifese (pag. 343): l'idea che il cristianesimo era in realtà ossessionato dall'unità politica e cercò di farla rispettare, chiedendo l'unità teologica: un solo dio, quindi, un solo impero. Ma quello in realtà non spiega nulla. I romani ricercarono l'unità senza doversi ossessionare sul monoteismo, e così lo fecero gli ebrei (come stabilisce lo stesso libro di Ehrman). Allo stesso modo i cinesi. E proprio come l'impero romano aveva governanti subalterni, così li poteva avere il suo analogo cosmo-teologico. Quindi, perché non potevano accettare Gesù come il tipo di divinità che Paolo riconosceva: viceré di Dio? La sola teoria preferita di Ehrman non risponde a questa domanda. Infatti, sembra ripetere soltanto la domanda come se fosse una risposta. “Perché i cristiani si ossessionavano su questo concetto di unità estremista? Poiché i cristiani erano ossessionati da un concetto di unità estremista”.

Ehrman non esamina neance il cristianesimo ortodosso, copto, etiopico, o nestoriano o assiro, per esempio. Quei cristianesimi non seguirono necessariamente il credo niceno, nè lo interpretarono allo stesso modo. Questo l'ho trovato uno spiacevole difetto del libro, che potrebbe avere, e dovrebbe avere, incluso un capitolo informativo su tali storie, perché avrebbero informato la tradizione occidentale per contrasto e per confronto.

Conclusione

In conclusione, ci sono molti errori in questo libro, dal banale al grave. Ma nel complesso stabilisce profondamente il punto chiave che Gesù fu considerato come un pre-esistente essere divino incarnato dalla più antica storia ricordata del cristianesimo, di fatto anche prima degli scritti di Paolo, e che questo non era nemmeno notevole all'interno dell'ebraismo. Il concetto specificamente trinitario di Gesù come essere identico al Dio supremo lui mostra che effettivamente sorse solo molto più tardi. Ma che perfino gli ebrei accettavano uno spettro di divinità, e non una visione binaria, Ehrman lo dimostra altrettanto bene. Egli stabilisce così una pietra angolare della tesi miticista. E distrugge una pietra angolare accarezzata dalla storica interpretazione liberale cristiana. A difesa della storicità, nel frattempo, questo libro non aggiunge nulla. In realtà, devia un pò da quella strada. I pilastri si stanno sgretolando.

(Richard Carrier, mia libera traduzione da qui)

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