sabato 7 giugno 2014

Del perchè riscrivere una seconda volta le sacre scritture ebraiche nel primo vangelo

La storia di Gesù nel Nuovo Testamento contiene parecchi elementi dell'Antico Testamento. Son rimasto impressionato dal vedere che ''ama il prossimo tuo come te stesso'' è già presente nel libro del Levitico, esattamente nelle stesse parole. Un tale rimaneggiamento di temi e tropoi letterari precedenti è davvero endemico, non soltanto superficiale. Gli studiosi che stimo maggiormente sono esattamente coloro che ritengono il Nuovo Testamento, specialmente i vangeli, essenzialmente solo l'Antico Testamento, riscritto e sintetizzato a dovere e in profondità. Anche il libro del miticista Thomas Brodie, Beyond the Quest for the Historical Jesus: Memoir of a Discovery è della medesima opinione.

Una domanda interessante è dunque: per quale motivo riscrivere di nuovo l'Antico Testamento nel Nuovo Testamento?


Quando l'Antico Testamento è già disponibile ai primordi della nostra Era Comune, perchè la necessità di un suo secondo rimpasto in forma scritta nei vangeli?


Una sintesi è sempre utile, specie se si vuole soddisfare rapidamente la curiosità dei gentili che bussano alla porta della Sinagoga.


 L'Antico Testamento parla di luoghi ed eventi risalenti ad un passato ancestrale, talmente ancestrale da indurre alla pressante necessità di una sua sincera riattualizzazione nel tempo presente, nel nuovo ordine mondiale instaurato da Roma. Da qui la necessità di qualcosa di nuovo che non si discosti molto tuttavia dall'antico messaggio.



Ed infine, la spiegazione che preferisco tra tutte quelle possibili:
quando un'intera civiltà rischia davvero l'estinzione sotto la minaccia congiunta di greci e romani, la difesa è resa più facile quando è possibile servirsi di una breve sintesi contenente le principali idee religiose che hanno bisogno di essere difese.



Dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 EC,
i farisei ricorsero non solo all'Antico Testamento ma anche al Talmud per poter sopravvivere evolvendosi nel rabbinismo talmudico. I sadducei che erano legati solo al Tempio e all'Antico Testamento, non avevano speranze di sopravvivenza, e si estinsero in un baleno. Ma altri che sopravvissero alla distruzione della Judaea sentirono altrettanto facilmente la necessità, pur di crearsi un nuovo significato, e dunque un senso e una speranza al futuro, di riscrivere  l'Antico Testamento nel Nuovo Testamento, esortando al compromesso col nuovo ordine mondiale con tanto di esortazione paolina a sottomettersi alle autorità messa in bocca a Gesù sotto forma del famoso detto di dare a Cesare quel che è di Cesare.



Quindi, c'erano un sacco di forti ragioni per aspettarsi una deliberata riscrittura di letteratura sacra precedente. È decisamente più ragionevole considerare la distruzione di Gerusalemme nel 70 la molla principale che fece insorgere inevitabilmente la necessità di un vangelo, e di altri a seguire sul suo seguito, invece di ipotizzare un Gesù storico all'origine del processo che lungi dallo spiegare davvero, offusca e ottenebra ancor di più il già offuscato scenario.

Senza un Gesù storico, i testi meritono altre spiegazioni per la loro genesi, e il deliberato rimaneggiamento delle sacre scritture ebraiche a causa delle ragioni sopra citate è una spiegazione decisamente più plausibile.


Gesù di Nazaret quindi diventa un simbolo di un'idea invece di un simbolo di un uomo realmente esistito. La crocifissione di Gesù è un modo letterario di allusione alla distruzione di Gerusalemme da parte dei romani, nel modo in cui viene rappresentato nei vangeli. 

Nelle parole suggestive del miticista Thomas Brodie, insuperabili al riguardo:


L'immagine di un messia crocifisso è invero controculturale, tuttavia, dato come gli autori biblici avevano per lungo tempo posto narrazioni in opposizione l'una all'altra e avevano rimodellato più antiche scritture, ha senso come parte di una libera sintesi di numerosi testi dell'Antico Testamento / Septuaginta (ad esempio Isaia 52.13-53.12; si veda Atti 8.30-35; Luca 24.25-27) che conduce con la tensione tra sofferenza e speranza di Dio. Quello che è specialmente nuovo circa il messia crocifisso è non solo l'apparentemente radicale contraddizione di combinare divinità e sofferenza, speranza e disperazione, messia e crocifissione, ma anche la forte immagine mediante la quale quella contraddizione è descritta -- una crocifissione romana. Tuttavia un tale processo di adattamento non è nuovo. Quando Luca stava usando la descrizione della morte di Naboth per dipingere la morte di Stefano, sostituì la pittura delle antiche istituzioni, la monarchia e l'assemblea, con istituzioni ebraiche del primo secolo -- la sinagoga e il Sinedrio. E quando stava usando il racconto dell'esemplare comandante straniero, Naaman, cambiò la nazionalità da siriana a romana, un centurione romano. Così quando c'era il bisogno di esprimere l'antica contraddizione o paradosso tra speranza basata su Dio e inevitabili sofferenze della vita fu appropriato esprimere quelle sofferenze in una chiara immagine contemporanea -- una crocifissione romana.  Fu doppiamente appropriato nel contesto di un mondo retorico che cercava drammatico effetto ed enargeia (presentazione grafica).
    (Beyond the Quest for the Historical Jesus: Memoir of a Discovery, pag. 230-231, mia libera traduzione e mia enfasi)

No, Gesù di Nazaret non è mai esistito. 

Non c'è mai stato un predicatore apocalittico con quel nome che ha originato la religione nota più tardi come cristianesimo. Nessuno si illuda, perché Gesù non ha mai peregrinato per le vie polverose della Galilea e della Judaea.  

È solo un'invenzione, consolatoria e vagamente autoingannevole, di quelli ebrei umiliati dai Romani e dai Greci che nel giro di pochi anni, in reazione alla distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 EC, hanno cercato, attraverso di lui, di elaborare il lutto della sconfitta e della minacciata estinzione di un'intera civiltà.