sabato 12 ottobre 2024

ECCE DEUS — STATISTICHE

 (segue da qui)

PARTE V.

IL REGNO E L'INVITO AL PENTIMENTO 

STATISTICHE 

Il conteggio dell'uso del termine “Regno” nel Nuovo Testamento è a prima vista piuttosto formidabile. Le sue ricorrenze sono cinquantaquattro in Matteo, diciannove in Marco, quarantaquattro in Luca; ma solo quattro in Giovanni, otto in Atti, una in Romani, quattro in 1 Corinzi, una in Galati, una in Efesini, due in Colossesi, una in ciascuna 1 e 2 Tessalonicesi, due in 2 Timoteo, tre in Ebrei, una in Giacomo, una in 2 Pietro, sei in Apocalisse. Per quanto i logici milliani possano deprecare l'induzione perfetta, un'enumerazione così completa come quella anzidetta non può non essere istruttiva, che comporti o meno una conclusione sicura. Alcune cose, almeno, sembrano trasparire. È chiaro che come idea dominante il Regno è presente nei Sinottici in un senso in cui non è presente in nessuno degli altri scritti neotestamentari. Ma anche in questi non è affatto presente in egual misura. Sottraendo cinque riferimenti in Matteo, altrettanti in Marco e sei in Luca, in quanto non relativi al Regno di Dio, abbiamo per i Sinottici nell'ordine quarantanove, quattordici, trentotto. Si vede che l'uso in Marco non è dello stesso ordine di grandezza in Matteo e in Luca. Ciò può essere dovuto in parte alla forma narrativa prevalente in Marco, mentre Matteo e Luca sono interessati di più a detti, parabole e discorsi. 

Notiamo inoltre che “Regno dei cieli” è un'espressione quasi esclusiva in Matteo, in quanto ricorre trentatré volte; solo quattro volte troviamo l'espressione “il Regno di Dio” (12:28; 19:24; 21:31, 43), e tre volte si fa riferimento al “Tuo Regno” o al “Regno del Padre” (6:10; 13:43; 26:29), una volta al “Regno del Figlio dell'Uomo” (16:28); altri casi sporadici non richiedono attenzione. In Marco, invece, il “Regno di Dio” compare quattordici volte, mentre gli altri usi sono sporadici. In Luca l'espressione “Regno di Dio” compare trentadue volte; gli altri usi sono sparsi, e sia in Marco che in Luca l'espressione matteana “Regno dei cieli” è del tutto assente. Altrove l'espressione “Regno di Dio” compare tredici volte; l'espressione “Regno dei cieli” mai. Quest'ultima espressione, allora, è strettamente matteana. Potrebbe sembrare che essa caratterizzi l'autore stesso (o la sua scuola) piuttosto che la sua fonte, perché nei passi paralleli dei Vangeli troviamo l'una nel primo, l'altra nel secondo e nel terzo: ad esempio, “Il Regno dei cieli è vicino” (Matteo 3:2; 10:7), ma “Il Regno di Dio è vicino” (Marco 1:15; Luca 10:11). Sembra strano, allora, che l'espressione “Regno di Dio” non compaia affatto in Matteo. In un caso (19:24) l'espressione “Regno dei cieli” è preferita da Tischendorf; in un altro (12:28) l'intero versetto non è riportato in Marco, ma concorda quasi esattamente con Luca (11:20), per cui sembrerebbe un'interpolazione successiva — congettura rafforzata dall'uso di φθάνω nel senso tardivo (alessandrino) di venire, una parola non trovata altrove nei Vangeli. Gli altri due esempi in Matteo si trovano in 21:31, 43: in un capitolo il cui testo ci fa spesso riflettere. È chiaro che esso è stato soggetto a molte modifiche. Nella parabola dei due figli, nella risposta degli ebrei, era in discussione presso i Padri cristiani se si dovesse leggere “il primo” oppure “l'ultimo”. Il siriaco sinaitico conferma la lettura “il primo”, contro il giudizio di Tischendorf; qualche corruzione primitiva è certamente presente. Il versetto 31 non può vantare alcuna originalità: sembra essere un'aggiunta tardiva. Similmente il versetto 43 è in una regione di provata interpolazione; il versetto 44 non è più adottato nei testi critici. Il carattere tardivo del versetto 43 traspare chiaramente, perché l'autore parla di togliere il Regno di Dio agli ebrei e di darlo a un altro popolo, un'idea del tutto discordante con l'idea del Regno che prevale nel Vangelo: cioè qualcosa di imminente, ma non posseduto allora dagli ebrei, anzi, mai posseduto da loro. Possiamo dunque segnalare con sicurezza tutti questi brani come aggiunte tardive all'espressione precedente del Vangelo, che quindi non sembra aver mai usato l'espressione “Regno di Dio”

In tal modo il primo Vangelo è nettamente caratterizzato come ebraico, siccome in gran parte pensato, se non addirittura composto più o meno completamente, in aramaico. Negli scritti veterotestamentari posteriori si parla della Divinità come Dio del cielo (2 Cronache 36:23; Ezechiele 1:2, et passim; Neemia 1:4, 5; 2:4, 20; Giona 1:9; Daniele 2:18, et passim; una volta, infatti, Daniele 4:23, “quando avrai riconosciuto che al cielo appartiene il dominio”, il cielo sembra essere identificato con Dio). In 1 Maccabei è evitato il nome di Dio, sostituendolo con cielo e altre allusioni. Anche i rabbini evitarono questo nome gravissimo, usando spesso al suo posto “Luogo” (Maqôm; cfr. il Topos gnostico). Wetstein (su Matteo 21:25) illustra il frequente uso talmudico di cielo al posto di Dio. È evidente e indiscutibile che l'espressione matteana traspira un genuino spirito ebraico. Ma quando Wellhausen dice che il popolo, soprattutto in Galilea, non era così avanzato ai tempi di Gesù e che lui parlava come il popolo e non come gli scribi, riconosciamo l'opinione di un grande critico; eppure non possiamo riconoscere che “parlava come il popolo” equivalga a “insegnava come uno che aveva autorità”. Quando Wellhausen dice inoltre che Gesù definisce Dio regolarmente Dio, e non il Padre dei cieli, difficilmente si potrebbe supporre che in Matteo, dove ricorre così tanto quest'ultimo termine, egli nomini Dio trenta volte, e in Marco solo venti. Non c'è allora nessuna astensione dalla menzione della parola “Dio” da parte del Gesù di Matteo; e la ragione di Wellhausen per considerare “Regno di Dio” l'espressione originale sembra immaginaria. 

La statistica di questa parola “Padre” applicata a Dio non è priva di interesse. In Matteo la troviamo usata quarantacinque volte; in Marco, cinque; in Luca, diciassette; in Giovanni, 118; negli Atti, tre (tutte all'inizio: 1:4, 7; 2:33); in Romani e in 1 Corinzi, quattro in ciascuna; in 2 Corinzi, cinque; in Galati, quattro; in Efesini, otto; in Filippesi, tre; in Colossesi, quattro; in 1 Tessalonicesi, quattro; in 2 Tessalonicesi, tre; in 1 Timoteo, due; in 2 Timoteo, una; in Tito, una; in Filemone, una; in Ebrei, tre; in Giacomo, tre; in 1 Pietro, tre; in 2 Pietro, una; in 1 Giovanni, dodici; in 2 Giovanni, quattro; in Giuda, una; in Apocalisse, cinque. Si vede che il termine è familiare a quasi ogni pagina neotestamentaria, ma è particolarmente apprezzato da Giovanni e, in misura minore, da Matteo e dall'autore di Efesini. Questo fatto è interessante in quanto caratterizza gli ambienti intellettuali da cui provennero queste composizioni, ma non ha alcun significato per indicare qualcosa circa il Gesù. 

La concezione di questo Regno, che sia di Dio o dei cieli, sembra inequivocabilmente e distintamente ebraica. Nel libro di Daniele troviamo (2:44) che “il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto”. In 4:3, “Il Suo Regno è un Regno eterno", “di eone in eone” (34). In 7:13, 14, questo Regno eterno e indistruttibile è offerto (apparentemente dall'Antico di Giorni, divinità primordiale) a “Uno simile al Figlio dell'Uomo”, apparentemente a un'Entità simile all'uomo, a differenza delle bestie a cui era stato offerto un dominio effimero, il che non può significare altro che il popolo di Israele. In 7:18, 22, 25, 27, si specifica che questo Regno eterno e imperituro appartiene di diritto e di fatto ai “santi dell'Altissimo”, che sono quindi simboleggiati dalla figura simile all'uomo. Nei primi sette capitoli di Daniele il termine preferito per Regno è Malku, che, essendo l'espressione caldea, è quasi specifico di Daniele, che lo usa cinquantacinque volte (esso è usato anche in Esdra quattro volte); nei capitoli successivi, 8, 10, 11, il termine usato costantemente (tredici volte) è Malkuth (usato anche in 1:1, 20; 2:1), che, però, ricorre in altri undici libri dell'Antico Testamento, ma è ancora un'espressione tardiva e rara nell'ebraico più antico. Questo fatto sembra interessante siccome indica alcune linee di divergenza altrimenti ben note in Daniele. Altri termini ebraici familiari per il Regno, come Melukah, Mamlakah e Mamlakuth, non ricorrono in Daniele (tranne Melukah in 1:3, nel senso di Re). Nel Talmud l'uso varia tra Malku e Malkutha (siriaco).

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