mercoledì 10 luglio 2024

CRITICA DELLE LETTERE PAOLINE. L'origine della lettera ai Galati — Prefazione


Il Dio di Coincidenza   
Può qualcuno negare che  
Una cosa dopo l'altra  
In sequenza e logica  
Mai vista prima   
Non può essere che la  
Interferenza di un Dio  
Determinata a provare che 
Ognuno che pretende  
Di conoscere ora  
Una cospirazione è   
Demente? 
(Kent Murphy)


«Ma all'ipocrisia bastarda solo il disprezzo è dovuto».

(H. P. Lovecraft)

Le contraddizioni, di cui ogni uomo dovrebbe vergognarsi, vengono attribuite all'essere che dovrebbe essere il più elevato e vengono imposte agli uomini con la forza come verità eterna. La contraddizione e la menzogna iniziano già con il fatto che i testi sacri vengono fatti risalire a tempi e uomini che protestano a gran voce contro di essi e, per quanto riguarda gli uomini, spesso non possono protestare solo perché non sono mai esistiti.

(Bruno Bauer, Cristianesimo svelato,1843, pag. 45)

 

Per operare con efficacia in un'accademia infestata da folli apologeti cristiani — l'ultima enclave di una cristianità oramai estinta — si è costretti ad accettare una serie di presupposti assurdi. Il presupposto principale è che Paolo l'Apostolo scrisse realmente le sei o sette lettere che gli furono attribuite, e che quelle lettere riflettano una matrice più o meno ebraica che occupò una solidissima realtà, nel primo secolo E.C. (come reiterato in questo stupido libro).

Persino un anticristiano come Richard Carrier riesce a farsi una ragione delle anomalie che viziano le cosiddette “lettere” attribuendole nonostante tutto all'apostolo, e tacciando indistintamente di “mancanza di immaginazione” tutti coloro che sono inclini al sospetto proprio in ragione di tali anomalie.

L'ultimo sospetto che rimane non ha nulla a che fare con il gregge dei folli apologeti cristiani, con le loro degenerazioni e i loro espedienti, le loro vili propagande di bassa lega e facce ipocrite che non si possono tollerare. Non quando un loro osannato campione, il teologo Albert Schweitzer, perfino lui, non è riuscito a scorgere il genio in Bruno Bauer, nonostante avesse profuso quasi un intero capitolo della sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù nel dedicare lodi sperticate per ciò che Bauer produsse sui vangeli, salvo poi bruscamente liquidare così l'analisi critica baueriana delle epistole cardinali:

Il trapianto delle lettere nel secondo secolo è tanto forzato che si confuta da sé.

(pag. 216)

In quella sedicente “critica” di Schweitzer al Bauer si scorge il solito spettacolo del folle apologeta cristiano che osa trionfalmente rialzare la testa — facendo leva come al solito su Paolo l'Apostolo! —  dopo essersela prostrata ipocritamente a tutti gli attacchi sferrati all'attendibilità dei vangeli.

Ha fatto forse miglior figura rispetto a Schweitzer un altro teologo, Alfred Loisy, il quale, per il suo debito oggettivo (quantunque riconosciuto alquanto timidamente) all'analisi di Joseph Turmel delle lettere paoline, si meritò (e ciò va ovviamente a suo onore) il seguente attacco dal folle apologeta cristiano di turno:

Ma anche così assottigliata, questa figura di Gesù ha sempre contro di sé — come faceva rilevare il Couchoud — la testimonianza di S. Paolo, che a neppure vent'anni di distanza dalla morte di Gesù fa di quest'uomo un essere divino, autore della redenzione umana, della grazia universale, dell'Eucarestia e dei cristiani misteri di salvezza; quindi, o è falsa la figura del Gesù delineata dal Loisy, o è falsa la testimonianza di S. Paolo. Il Loisy ha scelto, naturalmente, la seconda alternativa.

Nel passato egli aveva ammesso l'autenticità sostanziale delle lettere di S. Paolo, assegnandole al periodo tra gli anni 50 e 61; ma adesso, per sfuggire alla suddetta obiezione, mantiene tale assegnazione solo di nome, mentre in realtà la abbandona, giacché scomponendo le singole lettere in una gran quantità di frammenti ne attribuisce ancora a S. Paolo solo una minima parte, e al contrario dichiara interpolati i frammenti più ampi e soprattutto più impaccianti per la sua teoria, attribuendoli ad una “gnosi mistica” della fine del secolo I. Dopo lunghi tentennamenti, anche il fastidioso passo in cui S. Paolo attribuisce a Gesù l'istituzione dell'Eucarestia (1 Corinzi 11) è dichiarato falso e interpolato.

(Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, pag. 219-220, mia enfasi)

Ma non sono più i folli apologeti cristiani il problema. Mi è bastato tradurre il primo volume della Critica delle lettere paoline di Bruno Bauer, del 1850-1852, per capire di leggere le pagine di un genio.

Il lettore ne ha un assaggio proprio all'inizio dell'esame di Galati. Bauer si sofferma sull'espressione οὕτως ταχέως, “così presto” di Galati 1:6 (“Mi meraviglio che così presto voi passiate da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo a un altro vangelo”). Secondo Bauer:

La clausola: “così presto” è legata a un presupposto comune — “così presto” cioè come voi e io sappiamo, come è già stato discusso e negoziato — la clausola fa apparire come se un negoziato l'avesse preceduta, a cui l'apostolo poteva riferirsi fin dall'inizio — ma l'apparenza rimane vuota, la premessa su cui si basa la clausola non è elaborata, l'autore non giustifica il suo diritto a quella clausola —  la clausola vuole indicare un punto che è sotto gli occhi sia dei Galati sia dell'apostolo — in realtà non indica nulla.

La circostanza storica a cui l'autore si riferisce rimane vaga. La vicenda di apostasia è concreta solo per finta. In realtà, al lettore non viene nemmeno detto dove si trovi la chiesa (nella Galazia settentrionale o meridionale?), quanto sia grande, quanti membri della chiesa si siano allontanati dall'apostolo, quando ciò sia avvenuto, su quali informazioni l'apostolo basi la sua conoscenza degli eventi, a quale gruppo della chiesa si rivolga la sua lettera, a quale evento specifico si riferisca il suo “così presto”, ecc.

Sembra che queste questioni, cruciali per lo scopo e il successo di una lettera autentica, non interessino affatto all'autore e che egli sia quasi contento di lasciarsele alle spalle per passare il più rapidamente possibile (dopo una breve correzione del resoconto di Atti degli Apostoli) al suo vero argomento, un breve trattato sulla giustificazione per fede basato sulla epistola ai Romani. Gli eventi storici sono spesso complessi al punto da essere confusi. Comprendono nomi di persona, figure individuali, coincidenze e contingenze. Nulla di tutto ciò è presente in questo caso. La semplicità dello scenario fa sorgere il sospetto che il quadro implicito sia solo una finzione, paragonabile all'inventario di un'antica ma ancora fiorente fabbrica di forniture teatrali.

L'epistola non poteva essere stata scritta da Paolo alle comunità a cui si pretendeva fosse indirizzata, e tutte le idee e la maggior parte delle espressioni furono derivate maldestramente da Romani e da 1 e 2 Corinzi — anzi, spesso potevano essere comprese solo se si conosceva il loro contesto originale in quelle altre epistole. L'autore di Galati era, insomma, un compilatore.

Poco dopo, Bauer si imbatte in un'altra osservazione degna di nota. A proposito del Paolo persecutore:

“Voi avete udito”, dice al versetto 13, “della mia precedente vita nel giudaismo”“udito” — che suona come se provenisse da estranei, senza l'intervento e la comunicazione di Paolo — “udito” — come se si trattasse di una storia sconosciuta, di cui forse anche loro non hanno ancora sentito parlare.

Ma le comunità che l'apostolo fondò dovevano conoscerlo, non potevano sentir parlare della sua storia come se fosse sconosciuta — i suoi contemporanei e le comunità dovevano vivere in questa storia e nella sua memoria.

E quando le chiese hanno affrontato il “Giudaismo” come mondo chiuso, antiquato, alienato? Solo allora, quando la battaglia contro la legge era stata decisa e il giudaismo era diventato la categoria dell'obsoleto e della pura antitesi al cristianesimo.

Gli autori che scrivevano sotto falsi nomi non avevano scelta: se non volevano rivelare la loro collocazione (come autori e teologi del secondo secolo), dovevano lasciare molte cose nell'oscurità. Hanno così pagato cara la loro forzata mimetizzazione, offrendo continuamente a Bauer contro di loro l'accusa di incompetenza e di goffaggine quasi demenziale nell'uso delle fonti. Vedo così Bruno Bauer sfogare il suo sarcasmo sul falso “Paolo” che scrisse Galati: lo stesso sarcasmo che personalmente userei contro un folle apologeta cristiano sotto mentite spoglie di storico. Dopotutto, i folli apologeti cristiani, gira e rigira, si assomigliano tutti, in tutte le epoche. La loro scemenza è la stessa. La loro ipocrisia è la medesima.

Ecco un esempio su tutti della goffaggine dello pseudo-Paolo in azione, una perla esegetica di cui io solo me ne sono accorto per prima (neppure il pur illustre Hermann Detering) leggendo Bruno Bauer.

Nel commentare Galati 2:6:

E da quelli che sembravano essere qualcosa — quello che una volta erano (= ὁποῖοί ποτε ἦσαν), non vuol dir nulla per me: Dio non ha riguardo a persone -, questi che sembravano qualcosa non aggiunsero nulla.

...Bruno Bauer denuncia:

Continua: “quello che erano una volta”, lascia indeterminato ciò che erano in definitiva e di fatto. Ma lasciamo a lui la sua deliberata vaghezza e la sua incertezza e prendiamo invece il suo involontario dettaglio “quello che erano una volta” come una testimonianza traditrice della sua posizione tardiva, in cui egli, senza rendersene conto, ha collocato l'apostolo e in cui ora lo fa parlare dei tre apostoli pilastri, Pietro, Giacomo e Giovanni, come di uomini che hanno cessato di vivere da tempo.

A nulla vale obiettare che Paolo stesse descrivendo un evento del passato, e perciò anche i Pilastri dovevano essere importanti solo nel passato. Come? Non lo sono più nel momento stesso in cui Paolo avrebbe scritto Galati 2:6? Non lo sono più nemmeno per i loro stessi seguaci di Gerusalemme? Cosa è successo nel frattempo? Sono morti? Hanno perso importanza agli occhi dei loro stessi seguaci giudeo-cristiani? L'ipotesi che fossero morti quando Paolo scrisse Galati 6:2 è una di quelle ipotesi ad hoc che servono unicamente a mantenere in piedi l'intera baracca. Ipotesi ad hoc che serve solo a dimezzare del 50% la probabilità della propria tesi. Ipotesi ad hoc che per definizione depone proprio contro ciò che pretende di salvare.

Un vero Paolo avrebbe scritto così:

E da quelli che sembravano essere qualcosa — quello che sono, non vuol dir nulla per me: Dio non ha riguardo a persone —, questi che sembravano qualcosa non aggiunsero nulla.

Un vero Paolo avrebbe cioè descritto come un fatto ancora attuale l'autorità e l'influenza accreditata ai Pilastri almeno dai loro stessi seguaci, al di là di ciò che avessero fatto in passato. Autorità e influenza che avrebbero ancora angustiato Paolo al tempo in cui avrebbe scritto la lettera.  

Finalmente capisco: il vero autore di Galati — non Paolo — ha tradito la sua concezione naturale dei Pilastri come capi definitivamente morti e sepolti da tempo, vissuti nel tempo in cui uno o più vangeli scritti in suo possesso gli suggerivano. Qui l'accusa di goffaggine sferrata all'autore di Galati ci sta tutta, perché un falsario più oculato al suo posto non avrebbe commesso un errore così marchiano, nel tentativo di spacciarsi per un autore vissuto nella prima metà del primo secolo.

Finalmente capisco: Paolo non scrisse nessuna “lettera” ai Galati.

Finalmente capisco: siamo per sempre in debito con Bruno Bauer per averlo dimostrato già nel 1850. Allorché scrisse la sua folgorante Kritik der paulinischen Briefe.

Critica delle Lettere Paoline

di 

Bruno Bauer


Primo volume

L'origine della lettera ai Galati



Prefazione.

Mettiamo fine una volta per tutte agli equivoci e ai tentativi falliti degli apologeti, che partivano dalla premessa che fosse possibile quanto necessario inserire le epistole paoline con i loro presupposti storici nel corso storico della vita di Paolo così come è riportato negli Atti degli Apostoli, ponendo correttamente la questione. 

Avendo dimostrato che gli Atti degli Apostoli sono un'opera di libera ispirazione, e muovendoci alla domanda se le quattro Epistole — (Galati, Romani e le due Epistole ai Corinzi) — contro le quali “non è mai stato sollevato nemmeno il più piccolo sospetto di inautenticità”, rechino in effetti “in modo così irrefutabile”, come pensa il dottor Baur, [1] “il carattere dell'originalità paolina che non si può concepire affatto quale legittimo dubbio critico possa mai asserirsi contro di loro", non ci viene più in mente di conciliare con i dettagli di un'opera di finzione storica le premesse di lettere che, per dirla con cautela all'inizio, possono anche essere fittizie. 

Se, invece, si dimostra che esse sono fittizie, allora al chimerico lavoro dei teologi si sostituisce il vero lavoro di ricerca, che porta alla luce e spiega la contraddizione tra i presupposti storici degli Atti e delle cosiddette epistole paoline, abbandonando così il tentativo di armonizzarli, e invece di sforzarsi per un'armonia impossibile e priva di senso, cerca piuttosto il vero rapporto storico in cui le epistole paoline stanno rispetto agli Atti. 

La domanda posta correttamente è: quali di queste lettere sono state scritte prima degli Atti, quali dopo? Quali lettere sono note all'autore degli Atti e hanno come presupposto la sua opera — quali lettere, invece, mostrano una conoscenza dei presupposti degli Atti e quali degli autori di queste lettere avevano in mente l'opera storica e l'hanno utilizzata? 

Nel complesso, l'oggetto dell'indagine è la sequenza storica in cui sono state scritte le Epistole e gli Atti degli Apostoli — si tratta del processo di coscienza cristiana che ha raggiunto la sua conclusione in queste opere — e anche del rapporto di queste opere con i Vangeli. 

Mentre una delle questioni secondarie più importanti è se i rapporti dei Padri della Chiesa sulla raccolta di lettere apostoliche di Marcione siano altrettanto affidabili e indiscutibilmente certi quanto le loro precise descrizioni del Vangelo di cui era in possesso, il grande e generale interesse dell'indagine seguente  sta nel fatto che ci trasmetterà anzitutto la conoscenza di quella rivoluzione, che almeno ancora risuona e continua ad operare nelle lettere che il canone ecclesiastico definisce paoline — infine, non è il vantaggio meno importante di una corretta indagine il fatto che ora possiamo anche cercare e provare l'opera di quel giudaismo che abbiamo dimostrato negli Atti degli Apostoli — quel giudaismo che è l'eterno oppositore della creazione originaria e autonoma, dell'armonia e del disegno puro e plastico — quel giudaismo che crede di aver finalmente conquistato il suo vero elemento vitale nel decadimento del presente, nelle lettere che si suppone provengano dal primo e più grande avversario del giudaismo storico. 

Cominciamo con la lettera ai Galati. 

Mentre il dottor Baur [2] la descrive come il documento della prima lotta di Paolo con i suoi avversari giudaizzanti, — mentre secondo de Wette [3] questa lettera “reca così tanto l'impronta dello spirito dell'apostolo Paolo che non si può sollevare il minimo dubbio contro la tradizione ecclesiastica che la attribuisce a lui” — mentre Rückert [4] non concorda con il giudizio di Winer, che la pone addirittura al di sopra della lettera ai Romani, ma trova il modo di presentazione “per quanto riguarda la disposizione del materiale, molto eccellente, l'ordine degli argomenti ben ponderato e altamente illuminante” — mentre lo stesso [5] trova il vero Paolo nella lettera così chiaramente visibile e inconfondibile da definire “tra tutte le questioni che si possono sollevare sulla lettera, quella sul suo autore la più facile” — noi proveremo piuttosto che questo autore è un compilatore che ha utilizzato la lettera ai Romani e le due lettere ai Corinzi in un modo che si caratterizza nelle righe seguenti. 

Una volta svelato il compilatore, determineremo innanzitutto il rapporto reciproco della lettera ai Romani e della lettera ai Corinzi e la loro origine.

Per rispondere alle domande se il rapporto dell'apostolo con la comunità di Galati potesse in qualche modo obbligarlo ad affermare la sua dignità apostolica immediatamente nel saluto (1:1-5)  — se il suo titolo ufficiale dovesse stare accanto al suo nome (“Paolo, un apostolo”) — se fosse davvero necessario sottolineare subito nella prima frase (“non da uomini né per mezzo di uomini”) che egli non era stato inviato da uomini, se un eroe storico proclami egli stesso la sua autorità in questo modo in una controversia — lasciando per il momento queste domande da parte, passiamo all'esame seguente, attraverso il quale esse diventano superflue e si risponde in un senso completamente diverso da quello che è stato fatto finora nell'interesse apologetico. 

NOTE

[1] Der Apostel Paulus, pag. 248. 

[2] ibid., pag. 257-258.

[3] Introduzione, pag. 130.

[4] Nel commentario, pag. 336-337.

[5] ibid., pag. 293.

Nessun commento:

Posta un commento