mercoledì 8 gennaio 2014

Della necessità di un riepilogo

Penso sia necessario fare un breve bilancio della mia analisi sulla natura dei vangeli (raccolti sotto il tag omonimo), supportata attingendo di continuo alle letture di libri accademici, tendenzialmente in linea con l'indirizzo della ricerca che ritengo la più scientifica e la più rigorosa in assoluto, ovvero l'indirizzo ''minimalista'' di Philip R. Davies, Niels Peter Lemche e Thomas L. Thompson e altri studiosi altrettanto altamente qualificati. Ho intenzione nei prossimi post di intraprendere ben altra analisi, quella condotta sulle lettere dell'Impressionante, Colossale Apostolo. Ossia Paolo. Tornerò comunque ad analizzare nuovamente i vangeli, e principalmente il vangelo di Marco, in futuro.

Nonostante l'assoluta auto-evidenza della relazione di causa-effetto tra la distruzione di Gerusalemme e la composizione del vangelo di Marco, il ruolo determinante di quell'evento storico catalitico per la stesura dei vangeli viene minimizzato e trascurato dalla maggior parte degli accademici, e per due motivi, spesso -- ma non sempre -- sovrapposti:

1) da un lato il peso della teologia e della fede, una costante follia apologetica che ottenebra la mente degli accademici odierni (ma fino a quando?),

2) e dall'altro lato la totale incapacità di apprezzare la profonda inter-connessione tra la natura letteraria di un libro e la Storia documentata, ovvero saper comprendere il perchè di un libro in un tempo particolare.

Gli studiosi più qualificati e meno apologeti hanno da un pezzo riconosciuto:

1) un grado di allusione agli eventi del 70 EC nell'immaginario apocalittico dei vangeli,

2) totale conferma di composizione midrashica dei vangeli che elimina letture letteraliste,

3) la contemporaneità della distruzione di Gerusalemme nel 70 EC con la composizione del primo vangelo, quello di Marco,

4) la dimostrazione storica della tendenza al messianismo come una risposta all'oppressione romana, principalmente grazie a Flavio Giuseppe, [1]

5) il riconoscimento che i vangeli si collocano perfettamente entro una tradizione di letteratura apocalittica e profetica, come esemplificata da Isaia e Daniele.

Io aggiungerei modestamente altri due punti:

6) la conferma storica indipendente del ripetersi del medesimo pattern -- ovvero il messianismo come reazione alla minacciata estinzione culturale del proprio popolo -- nel caso particolare degli Indiani Lakota,

7) la considerazione della connessione del modello apocalittico alla più probabile percezione di eventi ''mondiali'' nell'animo dei lettori originari del vangelo.

[1] Scrive Flavio Giuseppe:
Oltre a questi, si formò un'altra banda di delinquenti: le loro mani erano meno lorde di sangue ma le loro intenzioni non erano meno empie, sì che il danno da essi inferto al benessere della città non restò inferiore a quello arrecato dai sicari. Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio e macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso e lo conducevano nel deserto promettendo che ivi Dio avrebbe mostrato loro segni premonitori della liberazione. Contro costoro Felice, considerandoli come istigatori alla ribellione, mandò truppe a cavallo e a piedi e ne fece gran strage.  
Ma guai ancor maggiori attirò sui giudei il falso profeta egiziano. Arrivò infatti nel paese un ciarlatano che, guadagnatasi la fama di profeta, raccolse una turba di circa trentamila individui che s'erano lasciati abbindolare da lui, li guidò dal deserto al monte detto degli ulivi e di lì si preparava a piombare in forze su Gerusalemme, a battere la guarnigione romana e a farsi signore del popolo con l'aiuto dei suoi seguaci in armi. Felice prevenne il suo attacco affrontandolo con i soldati romani, e tutto il popolo collaborò alla difesa così che, avvenuto lo scontro, l'egiziano riuscì a scampare con alcuni pochi, la maggior parte dei suoi seguaci furono catturati o uccisi mentre tutti gli altri si dispersero rintanandosi ognuno nel suo paese. (Guerra Giudaica, II:258-63)