domenica 13 settembre 2015

“Il più venerabile degli angeli” — il “Gesù” di Filone di Alessandria

IMITAZIONE: La religione cristiana ci ordina di imitare il dio che adoriamo. Da ciò si deduce che dobbiamo tendere tranelli agli uomini, punirli per esserci cascati, sterminare gli infedeli, annegare o bruciare i peccatori; infine farci mettere in croce, per assomigliare al nostro modello divino.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)



Così scriveva Filone:
Stando a quanto sostiene la Scrittura, quelli che si sono associati allo scopo di commettere ingiustizie, «muovendo da levante trovarono una pianura nella terra di Sennaar e qui fissarono la loro dimora». Questa espressione ha un significato quanto mai profondo. Il “levante”, in relazione all'anima, può essere di due generi; l'uno di senso positivo e l'altro negativo. Si ha il “levante” in senso positivo quando lo splendore della virtù si leva come i raggi del sole; invece, sia ha il levante in senso negativo quando le virtù vanno oscurandosi e si levano i vizi. Un esempio del primo genere di levante potrebbe dedursi da questo passo della Bibbia: «E Dio piantò un giardino in Eden, a levante» (Gen 2:8). Certo, non un giardino di piante terrestri, ma di virtù celesti, che il Piantatore ha fatto sorgere dalla Sua luce incorporea, perchè fossero per sempre inestinguibili. Ho udito uno dei discepoli di Mosè uscire nella seguente esclamazione: «Ecco l'uomo il cui nome è levante» (Zac. 6, 12). Indubbiamente una ben strana affermazione, se la si riferisce a un uomo fatto d'anima e corpo. Ma quand'essa venga riferita a quell'essere incorporeo che è del tutto simile all'immagine di Dio, allora bisognerà riconoscere che il nome di levante gli è attribuito in modo del tutto pertinente. E d'altra parte il Padre dell'universo “ha fatto levare” proprio questo figlio, il più anziano —il quale peraltro, altrove è detto anche «primogenito» (Zac. 12, 10)—che, appena nato, seguendo le orme del Padre e guardando ai Suoi paradigmi archetipi, ha dato la forma appropriata ad ogni genere di realtà.
(Filone di Alessandria, La confusione delle lingue, 14:60-63)


Rileggendo questo passo, andare a leggere il passo di Zaccaria riferito da Filone dov'è presente il nome al quale si riferisce,[1] e trovarvi scritto “Gesù” sembra una coincidenza che ha dell'incredibile, al punto tale da non poterla mai più considerare una banalissima coincidenza.

Esistono quindi tre possibilità:

1) Filone fu il primo a chiamare “Gesù” il suo Logos.
2) Filone imitò i primi cristiani che già chiamavano prima di lui “Gesù” un'entità celeste.
3) Filone era al corrente, al pari dei cristiani ma indipendentemente dai cristiani, di una antica tradizione marginale ebraica che chiamava “Gesù” un'entità celeste.


L'ipotesi 2 è sicuramente la più improbabile di tutte: Filone non nomina da nessuna parte un'ipotetico Gesù storico, tantomeno nomina un predicatore di “Cristo Gesù” da qualche parte, tantomeno nomina un ipotetico Paolo storico. Quindi mi sento di scartare a priori l'ipotesi 2.

Il geniale Richard Carrier, che ha scoperto per prima questa “coincidenza-troppo-improbabile-per-essere-tale”, [2] ha scommesso ad occhi chiusi sull'ipotesi 3, dal momento che, assumendo l'esistenza di cristiani nel I secolo e prima del 70 E.C., lui non immagina credibile la possibilità che i primi cristiani, i cosiddetti “Pilastri” di Gerusalemme (come li chiama Paolo in Galati 2), avessero mutuato da Filone l'idea di chiamare “Gesù” il loro arcangelo celeste esperito tramite sogni, allucinazioni e visioni. Se agivano in modo quasi contemporaneo, ragiona giustamente il dr.Carrier, com'era possibile che, mentre Filone chiamava “Gesù” il suo ineffabile Logos, nello stesso tempo (sic) i cristiani chiamavano “Gesù” il loro arcangelo celeste? Come avrebbero fatto a passarsi la palla agendo così in contemporanea?

Per semplice esclusione, il dr. Carrier opta per l'ipotesi 3: sia Filone sia i primi cristiani stavano attingendo, indipendentemente l'uno dagli altri, da una precedente tradizione ebraica marginale comune.

Sembrerebbe una scelta ragionevole, ma solo a condizione di accettare i primi cristiani già in azione prima del 70 E.C., a Gerusalemme e/o in Galilea, nei primi anni dell'Era Comune.

Ma si tratta di una scelta che va incontro a due problemi.

Il primo problema lo denuncia il miticista Stephan Huller: non esiste, in tutta l'angeleologia ebraica, nessun angelo o arcangelo di nome “Gesù”/“Giosuè”. Motivo per cui lo stesso Huller intende scommettere sull'evoluzione di un certo angelo “Isus” (o qualcosa del genere)—quello sì presente nel pantheon ebraico— nel “Gesù” dei primi cristiani, facendo leva, tra l'“evidenza” da lui portata, sul fatto che i marcioniti del terzo (!) secolo hanno lasciato un'iscrizione dedicata a “Isus Chrestos” e sul fatto che i musulmani chiamano il loro “Gesù” col nome di
ʿĪsā. Mentre io seguo Stephan nella totale assenza di “Gesù” nell'ancestrale angeleologia ebraica, tuttavia non lo seguo affatto laddove pretende di far passare per ebrei i gentili marcioniti.
il secondo problema è che i miticisti del secolo scorso che hanno preteso l'esistenza di un ancestrale e oscuro culto di Giosuè” nel passato ebraico precristiano hanno sempre fallito di suonare convincenti per mancanza di evidenza.
 
Come risolvere allora l'enigma suscitato da Filone di Alessandria col suo Logos di nome “Gesù”?


Penso che tutte le tessere del puzzle, more solito, si rimettano al loro posto non appena si considera, come ho insistito più volte, che il cristianesimo ha origine dopo il 70 E.C., che prima di quella data non esisteva nessun cristiano, nessun “giudeocristiano”, nessun “Gesù di Nazaret.”

Dove sarebbe allora l'evidenza che Filone fu il primo a chiamare “Gesù” il suo divino Logos metafisico?

Nello stesso Filone.

Il quale così scrive:
E se anche ci fosse qualcuno che non è ancora degno d'essere chiamato “Figlio di Dio”, si affretti a mettersi in sintonia con il Suo primogenito, il Logos, il più venerabile degli angeli, potremmo dire l'Arcangelo. A questo Logos si attribuiscono molti nomi, secondo che sia chiamato “principio”, “nome di Dio”, “Logos”, “uomo a immagine”, oppure “il Veggente”, ossia Israele. Per questo motivo poco prima mi sono lasciato andare a una lode della virtù di coloro che affermano «Siamo tutti figli di un solo uomo» (Gen. 42.11); e, infatti, se non siamo ancora degni di essere chiamati “figli di Dio”, almeno cerchiamo di essere figli della Sua immagine ideale: il santissimo Logos. In verità, l'immagine di Dio è il Logos, la più venerabile delle creature. In molti passi della Legge costoro sono chiamati anche in un altro modo e cioè “figli di Israele, il Veggente”. Questo appellativo equivale a “coloro che ascoltano”, dal momento che l'udito è degno del secondo posto dopo la vista e l'apprendere è comunque una condizione di secondaria importanza rispetto all'accogliere, senza bisogno di insegnamento, le chiare impronte degli oggetti.
(Filone di Alessandria, La confusione delle lingue, 28:146-148)

Evidentemente Filone, quando dice che “a questo Logos si attribuiscono molti nomi” non sta attingendo da nessuna tradizione precedente (che non sia la semplice lettura personale della Torah) riguardo presunti angeli chiamati rispettivamente con quei nomi che lui seguita a recitare: “principio”, “nome di Dio”, “Logos”, “uomo a immagine”, oppure “il Veggente”. E se non ricorre a tradizioni precedenti nell'attribuzione di quelli appellativi, perciò anche nel caso specifico di “Gesù” è lui, Filone, il primo nella Storia ad attribuire quel nome alla sua “immagine di Dio”, il “Logos, la più venerabile delle creature”, il “più venerabile degli angeli, potremmo dire l'Arcangelo”.

E che questo “Arcangelo” venisse poi appellato “Figlio di Davide” nell'interpolazione proto-cattolica di Romani 1:3 (non presente nell'Apostolikon di Marcione), è assolutamente coerente alle stesse parole di Filone quando seguita a dire poco dopo:
Sono colpito anche dalle profezie esposte nei libri dei Re, stando alle quali coloro che sono vissuti molte generazioni dopo Davide e che sono ormai nel fiore degli anni sono chiamati, senza timore di cadere nel ridicolo, “figli di Davide”, colui che eleva inni a Dio (3 Re 15,11; 4 Re 18,3). E si noti che forse neppure i loro bisnonni potevano essere contemporanei di Davide; ma qui si tratta della nascita di anime rese immortali dalla virtù e non della genesi di corpi corruttibili. Si dà il caso, infatti, che questa generazione sia attribuita a coloro che primeggiano nel campo della perfetta virtù, quasi fossero genitori e padri.
(Filone di Alessandria, La confusione delle lingue, 28:146-148)

Se l'Arcangelo “Gesù” di Filone primeggia “assolutamente nel campo della perfetta virtù”, allora assurge di diritto al titolo di “figlio di Davide” per antonomasia, se non esplicitamente per Filone, almeno per l'interpolatore proto-cattolico di Romani 1:3 che alla logica di Filone si ispirò.

Coloro, come quell'idiota del folle apologeta cattolico Gianluigi Bastia, che mancano di riconoscere che il Gesù delle lettere è lo stesso Gesù “Arcangelo” di Filone (allegorizzato dietro il “Gesù” sommo sacerdote di Zaccaria e il successore di Mosè) non giungeranno mai ad una piena comprensione delle origini del cristianesimo, che cominciano probabilmente con la stessa allegorizzazione delle scritture praticata ad Alessandria e/o ad Antiochia — e per niente affatto a Gerusalemme.

Quindi tutti gli essenziali concetti teologici che saranno utilizzati da alcuni ebrei dopo la Caduta del Tempio nel 70 E.C. per dare origine al mito cristiano erano già presenti in forma embrionale nel pensiero allegorico di Filone di Alessandria.

Resta ancora da vedere perchè emerse in primo luogo, dopo quel tempo, l'intima necessità spirituale di dare un volto personale — assieme ad un'intera Non-Vita sulla Terra — a “Gesù”, “il più venerabile degli angeli”.



[1]   Ricorda che nel greco della Septuaginta Gesù e Giosuè si rendono con lo stesso nome: Ιησους
Prendi l'argento e l'oro, fanne una corona e mettila sul capo di Gesù, figlio di Jehotsadak, il sommo sacerdote.
Quindi parla a lui, dicendo: Cosa dice l'Eterno degli eserciti: Ecco, l'uomo, il cui nome è il Germoglio. Germoglierà nel suo luogo e costruirà il tempio dell'Eterno.
(Zaccaria 6:11-12)
 [2]  Si veda Richard Carrier, On the Historicity of Jesus, pag. 203-204.
In particolare laddove dice:
Paolo identifica il suo Gesù con tutti gli stessi attributi (tranne il dettaglio del suo essere sommo sacerdote, che troviamo in Ebrei), che è una coincidenza davvero improbabile: a due uomini cosmici di nome Gesù sono attribuiti tutti gli stessi insoliti attributi; e due di quegli attributi (filiazione e sommo sacerdozio) sono dichiarati nella stessa frase di Zaccaria da cui cita Filone, una citazione di un uomo che lo stesso Filone poi collega al personale concetto di Filone del figlio primogenito di Dio e sommo sacerdote, un'altra improbabile coincidenza a meno che Filone (o la sua fonte) fosse ben consapevole del resto della frase e ne tenesse conto nella sua interpretazione. Filone fa anche uso dello stesso gioco di parole (tra il sostantivo e la forma verbale di anatolē) nella sua interpretazione (o della sua fonte) su cui gioca la frase di Zaccaria. In verità, dovrebbe essere assurdo suggerire che Filone, un biblista assai erudito, non avesse mai letto Zaccaria e quindi non conoscesse il contenuto residuo di questo passo, o da dove proveniva perfino la riga. Così possiamo concludere con sicurezza che Filone (o la sua fonte) fosse a conoscenza del fatto che questo cosmico figlio primogenito  è stato chiamato Gesù. Perché negarlo (non importa con quale scusa) richiede l'affermazione di una serie di coincidenze improbabili, mentre affermarlo no.
 (liberamente tradotto da pag.203-204, mia enfasi, corsivo originale)

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