mercoledì 22 ottobre 2014

Paulus Absconditus

Da Atti io sono condotto anche a credere a Paolo.
(Tertulliano)





Un certo Joshua ha fatto questa domanda al prof Markus Vinzent che traduco:
In base a tutta la ricerca che ha fatto ... concluderebbe che Paolo credeva che Yahweh fosse il vero Dio e padre di Gesù? Oppure come Marcione, che Gesù fu inviato da un Dio completamente differente? Io comprendo che le lettere correnti che abbiamo puntano alla prima soluzione, ma devo credere che Marcione avrebbe avuto nulla a che fare con quelle lettere, a meno che esse puntavano alla seconda soluzione.

Lei possiede una ricostruzione de ''Il Vangelo di Marcione'' ... oppure la versione marcionita delle lettere di Paolo?

C'è da dire che nemmeno il miticista Couchoud, il quale fu il primo a speculare su Marcione come autore del primo vangelo, fu così radicale da spingersi a tale conseguenza, che Marcione riesumò Paolo dall'oblio perchè Paolo era protognostico, magari quello stesso Simone di Samaria che per Roger Parvus fu il vero fondatore del cristianesimo.

E tuttavia lo stesso Couchoud, ne sono certo, concorderebbe con la risposta del prof. da me liberamente tradotta:
La questione della natura delle lettere di Paolo necessita di un completo esame. L'ultimo tentativo nel far questo fu il libro di Schmid ( Schmid, Ulrich, Marcion und sein Apostolos (Berlin a.o., 1995), ma fu fatto interamente sull'altra assunzione che Marcione fu un grande redattore, di qui il modello su come lui utilizzò il vangelo fu anche utilizzato per quello del suo utilizzo delle lettere di Paolo.


 Ora, io posso, noi possiamo vedere da Tertulliano che Marcione stava maneggiando il vangelo in realtà in modo diverso dalle lettere di Paolo e che lui nè falsificò le lettere, nè le scrisse sotto il nome di Paolo, ma che lui,  in realtà, le collezionò e, solo occasionalmente come mostra Schmid, corregge e devia dal testo come l'abbiamo oggi. Tuttavia, è chiaro, avendo fatto qualche ricerca su quei testi (lungi dall'essere sostanziale abbastanza da formare un'opinione finale riguardo alla maggior parte dei dettagli delle lettere), che le lettere erano diverse in qualche misura da quelle che abbiamo oggi ed erano, in realtà redatte dopo Marcione in una tendenza anti-marcionita. Prendi l'esempio di Romani. Romani, nella collezione di Marcione, terminava col capitolo 14. Egli non l'accorciò, ma essa più allungata più tardi. In modo simile, l'apertura di 1 Corinzi 15 non mostra il riferimento che Paolo ha preso la sua informazione da altri, e tali riferimenti non furono rimossi da Marcione, ma introdotti per rendere Paolo dipendente dagli Apostoli. Senza aver fatto un pieno esame (che è un gran lavoro e richiede di esser fatto nel futuro), ritengo, possiamo costruire sul lavoro di Schmid, ma bisogna correggerne le assunzioni, e, perciò, arriveremo anche a risultati davvero diversi.


Non ho nulla da criticare in questa risposta (tutt'altro!), anche se ripartire da Schmid nella ricerca ha l'aria di essere una mossa troppo apologetica-conservatrice per i miei gusti. D'altro canto, come ho già sperimentato leggendo Hermann Detering, Robert Price e Roger Parvus sull'argomento, le possibilità interpretative nel giudicare cosa è interpolato e cosa no nelle epistole ''paoline'' si prestano facilmente ad una loro moltiplicazione esponenziale da temere che il loro numero diventi incontrollabile, incrinando la certezza delle conclusioni.

Poichè non credo che uno spirito così puro e onesto come Marcione fabbricò lettere sotto il nome di Paolo, prendo a caso un solo esempio illuminante di quello che potrebbe essere successo, anche se l'esempio è preso da Efesini che non è una lettera scritta da Paolo ma da un paolinista:
A me dico, che sono il minimo fra tutti i santi, è stata data questa grazia di annunziare ai pagani le insondabili ricchezze di Cristo e di manifestare a tutti quale sia il piano seguito da Dio riguardo al mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto IN Dio, il creatore di tutte le cose, affinchè i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano ogi, per mezzo della chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che egli ha attuato mediante il nostro Signore, Gesù Cristo.
(Efesini 3:8-11)

La versione di Marcione del medesimo passo così recitava:
A me dico, che sono il minimo fra tutti i santi, è stata data questa grazia di annunziare ai pagani le insondabili ricchezze di Cristo e di manifestare a tutti quale sia il piano seguito da Dio riguardo al mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto DA Dio, il creatore di tutte le cose, affinchè i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano ogi, per mezzo della chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che egli ha attuato mediante il nostro Signore, Gesù Cristo.
(Efesini 3:8-11)

Incredibile quanto terremoto provoca il cambiamento dalla preposizione ''IN'' a ''DA'' (e viceversa) in quel punto specifico! Il ''creatore di tutte le cose'' è il legittimo custode del gran mistero divino oppure ne è il perfido ladro e occultatore? Il creatore del mondo è YHWH, per gli ebrei. Ma per il vero Paolo, al di là se l'autore originario di Efesini fosse o meno il suo vero seguace, a quel creatore bisognava dare riverenza oppure bisognava ribellarsi per adorare invece un altro Dio?


Penso che i due soli scenari possibili sono due:


1) o l'uomo chiamato Paolo era davvero un protognostico e precursore di Marcione nella sua adorazione di un Dio Straniero diverso dal dio degli ebrei...

2) ...oppure Paolo era un ebreo in tutto e per tutto che si mosse sempre all'interno dell'ebraismo rispettando coordinate assolutamente ebraiche perfino quando si sbarazzò della Torah (perchè è un fatto che Paolo giunse ai ferri corti coi Pilastri ALMENO per quanto riguarda il rispetto della Torah, oltre che per distinguersi dai Pilastri per la sua enfasi sulla Resurrezione).


Nella prima ipotesi, allora Hermann Detering, Robert Price e Roger Parvus hanno già fatto il lavoro che il prof auspica e perciò ne deriverebbe che il Paulus Historicus fu Simon Mago. Lo gnosticismo sarebbe perciò la più antica forma di cristianesimo.



 Per una ricostruzione delle origini gnostiche del cristianesimo, si veda The Amazing Colossal Apostle, in particolare pag. 131-166. Leggendo il libro del prof Vinzent Christ's Resurrection, mi ha impressionato quanto suoni simile la sua descrizione delle rivalità in seno alla chiesa rispetto a quella di Robert Price:
Il Cristo Gnostico, Pagels and Charles H. Talbert osservavano, era una voce interiore soggettiva e inverificabile. Il nascente cattolicesimo necessitava di una garanzia più oggettiva per pretese dottrinali e istituzionali. Dire che il Gesù Spirito era apparso ad un eremita in trance e disse questo e questo fu incontrollabile. Presto ci si ritrovò al largo e paralizzati dall'indecisione quando si basò la propria esistenza su tale effimera autorità, con nessuna garanzia obiettiva per credere nella profezia del Cristo interiore. L'insistenza di Luca-Atti su un'interpretazione ufficiale della scrittura proposta da un risorto, carnale Cristo ai suoi discepoli, e dunque ermeticamente sigillata e consegnata a vescovi-successori, fu un passo necessario verso l'istituzionalizzazione. ''Il resto di voi può pure andare ad aver le vostre visioni'', dissero i vescovi, ''ma noi possediamo il reale deposito della verità. Divertitevi pure con i vostri oracoli. Noi possediamo la chiesa. Noi possediamo un obiettivo Gesù che morì e risorse nella carne e non apparve in forme diverse simultaneamente a parecchie persone, comunicando loro differenti cose.'' Pressapoco così si pronunciò la gerarchia.
 Sicuramente Pagels e Talbert hanno ragione, ma così aveva ragione pure Arthur Drews, che aveva già spostato più ulteriormente lo stesso pensiero. Egli figurò che non si trattava di una mera questione di conflittuali apparizioni post-mortem di Gesù. Non c'era stato uno storico Gesù sulla Terra. Gesù fu un celeste rivelatore all'interno del cuore di ognuno. A la Schmithals, i veri Gnostici non sarebbero soddisfatti di un finito vangelo; loro cercherebbero le loro personali rivelazioni. Ireneo derise gli Gnostici per le loro visioni e fabbricazioni di miti, dicendo che negavano il reale, storico Gesù. L'approccio gnostico era troppo vago per condurre alle sue fazioni più vantaggio. Pretendere che Gesù era realmente apparso nella Storia recente e passò le sue direttive ai suoi scelti successori fu confortante. La creazione di uno storico Gesù, piuttosto che la fede in un Gesù puramente spirituale, divenne imperativo. Un limitato numero di apostoli testimoni di uno storico essere e dei suoi insegnamenti divennero utili come garanzia contro incontrollabili futuri pronunciamenti da sorgenti spirituali che introdurrebbero caos nella chiesa. Lo storico Gesù fu uno su cui gli emergenti Cattolici potevano attribuire la loro dottrina; i dodici apostoli, compositi derivati dagli originali apostoli Gnostici, furono i garanti di quelle dottrine.
(Robert M. Price, The Amazing Colossal Apostle: The Search for the Historical Paul, pag. 137-138, mia libera traduzione e mia enfasi)


Nella seconda ipotesi, che è quella dalla quale vorrebbe partire il prof (e da cui era partito lo stesso Couchoud in passato), allora la conclusione più probabile è che le lettere di Marcione, per quanto si discostassero leggermente da quelle originali di Paolo, erano comunque più fedeli alle originali di quanto lo fossero in seguito con le interpolazioni e falsificazioni cattolicizzanti successive.


Personalmente a me non interessa se dove ora figura scritto κατα τας γραφας (a indicare auto-realizzazione delle Scritture) oppure κατα σαρκα (a indicare magica discendenza davidica) Marcione si preoccupò di mutilare Paolo (laddove le sue lettere originali contenevano davvero κατα σαρκα e κατα τας γραφας), oppure rimosse solo il più scomodo (per lui) κατα τας γραφας lasciando inalterato κατα σαρκα, oppure le trovò nel testo originale e le lasciò, oppure ancora non trovò nessuna di quelle due espressioni nel testo originale paolino e furono i falsari proto-cattolici ad aggiungerle, ecc, ecc.

 Riguardo l'uomo chiamato Paolo, ho già scritto in un post precedente cosa so con certezza di lui e cosa (temo: per l'eternità), non saprò mai di lui.

Per farla breve, a me personalmente ciascuna di quelle due ipotesi mi sembra egualmente probabile.

Perciò, in attesa che qualcun altro (magari lo stesso prof Vinzent!)  mi dia maggiore sicurezza verso l'una o l'altra delle due ipotesi, non trovo nulla di male ad accettare per il momento la plausibilità di questa visione di Paolo (secondo il prof Vinzent) più corrispondente all'ipotesi 2 (è sufficiente sostituire, dove il prof intende un Gesù storico, il Gesù celeste non-letterale allucinato dai primi cristiani):
Scrivere sull'Arte e Letteratura Cristiana Antica del primo e del secondo secolo significa un coinvolgimento con la cultura ebraica. Evolve solo lentamente una nuova identità cristiana che divide il cristianesimo sia dall'ebraismo che dal paganesimo. Questo fu un processo complesso e può solo essere rintracciato ad una misura limitata. Simili agli artisti, nessuno dei nostri primi autori sapevano di loro stessi come cristiani. Erano ebrei, greci, romani, a volte tutto questo in una sola persona, come, per esempio, Paolo. E tuttavia, nella misura in cui Paolo fu un ebreo nutrito di fonti multiple (background giudeo-ellenistico, Filone, Qumran, Stoicismo), i cristiani erano ispirati da un'ampia gamma di tradizioni, alcuni seguirono l'etica e le credenze di Gesù piuttosto che le loro, altri collegarono il loro pensiero e i loro scritti a Gesù oppure ad una comunità cultuale apocalittica senza neppure menzionare il nome del loro salvatore (come per esempio il cosiddetto Pastore di Erma), Nella misura in cui possiamo esser certi dall'evidenza sopravvissuta, comunque, per parecchi decenni, nella produzione di scritti e di arte, i cristiani non si mossero al di là della soglia ebraica.

Uno dei classici passi di Paolo si può trovare in Romani 2:17-29.

Paolo, egli stesso un ebreo, non condanna nè gli ebrei nè l'ebraismo, ma veicola quello che crede è e dovrebbe essere un ebreo: non qualcuno che è ebreo per nascita, apparenza esteriore o discendenza - ma qualcuno che si attiene alla Legge in un senso spirituale. E tuttavia, Paolo nè nega tale fisicità, nè il codice scritto, la Legge. Ma poichè lui vede l'esser ebreo in relazione a Dio, lui mantiene che
a) coloro che sono stati fisicamente circoncisi devono vivere secondo questo ''valore'' praticando ''la legge''; e
b) infrangere la legge per coloro che sono intesi ad osservarla è una questione, non la circoncisione in sè stessa che è indiscutibile.

In aggiunta, egli assume che le persone che non sono circoncise e avrebbero bisogno di praticare la legge, ma in realtà ''obbediscono ai giusti requisiti della legge'', possono essere 'considerate'' circoncise, e perciò ''ebrei''. Quali sarebbero richieste ingiuste? Paolo, l'ardente ebreo (Galati 1:13; 1 Corinzi 15:9; Filippesi 3:6), sapeva che la circoncisione non figurava tra i requisiti noachidi, quindi non si applicherebbe ai non-ebrei. Ed egli approva che guadagnare persone alle sue personali posizioni teologiche ed etiche e a quelle dei seguaci di Gesù era fare di quei convertiti non-ebrei degli ''ebrei''. Si autodescrive come progredito nell'ebraismo al di là di molti suoi contemporanei della sua nazione, prima di abbracciare la comunità degli ebrei eretici che perseguitava: ‘accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri’ (Gal. 1:14), ma perfino dopo l'esser divenuto un Apostolo, come si può vedere in questo passo di Romani, ancora vede il suo obiettivo nel guadagnare persone non circoncise ad un ebraismo perfezionato dove la circoncisione ''del cuore mediante lo Spirito'' è considerata più alta rispetto alla non-osservanza di uno fisicamente circonciso.

Paolo, perciò, vede sè stesso interamente radicato e a parte delle credenze e della prassi ebraiche, godendo di ogni libertà come mostra ciascun altro maestro, scrittore, rabbi o filosofo dell'ebraismo ellenistico, e noi solamente dovremo pensare a nomi come Filone o Flavio Giuseppe.
Giungendo dalle tradizioni dei suoi antenati, le tradizioni farisaiche ellenizzate romane, lui dà ad ogni cosa la sua interpretazione personale o piuttosto legge le sue tradizioni nella luce del suo maestro e ruolo-modello, Gesù Cristo. Come lui stesso, egli situa anche Gesù Cristo fermamente all'interno della stessa tradizione ebraica ''nato da donna, nato sotto la legge''. E tuttavia, lui vede Gesù Cristo in una speciale relazione con Dio, lo chiama suo figlio, e parimenti proietta questa intima relazione a sè stesso e al suo uditorio: ‘E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: «Abbà! Padre!».’ Paolo insiste su questa quasi mistica relazione tra Dio, il figlio e i figli, resa possibile secondo Paolo non tramite la Legge, ma tramite questo Figlio che era ricco, ma si fece povero, che aveva un'''attitudine'' umile ''sebbene esisteva nella forma di Dio''. A dispetto della sua relazione elevata, questo Gesù Cristo

non ritenne un privilegio  l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, ..., facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.


crocifisso da ignoranti ‘arconti di questo eone’.

Alla luce di questo Signore, Paolo ri-legge le sue tradizioni degli antichi:

Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo.


Cristo diventa il focus e lo spettacolo ermeneutico mediante cui perfino le tradizioni salvifiche dell'esodo devono essere rilette e comprese, con il battesimo al posto della circoncisione come il simbolo della nuova fondazione. La roccia è Cristo, non più la Legge, e tuttavia, Paolo si riferisce a soli tre detti di Gesù e solo una volta vede i suoi propri scritti approvati dal Signore.


Scrivendo ad una comunità mista di ebrei circoncisi e non circoncisi, Paolo vuole aprire il passo a questa comunità mista che lui vede come quella che è nuova ''in Cristo'', non più vecchia e radicata nella Legge. Poichè Paolo non ha mai incontrato il Gesù storico, lui vede un ebreo in chi ha subito un battesimo nella morte di Cristo e ha ottenuto una nuova vita ''nella somiglianza della resurrezione di Cristo'':


O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
(Romani 6:3-11)



Battesimo e nuova vita conducono in Paolo a sottolineare una ''novità'' che ha le sue basi nella tradizione ebraica. Come illustrato da Wolfram Kinzig, una ''novità'' nè nel senso temporale nè nel senso di qualcosa che è mai usata, ma nel senso di novità e innovazione, è stata considerata come una qualifica positiva, il cambiamento in qualità di Dio della vita presente di Israele per il meglio. L'idea di novità è mancante nelle più antiche tradizioni ebraiche, ma appare in testi profetici durante - e solo durante - l'esilio babilonese degli israeliti. La più antica e più importante evidenza la si può trovare in Geremia 31:22, 31-33:


Fino a quando andrai vagando, figlia ribelle?
Poichè il Signore crea una cosa nuova sulla terra:
la donna  cingerà l'uomo!
...
Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benchè io fossi loro Signore. Parola del Signore, Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo.



Pochi scrittori ebrei hanno attinto da questa profezia di Geremia - su quelli torneremo un pò più tardi -, ma Paolo sembra avervi trovato elementi chiave del messaggio messianico di Cristo. La promessa di Dio di portare ''una cosa nuova sulla terra'', una donna che agisce in vece dell'uomo, la costituzione di ''una nuova alleanza'' non solo con Giuda al sud, ma anche con Israele a nord, quindi con tutto Israele. Una nuova alleanza che è diversa dalla vecchia in quanto non solo libera dalla schiavitù, ma che porta anche ''di ritorno alla terra'' tutto il popolo - e, come l'ultimo versetto sottolinea, questa non è una alleanza fisica, ma quella in cui la Legge è intesa come entità spirituale, riposta e scritta ''nel loro animo, sul loro cuore'', una nuova alleanza dello spirito.
            
Molte di queste idee risuonano con varie affermazioni di Paolo, in particolare dove usa e si riferisce a questa citazione di cui sopra da Geremia (31:21.31). Ancora più importante, questo riferimento costituisce una delle soli tre occasioni in cui si cita il Signore stesso:

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».


Secondo questa citazione da 1Corinzi Paolo presume che la ''nuova alleanza'' fu una vera e propria idea del Signore. Inoltre, in tutta l'opera esistente di Paolo, questa è l'unica citazione letterale di un detto del Signore che l'apostolo fornisce, e tra tutti i Vangeli, è solo Luca 22:20 dove viene attinto ancora una volta, non presente nei passaggi paralleli in Marco e Matteo. Ricordare il Signore e il suo testamento - nel doppio senso della parola, la sua testimonianza e la sua eredità - significa ricordare il messaggio della ''nuova alleanza'', il ripristino della profezia di Geremia da parte di Gesù. È, dunque, una piccola sorpresa che l'idea di ''novità'' ricorre in Paolo, spesso con ulteriori riferimenti a Geremia 31:21.31:


 2Corinzi 5:17: Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura (vedi Geremia 31:22: ‘crea una cosa nuova sulla terra’); le cose vecchie sono passate;    (vedi Geremia 31:31: ‘non come l'alleanza che ho concluso con i loro padri’) – ecco, ne sono nate di nuove. (vedi Geremia 31:22 [‘una cosa nuova’] 31 [‘Ecco, verranno giorni’])
Romani 11:32: Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti! (vedi Geremia 31:31: ‘‘con la casa di Israele e con la casa di Giuda’’).
Romani 3:28-31: Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! (vedi Geremia 31:31: ‘con la casa di Israele e con la casa di Giuda’ Poiché unico è il Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli incirconcisi per mezzo della fede. Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge. (see Geremia. 31:31: ‘Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore’).
1Corinzi 12:13: Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
Romani 5:5: La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. (vedi Geremia. 31:31: ‘Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore’).



I molti paralleli nelle loro varianti mostrano quanto profondamente era influenzato Paolo, quanto centrale era per lui quello che aveva percepito e trasmesso come eredità del Signore stesso, l'applicazione della profezia di Geremia della ''nuova alleanza'' al sangue del Signore, e come aveva elaborato su questo, sviluppando la ''nuova alleanza'' da ''una nuova cosa sulla terra'' di Geremia in una ''nuova creazione'', posta in opposizione al ''vecchio'' che ''è morto'', ampliando la ''nazione intera di Israele'' di Geremia in ''tutti'',''Giudei'' e ''Gentili'', ''Giudei o Greci o schiavi o liberi'' vedendo un ebraismo che si estende oltre i confini fisici e sociali. Il fatto che Geremia parlava della ''legge'' riposta e scritta ''nel loro animo, sul loro cuore'' è usato per spiritualizzare la legge ed equipararla con l'amore di Dio che è stato ''riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo'', che si riconnette con l'atto spirituale del battesimo attraverso cui Dio rese le persone ''servi di un nuovo patto, non basato sulla lettera ma dello Spirito, perché la lettera uccide, ma lo Spirito dà vita.'' Quanto è importante leggere le Scritture ebraiche, 'la vecchia alleanza', in chiarezza attraverso gli spettacoli di Cristo, Paolo dimostra ulteriormente nella stessa lettera, 2 Corinzi:

Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto.  (vedi Esodo 34:34)


Paolo sostiene la sua lettura antitetica dell'''antico testamento'' alla luce di Cristo, dove ''il velo viene rimosso'' dalla stessa Legge (Esodo 34:34). E, tuttavia, egli sta suggerendo non solo una nuova forma di predicazione, ma insiste sulla necessità di una nuova alleanza che renda gli scritti di quella vecchia prossimi a diventare un ''Antico Testamento''.
Anche nella tradizione pseudo-paolina, incontriamo il Gesù di Paolo - motivo di ''novità'', anche se in diverse tonalità. Per cominciare con Colossesi, dove si legge il tema paolino di sbarazzarsi dell'uomo vecchio e di rivestirsi con l'uomo nuovo, così che non ci sia ''né greco né Ebreo, nè circonciso o non circonciso...'':

Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

Come in Paolo, scopriamo l'unità religiosa, etnica e sociale in Cristo, ma la vista è ristretta ad un avvistamento individuale, oppure, ciò che Wolfram Kinzig ha chiamato, una restituzione ad integrum, un rinnovamento dell'uomo prima della sua caduta in paradiso, una restituzione che si svolge nel battesimo del singolo. Parallelamente a questo, leggiamo in Efesini:

...siete stati istruiti ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.

Qui in Efesini, anche, l'idea di Paolo di novità è trasformato da un concetto socialmente inglobante ad un'idea morale che riguarda l'individuo (''l'uomo vecchio ... con passioni ingannevoli''), ed è più un rinnovamento spirituale che una nuova creazione attraverso lo Spirito. Simile è Efesini 2:11-16:


Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia.


Considerando che in Paolo ci imbattiamo in una nuova creazione, la ri-creazione di Efesini è sottolineata dalla riconciliazione che ora presuppone l'esistenza di due "gruppi", quelli della ''circoncisione'' e gli altri della ''cosiddetta circoncisione''. E mentre in Paolo il nuovo patto del ''sangue di Cristo'' ha reso i non circoncisi spiritualmente circoncisi e ha imposto al circonciso di seguire la legge ebraica, essendo riposta nei cuori e nelle menti di tutti, in Efesini ''la legge dei comandamenti in decreti'' è esplicitamente ''annullata nella sua carne [di Cristo]''. Anche se c'è ancora un concetto di pace e di unità tra i due gruppi, senza ostilità, ''il muro di separazione'', le vie tra questi gruppi sembrano essersi dipartite e necessitano la distruzione di partizionamenti divisivi. Wolfram Kinzig giustamente afferma: ''La terminologia in Efesini 4:22-4 e Colossesi 3:9f suona simile [a quella di Paolo], ma la mentalità è diversa da quella di 2 Corinzi 5:17''.
Se o no possiamo aggiungere la lettera canonica di Ebrei alla tradizione pseudo-paolina, è dibattuto, ma è uno dei pochissimi altri scritti del Nuovo Testamento dove l'idea di ''novità'' si ripresenta. Un'alleanza di Cristo è vista in confronto e in competizione ad una precedente, in cui la promessa profetica di Geremia è ampiamente citata:

Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse. Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra. Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice: 
Ecco: vengono giorni, dice il Signore, quando io concluderò un’alleanza nuova con la casa d’Israele e con la casa di Giuda. Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri, nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto; poiché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza, anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore. E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, né alcuno il proprio fratello, dicendo: «Conosci il Signore!». Tutti infatti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro. Perché io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati. 
Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire.
...
Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.
...


Questa è l’alleanza che io stipulerò con loro dopo quei giorni, dice il Signore: io porrò le mie leggi nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente,
...
dice:
e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità. (Geremia 31:33f) Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.


Come in Paolo, Ebrei interpreta Geremia come la profezia della creazione di un nuovo patto, ma è ''non più una nuova definizione del rapporto di Dio con il suo popolo ..., né si tratta di un ritorno allo stato originale che era stato perso ..., invece il secondo patto è sostanzialmente diverso dal primo, lo sostituisce e revoca la sua esistenza. Parimenti, questa nuova alleanza (contro Geremia 31:33 e la tradizione ebraica che si basa su questo verso), si qualifica per l'annientamento della Torah, in quanto la Torah era incapace di riunire gli uomini e Dio (Ebrei 10). D'ora in poi, ci sono due epoche nella storia dell'umanità: il tempo ''prima e quello dopo la venuta di Cristo''. In Ebrei Gesù supera Mose come mediatore di questa nuova alleanza, ma va anche al di là della profezia stessa, poichè ha ''decretato su migliori promesse''. Il motivo della superiorità sta nella colpa della 'prima alleanza', dunque, Dio ha dovuto annunciare una completamente nuova, non un remake o una versione modificata della prima, perché gli Israeliti stessi l'avevano interrotta.  E tuttavia, la fine della profezia in Geremia sembra negare tale interpretazione, quando il profeta punta alla misericordia di Dio e alla promessa che egli ''non si ricorderà più'' dei loro peccati. A contraddire l'idea di una possibile rinascita e rinnovamento dell'alleanza, Ebrei aggiunge: 'Quando egli [Dio] parla di una nuova alleanza, rende la prima obsoleta', e in modo più pronunciato, l'autore  riferisce questo rifiuto della vecchia alleanza a quelli ebrei che non partecipano al nuovo patto di Cristo, impostando la vecchia alleanza ebraica contro una nuova: ''Ora ciò che sta crescendo obsoleto e anziano è sul punto di scomparire''. E, tuttavia, non siamo ancora nel regno di un movimento di Gesù non-ebreo, poichè Ebrei ancora constata  che ''coloro che sono chiamati'' non ricevono nient'altro, ma ciò che è stato promesso prima, come annunciato da Geremia, ''l'eredità eterna'', un patrimonio che non li liberò dai comandamenti, ma solo ''dalle violazioni commesse sotto il primo patto''. La Legge e le leggi restano, ma non sono più esistenti nel regno fisico, sulla base del tempio e dei sacrifici colà, ma esistono nel loro animo e nel loro cuore.

Secondo Annie Jaubert, fuori da Paolo e dalla tradizione paolina ''da nessuna parte nel giudaismo, il concetto di "nuova alleanza" che era quello di Geremia, è attestato con la sola eccezione di Qumran, in particolare nel Documento di Damasco''.


...così tutti gli uomini che sono  entrati nel patto  nuovo, nel paese di Damasco, ma se ne sono poi ritornati, hanno tradito e si  sono allontanati dal pozzo delle acque vive: non saranno contati nel convegno del popolo e non saranno scritti nel suo registro dal giorno in cui fu tolto il maestro unico fino all’avvento del messia di Aronne e di Israele.
...
Questa è la sentenza per  tutti coloro che disprezzano i primi e gli ultimi, che hanno posto immondezze nel loro cuore e hanno seguito  l’ostinazione del loro cuore: per essi non v‘è parte alcuna nella casa della legge. Tale è la  sentenza per i loro compagni che sono ritornati con gli uomini della arroganza, essi saranno giudicati perché pronunciarono  cose aberranti contro gli statuti della giustizia e disprezzarono il patto e l’impegno che avevano contratto nel paese di Damasco, cioè il nuovo  patto. Per loro e per le loro casate non vi sarà parte alcuna nella casa della legge. 



Il Documento di Damasco parla della creazione della ''nuova alleanza'' nella ''terra di Damasco'' e di un'opposizione feroce contro questa ''casa della Legge''. Come Paolo, il testo indica i giusti comandamenti , i "precetti di giustizia''. Tuttavia, non è chiaro, come questa ''nuova alleanza'' sia legata al patto eterno di cui si parla altrove in questo documento. La maggior parte degli studiosi suppone che la ''nuova alleanza'' è un'alleanza ''rinnovata'', come evidenziata da 1Q34bis, probabilmente una preghiera liturgica, e forse ''parte di una esposizione omiletica della famosa profezia di Geremia 31:31-33'':


... Ma nel momento della Tua buona volontà Tu hai scelto per Te stesso un popolo. Tu hai ricordano il Tuo Patto e [garantito] che dovrebbero essere separati per te stesso da tutti i popoli come cosa santa. E Tu hai rinnovato per loro il Tuo Patto (fondato) su una visione gloriosa e le parole del Tuo Santo [Spirito], sulle opere delle Tue mani e la scrittura della Tua destra, che conoscano i fondamenti di gloria e i passi verso l'eternità .... [Tu hai suscitato] per loro un pastore fedele ...


Anche se siamo in grado di scoprire alcune nozioni e idee relative, diverse per Paolo e la tradizione paolina di unità in Cristo è il concetto di separazione o di annullamento della ''cosa santa''. Il loro apocalitticismo ''non lasciava spazio a una concezione dinamica della storia'', come lo abbiamo trovato in Paolo. E tuttavia, nonostante queste differenze, le somiglianze non possono essere trascurate e possono puntare a contatto e influenza.


Sembra che Paolo, le cui lettere furono raramente lette e la cui teologia fu appena accettata dalla maggior parte dei primi autori cristiani, eccetto la tradizione pseudo-paolina e paolina (Ignazio, Policarpo, 1 Clemente), inizialmente avesse convinto solo pochissimi cristiani con il detto del Signore circa la ''nuova alleanza'' e la novità del suo messaggio. Questo solo cambiò quando intorno al 140 dC  il ricco armatore, studioso e maestro Marcione di Sinope giunse a Roma e riscoprì lettere di Paolo. Nella sua lettura di Paolo, i concetti di ''nuova alleanza'' e di ''novità'' divennero fondamentali. Come può essere che questa idea della ''nuova alleanza'' del detto del Signore nel rapporto dell'ultima cena ri-compare solo nel Vangelo di Luca, che secondo Ireneo e Tertulliano Marcione aveva usato solo per troncarlo? Come può essere questo una tradizione genuinamente lucana o un prestito da Paolo, se lo stesso autore scrisse i canonici Atti degli Apostoli dove Paolo figura in primo piano, ma nessuna delle sue lettere sono nè menzionate né citate? Accade che ciò è ulteriormente prova a favore del caso che è stato precedentemente fatto che non Marcione ha circonciso Luca, ma che Luca è la versione giudaizzata, ampliata del Vangelo di Marcione. È, dunque, non sorprendente che nel Vangelo di Marcione, per esempio, leggiamo il famoso detto che è stato ampiamente discusso negli autori anti-marcioniti:

Diceva <loro> anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi <ed entrambi saranno preservati>.

Mentre il Gesù di Marcione stabilisce una chiara antitesi tra vecchio e nuovo, tra il vecchio vestito e quello nuovo, tra gli otri vecchi e il vino nuovo e mette in evidenza che il nuovo messaggio non può essere messo sulle vecchie fondamenta e non può essere contenuto in vecchi contesti e contenitori, in Luca leggiamo un'abbreviazione dell'ultimo verso e un verso supplementare che non solo corregge e contrasta ciò che è stato detto prima, ma mostra anche una ripartizione sorprendente nella logica del suo testo:


Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. 5:39 Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».


Anche i più volenterosi esegeti conservatori avevano lottato con Luca 5:39 e la sua relazione con i versi precedenti, ma è solo un esempio di molti altri che dimostrano che Luca si basa sul Vangelo di Marcione, non il contrario. Mentre Luca di solito segue passivamente il testo del Vangelo di Marcione e cerca di alterare radicalismi tipicamente marcioniti e dichiarazioni antitetiche, dove Marcione separa l'ebraismo dal cristianesimo, eliminandole nel testo, o aggiungendo riferimenti o narrazioni scritturali ebraiche, l'autore del Vangelo di Marco, reagisce diversamente. Qui, la formulazione e il contenuto di Marcione vengono spesso cambiati, mentre la forma di base del Vangelo di Marcione è conservata (nessun racconto della nascita, nessuna giovinezza, il Signore arriva già adulto, la narrazione è chiamata un ''vangelo'', un breve finale). E ancora, Matteo si legge come un via di mezzo nel modo in in cui Marco e Luca trattano il Vangelo di Marcione. Matteo, come Luca aggiunge molte narrazioni (storie di nascita e resurrezione), ma come Marco altera anche la formulazione di Marcione. Senza entrare nella precisa relazione tra questi Vangeli, dobbiamo solo aggiungere che coerente a questo schema, Marco è quello che conserva anche qualcosa del concetto di Marcione di ''novità'', mentre Matteo e Giovanni lo relativizzano.