sabato 15 giugno 2024

L'INVENZIONE DI GESÙ — Paolo al recto

 (segue da qui)



Paolo al recto

Paolo si chiama dapprima Saulo. E d'altra parte confeziona tende.   

Ricordiamoci, in ambito greco — e in digressione — la cecità di Omero. I grammatici latini del passato piegavano lo scolaretto a colpi di «Dicunt Homerum caecum fuisse», frase che non suggeriva affatto che Omero perdesse dall'intestino, ma che fosse «cieco»«Omero» volendo giustamente dire, in greco, «afflitto da cecità».

Nella Bibbia ebraica, i giochi di parole sono innumerevoli; e innumerevoli soprattutto quelli che nascono dai nomi propri, che li alimentano, che li giustificano (e che alimentano e giustificano, fuori dalla Storia, ogni sorta di narrazioni). Isacco si chiama così perché la sua nascita «fa ridere (sorridere)» i suoi genitori e «farà ridere (sorridere di gioia?)» il popolo (cfr. Genesi 18:12-13 e 15 e Genesi 21:6): radice comune a «ridere» e a «Isacco»: ṢḤQ. E Adamo è tratto dal limo, perché «terra»/ʼDMH e «Adamo, l'uomo»/ʼDM sono, in ebraico, termini assonanti. Ed Eva è chiamata così (WH/«vita», in greco Zōē) perché è «madre di ogni vita/ (stessa radice, YH — Genesi 3:20). E la tribù di Dan porta questo nome perché giudica («Dan» = DN, e «giudicare» = DYN, Genesi 49:16). E nel capitolo 25 di 1 Samuele, Nabal, marito di Abigail, si comporta come un idiota, essendo «Nabal»/NBL una delle forme vocali della radice NBL/«essere folle». — Ma ciò è sufficiente, così abbondanti sono gli esempi.

E, vi ritorno, il nome proprio ebraico non si accontenta, come in ambito greco, di sputare, con un gioco di parole, un misero fronzolo di leggenda (Omero sedicente cieco — e questo è tutto): il nome proprio ebraico produce narrazione e la narrazione, a sua volta, produce il nome proprio: spesso accade che sia infatti la narrazione a generare il nome e a farlo vibrare ben oltre i suoi limiti grafici. Così, in 1 Samuele 4:19 ss., la nuora (?) del sacerdote Eli, sapendo l'Arca caduta nelle mani dei Filistei, chiama suo figlio ʼY KBWD, vale a dire «non vi è gloria». (Pure al riguardo potrei moltiplicare gli esempi: il mio lettore sappia che nella Bibbia non esiste propriamente parlando alcun nome proprio ebraico: tutti i personaggi biblici ebraici vi sono designati, per lo più con l'aiuto di giochi di parole espliciti o facilmente identificabili, tramite sostantivi — comuni — aggiunti o no ad una abbreviazione dell'uno o l'altro dei titoli di Dio).

Ben evidentemente, molti giochi di parole celati nella Bibbia ebraica sono approssimativi; alcuni volgono alla — pessima — battuta. E parecchi ricorrono, su strati di assonanze, ad effetti di anagrammi e di acrostici, e a intrecci (precisi o vaghi) di sinonimie. Ma io passo.

Quindici volte, negli Atti, Paolo è chiamato Saulo. Nessun bisogno di essere un chierico patentato per realizzare che questo nome è ebraico, e che si tratta di ŜʼWL.

ŜʼWL: «il chiamato, il domandato, l'interrogato» (dalla radice ŜʼL, «domandare, pregare, improntare, interrogare, salutare» — ŜʼWL/«Saul-Saulo» ne è il participio passato, quindi passivo).

Per caso, mi re-imbatto in Atti 18:1-3, e vi leggo: 

«...Dopo queste cose, partitosi da Atene, egli

Vale a dire Paolo, vale a dire Saulo.

venne a Corinto. E trovato un certo Giudeo, di nome Aquila... e Priscilla sua moglie,... s'unì a loro. E siccome era del medesimo mestiere, dimorava con loro, e lavoravano; poiché erano fabbricanti di tende

Greco skēnopoïoï.

di mestiere...»  

Da quella frase deduco, alla maniera delle unanimità di tutto il mondo, che Saulo-Paolo era, pure lui, un fabbricante di tende, cioè uno skēnopoïos. E io (mi) domando:

Perché questo mestiere dell'apostolo? — Piuttosto: perché un mestiere per l'apostolo?

Lì, come ho detto, i traduttori sono loquaci: riferimento all'importanza del lavoro manuale tra i farisei, riferimento a Paolo che basta a sé stesso; e altri...

Ma: perché proprio questo mestiere — quello ad esclusione di ogni altro? 

Gli studiosi hanno sorvolato a meraviglia sull'artigianato di Paolo. Molti tra loro dissertano sulla Cilicia e sul commercio di tessuti in peli di capra, che era, si dice, uno degli introiti maggiori della provincia (cfr. Guignebert, Le Christ, 1943, ristampa 1969, pag. 211). Guignebert indica che «fabbricante di tende» si dice, in latino, tabernacularius; così facendo e indicando, egli brucia! ma non fa che bruciare... Andate a domandare a uno storicista — persino avaro di voli di fantasia (perché Guignebert è un dubbioso, uno scrupoloso, un diffidente...) — di informarsi sulla genesi di un testo giudeo-ebraico!...

La soluzione è così semplice che avrebbe dovuto infestare da lunghissimo tempo i manuali di storia della Chiesa (nascente) e ornare, da altrettanto lunghissimo tempo, le certezze delle omelie papali e pastorali; ed essa segue dall'ebraico originale del passo.

Ecco: 

Paolo si chiama originariamente Saulo. E «Saulo» è, in ebraico (non in ebraico per arrampicatori del Q.I., in ebraico semplice), ŜʼWL/«Saul». 

Ma io mantengo, come tutti gli altri (che hanno torto!), la grafia Saulo per l'apostolo e Saul per il re biblico (cfr. 1 Samuele). Quella distinzione, che è una menzogna (Saulo = Saul = ŜʼWL, in realtà!), mi è per il momento una comodità — e poi mi fa talmente piacere e rincuorare modellarmi nelle astuzie dei mentitori. (Stessa menzogna, ricordatevi: «Gesù» non è, in ebraico, distinto da «Giosuè» — le due parole sono, in ebraico, la stessa parola).

Secondo: «fabbricante di tende» si scrive, nel greco di Atti 18:3, skēnopoïos — termine derivato dalla congiunzione di skēnē/«la tenda» e di poïeïn/«fare». Ma in ebraico (e in ebraico per principianti...), «fare» si scrive (più di duemila volte, nella Bibbia!) ŜH e «tenda» ʼWHL.

Altra grafia: ʼHL (pronunciato ohèl).

Nessun bisogno di un terzo: questi due fatti mi permettono, al di là di tutte le chiacchiere ancestralmente dilatorie degli studiosi falsificatori del Nuovo Testamento (grecisti e storicisti trionfanti...) di affermare l'origine vera, linguistica, del tema di Paolo artigiano.

Origine che è: 

Che in ebraico (ossia nel nucleo semita degli Atti) ŜH + ʼWHL («fare» + «tenda») formava tutto di seguito, e senza zigzagare, assonanza con ŜʼWL («Saulo-Saul»)!

E viceversa. Ripeto: e viceversa.

Ne consegue che l'artigianato di Saulo-Paolo risulta, in linea diretta, da un gioco di parole sul suo nome. 

Gioco di parole dello stesso ordine di quello che, sempre astoricamente, comporta il nome del messia-cristo in Matteo 1:21: «...gli darai il nome di Gesù-Giosuè perché salverà...» (radice comune a «Gesù-Giosuè» e a «salvare»: YŜ). Gioco di parole identico a quelli che ho menzionato più sopra, e che riguardavano, nella Bibbia, Isacco, Eva e decine di loro colleghi.

Gioco di parole che non ha quindi nulla di storico e che non mescola nessun evento fattuale se non di linguaggio: ovvero una delle fecondità della parola ŜʼWL/«Saulo-Saul», risultata dal suo colore grafico immediato.

E: gioco di parole che non è in nulla un'eccezione nella letteratura ebraica post-biblica (o peri-biblica). Infatti, non ho che da fare ora un'incursione negli apocrifi ebraici, nei midrashim e nei Talmud, e assistervi allo svolgersi dello stessa stessa procedura. Ad esempio (detto altrimenti: per non stancare il mio lettore e offrirgli da assaporare solo un esempio — nel mezzo di mille altri possibili), questo esempio:

In Genesi 22, molte lune prima della costruzione del tempio di Gerusalemme da parte di Davide e Salomone, è raccontata la favola del sacrificio di Isacco. Favola così famosa: per provare Abramo, Dio-Elohim gli domanda di giustiziare suo figlio primogenito e di presentarglielo in olocausto; all'ultimo momento, colpo di scena: la divinità trattiene il braccio del padre e sostituisce il consenziente Isacco, sulla pira del rito, con un ariete.

(Ci sarebbe molto da dire — no? — su questo racconto in quanto contribuisce a produrre, più tardi, quello della Passione del cristo cristiano — ma non lo dirò più di tanto: per ora mi sforzo di prendere in conto solo a geografia del testo:)

Dove si svolge la scena? Sul Monte Moria. E nulla indica, nel passo della Genesi, quali siano la latitudine e la longitudine del monte Moria. Gerusalemme non essendo mai nominata nel Pentateuco, nulla indica che il monte sia, in Giudea, quello della futura – futurissima – città santa.

CIò non importa... Sulla base di vari giochi di parole, e in disprezzo esplicito della geografia e della storia (a profitto esclusivo, geloso, della mistica), i midrashisti ebrei del sacrificio di Isacco faranno della montagna, decisamente, il monte del Tempio. E come lo faranno? Ma proprio come lo scrittore giudeo-cristiano che sfrutta il nome di Paolo, «Saulo-Saul»ʼWL, e lo obbliga a fabbricare tende: costringendo il lessico sacro-ebraico a vomitare tutta una panoplia di giochi di parole e di assonanze.

Isaia (alquanto posteriore, non è vero, all'epoca di Davide e Salomone), leggendo Genesi 22:8, vi scopre – vi fabbrica – un'allusione a Gerusalemme. Nel versetto «... Abramo disse: Dio sceglierà lui stesso (letteralmente vedrà per lui, YRʼH LW) l'agnello...», egli decide, Isaia, di leggere ʼWR/«luce, risplendere» e ʼL/«Dio» (tramite anagramma approssimativo) sotto l'espressione YRʼH LW/«egli vedrà per lui» dell'osservazione di Abramo. Poi, siccome non c'è luce più divina sulla terra di quella che irradiano la città di Davide e, in mezzo ad essa, il tempio, il nostro Isaia decide — tramite midrash — di chiamare Gerusalemme «Ariel»/ʼRYʼL, letteralmente «Dio fa risplendere, luce di Dio» (sempre anagramma approssimativo di YRʼH LW/«egli vedrà per lui»). Da qui, appunto, il versetto 29:1 del profeta: «Ariel! Ariel! città dove risiedette Davide...» (Notiamo che «Ariel» è qui ripetuto per la buona ragione che in Genesi 22 l'angelo di YHWH chiama due volte Abramo). — Tra il versetto di Isaia e quello della Genesi: non so quanti secoli!

E di quest'Ariel, Isaia fa il monte Moria del sacrificio di Isacco: liberamente? o, al contrario, per motivi di storico? no: dtramite midrash. Perché ʼRYʼL/«Ariel, luce di Dio» può anche leggersi HRYʼL/«monte di Dio». Ma sì: ecco il gioco sulle parole; ed ecco come funzionano i libri ebraici – e la mistica semitica, e il disprezzo, in trionfo, sia della storia che delle geografie. Disprezzo (in Isaia e compagni) – sotto forma di compimento midrashico delle Scritture – che sarà anche quello degli scrittori del Nuovo Testamento (ebraico).

Dopo Isaia (e altri profeti, e i Salmi biblici, ecc.), i midrashim farisei si appropriano a loro volta del monte Moria dal sacrificio di Isacco. E, credetemi, se ne appropriano bene.

Leggiamo, ad esempio, il Midrash Rabbah sulla Genesi (Genesi Rabbah 55:7). Gli scrittori ebrei si interrogano sul significato di «Moria»/MWRYH. E vi immaginate forse che gli archeologi occidentali, usciti dalle università, vadano,  scienza  in una mano, quaderni e schizzi nell'altra, ad esplorare le alture palestinesi alla ricerca di un ipotetico vero monte dell'ipotetico vero sacrificio di Isacco? No. Senza preoccuparsi dell'andamento del terreno, immersi nella mistica, scrutano il linguaggio sacro-divino con l'aiuto del linguaggio stesso. Masturbano il lessico ebraico. E con efficacia. Il che dà:

1. «Rabbi iyya il Vecchio e Rabbi Ianneo entrano in discussione. L'uno dice: Luogo dove l'istruzione va al mondo (o: per l’eternità)».

«Istruzione» è scritta qui HWRʼH (dalla radice RʼH/«vedere», «far vedere») e vi fa gioco di parole con «Moria»/MWRYH. Con questo paragone, i rabbini indicano che il monte Moria della Genesi è quello dove siede (fuori dal tempo della Genesi, di sicuro! E fuori dalla sua geografia!) il Grande Sinedrio: il luogo da dove la venerabile assemblea lancia a tutto il giudaismo il suo ordini, i suoi decreti, le sue «istruzioni». (Nessun bisogno di insistere sul fatto che il racconto del sacrificio di Isacco, invece, non aveva mai sentito parlare né del tempio di Salomone né del Grande Sinedrio...) — Seguito del testo:

2. «L'altro dice: Luogo dove la paura va al mondo (o: per l'eternità)».

La differenza da termine a termine riguarda allora MWRYH/«(il monte) Moria» e YRʼH/«la paura». E l'allusione non è qui a chissà quale spavento, ma alla venerazione timorosa, rispettosa che ispira (agli ebrei e — tendenzialmente — ai gentili) il tempio di Gerusalemme. Sempre un gioco di parole. Sempre il menefreghismo dei luoghi e dei tempi.

Il midrash si lega in seguito a DBYR/«il luogo più sacro del tempio sacro della città sacra di Davide» — legame che si basa sulla espressione -YR della fine della parola, una espressione -YR che forma assonanza con ʼWR /«la luce» e, quindi, per estensione, con MWRYH/«(il monte) Moria» e, quindi, con la «paura»/YRʼH e con l'«istruzione»/HWRʼH suddetta. — Mediante tutti questi giochetti (semplici) dell'ebraico, i midrashisti contemplano, in Genesi 22, il tempio che non si trova e non si è mai trovato...

Poco prima di tale digressione, una forte allusione all'«arca» (dell'Alleanza)/ʼRWN — che altrove non è altro, tra parentesi e secondo una (buona) retroversione, che la cosiddetta «borsa» (!!) di Giuda l'Iscariota: è perché ʼRWN/«arca» contiene, per anagramma, ʼWR/«la luce», luce già linguisticamente contenuta (cfr. più sopra) nel Moria.

Ciò porta a postulare che l'Arca dell'Alleanza, il tempio di Gerusalemme e il monte Moria entrano e sono in connessione sia tenuto conto del tempo sia tenuto conto dello spazio. Abbasso — dice il midrash — le piatte seduzioni della scienza...   E io, alla luce di questo esempio, lascio pensare al mio lettore ciò che ne può essere del peso storico delle tende perfezionate da san Paolo l'apostolo!... Ma ciò non è tutto (e insisto, al fine di mostrare, sempre al mio lettore, che le procedure neotestamentarie non sono in nulla eccezioni: sono all'opera, molto normalmente, nel Nuovo Testamento perché sono molto normalmente all'opera in tutta la letteratura ebraica di cui il Nuovo Testamento è, senza l'ombra di un dubbio, solo uno degli anelli): Che altro, per il Midrash Rabbah, del monte Moria della Genesi e del sacrificio di Isacco?

3. «Rabbi Simeon ben Yochai disse: Il luogo che corrisponde al tempio».

Il ponte si stabilisce allora tra MWRYH/«il Moria» e RʼWY/«che corrisponde a, che è valido, che è adattato a» — la M iniziale di MWRYH/«Moria», assente da RʼWY/«che corrisponde», che denota qui l'inizio di MQDŜ/«il Santuario»: come se MWRYH/«Moria» significasse, insomma e per anagramma, «degno di M», vale a dire «degno di M(QDŜ)», vale a dire «degno del S(antuario)», vale a dire «che esibisce la dignità estrema e primaria, primordiale, del Tempio». — Così vanno le mentalità linguistiche della lingua sacra e di coloro che la coltivano... — Seguito del testo (perché intendo bastonare fino in fondo il mio lettore: ma no, le tende fittizie di Saulo-Paolo non sono, ebraicamente, marginalità):

4. «Rabbi Giuda disse: Il luogo che Lui ti fa vedere».

(HWʼ/«lui», lo conosciamo: è uno dei sostituti reverenziali di YHWH...) Relazione, qui, tra MWRYH/«il Moria» e MRʼH/«egli fa vedere, egli mostra». Riferimento ai segni del tempio celeste, quello di Gerusalemme essendo una rovina nel momento in cui si esprime il rabbino in questione (o il suo compilatore). In seguito:

5. «Rabbi Fineas disse: Sede della dominazione del mondo (oppure: della dominazione eterna)». Gioco di parole, in aramaico questa volta, tra MWRYH/«il Moria» e MRWWŢʼ/«il potere» (termine il cui equivalente ebraico è MRW, di significato identico — ed è su MRW che il trattato Pesikta Rabbati fa giocare l'assonanza: «Il luogo — la terra — dove risiede la dominazione/MRW del mondooppure: la dominazione eterna»).

 6. «I rabbini dicono: Luogo dove l'incenso è offerto, perché sta scritto (Cantico dei Cantici 4:6): Verrò, quanto a me, alla montagna della mirra».

(Stessa catastrofe, qui, nella resa francese del testo, così come nei paraggi indoeuropei del Nuovo Testamento: non vi si comprende nulla! Non si fa che annegare e annegarsi! Perché:)

Stessa identificazione forzata tra Moria e il Tempio, il gioco di parole funzionando allora tra MWRYH/«il Moria» e MWR/«la mirra» (la mirra del santuario, vicina all'incenso del santuario).

Ecco dunque come gli scrittori giudeo-ebrei mettono il tempo e lo spazio al servizio della mistica e delle proprietà della lingua sacra – senza pudore.

E come, in più, tengono per contemporanei tutti i termini della Bibbia e tutte le sue asserzioni. A leggere il passo del midrash che ho appena ricopiato, si coglie, di striscio, il carattere risolutamente astorico, non reale (nel senso occidentale) della fabbricazione paolina delle tende. Per farla breve: Un giorno o l'altro, occorreva proprio che un giudeo ebreo immaginasse e facesse immaginare che il monte Moria del sacrificio di Isacco è il monte del Tempio — e, parallelamente: occorreva, un giorno o l'altro, che un giudeo ebreo immaginasse e costruisse su ŜʼWL/«Saulo-Saul» una barzelletta di natura mistica e ne estraesse il fatto di «fare le tende». — Perché ritorno ora a Paolo e alle sue avventure:

Quando Guignebert (pag. 209-210) vaticina sull'origine socio-professionale dei genitori di Paolo l'apostolo e conclude che erano, alla maniera di Monsieur Jourdain (il caso di dirlo...), mercanti di stoffe, non solo rischia di soffocarmi dal ridere, ma mostra i pericoli di un'esegesi neotestamentaria non basata sull'ebraico. E così facendo, egli si accinge, volontariamente o meno, a seguire la via tracciata dai suoi predecessori: prende il corpus cristiano primitivo per una raccolta di annali.

 

Il mio stupore: come ci si è potuto permettere, da così tanti secoli, di sproloquiare sul Nuovo Testamento senza restituire il suo succo — il suo buon succo —  al suo nucleo ebraico? — Le tende di Paolo sono ora, per me, e per sempre, i totem della stupidità dei catechismi. Me la sento di dire. E continuo: 

Non senza aggiungere, ammiccando di più, che la piattaforma minima sulla quale gli esegeti si accordano con piacere comincia a incrinarsi: se ne scappa già il mestiere dell'apostolo. Primo pfff! La piattaforma ha della perdita...

Ecco: perché il doppio nome dell'apostolo dei gentili? Perché sia Paolo che Saulo?

Su questo nuovo punto interrogativo,

Punto e interrogativo che io trovo, invece, elementare... È curioso constatare quanto gli esegeti di Chiesa(di Chiese) siano timidi quanto ai loro stupori: non si stupiscono mai. Immersi nei testi, non sanno mai interpretarli nei punti giusti.

gli studiosi tacciono. 

Si accontentano di notare che la conversione (la conversione sulla via di Damasco) ha provocato un tale shock nell'anima di Saulo che lui si è subito sentito costretto di cambiare etichetta. 

L'osservazione non manca di interesse. Essa è intelligente. Spesso nella Bibbia i personaggi cambiano nome in un momento cruciale della loro esistenza.

 Perdonate la mia ingenuità: 

Non sto domandando perché Paolo abbia cambiato nome e sia passato da X a Y. Sto domandando: perché «Saulo» e «Paolo» nel Nuovo Testamento sono attribuiti allo stesso personaggio — e perché il cambiamento si effettua nella direzione Saulo Paolo, e non nella direzione opposta? 

Dal momento che nessuno dei commentatori di turno si degna di onorare le mie ingenuità col minimo discorso che abbia l'aria di reggersi, con i mezzi a disposizione ci provo io. 

Esamino il primo nome di Paolo. Cos'è, con precisione, «Saulo-Saul»/SʼWL? 

 

In primo luogo, si tratta di una forma coniugata della radice ŜʼL: del suo participio passato (passivo):

Una radice ebraica (di tre consonanti dure), quando è un verbo, è attiva quando si inserisce una W tra la sua prima e la sua seconda lettera; essa è passiva quando la stessa inserzione si effettua tra la seconda e la terza. Pertanto, ŜʼL significa «domandare», ŜWʼL vuol dire «richiedente» e ŜʼWL «domandato». Grammatica e morfologia per lattanti.

SʼWL, letteralmente «il domandato, l'interrogato».

Ma senza articolo.

Mi tengo provvisoriamente a questa constatazione, e mi accingo a scoprire, da dilettante di retroversioni, se Paolo subisce sul suo nome iniziale, nel corpus, qualche gioco di parole. 

Qualche? Ma sto scherzando!...

Mi accorgo subito che attorno a Paolo (a Saulo, quindi) c'è una valanga di domande che irrompe. In chiari termini: Saulo-Paolo, negli Atti come nelle Epistole, subisce un numero prodigioso di interrogatori; e, per mezzo di reciprocità, egli non cessa di essere un richiedente o un fautore di richieste. 

Su Paolo-Saulo convergono in particolare, a fiumi di Epistole e di Atti, i verbi seguenti (e i loro derivati): 

1. Anakrinō:

Esempi: Atti 25:26: «...dopo questo interrogatorio...» (di Paolo); Atti 28:18: «...essendo stato interrogato, (i Romani) volevano rilasciarmi...»; ecc. 

2. Etazō:

Esempi: 

Ogni volta né do’ solo alcuni esempi; Non esaurisco tutte le occorrenze neotestamentarie dei verbi considerati.

Atti 22:24: «...il capo di mille... ordinò di interrogare (Paolo) a colpi di frusta...»; Atti 22:29: «...quelli che stavano per interrogarlo si allontanarono da lui...»; ecc. 

3 . Punthanomaï: 

Esempi: Atti 21:33: «... il capo di mille... domandò chi fosse (Paolo) e cosa avesse fatto...»; Atti 33:20: interrogatorio del capo di mille e richiesta del Sinedrio; ecc. 

4. Erōtaō: 

Numerosissimi esempi, da cui attingo un magro campione: Atti 23:34: «...il governatore domandò di quale provincia fosse (Paolo)...»; 2 Timoteo 2:1: «...noi ve lo domandiamo...»; 1 Timoteo 5:12: «...noi vi domandiamo, fratelli...»; ecc. 

5. Aïteō: 

Numerosi esempi (facendo sempre di Paolo sia un richiedente sia un interrogato); così: Filippesi 4:6: «... fate conoscere a Dio le vostre richieste con preghiere e suppliche...»; Colossesi 1:9: «...non cessiamo di... domandare a Dio...»; Atti 16:29: «... il guardiano (di Paolo) domandò della luce...»; ecc. 

Lascio indovinare di che luce si tratta.

6. Deomaï:

Atti 26:3: Paolo che si rivolge ad Agrippa e gli dice: «Io ti chiedo di ascoltarmi con pazienza»; Galati 4:12: «... diventate come me, fratelli, ... ve lo chiedo...»; ecc. 

Se infliggo al mio lettore una tale lista e tali esempi è per metterlo con le spalle al muro della retroversione. Tutti i verbi (greci) citati qui prendono Saulo-Paolo a tenaglia; e lo fanno in decine e decine di versi — definendolo come un richiedente, come un interrogato o come qualcuno a proposito di cui delle domande sono formulate, nonché come un personaggio che domanda ad altri di domandare, ecc. Ora, contenendo l'idea di domanda, essi rimandano, tutti questi verbi — senza eccezione — alla radice (ebraica) ŜʼL, la radice di ŜʼWL/«Saulo, Saul» (letteralmente «il domandato»).

In realtà, non infliggo nulla al lettore: gli mostro soltanto cos'è retrovertere; muoversi, innanzitutto, nell'occorrenza di ciascuna parola.

Cosa fare di tutti questi verbi? In quanto greci, non hanno nulla a che fare, di per sé, con Saulo(-Paolo). Ma, una volta retrovertiti, diversi di essi ritornano direttamente a situarsi nell'ebraico SʼL/«chiedere», radice del nome iniziale dell'apostolo (e tutti ritornano, in ogni modo, a situarsi lì indirettamente). Indirettamente; direttamente: cosa vuol dire?

Li riprendo nell'ordine, i miei verbi: 

1. Anakrinō è, nella Septuaginta e nelle versioni (bibliche) greche concorrenti, l'equivalente dell'ebraico QR/«esaminare» (interrogarsi). Non ho quindi il diritto di vedere sotto di esso, nel Nuovo Testamento, un originale (ebraico) costruito sulla radice SʼL/«domandare», radice di «Saulo».

Ma io vi vedo, e a giusto titolo, un sinonimo di quella radice.

E poi ho comunque il diritto di meravigliarmi per la presenza di QR/«esaminare, indagare» (tradotto, in greco della Settanta, con anakrinō!) in 1 Samuele 20:12: «...e Gionata disse a Davide: ...indagherò (ebraico QR, greco anakrinō) mio padre...» Perché detta indagine riguarda Saul/ŜʼWL/«il domandato», poiché il re Saul è esattamente il padre di Gionata.

(Tra «essere indagato» ed «essere interrogato», c’è, non è vero?, solo un passo...).

2. Etazō non è mai, nella Septuaginta, l'equivalente greco di ŜʼL/«domandare». Nessuna questione, per me, di porre sotto di esso, nel Nuovo Testamento, e sotto i suoi derivati, il verbo ebraico ŜʼL. 

3. Stessa cosa per punthanomaï. Stesso impedimento. Stessa prudenza (obbligatoria).

Nella Settanta, punthanomaï non traduce mai l'ebraico ŜʼL/«domandare». 

4. Con erōtaō, tutto cambia. Ecco, ho un equivalente sicuro. La Septuaginta utilizza il verbo, prevalentissimamente, come l'equivalente greco di ŜʼL. 

Diverse decine di occorrenze.

Ed è questo stesso erōtaō che, nella Bibbia greca, interviene nei giochi di parole di 1 Samuele che si addensano attorno al nome del re Saul. 

Sul primo libro di Samuele, e non solo a causa di giochi di parole che connette, non abbiate paura, ci ritornerò...

Ogni volta che erōtaō e alcuni dei suoi derivati (greci) ricorrono nel Nuovo Testamento intorno a Saulo-Paolo, io sono sicuro che l'ebraico contenga — contenesse, originariamente — un gioco di parole sul nome (iniziale) dell'apostolo. Ne sono sicuro, e affermo: 

Tutti gli interrogatori che subisce Paolo, negli Atti e nelle Epistole hanno per origine un forte intreccio di giochi di parole derivati dal suo nome (dal suo primo nome: Saulo). E Paolo vi è interrogato (ebraico ŜʼL) perché si chiama dapprima Saulo (ebraico ŜʼWL).    

Domanda (alla quale, per far digrignare i denti del mio lettore, mi guardo bene da rispondere adesso): vi è interrogato perché si chiama Saulo? Oppure lì si chiama Saulo perché subisce tanti e tanti interrogatori?

5. Lo stesso vale di aïteō come di erōtaō. Nella Septuaginta aïteō è l'equivalente (greco) stramaggioritario di (l'ebraico) ŜʼL/«domandare». Ogni volta, quindi, che aïteō o i suoi derivati ricorrono, nel greco del Nuovo Testamento, attorno a Saulo-Paolo, posso essere ragionevolmente sicuro che essi formano, in riferimento al nucleo ebraico del testo (e in questo nucleo ebraico...), un gioco di parole sul nome dell'apostolo. In altri termini, sotto aïteō e i suoi derivati, nei paraggi del Saulo(-Paolo) neo-testamentario, vi era un tempo, in ebraico, sia il verbo ŜʼL sia un gioco su «Saulo-Saul», il primo nome dell'apostolo. 

6. Infine, e tutto al contrario, deomaï non essendo mai, nella Septuaginta, la traduzione (greca) di (ebraico) ŜʼL/«domandare», ogni volta che lo riscontro nel Nuovo Testamento, nei dintorni di Saulo-Paolo, posso essere certo che nel suo ebraico originale, esso non facesse gioco di parole con Saulo(-Paolo).

Queste sono l'abbiccì di una retroversione. Affidarsi alle versioni greche antiche della Bibbia. Fare l'elenco dei termini greci del Nuovo Testamento. Verificare quali erano, in queste versioni, gli equivalenti maggioritari (o assoluti) ebraici di questi termini greci. Sostituire, pezzo per pezzo, le parole greche del Nuovo Testamento, quando ciò è possibile, con i loro equivalenti ebraici. E avanzare, in questo modo, passo dopo passo – e con estrema cura ai lessici, ai contesti e alla verosimiglianza.

(L'esposizione che ho appena fatto era un po' noiosa — troppo squisitamente tecnica. Per fortuna, il seguito promette di essere più vivace e migliore. Ma prima del seguito più vivace e migliore, importa che io riassuma i miei risultati precedenti, no? Dove siamo?)

Riassunto dei risultati precedenti: 

Negli Atti e nelle Epistole esistono almeno due tipi di giochi di parole sul nome dell'apostolo Saulo/ŜʼWL. Uno

ŜH + ʼWHL/«fare» + «tenda».

riguarda il suo mestiere. L'altro

ŜʼWL/«Saulo» essendo della radice ŜʼL/«domandare».

tocca le (molteplici) interrogazioni alle quali è sottoposto e le domande che fa o spinge a fare. 

Ne deduco — senza alcun problema e con, per il momento, una cattiva fretta che rasenta la malafede — che, tanto quanto il mestiere dell'apostolo, tutti i suoi interrogatori (così come, d'altronde, i suoi stessi appelli a domandare o le sue stesse domande) non sono altro, al di fuori della Storia, al di fuori dell'Evento (o degli Eventi), che conseguenze del suo (primo) nome. L'ho detto: effetti di un gioco di parole. 

E sfuggono dalla mia piattaforma minima di poco fa sia la fabbricazione delle tende che gli interrogatori. Di questo passo, temo che la storia storica di Paolo lascerà, corpo e beni, la scena della Storia...

 Occorre proseguire. — Ancora importa: quale è il pedigree di Paolo? 

Me lo si dà, in ampiezza, nell'Epistola ai Filippesi: «... circonciso a otto giorni; della razza d'Israele; del clan di Beniamino; ebreo figlio di ebrei; fariseo secondo la Legge; persecutore, quanto a zelo, della Chiesa...»

Filippesi 3:5-6 (resa letterale).

I glossatori alla caccia affibbiano volentieri una nota a questo punto, del genere «Tribù di Beniamino: quella del re Saul»,

Cfr. il Nouveau Testament dell'edizione della Pleiade, pag. 650, in basso.

e passano. Laconismo. 

Ebbene, io non passo. Non mi piace la tentazione del laconico. 

Il Saulo(-Paolo) del Nuovo Testamento è derivato da Beniamino. 

Tra i dodici clan che portano, ciascuno, il nome di uno dei figli di Giacobbe, quello di Beniamino è l'ultimo.

N.B. Ogni ebreo, in ogni epoca – biblica o post-biblica – appartiene genealogicamente ad uno dei (dodici) clan di Israele. E il nostro apostolo, ebreo com'è, non fa eccezione alla regola.

Ma ditemi, nella Bibbia ebraica, quale è il nome del solo personaggio importante che sia uscito da Beniamino? 

Personaggio di rilievo (a cui almeno uno o due versi sono dedicati), e non una comparsa della narrazione.

Confessione: il re Saul.

 E nessuno — tra i glossatori loquaci e tra i glossatori laconici — si stupisce della coincidenza! Nessuno ne fa scaturire la minima scintilla degna di illuminare la produzione di sezioni intere del corpus neotestamentario... Ciò non si comprende affatto! 

Infatti: che ne è, questa volta, del pedigree del Saulo-Saul biblico? 

La vicenda di Saul forma la materia principale del primo libro (biblico) di Samuele (e non solo a partire dal suo capitolo 9, come leggo ovunque!), e si estende, qua e là, con informazioni della più acuta importanza, nel secondo.

Apro la mia Bibbia ebraica e metto in francese l'inizio di 1 Samuele 9; ciò dà:   

Per quanto riguarda il dare, ciò dà...

«E vi era un uomo derivato da Beniamino, e il suo nome (era) Kis, ...era un prode; e costui aveva un figlio, e il suo nome era Saul, giovane

Ebraico BWR, «giovane», ma anche: «eletto, prescelto».

e bello: non nessun uomo tra i figli di Israele (era) migliore di lui»

Nel passo tutti i verbi ebraici sono indifferentemente al presente, al passato e al futuro. Il mio «c'era» e il mio «era», necessari in francese (in indoeuropeo), sono dunque controsensi. — Leggendo queste righe, gli scrittori originali del Nuovo Testamento non le mettevano certamente al passato.

Da questo testo ricavo che Saulo (ŜʼWL — come l'apostolo...) è, nella Bibbia, un «figlio di Israele»: ora Saulo-Paolo si dice «israelita», vale a dire, in effetti, in ebraico, BN YŜRʼL/«figlio di Israele». Ne ricavo, inoltre, che egli è derivato dal clan di Beniamino; ora Saulo-Paolo l'apostolo afferma di appartenere a questo clan.

Ma Saulo-Paolo non si vuole solamente israelita e beniaminita; si proclama anche «ebreo». Perché? — Perché quella insistenza?

«Israelita» e «derivato da Beniamino» sarebbero bastati; «ebreo» pare, al primo colpo d'occhio, fungere da aggiunta...

Perché, insomma, una tale ridondanza? — senza futilità, perché:

1. «ebreo» = BR(Y),

2. BR = «passare, attraversare, viaggiare».

Cfr. le numerose traversate di Paolo-Saulo e i suoi viaggi per il bacino del Mediterraneo.

Ma il verbo BR si trova ripetuto, a sazietà, nel capitolo 9 di 1 Samuele, capitolo che riguarda l'ingresso (manifesto) di Saulo nella Bibbia:

«... e (Saul) passò/WYBR per la montagna di Efraim, e passò/WYBR per il paese di Salisa, ... e passò/WYBR per la terra di Beniamino...».

Tutti i WY BR sono della radice BR/«passare, attraversare, viaggiare» (verbo BR preceduto sia da Y, segno dell'imperfetto, che da W/«e»).

Conclusione: per mezzo di giochi di parole, e per mezzo di midrash, gli scrittori del Nuovo Testamento hanno fatto di Paolo-Saulo, non solo, come Saulo, e perché egli è innanzitutto il Saulo biblico, un figlio di Beniamino e un figlio di Israele,

Riferimento: 1 Samuele 9:1 e 2.

ma anche un ebreo (BR, BRY), vale a dire un «passante», un «attraversatore» — un camminatore.

E la mia conclusione si arricchisce del corollario che segue:

Tutti i cammini, le traversate e le peregrinazioni dell'apostolo Paolo trovano, perché egli è Saulo (Saul), la loro vera fonte (midrashica, e non storica...) nel primo libro (biblico, antico...) di Samuele.

I libri di Samuele risalgono, quanto alla loro stesura o alla loro compilazione, a diversi secoli prima di Cristo.

Nel costruire gli itinerari di Saulo-Paolo apostolo, gli scrittori del Nuovo Testamento non hanno fatto quindi che assegnare luoghi e spazi della loro epoca al tema (biblico, ancestrale, antistorico — e tenuto da loro per divino) di un Saul-Saulo viaggiatore.

E la mia piattaforma minima (sempre meno biografica) si incrina con qualche crepa aggiuntiva. Tra le sue cosiddette componenti sedicenti storiche, cinque o sei abbandonano oramai il dominio dei fatti per ricongiungersi, non alla finzione pura e all'illusione, ma al midrash — alle «invenzioni», alle scoperte, ai ritrovamenti del midrash; — per riassumermi: il mestiere dell'apostolo, il suo primo nome (Saulo, ossia Saul), la sua appartenenza a Beniamino, il suo status di ebreo e di peregrinante,

Stessa radice, in ebraico: BR (l'espressione BR di 1 Samuele 9).

il suo status di israelita (e, quindi, di circonciso)... Il mestiere risulta da un gioco di parole; il resto da una lettura accurata di 1 Samuele. E il tutto, alla rinfusa: da un adempimento, è vero, del Saul della Bibbia.

 

Ma sento subito l'obiezione dei catechisti; essa sarà condivisa dagli studiosi, dagli enciclopedisti e da alcuni ecclesiofili — dai grecisti, e dagli storicisti. — La loro obiezione? — «...Coincidenze...».

Essi gridano alla coincidenza.

Non è proibito, urlano, ad un Saul che era storicamente esistito nel I° secolo aver fabbricato delle tende. Essere stato un israelita e un ebreo. Ed essere appartenuto alla tribù di Beniamino. Ed aver viaggiato (aver passato il suo tempo ad attraversare).

L'obiezione mi sconcerta. Io ripiego. Balbetto. Obiezione accolta. Voi avete ragione, ossessionati dello storico, tutto ciò non è che coincidenza. Ed una coincidenza, pure, il fatto che tutte queste coincidenze coincidano con il re Saul (per gioco di parole e per midrash). Io accetto l'obiezione. La faccio mia. Credo nei miracoli. Mi metto a credere nei progressi a valanga del caso.

E confesso (ridendo in faccia agli urlatori): è vero che un certo Saulo-Saul/ŜʼWL è nato all'inizio della nostra epoca; che ha attraversato il bacino del Mediterraneo. E che facesse delle tende. Che lui fosse figlio di Israele. E poi — perché io accetto tutto — che appartenesse al clan di Beniamino. E che fosse un ebreo. E tutto questo, in ordine sparso: Storicamente.

Con una H maiuscola: per meglio lasciarvi contemplare quanto mi arrendo...

Con l'orecchio teso a terra, continuo a scavare nei capricci dei fatti (storicamente) reali. Adotto in pieno la teoria delle coincidenze. E pongo, per coincidenza, la domanda:

Perché Saulo l'apostolo si chiama anche Paolo? In virtù di quale caso storicamente coincidenziale?

Riprendo in mano, in modo timido, spasmodicamente, la mia Bibbia ebraica dalle coincidenze e, per una forte coincidenza, continuo la mia lettura di 1 Samuele 9 — del tutto a caso, in qualche modo... E arrivo (per caso! pensate...) al verso 21. E lo metto (non si sa mai...) in francese:

«... e rispose Saul,

Saul = Saulo = ŜʼWL. Una volta per tutte. — Su questo punto i sostenitori delle coincidenze non mi avranno!

E disse:

In ebraico, si risponde e si dice. In (buon) greco, anche volgare, ci si accontenta di dire o di rispondere. Nel greco del Nuovo Testamento si risponde e si dice (e si risponde fino a domande non poste — espressione ebraica comune). Teorema: Il greco del Nuovo Testamento, quando risponde e dice, non è che un ricalco – una traduzione letterale – del suo ebraico primitivo.

Non sono forse beniaminita, derivato dal più piccolo tra i clan di Israele?...»

Non sopraffatemi; non incolpatemi se rendo ŜBT, qui, con «clan» e non, come solitamente, con «tribù». ŜBT è maschile: «clan» conviene quindi di più.

Lascio il versetto di 1 Samuele e mi ridirigo verso il secondo nome dell'apostolo: Paolo. «Paolo» è, in latino, Paulus,

Divenuto Paulos nel greco del Nuovo Testamento.

e paulus significa «piccolo».

Guignebert (pag. 208), a questo proposito: «Si è a lungo discusso sull'origine e sul significato di questo Paulus: beninteso li si ignora, e passo (...). Credo tuttavia probabile che Paolo sia il nome da cittadino romano del tarsiota...».

Sempre appassionato di coincidenze, propongo quindi che l'apostolo si chiami nel contempo Saul-Saulo (vale a dire ŜʼWL/«domandato») e Paolo (vale a dire Paulus/«il piccolo»).

L'uso di associare uno o più soprannomi al nome proprio di persona è comune nel giudaismo. I Talmud rigurgitano di questa usanza.

Un rabbino Eleazaro vi è soprannominato «isma», vale a dire «il forte, il perfetto». Un rabbino Samuele vi è «Haqatan» («il piccolo»). Uno degli ultimi membri della Grande Sinagoga fu Simeone il Giusto («il giusto», HDYQ). Eccetera. Senza dimenticare Naum di Gimzo (NWM ʼYŜ GM ZW), tanto bistrattato dai linguisti di un tempo: perché il maestro non nacque né visse mai in una qualunque città chiamata GM ZW/«Gimzo»; aveva solo l'abitudine di ripetere a ogni piè sospinto GM ZW, GM ZW, «persino ciò»!

Il soprannome dell'apostolo è dunque «il piccolo». — Ma «il piccolo» è, in ebraico, HQTN.

Dalla radice QTN/«essere piccolo, essere indegno di» QTN, in HQTN, significa «piccolo» (aggettivo), e la H è l'articolo determinativo.

Ne deduco, a titolo di coincidenza e di ipotesi, che il nostro apostolo si chiamasse, nel nucleo ebraico primitivo del Nuovo Testamento, ŜʼWL QTN o ŜʼWL HQTN/«Saulo il piccolo».

Ma quale relazione, mi direte, tra «Saul-Saulo» e «Paolo-Piccolo»? — Buona curiosità. Vedo che mi seguite. — Di per sé, nessuna relazione.

All'inizio di 1 Samuele 9, il re Saul — prima di essere intronizzato re — si proclama derivato da Beniamino e figlio di Israele. Ma rileggiamo ora il verso 21 dello stesso capitolo:

È Saul (Saulo) che parla.

«... non sono forse beniaminita, derivato dal più piccolo tra i clan di Israele...?...»

In ebraico: MQTNY («tra i piccoli dei») ŜBTY («clan di») YSRʼL («Israele»). N.B. MQTNY/«tra i piccoli di» è composto da M/«tra», da QTN/«piccolo» e da Y, lettera che indica il plurale maschile seguito da un complemento sostantivo.

La parola QTN/«piccolo» si trova quindi nel capitolo biblico che introduce Saul, e vi si trova in eccellente posto: subito proprio dopo l'apparizione del nome del personaggio,

Dopo, e non prima: allo stesso modo in cui l'apostolo cristiano si chiama dapprima Saulo-Saul e soltanto in seguito Paolo.

e nel bel mezzo della sua presentazione.

MQTNY ŜBTY YSRʼL significa, per lo scrittore o il compilatore ancestrale di 1 Samuele 9, che Saul appartiene «al più piccolo clan d'Israele» (alla più piccola tribù, a Beniamino il più giovane dei figli di Giacobbe). Gli scrittori del Nuovo Testamento comprendono, invece, l'espressione scegliendo l'esclusivo letterale; per loro Saul è annoverato tra i «piccoli individui di tutto Israele» (tutti i clan confusi).

Ne deduco che Saul-il-piccolo, ŜʼWL HQTN, infestava il primo libro di Samuele diverse epoche prima della nostra era...

Gli autori neotestamentari non l'hanno fabbricato: ve lo hanno scoperto!

E osservate immediatamente che in 1 Samuele 9 la condizione di «piccolo»/QTN applicata a Saul non ha nulla di peggiorativo. Molti cadetti biblici, molti piccoli, sono, per il Testo sacro, favoriti a scapito del loro anziano o dei loro anziani – il più famoso di loro essendo, ovviamente, Davide.

E non lo infestava in un sol colpo: lo infestava in due tempi. Infatti, se avete 1 Samuele 9 sotto gli occhi, vi constatate che Saul si proclama (ed estremamente!) piccolo solo dopo essere stato preannunciato dal profeta Samuele come colui che doveva divenire il re — il primo re — di Israele. All'inizio del capitolo non è che Saul; ed è solo arrivando al versetto 21, in seguito in effetti al suo incontro con il profeta veggente, che riveste il titolo di QTN, di «piccolo».

Coincidenza: l'apostolo Paolo (Saulo) nelle narrazioni neotestamentarie si chiama dapprima Saulo, e solo in seguito alla sua «visione» e alla sua «conversione» sulla via di Damasco che assume il soprannome di Paulos-Paulus-Paolo/«piccolo».

Riferimento aggiuntivo: In 1 Samuele 15:17, Saul è di nuovo espressamente indicato come «piccolo» da Samuele: «...e disse, Samuele: ...se tu sei piccolo/QTN...».

Conclusione: per quanto riguarda i suoi due nomi e il passaggio dall'uno all'altro (nel senso giusto) e la loro congiunzione, l'apostolo Saulo non è altro che Saulo. Parallelismo nominativo totale tra loro due!

I miei obiettori di poco fa possono classificare il parallelismo in questione tra le coincidenze della Storia storica. Per me, ci vedo ancora del midrash. Una lettura, da parte dei cristiani giudeo-ebrei primitivi, della Bibbia e un inserimento di quella lettura nelle Epistole e negli Atti (in ebraico).

Corollario di quella conclusione, ecco ancora un elemento della piattaforma che svanisce. Egli non è affatto storico. Il mestiere dell'apostolo, i suoi viaggi, il suo pedigree si sono rivelati, fin qui, effetti linguistici del midrash. Midrash anche, non solo i suoi due nomi (Saulo e Paolo), ma pure l'ordine nel quale appaiono nel Nuovo Testamento.

Rassicuratevi; io non sono certo alla fine dell'inchiesta.

Del resto, malgrado la dimensione dei pezzi testuali che ho appena messo giù, essa non fa che cominciare. Perché io ho fretta di occuparmi a spazzare via le obiezioni degli obiettori. E di far roteare, col pretesto di schernirli, altre coincidenze...

 

Vengo ora ai viaggi dell'apostolo. Quali scopi il Nuovo Testamento (Epistole e Atti) assegna a tanti sforzi itineranti?

Due scopi e due soltanto:

1. l'annuncio del Vangelo (della «Buona Novella», HBŜWRH HTWBH) sotto la forma di una potente affermazione, intorno a Gesù-Giosuè, dei pro e dei contro della resurrezione dei morti. La resurrezione dei morti è il tema centrale dei pensieri e dei discorsi del Saulo-Paolo neotestamentario.

2. una colletta — una raccolta — di donazioni in varie città della Diaspora ebraica. Questa raccolta è così importante che sembra occupare l'intero terzo viaggio missionario dell'apostolo.

Nel corso dei suoi vagabondaggi, l'apostolo subì interrogatori (derivati, tramite midrash, dal suo nome, ŜʼWL/«l'interrogato») e varie sevizie, prigionie, legature e catene. Lo si percuote si vuole frustarlo, colpirlo sulla bocca, ecc. La totalità di queste avventure sarà analizzata e spiegata più oltre. Nel frattempo, ciò che va sottolineato è che nessuno di esse costituisce una meta dell'andirivieni del personaggio: le sconfitte dell'apostolo non delineano la finalità dei viaggi di Saulo-Paolo — ne sono solo le conseguenze, gli ornamenti. — Mi ripeto: tema dei morti che risorgono e colletta di doni, non si sfugge, sono gli unici obiettivi di Saulo-Paolo itinerante.

N.B. E per «andirivieni del personaggio» intendo quelli che seguono la rivelazione della via di Damasco, e non quelli che la precedono e nel corso delle quali egli «perseguita» il Signore e i suoi fedeli. — Anche su quella «persecuzione» ci sarà da dire...

 Curiosamente, e non dispiaccia ai grecisti e ai maniaci del fatto storico, i due scopi di Saulo-Paolo viaggiatore risultano a loro volta da un midrash — da un lavoro linguistico (in ebraico) su alcuni versi della Bibbia (ebraica). Essi traggono la loro origine e la loro definizione — e quindi la loro esistenza (adempiente, secondo la terminologia giudeo-cristiana primitiva) — da una lettura (che perlustra, che setaccia)

MDRŜ/«midrash» proveniente dalla radice DRŜ/«cercare, approfondire»... Per quanto riguarda l'approfondimento della Bibbia ebraica, gli scrittori del Nuovo Testamento sono dei virtuosi. Campioni dell'approfondimento, iperesperti della lingua sacra. (M né più abili né meno abili, in ciò, degli scrittori dei midrashim giudeo-ebraici concorrenti: dappertutto i metodi sono gli stessi).

che prende di mira testi anteriori di diversi secoli alla nostra era.

Tralascio la resurrezione dei morti e mi occupo prima della colletta paolina; e me ne occupo perché deriva, sull'esempio del mestiere dell'apostolo (Saulo-Paolo fabbricatore di tende...), da un gioco sulle parole. Ma da un gioco sulle parole, questa volta senza giochi di parole.

Ecco:

In Atti 11:29-30, l'apostolo è incaricato di portare doni ai fratelli in Giudea (doni che sembrano provenire da Antiochia). Egli ne è incaricato oppure lui se ne incarica — poco importa... In Atti 24:17, l'apostolo afferma: «... dopo molti anni sono venuto a fare l'elemosina alla mia nazione

«Nazione», greco ethnos, rimanda — per retroversione — all'ebraico GWY (plurale GWYM o GWYYM). Si presti attenzione a questo termine. Nell'ebraico medievale, i goyim sono i pagani, gli «altri»/HʼḤRYM, i «lontani»/HRQYM — insomma: i non-ebrei, gli empi (individui rappresentati più spesso con la bella menzione «Che le loro ossa marciscano!» = «Che non abbiano alcuna possibilità di risorgere, che siano per sempre maledetti!»). In compenso, nel linguaggio della Bibbia, nel Nuovo Testamento (primitivo, ebraico), a Qumran, ecc., le parole GWY e GWYM significano solo «nazione/nazioni» e si riferiscono sia al solo Israele, sia a ai soli popoli pagani, sia a tutte le etnie indifferentemente (l'ebraica compresa). — Conseguenza: vi sono spesso (sempre?) controsensi nel tradurre sistematicamente l'ethnos/GWY neotestamentario con «gentile(gentili)», intendendo con questo «il(i) pagano(pagani)» (i Greci, i Romani, ecc.). – E quando si definisce Saulo-Paolo «apostolo dei gentili» o «apostolo delle Nazioni» (ebraico ŜLY HGWYM),è importante guardarsi dal fare affrettatamente di questo titolo l’equivalente di «apostolo dei non ebrei».

In realtà, il personaggio chiamato Saulo-Paolo nel Nuovo Testamento non rivolge le sue epistole a qualsiasi romani, efesini, corinzi o galati, ma sia agli ebrei della Diaspora sia ai pagani giudaizzati ed ebraizzati. (La prova? — ma è evidente: tutti i ragionamenti contenuti nelle suddette epistole, e le nozioni che veicolano, e le asserzioni che stabiliscono o confutano, sono — tenuto conto dell'ebraico che ne è la base, la lingua nativa — di per sé inaccessibili ai lettori che non abbiano una solida conoscenza dell'ebraico, appunto, e della Bibbia ebraica e dei costumi e delle mentalità ebraiche... La prova di quella prova? Ma è ancora evidente: da quasi venti secoli, i modi — ebraici — di produzione delle Epistole, le paoline e le altre, sfuggono agli studiosi, ai Padri della Chiesa, agli esegeti cattolici e protestanti, ai lettori, quindi, che le consumano solo in greco o nelle versioni derivate dal greco). Passiamo.

e a presentare offerte...». In Galati 2:10: «...noi dovevamo solo ricordarci dei poveri,

Per «poveri» (ebraico ʼBYWNYM) bisogna intendere: la comunità di Gerusalemme. — Il titolo di «poveri» è, in competizione con quelli di «numerosi»/RBYM, di «umili»/NYYM, ecc., molto apprezzato dalle varie correnti, ad ogni epoca, del giudaismo. Lo si riscontra, e i suoi rivali parallelamente, tra i profeti biblici, negli apocrifi, a Qumran...

ciò che mi sono sforzato di fare...». — sempre la colletta, sempre la raccolta dei doni. In Romani 15 si parla quasi esclusivamente della colletta e dei doni.

Versetto 16: «...affinché l'offerta delle nazioni sia accettata...» — anche qui occorre evitare di rendere «nazioni»/GWYM con «gentili» o con «pagani». Ripassiamo.

In 1 Corinzi 16, ricorrenza della colletta: e poi ancora in 2 Corinzi 8 e 9 di nuovo... Al punto che ci si arriva a domandarsi, come ho detto, se il terzo viaggio dell'apostolo non abbia per unico obiettivo e preoccupazione la ricerca dei doni e delle offerte.

Poco importano, per me, in questa fase dell'analisi, le circostanze della colletta. Mi interessa unicamente il fatto: testuale! — che Saulo-Paolo corre dietro ai doni.

Più generalmente, la nozione di «dono» attraversa, intorno all'apostolo, la totalità delle Epistole e degli Atti. Del dono e dei doni, nelle Epistole e negli Atti, se ne trovano dappertutto presso Saulo-Paolo... — E, dettaglio capitale, dettaglio che non è marginale, la ricerca dei doni da parte di Saulo-Paolo non ha successo. Da nessuna parte nel Nuovo Testamento è suggerito o affermato che l'apostolo riesca nella sua ricerca e la conduca a termine.

Domanda banale: domanda di mia ingenuità:

Perché Saulo-Paolo cercatore di doni? E prima di tutto: perché in quanto tale, il suo insuccesso?

 

Lascio senza risposta le mie due domande e, per confondere il mio lettore, per immergergli l'intelletto nelle sottigliezze del pensiero ebraico, mi propongo qualcosa che mi ha, a prima vista, tutta l'aria di una digressione.

Ma non abbiate timore: le due domande non le cancello né le dimentico. Sto solo divagando.

Si trascura, tra i grecisti o gli storiomaniaci, il primo libro di Samuele. Mi è capitato di ingurgitare monografie su Paolo che non menzionano mai questo libro. È vero, ed è triste: non si presta al re Saul l'attenzione che merita. Eppure...

Ripercorro la presentazione di Saul in 1 Samuele 9. Ebbene, c'è tutto, l'intera carta d'identità di Paolo (di Saulo): la genealogia che risale a Beniamino, la qualifica di figlio di Israele, ecc.

Supero i due versi iniziali del capitolo e mi imbatto nella ripetizione della radice e del verbo BR («passare, attraversare»), ripetizione che, facendo tesoro del midrash neotestamentario, mi ha dato la ragione sia di Saulo-Paolo «ebreo figlio di ebrei» (radice BR) sia delle sue peregrinazioni (BR significando, infatti, «attraversare, passare, andare oltre, viaggiare»). A questo punto, è il Saul biblico che si accinge ad attraversare diverse regioni.

E perché Saul attraversa regioni?

Ehi, per recuperare le asine di suo padre.

Dove ci porta Dubourg?... Cosa può avere in comune l'apostolo Paolo con le asine?... (Il mio lettore, senza adulazione da parte mia, se lo chiede sempre a ragion veduta).

Ecco il testo (1 Samuele 9:3 ss.):

Mi prendo gioco dei fronzoli della letteratura e traduco il passo alla lettera.

«...e Kis, padre di Saul, avendo perso le sue asine, Kis disse a Saul suo figlio: «Prendi con te uno dei servi, alzati e vai a cercare

«Cercare, ricercare», ebraico BQŜ, si riflette qui, da gioco di parole apprezzabile, sul padre di Saul, QYŜ/«Chis». E Chis/QYŜ diventa di colpo colui di cui si cercano/BQŜ le asine. Sapori dell'ebraico...

le asine». Egli (Saul) passò

Tutti i «passò»-«passarono» del passo sono, in ebraico, dalla radice BR summenzionata, quella che genera, tramite midrash neotestamentario, sia Saulo-Paolo viaggiatore che Saulo-Paolo ebreo figlio di ebrei. (E i miei «passò»- «passarono», data l'atemporalità naturale dei verbi semitici, possono altrettanto essere «passa-passano» o «passerà-passeranno»).

per la montagna di Efraim, e passò per la terra di Shaalim e non (le) trovarono; e passò per il paese di Beniamino e non (le) trovarono. E vennero nella terra di Tsuf e Saul disse al suo servo che (era) con lui: ...».

Osservate questo stile. Questo è lo stile del falso greco del Nuovo Testamento. E osservate la ricorrenza degli «e» (come nel Nuovo Testamento)... e l'accumulo di proposizioni brevi (come nel Nuovo Testamento)...

Il brano devia verso Samuele il profeta (il Veggente) e verso la sua intenzione, che inspira YHWH, di ungere Saul e di farlo re. Al versetto 20, le asine sono (ri)trovate: «...e per (quel che è delle) asine perdute da te

Infatti: LK/«per te». Sarebbe quindi meglio scrivere: «per quanto riguarda le tue asine perdute» (?).

tre giorni fa, non te ne preoccupare più,

ʼL ŜM ʼṬ LBK LHM, letteralmente «Non porre il tuo cuore verso di loro» — espressione che si trova nel Nuovo Testamento, espressione che non ha nulla di greco.

perché sono (ri)trovate...»

Importante: Saul non è colui che le ha ritrovate. E nessuno le ha ritrovate. Loro, le asine del testo, si sono come a dire ritrovate tutte da sole.

Nel capitolo 10, si domanda a Saul e al suo servo (versetto 14): «Dove siete andati?». E Saul risponde: «A cercare le asine». — Saul è quindi davvero, in questi capitoli, un cercatore di asini. Nel verso che segue, ci è ricordato che Samuele, il profeta, ha annunciato «che le asine sono (ri)trovate».

Stop alla digressione.

E io mi preoccupo: perché sono andato a fuorviarmi in quell'aneddoto senza interesse, e cosa mi insegneranno le asine, perdute o meno, e ritrovate o meno, del papà di Saul?

Ignoro cosa mi insegnino: ma quello che non ignoro nemmeno un istante è che è da loro, in linea diretta, dritta e diretta, che escono tutte le ricerche di Saulo-Paolo l'apostolo. Ogni volta che il Saulo-Paolo (narrativo) del Nuovo Testamento cerca doni (offerte), egli, nella mente e sotto la penna degli scrittori cristiani primitivi giudei-ebrei del corpus, non fa che realizzare (testo su testo — e non nella Storia!) la ricerca, da parte di Saulo, delle asine del padre. Oppure, se la formula vi piace di più: Saulo-Paolo cercatore di doni = Saulo (il Saulo biblico...) cercatore di asine.

E perché ciò?

Perché «asine» si scrive, in 1 Samuele, ʼṬN o ʼṬNW, e perché ʼṬN o ʼṬNW significa nel contempo, in ebraico, «le asine» e «i doni».

Nel secondo caso, ʼṬN (o ʼṬNW) è il plurale (femminile) di ʼṬNH («il dono», termine derivato dalla radice NN/«dare».

Ed ecco: un'altra coincidenza! Una coincidenza non tra eventi veri, tra fatti reali della Storia reale: no — una coincidenza voluta, testo contro testo, testo secondo testo, dal midrash giudeo-cristiano.

Dal midrash (neotestamentario) che compie (la Bibbia).

Invece di comprendere 1 Samuele 9 e 10 come pare (?) esigerlo il contesto o la verosimiglianza, reperendovi una ricerca di asine, gli scrittori primitivi del Nuovo Testamento vi hanno letto Saul alla ricerca dei doni.

E, così facendo, non violano il racconto biblico: tra due delle sue direzioni possibili scelgono la più forzata. È tutto.

(E così facendo non innovano: i midrashim ebraici classici, i Targum, i Talmud agiscono spesso — molto spesso — in tal modo; sfruttano la lingua sacra fino alle sue implicazioni non superficiali, non immediatamente banali ed evidenti: ne rincorrono sia la superficie che la profondità).

E, scoprendovi un Saul cercatore di doni, hanno applicato l'episodio a Saulo-Saul-Paolo l'apostolo. Da qui, in effetti, negli Atti e nelle Epistole — incomprensibili al di fuori del midrash di cui rendo qui conto — uno dei due scopi dei viaggi di Saulo (di Paolo): la colletta, la ricerca dei doni, delle offerte.

E non si tratta di un'applicazione midrashica di second'ordine, ma di un lavoro — sulla lingua sacra e sulla Bibbia — capace di estrarre decine di versi narrativi e di inserirli, in tutto candore ed efficienza, nel corpus fondativo del cristianesimo. Tra asine (bibliche) di Saulo e doni (neotestamentari) di Saulo(-Paolo), non stiamo vagando verso le periferie del cristianesimo ebraico: da ʼṬN/«asine» a ʼṬN/«doni» e da ŜʼWL/«Saul» a ŜʼWL/«Saulo», non vi è che un passo — uno dei temi principali dell'azione paolina. Chi dice meglio?

 

Meglio? — ma c'è di meglio.

Infatti, prima di arrivare all'altro scopo dei cosiddetti viaggi storici del cosiddetto Paolo storico, mi devo elencare un piccolo numero di gingilli, piccolo numero di gingilli che, lungi dall'affaticare il mio lettore, andranno al contrario, e di nuovo, a stuzzicargli l'intelletto.

Ciò, anche a mo' di inezie, il mio lettore non andrà a scovarlo nei catechismi…

Il midrash all'opera nel cristianesimo primitivo ebraico (il midrash che è, da parte a parte, il cristianesimo degli inizi) sembra ed è insaziabile. Se ne giudichi:

Cosa fa l'apostolo prima di essere apostolo — prima di sperimentare le rivelazioni della sua via di Damasco e di farne buon uso? Che cos'è prima di non essere più quello che era prima? Che cosa fa? — egli perseguita. Cos'è? — un persecutore.

Sulla via di Damasco, il Signore

Detto altrimenti: YHWH in quanto ha rivestito la forma di YŜW, di «Giosuè-Gesù»; detto altrimenti: YHWH in quanto è risorto.

pone a Saulo la domanda «... Perché mi perseguiti?...»,

«Perseguire, perseguitare», greco diōkein. — Riferimenti: Atti 9:4, 22:7 e 26:14.

ed egli si manifesta a lui dicendo: «...io sono Gesù-Giosuè, che tu perseguiti...».

Riferimenti: Atti 9:5 e 22:8; in 22:8, non c'è «Gesù-Giosuè» ma «Gesù-Giosuè il nazareno».

In 1 Corinzi 15:9, Galati 1:13 e 23, Filippesi 3:6, 1 Timoteo 1:13,

Credo di non omettere nulla? — credo.

Saulo-Paolo è descritto come un persecutore. E in ognuno di queste riprese del testo è il verbo diōkein («perseguire, perseguitare») ad essere utilizzato.

Ma nella Septuaginta e nelle altre versioni greche della Bibbia ebraica, il nostro diōkein è, con minimissime eccezioni, la traduzione automatica dell'ebraico RDP (in senso approssimativo). Oso quindi, senza timore di sbagliarmi, retrovertere il diōkein («perseguire») neotestamentario paolino e sostituirlo con il suo originale RDP. — Retroversione e sostituzione che vanno da sé.

Quando, nei versi citati più sopra, Saulo(-Paolo) è un inseguitore-persecutore, egli è — era! — In ebraico, un RWDP.

RWDP: participio attivo del verbo RDP/«perseguire-perseguitare».

Che strano... Nella Bibbia, una delle occupazioni favorite di Saul è anche quella di perseguire. E nel corso delle sue persecuzioni, è anche il verbo RWDP ad essere impiegato. E Saul non perseguita: non cessa di perseguitare. E Saul non perseguita chissà chi: egli non cessa di perseguitare Davide.

«Davide», ebraico DWD, «il beneamato». — Nel midrash neotestamentario, Davide, proprio in quanto «beneamato» (il «beneamato» del Cantico dei Cantici), non è nient'altro che una raffigurazione di YHWH, e quindi di YŜW — (di Gesù-Giosuè, in quanto lui che ama, che muore e che risorge). Da cui ciò: quando il Saulo neotestamentario perseguita Gesù-Giosuè e quando il Saul biblico perseguita Davide, essi sono, tramite riutilizzo dell'uno nell'altro, e tramite midrash, un solo e lo stesso personaggio: ŜʼWL HRWDP/«Saulo-SauI persecutore».

(E me ne lamento, mi rattristo: secoli e secoli di dimenticanza di ciò!).

Nel Nuovo Testamento (episodio della via di Damasco), è il Signore (ossia Gesù Giosuè in quanto YHWH risorto) che accusa Saulo (il futuro apostolo) di perseguirlo, di perseguitarlo (RDP sottostante al greco). Nell'Antico, è Davide (figura di YHWH e di Gesù-Giosuè-figlio-di-Davide, secondo il midrash cristiano altisonante)

E secondo il midrash ebraico in generale (cfr. ancora una volta, i riflessi di Davide nel Cantico dei Cantici e la loro posterità letteraria nel giudaismo...).

che proferisce la stessa accusa, lo stesso sconcerto — lo stesso!

E la proferisce, addirittura, in forma interrogativa (tenuto conto del fatto che Saul-Saulo è ŜʼWL/«l'interrogato»): che logica!...

Da un lato, Atti 9:4, ecc.: «... Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?»

Dall'altro, 1 Samuele 24:14 (discorso di Davide a Saul): «... chi perseguiti?»,

Ebraico: ʼḤRY MY ʼṬH RWDP. Non mi sono sbagliato: verbo RDP.

e 1 Samuele 26:18 (interrogazione parallela, e sempre il verbo RDP).

Coincidenza? — voi sognate, storiopatici!...

Un caso, che nell'uno e nell'altro caso sia il perseguitato che interroga il persecutore? Un caso che in entrambi i casi un Saulo-Saul/ŜʼWL sia persecutore e che, viceversa, il persecutore sia, qui e lì, un Saulo-Saul? Ma no.

Gli esempi biblici di Saul persecutore di Davide sono troppo numerosi per poterli ricopiare. Percorri, lettore scrupoloso, 1 e 2 Samuele (se possibile in ebraico) e sappi scoprirli da te stesso... E non trascurare soprattutto di dare un'occhiata anche ai Salmi (in particolare 18, 52, 54, 57 e 59) perché nei Salmi (cosiddetti «di Davide, del beneamato») sono prese più volte in conto le persecuzioni di Saul (Saul non è, lo ripeto, nella Bibbia, un persecutore occasionale!)

Ma io non ho finito con il tema di Saul che perseguita Gesù-Giosuè (o YHWH risorto e i suoi fedeli, o il Signore) né con Saul che perseguita, in parallelo, Davide. — Indovinello: perché i due Saulo-Saul che non fanno che uno sono persecutori?

Per ragioni diverse, divergenti? Per niente. Nell'uno e nell'altro caso per lo stessa e unica ragione: la gelosia.

E una coincidenza (storica?) in più.

In un caso, Filippesi 3:6: «...quanto alla gelosia,

«Gelosia», greco zēlos — che rimanda all'ebraico QNʼ/«essere geloso» (più tardi: «essere uno zelota»).

(io ero) un persecutore della comunità...». — parole di Saulo, divenuto Paolo l'apostolo.

Nell'altro: molteplice descrizione di Saul che invidia Davide, la sua crisi di gelosia che si inaugura, per quanto ne so, in 1 Samuele 18:7, allorché le donne d'Israele celebrano, sotto il suo naso, le imprese del giovane rivale: «Saul ne ha percossi mille, E Davide diecimila».

Coro ripetuto — specie di filastrocca per schernire — in 1 Samuele 21:12 e 29:5.

E la gelosia di Saul è così intensa che gli causa vari accessi di follia.

In 2 Samuele 21:2, si parla della gelosia (QNʼH) di Saul come facente parte integrale della sua natura.

Le due gelosie dei due Saulo-Saul che non fanno che uno non fanno dunque che una.

In conclusione: tutto ciò che riguarda la gelosia (ebraico QNʼH) del Saul neotestamentario e la sua mania di perseguitare (ebraico RDP) risulta, per mezzo del midrash, da una lettura adempiente della Bibbia. Né quella gelosia, né quella mania, né la loro relazione sono fatti di Storia. Esse costituiscono un riutilizzo — linguistico e mistico, eterno, sacro e puramente narrativo — del gesto del Saul ancestrale. E tutti i versi degli Atti e delle Epistole che li denotano e li descrivono sono ricalchi che prendono di mira racconti risalenti di parecchi secoli prima della nostra era.  

 

Tralascio ancora per un momento il secondo scopo dei viaggi dell'apostolo (l'annuncio della resurrezione dei morti, dei suoi effetti, dei suoi supporti). Questo perché non ho terminato con la mia piattaforma fin dall'inizio: la piattaforma biografica minima di Saulo afferrata dagli storicisti. Per un minimo è così: si minimizza, la piattaforma, sempre più gravemente.

Che cosa ho eliminato? — in particolare:

Il mestiere di Saulo-Paul — perché esso è derivato solo da un gioco di parole (e la Storia e l'Evento non funzionano a colpi di giochi di parole).

Il suo pedigree — perché esso corrisponde al pedigree del Saul biblico e lo imita.

La sua condizione di cercatore di doni — perché essa risulta, in midrash, dalla ricerca, da parte di Saul, delle asine di suo padre.

La sua mania di perseguitare — perché è solo un riutilizzo testuale del testo delle persecuzioni di Saul.

Non ho perso il mio tempo. La piattaforma dei biografi si ritrova, al presente, più che incrinata: è rovinata... — Eppure non ho esaminato tutte le sue componenti, tutt'altro.

A quali dedicarmi nelle righe che seguono?

L'imbarazzo della scelta.

 

Prendete, per esempio: Che ne è della romanità di Paolo? Oserò sostenere che il Saulo biblico sia nato romano?

Apprezzate l'improbabilità del problema.

Forse.

Che ne è, innanzitutto, delle asserzioni del Nuovo Testamento sull'apostolo in quanto cittadino di Roma? Non occorre, in ciò — come nel resto! — scrutare i testi affidandosi al metodo del grosso modo.

Quanto al grosso e al modo, li abbandono ai grecisti e agli storicisti. Del Grosso e del modo, i teorici di un Paolo storico hanno l'arte.

Invito piuttosto il mio lettore a dilettarsi della propensione che hanno gli autori del corpus neotestamentario per il dettaglio — la cura del dettaglio, sempre, in loro!... e del dettaglio che è fertile e sa lasciarsi fecondare...

Riprendo quindi, senza scoraggiarmi, il dialogo di Atti 22:27-28, tra il capo dei mille

Greco khiliarkhos, equivalente quasi automatico, nella Settanta, dell'ebraico ŜR (H)ʼLP/ «capo di mille (soldati)».

In 1 Samuele si parla più volte (per coincidenza?), nei dintorni di Saul, di un «capo di mille».

e Saulo-Paolo:

«...il capo dei mille gli disse: Dimmi, sei romano? — Ed egli disse: Sì. — E il capo dei mille replicò: Nel mio caso è una grande tassa che mi ha permesso di acquistare quella cittadinanza. — E Paolo disse: Io, invece, l'ho di nascita...»

Ne deduco, d'accordo con tutti gli storici biografi di Paolo, che l'apostolo era romano.

Ma la mia deduzione è testuale mentre la loro intende ergersi nell'ambito storico e nel reale.

Certo, calpesto a cuor leggero l'impossibilità che vi è di pretendere che un Paolo storicamente ebreo di stretta osservanza sia anche riuscito, in quanto romano, a soddisfare storicamente le esigenze dei rituali pagani dell'Impero. Quella impossibilità la calpesto, non la considero nemmeno. Per timore, senza dubbio, di aggiungere del ridicolo al ridicolo dei catechisti.

Ciò che mi appassiona, per contro, è concepire perché Saulo-Paolo si proclami non romano, ma romano di nascita. Di nascita: ciò è certo. E, in effetti, testuale.

In tutti i primi capitoli di 1 Samuele, Saul è assente (fa il suo ingresso nella Bibbia ebraica solo nel capitolo 9 del libro). È assente, o meglio: è apparentemente assente.

Se non mi sbaglio, nessun versetto della Bibbia ebraica indica con precisione il luogo preciso di nascita di Saul. È lecito solo intuire (non affermare — intuire) che il re sia originario di GB ŜʼWL, nome proprio che significa «collina (oppure: altura) di Saul». (Ma questa è solo una supposizione.) Il villaggio che porta questo titolo è situato, nel territorio di Beniamino, a una decina di chilometri (?) da quello che sarà più tardi il sito del Tempio.

N.B. Ricordiamo che, in questa ipotesi, Saul è originario di una collina, di un'altura.

Apparentemente assente? — sì: perché gli scrittori del Nuovo Testamento, in realtà, lo hanno scovato lì. E forse, dopo tutto, hanno avuto le loro ragioni per procedere a quest'estrazione. — E quali?

1 Samuele 1-3 narra la nascita e la giovinezza del profeta Samuele. I suoi genitori sono Anna/NH e Elkana/ʼLQNH.

NH significa qualcosa come «piena di grazia», ​​e ʼLQNH «Dio creatore». Si comprende, in riferimento a tali etimologie, il motivo per il quale il canto di Anna divenuta madre (1 Samuele 2:1-10) ha finito, nel corso dei secoli e dei secoli, per andare a mettersi, in riutilizzo e con varianti destinate ad adattarlo al contesto, nel primo capitolo del Vangelo di Luca (inno del Magnificat, Luca 1:46-55).

E se il Magnificat è attribuito ad un'altra «piena di grazia», ​​Maria/MRYM, è perché Anna è detta, in 1 Samuele 1:10, «piena di amarezza»: ora questa «amarezza»/ MR fa subito gioco di parole con MRYM/ «Maria». Midrash.

Ma cosa significa ŜMWʼL/«Samuele»? Forse ŜMWʼL, vale a dire «il suo nome è Dio, è divino». Forse o forse no, ciò di cui sono sicuro è che l'etimologia del termine non ha nulla a che vedere con quella che ci propongono e ripropongono i primi capitoli del libro del profeta. Infatti:

Essendo Anna/NH sterile, lei desidera la maternità. Una volta ottenuta — con il contributo divino —

Cfr. Gesù-Giosuè neonato, figlio di Maria (colei che fa gioco di parole con l'amarezza di Anna, colei che, come Anna, è piena di grazia), grazie all'aiuto dello Spirito Santo. Tuttavia, proprio come il nome di Samuele, quello di Gesù-Giosuè non potrebbe essere più divino...

lei genera un Samuele; e la nascita felice e inaspettata la ispira diversi giochi di parole su, non Samuele, ma... Saul/«il domandato»/ŜʼWL! Bizzarro...

Verifica? — 1 Samuele 1:17: il sacerdote Heli, prima della concessione, disse ad Anna: «... che il Dio d'Israele esaudisca la tua richiesta/Ŝ(ʼ)LK che gli hai domandato/ŜʼL...».

Stile normale, in ebraico. Stile, sotto il suo greco, del Nuovo Testamento.

In 1:20, il difetto dell'etimologia è lampante: «... e concepì un figlio alla fine dell'anno e lei lo chiamò

Sempre lo stile che si ritrova nel corpus cristiano. Lo stile, inoltre, delle nascite evangeliche.

Samuele,

«Samuele»/ŜMWʼL, ripeto, non ha linguisticamente nulla a che vedere né a che fare con «Saul»ʼWL (quest'ultimo solo essendo dalla radice ŜʼL/«domandare»).

perché a YHWH io l'ho domandato/ŜʼLYW».  In 1:27, di nuovo: «... ed egli mi ha esaudito, YHWH, la mia richiesta/ŜʼLY che io gli ho domandato/ŜLŢY...». Culmine: in 1:28, il figlio di Anna beneficiato del titolo di ŜʼWL LYHWH, «il domandato da Dio, il domandato da YHWH»!

Ogni volta, l'etimologia del figlio di Anna risale a ŜʼWL/«Saul» («il domandato»), mai a ŜMWʼL/«Samuele» (ossia, «divino è il suo nome»).

Ma il contesto — a parte i giochi di parole che cito — indica effettivamente che Samuele è il figlio di Anna!

E tutti i termini ebraici che ho appena traslitterato sono, in realtà, semplici derivati della radice ŜʼL/«domandare», la radice di Saul. Nessuno di essi punta a Samuele.

Peggio ancora: nell'inno di Anna che segue (2:1-10),

L'inno che plagia, tramite midrash, il Magnificat della Maria evangelica.

non solo il gioco di parole si riferisce a Saul (ignorando Samuele), ma rimbalza sullo Sheol! Al versetto 6 si legge: «... YHWH fa morire e fa vivere;

Vale a dire: è un resuscitatore, secondo l'interpretazione giudeo-cristiana primitiva.

fa cadere nello Sheol

Lo Sheol essendo, tra gli ebrei, il luogo dove finiscono e languono i defunti.

e (vi) fa (ri)salire...».

Ma lo Sheol è, in ebraico — e senza articolo precedente —, ŜʼWL: è la stessa parola di «Saulo-Saul»! — Tutto l'inno di Anna ruota quindi, anch'esso, attorno a Saul (e al suo omonimo, lo Sheol), e non comporta alcun legame con colui di cui è ritenuto cantare la nascita, il felice avvento: Samuele.

Ne deduco

Senza poter insistere e senza decidermi — perché solo l'apostolo Paolo mi interessa, e per nulla, qui, la fabbricazione dei versetti della Bibbia.

che l'apertura del primo libro di Samuele riguarda la nascita e la giovinezza (infanzia) non di Samuele ma di Saul.

Di Saul che, giochi di parole a parte, è assente dal testo. Terribile Bibbia...

Ne deduco? Ma no: quella deduzione non è la mia; è quella dei cristiani primitivi e, tra loro, degli scrittori del Nuovo Testamento. Sono loro che deducono: non io.

 

Una serie di fatti (non fantasie, ma fatti testuali) mi obbligano ad ammettere che quella deduzione era in effetti la loro. E in mezzo a questi fatti, due ne scaturiscono — che sono decisivi:

Attenzione... Mi dilungherò. (E Saulo-Paolo l'apostolo vi guadagnerà).

1. da una parte, la romanità di Paolo — o, più strettamente, la sua romanità «di nascita»:

Perché, se il Saul che inaugura il suo percorso biblico in 1 Samuele 9 non possiede alcun luogo nativo definito, certo, esplicito, il Saul a cui Anna (sua madre?) affibbia giochi di parole sulla radice ŜʼL/«domandare» mentre egli è un Samuele e un estraneo a detta radice, questo Saul qui, dico, ne possiede, invece, uno. E questo è RMH/«Rama».

In 1 Samuele 1:19 e 2:11, è detto esplicitamente che Anna ed Elcana, genitori di Samuele (detto altrimenti, giochi di parole presi in conto, di Saul!), hanno RMH/«Rama» per dimora.

E questo si situa, nella topografia biblica, nel territorio di Beniamino,

Come per caso... Di Beniamino... Mentre Saul è di Beniamino. 

E RMH/«Rama» significa, come per caso, «l'altura, la collina»: ma ricordatevi, Saul il re sembra biblicamente originario di GBᶜṬ ŜʼWL. ossia della «Collina — o Altura — di Saul»!

a qualche miglio a nord di Gerusalemme (della futura Gerusalemme). RMH/«Rama» è di conseguenza, in 1 Samuele, una città — un villaggio — di Palestina.

Ebbene, per i cristiani giudeo-ebrei primitivi e per gli scrittori neotestamentari, la RMH/«Rama» di Samuele-che-non-è-altro-che Saul, non è altro, qui, che una designazione criptica (profetica!) di Roma! Per mezzo del midrash, in disprezzo totale della storia

Non vi siete lasciati dire che Saul ha regnato nell'XI° secolo, mentre la fondazione di Roma risale, invece, all'VIII° secolo?

e della geografia,

Sembrerebbe che Roma sia in Italia e Rama in Medio Oriente — non è vero, amanti del vero?

con la sola preoccupazione della mistica, dell'escatologia, in una prospettiva eterna, in compimento della Bibbia ebraica, i cristiani primitivi ragionavano nella maniera seguente:

a) i giochi di parole di Anna (madre, secondo il contesto, di Samuele) vertono su Saul e non su Samuele;

b) il figlio di Anna non è dunque Samuele, in fondo, ma Saul;

c) ma Samuele nacque a RMH/«Rama»;

d) quindi Saul, che è Samuele, è nativo di RMH/«Rama»;

e) ma RMH/«Rama» è Roma;

f) dunque Saul è romano.

Il tutto, insisto, nel profondo: nel profondo del testo biblico.

E perché, quindi, in fin dei conti? — Perché in ebraico RMH/«Rama» e R(W)Mʼ (o RWMH)/«Roma» sono, per approssimazione delle radici, una sola e stessa parola.

Ed è così che Saulo(-Paolo) l'apostolo, compimento di Saul, è diventato, nel Nuovo Testamento, un romano «di nascita». Meraviglia.

E non immaginate che l'attualizzazione dei nomi propri biblici sia un metodo esclusivo dei cristiani primitivi. Tutta la letteratura farisaica legge, ad esempio, sotto le espressioni bibliche ʼDWM (o ʼDM)/«Edom» o c ŜW/«Esaù», ecc., allusioni al paganesimo romano — mentre questi termini (e i loro simili) ricorrono nel Pentateuco! E in date, di per sé, molto precedenti e in regioni, di per sé, molto estranei alle manovre aratorie di un Remo o di un Romolo...

Non perduto, lettore mio? — Mi accingo ad esaminare il secondo fatto che mi indica e mi costringe ad ammettere che i cristiani degli inizi leggessero infatti in 1 Samuele 1-3 — mediante giochi di parole interposti — la nascita di Samuele come se fosse quella di Saul; e questo fatto è:

2. il fatto (testuale) che Saulo-Paolo l'apostolo pretenda di essere stato «formato ai piedi di Gamaliele»:

Il riferimento è allora Atti 22:3.

Prima, una curiosità: il verbo che precede, anatrephō/«allevare», in «essendo stato allevato in quella città» (sempre al versetto 3, e sempre a proposito di Saulo-Paolo). Ne ho bisogno per la mia dimostrazione.

Anatrephō, «allevare» (qui al passivo: «essere allevato»), occorre solo quattro volte nel Nuovo Testamento. È poco. Peggio ancora: non ho il diritto di retrovertirlo al suo originale ebraico, perché non figura, per quanto ne so, né nella Settanta né nelle versioni greche (bibliche antiche) concorrenti, come l'equivalente di qualsiasi verbo semitico.

Da subito, anatrephō mi blocca.

Fortunatamente per me, in compenso, ricorre due volte, in Atti 7:20-21, a proposito di Mosè; ed è proprio quella duplice ricorrenza a salvarmi. — Atti 7:20: «... Mosè è stato... allevato tre mesi nella casa di (suo) padre...»; Atti 7:21: «... la figlia del faraone lo ha... allevato come proprio figlio...». In entrambi i casi, infatti, il nostro anatrephō/«allevare».

Facilissimo: apro il libro dell'Esodo e vi cerco, nei capitoli 1 e 2, quale sia il verbo ebraico che corrisponde al greco «allevare» degli Atti: quale ne sia, dunque, l'originale.

Eccolo, ce l'ho:

Esodo 2:7-9:

«...e sua sorella disse alla figlia di Faraone: Devo andarti a chiamare una nutrice (verbo YNQ)... che possa allevare (verbo YNQ) per te il bambino?...». E, più oltre, una volta trovata la nutrice: «... e le disse la figlia del faraone: ...questo bambino, allevalo (verbo YNQ) per me. — E la donna prese il bambino e lo allevò (verbo YNQ)...».

Coloro che, nell'Antichità, hanno fatto abbandonare agli Atti degli Apostoli il loro ebraico originale e li hanno tradotti in greco, vi hanno sostituito il verbo YNQ/«allevare» con anatrephō (stesso significato) a proposito di Mosè. Ne deduco, con una minima possibilità di sbagliarmi, che questo processo di travasamento è stato lo stesso quando si è trattato per loro di passare dall'ebraico «allevare» al greco «allevare» di Saulo-Paolo apostolo (in Atti 22:3).

In Atti 22:3, giusto prima della menzione di Gamaliele che aveva formato Saulo-Paolo, bisogna quindi ritenere che figurasse, nell'ebraico, il verbo YNQ: «allevare», nell'espressione «allevato in quella città», proveniva di conseguenza, all'origine, dalla radice YNQ.

Quindi da qui: vi era di conseguenza, lato a lato nel testo semitico originale, sia YNQ/«allevare» che GMLYʼL/«Gamaliele» in questo punto. Molto interessante. — Tengo questo per acquisito; non lo ignoro; passo ad altra cosa.

Cosa significa, ora, «Gamaliele»/GMLYʼL?

Non domando chi fosse Gamaliele il Vecchio (a ciò si occupano gli storicisti...): interrogo l'etimologia – manifesta, evidente – di questo nome.

Il nome è composto da ʼL/«Dio»

Le persone che lo intendono fanno entrare i nomi propri contenenti l'uno o l'altro dei nomi di Dio (sia YHWH, sia ʼL, ecc.) — nomi molto comuni in ebraico, e di cui il primo biblico è «Gesù-Giosuè-Dio salvatore» — nella categoria dei termini «teoforici» (cfr. sul loro argomento il vostro dizionario abituale).

Al contrario di YŜW/«Gesù-Giosuè-Dio il Salvatore», ŜʼWL/«Saulo-Saul» non è un teoforo. È lecito talvolta permettersi di usare vocaboli eruditi. Ciò scimmiotta l'Università.

e dalla radice del verbo GML. E cosa vuol dire GML? Facile:

Esistono, nella Bibbia ebraica (tutti i libri confusi), una quarantina di occorrenze di GML in quanto verbo.

P.S. Non confondere GML, verbo, con GML, sostantivo. Il sostantivo GML è «il cammello».

«fare del bene o del male a qualcuno, ricompensare, punire», da una parte,

In questo caso, GMLYʼL/«Gamaliele» vorrebbe dire qualcosa come «Dio è causa del bene e del male».

ma anche, d'altra parte, «svezzare (un bambino)».

In questo caso, GMLYʼL sarebbe «Dio ha svezzato, Dio reso maturo».

Sempre più interessante. — In Atti 22:3, si accostavano, in origine (in semitico), il verbo YNQ/«allevare» e il verbo GML/«svezzare» — e questa combinazione si accostava a Saulo-Paolo.

Non un qualsiasi Saulo-Paolo: un Saulo-Paolo in procinto di evocare la sua nascita e la prima infanzia.

Un ingenuo — o un disonesto? — storico-ecclesiofilo giurerà che quella prossimità di questi termini corrisponde all'Evento. La mia ingenuità invece mi sussurra all'orecchio che, se tale combinazione vi è, è perché essa corrisponde all'inizio (biblico) di 1 Samuele. Midrash. Ancora e sempre il midrash. Midrash, qui, sulla prima infanzia di Saul.

Prima infanzia che è proprio quella di Saul, e non di Samuele: i cristiani primitivi prendono molto sul serio i giochi di parole di Anna. — E prima infanzia che è quella di un originario di RMH — di Rama diventata Roma. Oh, il midrash cristiano sta in piedi.

 Traduco 1 Samuele 1:21-23:

Elcana, padre di Samuele (padre di Saul secondo i cristiani primitivi) essendosi andato poco dopo la nascita di suo figlio:

«... Anna non salì,

Vale a dire: non accompagnò suo marito.

perché aveva detto a suo marito: Una volta che il bambino sarà svezzato (verbo GML)...  Così la donna rimase sola e allevò (verbo YNQ) suo figlio finché non lo ebbe svezzato (verbo GML)...».

Due o tre versetti prima di questo passo, e due o tre dopo, Anna fa giocare l'etimologia di ŜʼWL/«Saul».

Da questo esame concludo che la relazione esistente, nella Bibbia ebraica, tra YNQ/«allevare» e GML/«svezzare» e ŜʼWL/«Saul» è la fonte midrashica sia di Saulo-Paolo «allevato in quella città» sia di Saulo-Paolo «formato ai piedi di Gamaliele»: i due temi di Atti 21:3 sono quindi solo adempimenti (nel linguaggio... non nella Storia...) dell'inizio del primo libro di Samuele.

Da nessuna parte nella Bibbia ebraica esiste un legame tra GML, YNQ e ŜʼWL («svezzare», «nutrire» e «Saul» — ossia «Saul, il domandato»): da nessuna parte salvo... in 1 Samuele 1. E da nessuna parte nel Nuovo Testamento: da nessuna parte salvo... in Atti 22:3. — Chi dice meglio?

Neppure la minima traccia, in questo parallelismo, di un briciolo di Storia.

È piuttosto difficile esprimere in chiaro e in francese le sottigliezze ebraiche del lavoro ebraico (cristiano o no) sul linguaggio. Riassumo quindi i miei passi precedenti:

1. I giudeo-cristiani primitivi inventano, per ragioni che mi guardo bene, fin qui, dal rivelare, un personaggio chiamato Saulo/ŜʼWL, personaggio che non è altro, dapprima,

Innanzitutto! E non: unicamente Per il seguito, attendete.

che il Saul biblico.

Come Gesù, Saulo-Paolo è inventato solo nel senso in cui si dice di un sito archeologico che è stato «inventato»: né Gesù né Paolo sono individui storici; ma né l'uno né l'altro sono creazioni di sana pianta: derivano dalla Bibbia; sono nella Bibbia. Essi sono biblici.

 2. Su questo Saulo che non è altro che Saul, decisamente accollano, per mezzo di midrash, fatti narrativi

Narrativi — non fattuali. Narrativi in quanto escatologici: e in quanto adempimenti.

ispirati uno a uno, e secondo metodi vari e logici, alla Bibbia ebraica.

3. Questa derivazione e questo midrash si sviluppano in due maniere: sia per mezzo di giochi di parole — ed è così che Saulo l'apostolo è interrogato, che fabbrica le tende, eccetera — sia per mezzo di riutilizzo di termini e di formule che inquadrano, nella trama ancestrale del racconto biblico, il Saul nascente e il Saul bambino

Saul essendo bambino, abbiamo appena capito perché — giochi di parole (biblici) a sostegno , il piccolo Samuele, figlio di Elcana e Anna.

Infatti la mia dimostrazione, ce l'ho: è verissimo che i cristiani primitivi hanno proceduto ad un'identificazione di Samuele bambino con Saul. All’inizio di 1 Samuele, essi hanno visto Saul nutrito, Saul svezzato, e Saul nato a Rama – il che dà, nel Nuovo Testamento: Saul nutrito (semplice riutilizzo), Saul da Gamaliele (da Dio in quanto egli pratica lo svezzamento) e Saulo cittadino di Roma (Rama che diventa Roma — per attualizzazione). — Ma sì: la manifestazione annunciata ha avuto luogo: e al completo. Così hanno in realtà proceduto i cristiani...

e il Saul adulto.

Senza giochi di parole, la tecnica del riutilizzo fa dell'apostolo Saulo-Paolo un allievo di Gamaliele e un allevato, un beniaminita, un figlio di Israele, un cercatore di doni,

La ricerca paolina (sauliana...) dei doni non è derivata da un gioco di parole ma dal semplice duplice significato (biblico) di ʼṬN(W): «asine» e «doni».

un Romano, un persecutore e un geloso (un persecutore per gelosia), un ebreo che attraversa e viaggia, ecc.

 

Posto ciò  — e compreso ben compreso — e posto fuori dalla Storia, in compimento della Bibbia, nell'escatologia, se il mio lettore si figura che l'abbozzo di riassunto che ho appena tratteggiato chiuda il mio campo di ricerca, si sbaglia. Perché sono ancora lontano dall'aver terminato i cosiddetti fatti cosiddetti biografici-reali del cosiddetto storico cosiddetto Saulo-Paolo apostolo.  Me ne mancano alcuni, pensate... E la loro giustificazione.

Barzelletta — che dilungo (dopo secoli di bugie mi permetto dilungaggini...): la piattaforma biografica minima, sulla quale concordano i nostri grecisti storiopati, non esiste più. Non è, radicalmente, più. Bruciala...

(Tono grave solenne:) Nessuno ormai ha il diritto di pretendere che «siamo informati su Paolo meglio di qualsiasi altra figura della prima generazione cristiana» (M. Simon, già citato); o di ronfare, alla maniera della nostra  enciclopedia olandese di poco fa, sulle «fonti della vita di Paolo»; oppure, come mi accorgo anche in dizionari ebraici recenti, di fornire le date («presunte»... beccatevi l'eufemismo...) della nascita e della morte dell'apostolo fantasma... Nessuno! — Perché, per quanto riguarda l'informazione, l'appello a fonti vissute, e la cronologia, e il fatto vero, gli specialisti del cristianesimo antico ci hanno sufficientemente ingannato: a cuccia! E con loro, nel cestino, i biografi dei fatti di Gesù! — Esiste, infatti, del fatto di Paolo o di Gesù, solo il fatto del midrash: la narrazione che si estrae dalla narrazione. Per la massima gloria, come pensavano i cristiani primitivi, della lingua sacra (e ritenuta da loro tale): l'ebraico. L'ebraico ben informato!... E non la patetica ossessione, all'indoeuropea, per la reale realtà.

Qualche inezia. Qualche aggiunta — storia (il caso di dirlo...) per completare la mia panoplia di coincidenze. E vado veloce.

 

1. Quando egli è legato

Sui legami di Paolo, ritornerò.

e interrogato, l'apostolo non cessa di essere rinchiuso e custodito in una parembolē.

Riferimenti: Atti 21:34 e 37, 22:24, 23:10 (e 16 e 32), 28:16. Ne dimentico qualcuno?

Parembollē è, in (buon) greco, «l'azione di collocarsi, di interporsi, di inserirsi»; in linguaggio militare, il termine significa: «azione di mischiare ausiliari alle truppe regolari, azione di prendere il proprio posto in un campo».

Quando Paolo è sorvegliato, più volte nel corso del Nuovo Testamento, in una parembolē, non lo si chiude certo in un'azione di intermezzo. Assurdo.

Nel (cattivo) greco della Settanta, così come nelle versioni concorrenti, il termine è prevalentemente l'equivalente dell'ebraico MNH.

E questo, in decine di versi.

In 1 Samuele, l'equivalenza è assoluta.

Ma MNH vuol dire «il campo, la fortezza».

Come diavolo fanno gli autori delle versioni moderne, francesi, inglesi, tedeschi, ecc., del Nuovo Testamento, a rendere, da grecisti (puri e duri), parembolē con «fortezza»? Avrebbero dei punti deboli? Invece, ciascuno al proprio greco, di consultare i dizionari greci, non sarebbero in procinto di retrovertere? Di riferirsi ai legami greco-ebraici della Settanta? (Perché, lo ripeto, in greco greco, parembolē non è mai una «fortezza»!)

E MNH/«il campo» — quello dei Filistei combattuti da Saul o quello di Saul stesso — vi è spesso utilizzato in relazione col re biblico. Spesso? No: più spesso. Quasi sempre.

Conclusione: per mezzo di midrash, non è sorprendente che lo stesso campo (o la stessa fortezza) circondi narrativamente il Saulo-Paolo neotestamentario e il Saul biblico: riutilizzo normale. Gli utensili dell'Antico Testamento passano, attraverso la parola cardine ŜʼWL/«Saulo-Saul», nel Nuovo.

2. In Atti 23:16, è uios tēs adelphēs Paulou/«il figlio della sorella di Paolo» ad occupare il centro della scena.

Sul figlio della sorella di Paolo gli storiofagi si sono a lungo rovellati. Con lui i nostri biografi dell'apostolo toccano la famiglia. È un bene se, sull'esempio di Gesù che brandisce la pialla sul suo banco da carpentiere, non ci propongano un Paolo che rammenda i materiali da campeggio facendosi aiutare dal nipote (immagine à la Proudhon: l'icona, come se si fosse lì, dell'artigianato!)...

Il nipote arriva al momento giusto — e non per simulare tre piccoli numeri e poi andarsene: per, testualmente, «far sapere».

Atti 23:16: il nipote di Saulo l'apostolo sente parlare di un agguato; egli entra nel campo

La nostra parembolē/MNH/«fortezza» di cui sopra.

N.B. MNH fa gioco di parole con NH/«Anna», madre di Samuele (di Samuele bambino preso per Saul dal midrash cristiano primitivo).

e divulga (fa sapere) la cosa a suo zio.

Versetto che segue: ci è ripetuto che il nipote è lì per «annunciare», per far sapere.

Versetto 19: si domanda al ragazzo cosa ha da «annunciare» (da far sapere).

Perché tutti gli «annunciare» del brano (verbo greco apaggelein) rimandano — sempre tenuto conto degli usi della Settanta e delle sue rivali — all'ebraico NGD (voce hifil, «far sapere»).

P.S. Si intende per «voce hifil» si intende la forma causativa del verbo ebraico; così ʼMR/«egli dice» ha per hifil HʼMYR/«egli fa dire, egli fa che un altro dica».

In 20 e 21, il ragazzo racconta il complotto che si trama contro l'apostolo. E in 22 gli si ordina di non diffondere la notizia: «... non raccontare a nessuno che mi hai informato...».

Dialogo che ha luogo tra il nipote e il capo dei mille (il khiliarkhos — ebraico ŜR ʼLP — già da noi incontrato).

Il nipote dell'apostolo svolge quindi il ruolo di un informatore. Egli è legato al verbo «far sapere».

Ciò detto: Perché, nel Nuovo Testamento, l'irruzione di un nipote di Saulo-Paolo?

Per rispondere a quella (legittima) domanda, me ne pongo altre due — due adiacenti:

a) Quale è, in ogni lingua, il contrario di un nipote? — uno zio.

b) Quale è, in ogni lingua, il contrario di informare, di annunciare, di far sapere? — domandare e lasciarsi (o farsi) informare.

Benissimo. Trattengo le due inversioni e domando: esiste, nella Bibbia, un personaggio che sia, attorno a Saul, nel contempo uno zio (il contrario di un nipote) e qualcuno che domanda e si fa informare (il contrario di un annunciatore)?

Se la risposta è sì, le possibilità dello storico sono K.O.!

Sì: esiste.

E le possibilità dello storico: K.O.

Consulto 1 Samuele 10. Il capitolo continua con l'unzione di Saul, poi con gli asini (ritrovati), poi con un corteo di profeti, poi con Saul che profetizza... E stop: tutto di colpo, senza transizione, la apparizione inaspettata di uno zio di Saul.

Ebraico DWD ŜʼWL (1 Samuele 10:13-16): «lo zio oppure: uno zio – di Saul». L'espressione e il personaggio non si ritrovano, che io sappia, in nessun'altra parte della Bibbia.

E cosa fa questo zio (questo nipote al contrario)?

Se fa il contrario di quello che fa il nipote di Saulo-Paolo sul posto, le possibilità della Storia sono di nuovo K.O.

Esattamente il contrario di quello che fa il nipote di Saulo-Paolo negli Atti: non informa — si informa; non dà da sapere — domanda: vuole che lo si istruisca.

Di nuovo K.O., infatti, le possibilità...

Verifica? — In 1 Samuele 10:14, lo zio di Saul (DWD ŜʼWL) interroga; in 10:15, si legge: «e disse, lo zio di Saul: fammi sapere...».

E qui: esattamente il verbo NGD, quello che funziona sotto il greco apaggelein incontrato nell'episodio (neotestamentario) del nipote di Saulo l'apostolo (NGD, voce hifil, «far sapere» — greco apaggelein).

 Il nipote neotestamentario non è quindi, per midrash, che un riutilizzo (invertito) dello zio del Saul biblico: riutilizzo invertito, in uno scopo invertito.

Relazione zio/nipote; relazione annunciare/farsi annunciare.

E la seconda relazione ruota, nella base ebraica di Atti 23:16 e seguenti come nell'ebraico di 1 Samuele 10:14 e seguenti, attorno al verbo NGD/«far sapere»: è NGD che fa da perno all'inversione di cui parlo, ed è NGD che giustifica il midrash cristiano in questo punto.

E questo riutilizzo è così vero, così manifesto, che l'uscita dello zio del Saul biblico è anche l'inverso simmetrico di quella del nipote neotestamentario di Saulo-Paolo. I due individui lasciano i loro episodi rispettivi in una maniera che è, allo stesso tempo, la stessa e l'opposta.

Mi seguite?

Nel primo caso, 1 Samuele 10:16: allo zio (di Saul) non si racconta niente. Nel secondo caso, Atti 23:22: al nipote si ingiunge di non raccontare niente. Del simmetrico, e del contrario.

E, al riguardo, esce per sempre lo zio — ed esce per sempre iI nipote. L'uno di Saul, l'altro di Saulo (l'uno dai capelli bianchi, l'altro dai capelli neri).

Conclusione: il nipote di Paolo l'apostolo (di Saulo) non è che un nipote midrashico; non ha alcuna connessione con alcun evento vero degli storici. Mai visse (nel I° secolo o altrove) un figlio della sorella di Paolo. Triste: esce una porzione della famiglia affettiva dell'apostolo.

Saulo-Paolo agisce, nel Nuovo Testamento, in quanto inverso di un personaggio dell'Antico. E vi agisce all'inverso, anche, di questo personaggio. Un tale midrash, che scelgo di battezzare midrash inversivo, non è raro nella letteratura ebraica. Il miglior esempio ne è, se non mi sbaglio e se ho buon gusto, il libro (biblico) di Ester. Ester e Mardocheo, figure mitologiche pagane (Ishtar e Marduc), si trasformano nei loro contrari: in ebrei e in eccellenti ebrei — in modelli di giudaismo. E l'inversione prevale anche su Assuero — re odiato (quel tipo di notabile che i Talmud tormentano con la celebre formula «E che le sue ossa marciscano!») — al punto da assicurargli il ruolo, nel libro, di un monarca divino e giusto. — L'inversivo del midrash cristiano primitivo non ha dunque nulla di marginale o di eccentrico: appartiene alla mentalità degli scrittori ebrei; gli è normale.

Ometto il tema del Saulo-Paolo combattente — tema derivato dalle guerre di Saulo —, e arrivo a un'altra inezia della pseudo-biografia dello pseudo-apostolo. Inezia che è:

 

3. Che lo si accusi, da qualche parte, di follia.

Il ricorso alla follia è, del resto, costante nelle epistole cosiddette paoline: cfr. se non altro 1 Corinzi 4:10. L'autore delle Epistole arriva fino a parlare della crocifissione come di una follia (1 Corinzi 1:18-23). — Ma passo avanti, siccome mi interessa solo l'aspetto biografico dell'apostolo — e non il ragionamento messo, pseudoepigraficamente, sotto la sua penna.

I riferimenti, a questo proposito, sono:

Atti 26:11: se Saulo-Paolo (prima della sua via di Damasco) è un inseguitore-persecutore, è perché è folle:

Così facendo, non lo anima unicamente la gelosia (studiata più sopra e riferita, per midrash, a quella di Saul), ma anche la follia.

«...sempre più folle/emmaïnomenos, li perseguitavo...»

Atti 26:24-25: Festo, rivolgendosi all'apostolo, gli grida: «...tu sei folle/maïnē, Paolo!...»

E vedete il seguito: «...i troppi libri (ebraico KBYM) ti hanno spinto alla follia (eis manian — ebraico ŜG)...».

Saulo-Paolo è dunque detto folle a causa dei libri: sarà a causa dei libri biblici? A causa di ciò che vi è scritto? E non si tratterebbe, qui, non di «troppi libri» ma di KBYM RBYM, di «grandi libri» – di libri sacri?

A cui si aggiungono, per esempio, 2 Corinzi 11:21 («...è da folle ch'io parlo...» — esclamazione dell'apostolo) e 11:23 («...parlo da folle...»), eccetera.

Donde le follie dell'apostolo Saulo? Da dove provengono?

Follia di prima e follia di dopo, la via di Damasco.

Risposta: dalla Bibbia — dai libri di Samuele — dalle follie di Saul.

Dei libri appunto!

Ho sottolineato sopra che Saulo-Paolo il persecutore, l'inseguitore, perseguita e insegue per gelosia, e che la gelosia che lo anima procede da quella di Saul che dà la caccia a Davide perché lo invidia. Ebbene, Saul è inoltre, nella Bibbia, unico grande personaggio che ha crisi di follia.

Un caso di rabbia all'attenzione degli attenti al fatto reale!

In 1 Samuele 16:14, Saul è la preda di un demone (di una RW RH — di uno «spirito maligno»); in 18:10, egli riprende a delirare;

A causa, questa volta, di un RW ʼLHYM RH (di uno «spirito maligno divino»).

e di nuovo delira in 19:9: lo rifà, il Saul...

E la cosa curiosa della vicenda è che le crisi di Saul sono nel contempo provocate dalla sua gelosia nei confronti di Davide,e calmate da Davide (da Davide che gli suona l'arpa). La curiosità della vicenda è così curiosa che il midrash cristiano primitivo la vede e se ne appropria: il Saulo neotestamentario è folle sia prima della sua via di Damasco (in quanto quindi inseguitore del Signore) sia dopo (una volta che il Signore lo ha afferrato col suo felice messaggio).

Conclusione, in ogni caso: il tema neotestamentario della follia di Saulo-Paolo l'apostolo e tutte le sue ramificazioni non sono nient'altro che effetti di midrash. — Saulo-Paolo è Saul, e la follia dei due è una.

 

4. Il mio punto 4 si situa nel prolungamento del precedente e lo amplia. Spero che tormenterà gli storicisti.

Sono appena ricorso ad Atti 26:24-25 e a Festo che apostrofa l'apostolo e lo tratta da pazzo. Non sono ricorso abbastanza.

È perché il capitolo 26 degli Atti contiene il nocciolo del midrash cristiano su Saul e della sua fabbricazione di Paolo. Vi si riversa, attinto da vari orizzonti biblici, tutto un assortimento di dati che hanno una relazione con ŜʼWL/«Saul».

La scena si svolge in presenza di Agrippa II, di Berenice (sua sorella e amante o moglie) e di Festo. Non mi sorprendo della presenza dei tre personaggi;

Il midrash ebraico, ad ogni epoca (e, di conseguenza, il midrash cristiano primitivo), ama appoggiarsi agli individui — costoro storici (anche se deformati...) — del momento (anche se, appunto, il più delle volte, per schernire, sul loro conto, la Storia). Cfr. i Targum e il loro aggiornamento dei testi molto prima del tempo in cui sono composti; cfr. i vari midrashim e il loro modo, mistico ed eterno, e presumibilmente edificante, di riscrivere la Storia e di giocare con essa giocandosene; e cfr. i Talmud.

mi riguardano esclusivamente il contenuto e le parole del capitolo.

È da secoli che i biografi di Paolo hanno nutrito dubbi quanto alla plausibilità storica dell'episodio e della conferenza. Io invece, la scena, la trovo — in midrash — molto sostenibile... Poco importava ai suoi scrittori di costruire con verosimiglianza o meno un colloquio Saulo-Festo-berenice-Agrippa: ciò a cui miravano era la fecondità dell'incontro e il suo derivato biblico.

(Il mio lettore trova verosimile il libro di Giona o quello di Ester?...)

Primo punto del discorso di Saulo-Paolo: la resurrezione dei morti;

La propagazione del tema della resurrezione, delle sue verifiche, delle sue conseguenze, del suo sostegno, è, l'ho detto, il secondo obiettivo dei viaggi e degli sforzi di Saulo-Paolo. — Perché? — Continuo a sospendere questo problema.

versetto 8, per esempio:

«...perché ritenete incredibile che Dio faccia resuscitare i morti?...»

Alzarsi = resuscitare (espressione ebraica che va da sé — in greco la frase è senza senso). E: essendo Saulo-Paolo, mediante lettura attiva della Bibbia, solo una resurrezione di Saul, il versetto, ne converrete, non manca — oramai! — di peso.

Secondo punto: l'apostolo ricorda che è stato un inseguitore.

Midrash (su Saul persecutore).

Terzo punto: racconta la sua via di Damasco.

E la via di Damasco? Non bisogna affatto che io la dimentichi... — Pazienza.

Quarto punto: evoca l'atteggiamento che fu il suo dopo la sua conversione e da allora.

La maggior parte del capitolo ruota dunque su un discorso dell'apostolo. Il mio problema: quale legame vi è tra i quattro punti? e perché si susseguono nell'ordine in cui si susseguono?

Tra loro, sappiamo già che il secondo è un riutilizzo di Saul persecutore.

Se sono incapace di risolvere quel duplice enigma, il testo stesso si impegna a supplire alle mie mancanze. Perché:

A partire dal versetto 24, la discussione si inaugura tra Festo (che tratta Saulo-Paolo da folle),

Follia che si appoggia ai «libri» (sacri?); follia che è, in ogni maniera, quella del Saul biblico: una follia in riutilizzo.

Nel Midrash Rabbah (Ecclesiaste Rabbah 10:20), il motivo della follia di Saul è messo in connessione con Salmi 7:1: «ŜGYWN di Davide, che canti a YHWH a proposito di Cus il Beniaminita...» Nel salmo non si parla da nessuna parte di follia né di Saul. Per quale motivo, pertanto, nel midrash una tale connessione? — Grazie ad un gioco di parole, il midrashista legge «Saul» sotto «Kush il Beniaminita»: da una parte, secondo lui, Saul è di Beniamino, ma soprattutto: per lui esiste un'identità tra KWŜ, presente nel salmo, e il BN QYŜ/«figlio di Chis» che è, in 1 Samuele 9, il re Saul. Gioco di parole, dunque, su KWŜ/QYŜ (mentre, di per sé, le due parole non contengono alcuna specie di relazione reciproca). Poi il midrashista legge, al posto di ŜGYWN — termine musicale che indica una sorta di inno —, ŜG WN/«follia». E le due analisi alle quali sottopone il Salmo 7:1, permettono al virtuoso di leggere il versetto nella maniera che segue: «Follia di Saul sulla quale Davide compose questo canto...», e di far produrre al detto canto assiomi su Saul e sulla sua regalità che non vi figurano. — Così opera il midrash ebraico...

(Vedete in questo processo una differenza con i metodi che usano i cristiani primitivi?...).

Agrippa (che rifiuta di farsi «cristiano»)

Khristianos/«cristiano» — termine che mette in gioco la parola MŜY/«Cristo messia». Il messia del messianismo – non l'«unto» delle preistorie del giudaismo.

e Saulo-Paolo che, invece, si appella... ai profeti!

Non alla Storia! Ai Profeti!

Versetto 27:

«...hai fede nei profeti, o re Agrippa? So che ci hai fede...»

L'idea (l'idea — non l'evento) secondo la quale il Cristo sia risorto dai morti è, per il Paolo messo in scena nel capitolo degli Atti, una derivazione delle profezie della Bibbia — e niente di più. (Ciò conferma i miei precedenti studi su Gesù). Il midrash cristiano primitivo — il midrash che è il cristianesimo primitivo ebraico — si dà come tale: non nasconde il suo gioco. Eppure, i catechisti di oggi e di ieri, invece, non vi vedono nulla.

  Ma c'è di meglio. La discussione. E, nel mezzo della discussione, il versetto 29.

Dopodiché nel versetto 23 si parla del cristo/MŜY: e di un cristo che «annuncia/ha annunziato/annuncerà la luce a questo popolo e alle nazioni». Di un cristo che, di conseguenza, adempie la stessa funzione di quella neotestamentaria toccata a Saulo-Paolo (una volta superata la tappa della via di Damasco). Ciò lo trattengo: il versetto 23 suggerisce un parallelismo tra Saulo Paolo e il Cristo-Messia (in ebraico: tra ŜʼWL e MŜY). — Ma parallelismo non è identità. Da vedere!

Versetti 27-28:

«...hai fede nei profeti, o re Agrippa? So che ci hai fede!

Il rapporto tra Saulo-Paolo e i profeti (ebraico NBYʼYM) deriva dalla Bibbia. E non si accontenta di derivarne solo perché Saul è trattato dai libri (biblici) di Samuele il profeta. Infatti: in 1 Samuele 10, avviene il primo incontro di Saul divenuto re ha luogo con un «coro di profeti» (10:5 e 10); e Saul, subito, diventa pure lui un profeta (10:11-12).

Quando Saulo-Paolo domanda ad Agrippa di avere fede nei profeti, non gli domanda uicamente di dare la sua fiducia a quelli della Bibbia in generale; lo incita anche a riconoscerlo, lui, Saulo che è Saul, per quello che è biblicamente: un profeta. — E il seguito lo conferma:

Agrippa disse a Paolo: Ancora un po' e mi persuaderai a farmi cristiano...».

Variante: «Manca poco per persuadermi a essere fatto cristiano».

Qui, attenzione: non «a farmi…» come leggo ovunque, ma «a essere fatto…» (= «a diventare», greco poïēsaï o genesthaï secondo i manoscritti).

Ed ecco, infine, il letterale del versetto 29:

«...Paolo gli disse: volesse Dio, in poco o molto tempo, che non solo tu, ma anche tutti quelli che mi ascoltano oggi, diventate tali, come sono io...» 

L'espressione «...eccetto queste catene» che viene dopo la spiegherò molto presto.

Come sono io... Che diventate oggi come sono io... Vale a dire?

Dapprima  profeti — tenuto conto del versetto 27 e dello status di Saul profeta.

E soprattutto: cristiani (i khristianos del versetto 28).

Come diavolo poteva Saulo essere cristiano? E come può Paolo, che non è altro che Saulo, il Saulo biblico, domandare che si diventi «cristiani» come lui?

Profeta, sì: Saul lo fu.. Ma cristiano... Circa dieci secoli prima di Cristo...

Ebbene, la prova sta lì: nella Bibbia ebraica non solo Saul è cristiano, ma è il cristo-messia. E non solo egli è lì il cristo-messia, ma è, in chiare lettere, il primo cristo-messia/MŜY.

E Atti 26 appare allora un testo fondamentale. Esso corona il midrash cristiano primitivo su Saul. E il colloquio Saulo-Festo-Agrippa-Berenice è, nel verosimile o meno, questa incoronazione.

Dico «corona»? Ecco, a proposito di corona... Da una parte, Saulo-Paolo assiste all'esecuzione di Stefano: ed Stefano è, in greco, Stephanos/«la corona». E, d'altra parte, Saulo-Paolo possiede una corona (Filippesi 4:1). Ciò non evoca niente? Ma sì: il Saul era re!

Ecco ancora del nuovo...

 

La parola MŜY/«cristo, unto, messia» appare solo quattro volte nel Pentateuco (nella Torà): in Levitico 4:3, 5, 16 e 6:15; e mai vi opera come la designazione di un individuo nominato, di un personaggio nominato, di un nome proprio. In altri termini: non esiste, nella Torà, nessuno che sia, espressamente, il cristo, il messia, il MŜY.

Perché così è intesa (letta e utilizzata) la parola MŜY dai cristiani primitivi giudeo-ebrei. Non come un unto di seconda classe: come il Messia del messianismo (escatologico)!

(Nel Levitico, compilato diversi secoli prima della nostra era, il «sacerdote-messia» di cui si parla non ha, di per sé, nulla a che vedere con le elaborazioni — più tardive — del messianismo o dei messianismi giudaici: si tratta di un sacerdote che aveva ricevuto l'unzione – allo stesso modo in cui si unge un re. Non un attore dell'escatologia.

Nel Nuovo Testamento — dipendente da lavori ideologici posteriori alla Torà, ancestrale e testimone anch'essa di un lavoro singolare su di essa — la parola MŜY è solo escatologica).

Ma che ne è al di là della Torà? — Al di fuori del Pentateuco, il primo personaggio nominato che sia nominato MŜY/«unto»

Un personaggio che beneficia di un nome proprio; e che beneficia allo stesso tempo del titolo di «messia».

è Saul. E, in effetti, alla fine della Torà, MŜY è assente sia dal libro di Giosuè

Gesù-Giosuè è messia-cristo (escatologico), nel Nuovo Testamento, solo a seguito e al prezzo di un lavoro linguistico e aritmetico implicito. La nozione di unzione è, invece, (direttamente, esplicitamente) assente dal libro biblico di Giosuè.

che dal libro dei Giudici. Verissimo: il primo libro della Bibbia (al di fuori della Torà) nel quale si insedia è 1 Samuele.

1 Samuele 2:10: nell'inno di Anna (inno che corrisponde, l'ho detto, non a Samuele ma a Saul), il futuro re — il primo re biblico (Saul stesso) — è cristo-messia/MŜY.

Attorniato dalle preoccupazioni escatologiche, apocalittiche dei cristiani primitivi, il versetto è letto da loro non come fu senza dubbio scritto e pensato dai suoi scrittori e compilatori (...Saul è stato unto...) ma come il messianismo lo cambia e lo vuole (...Saul fu il cristo-messia...).

2:35: al cospetto del sacerdote (del sommo sacerdote) ci sarà un re, e questo re a venire (Saul) sarà cristo-messia/MŜY.

I due versetti che cito precedono il regno di Saul.

Saul: primo re d'Israele. Primo re, nella Bibbia, dopo la morte di Giosuè(-Gesù). — Neotestamentariamente ciò non vi suggerisce alcuna ipotesi?

In 10:1 e seguenti, l'unzione di Saul ha luogo:

«...e prese, Samuele, l'ampolla d'olio, e gliela versò sul capo, e lo baciò, e gli disse: Ecco che YHWH ti dà l'unzione

Verbo MŜ/«ungere» — da cui deriva MŜY/«l'unto».

(Nell'escatologia cristiana primitiva, il verbo MŜ viene a significare «rendere Cristo un messia» — ed è letto come tale, con questo significato, nella Bibbia ebraica; quanto a MŜY, non denota più ormai un semplice «unto», ma il Messia, il Cristo — vale a dire, per anagramma, «YHWH vivente-risorto», una figura — anch'essa — dell'escatologia).

in quanto guida della sua eredità...».

L'eredità... Saulo-Paolo erede di YŜW/Gesù in quanto costui è YHWH risorto. Tutto combacia!... E questo per mezzo, inoltre, del motivo evangelico del Regno/MLKW, Saul essendo re. La logica allo stato puro.

(Insomma, la relazione Saul/Giosuè è parallela, nella Bibbia, alla relazione neotestamentaria Saulo/Gesù. Parallela? ma no: è la stessa!...).

Una dozzina di affermazioni di Saul come unto (come messia-cristo) si succedono così nel primo libro di Samuele. Saul è lì MŜY

Il termine è relativamente raro nella Bibbia. Non è assegnato a chiunque. ottiene, a malapena, una cinquantina di occorrenze... e, il più sovente, non riguarda alcun personaggio nominato. — Ripercorrendo il Testo sacro, i cristiani primitivi si sono stati colpiti, tra altre cose, dalla concentrazione (anomala, quindi significativa) delle occorrenze di MŜY attorno a Saul (ossia a Saulo).

e, nella sequenza dei libri biblici, egli è il primo MŜY.

E Davide lo riconosce come tale. Cfr., ad esempio, 1 Samuele 24:6, dove lo chiama «Cristo di YHWH».

Tutto liscio come l'olio. E ricaviamo ora una comprensione corretta del capitolo 26 degli Atti. Paolo vi domanda ad Agrippa:

a) di credere ai profeti della Bibbia e di riconoscere nei loro scritti (sacri) la traiettoria del Cristo (del MŜY) —

Nei loro scritti: non nella Storia. Ci siamo ormai abituati.

ma soprattutto:

b) di riconoscerla e di ritenere lui stesso, perché essendo Saulo egli è Saul, sia in quanto profeta che in quanto Cristo-messia.

E ritenerlo tale perché proprio i profeti (biblici) lo dicono tale: 1 Samuele, a chiare lettere, libro di un profeta.

In alcun punto del Nuovo Testamento il midrash funziona attorno a Paolo (che è Saulo, che è Saul) così brillantemente come qui: e nessuno ne indovina la performance!

Ma, d'ora in poi, non bisogna più considerare Atti 26 come il referente di un improbabile dialogo tra gente del mondo ma, sullo sfondo della Bibbia, come la convocazione dell'escatologia. — Non c'è tempo per insistere; passo ad altre avventure.

 

5. Nel Nuovo Testamento, Paolo non muore. Si eclissa dal midrash cristiano alla maniera di un incompiuto.

In Romani 15:24 e 28, la narrazione sembra volerlo condurre in Spagna («...quando andrò in Spagna...») per visitare un'altra comunità giudeo-cristiana (o cristiana-convertita).

In questo caso, l’apostolo sarebbe (sarebbe stato) – si può immaginarlo – condotto a Tarso-Tarsis-Tartessos (in ebraico RŜYŜ), il solo luogo biblico a intrattenere qualche rapporto con l’Iberia (?)... Da Tarso a Tarso, Cilicia esclusa, ritorno all'ovile...

Gli stessi apocrifi si sono accinti ad informarci sulla fine dell'apostolo. E non è senza abilità che hanno portato a buon fine quella fine lì.

Penso qui, evidentemente, alla prima Epistola di Clemente di Roma,

Nella quale, al capitolo 5, sulla fede della frase neotestamenaria «andrò in Spagna», l'autore fa morire Paolo «ai limiti occidentali del mondo». Il Clemente, che era di Roma, si dice, non aveva mai inteso parlare del martirio di Paolo nella sua città... I papi e gli ecclesiofili, meglio informati sull'Antichità dei Clementi di Roma antica, distribuiscono da secoli al loro gregge il martirio di Pietro e di Saulo-Paolo sulle rive del Tevere.

Ecco, a proposito di Clemente Romano... mi offro una sorpresa; questa:

Esiste un ciclo letterario che porta il nome e la firma di questo autore, ciclo che si chiama, da questo fatto, «letteratura (pseudo-)clementina» — «pseudo», perché tutti gli studiosi, che se ne intendono (come abbiamo visto) di falsi e di veri, concordano nel ritenerla pseudoepigrafa. Per i nostri scienziati Clemente di Roma è realmente esistito, ma solo la prima Epistola firmata da lui sarebbe autenticamente sua. Quanto alla seconda, quanto alle famose Omelie, quanto ai non meno famosi Ritrovamenti, si tratterebbe di falsificazioni. Di falsificazioni interessanti, ma di falsificazioni. Come dice A. Siouville all'inizio della sua traduzione (dal greco) delle Omelie: «la tradizione ha unanimemente attribuito la stesura» della prima Epistola (e, erroneamente, degli altri testi clementini) «a un certo Clemente, considerato come uno dei primi successori di Pietro alla sede episcopale di Roma». A. Siouville ammette, nella stessa introduzione, che questo Clemente doveva infatti essere, se non il capo della Chiesa di Roma (nel II° secolo), almeno il suo segretario. Come si sa affermare!

A. Siouville, che scrive queste righe nel 1932 o 1933, non faceva così che riprodurre l'opinione generale degli studiosi – opinione che è, ancora oggi, la diceria comune. I primi Padri della Chiesa (e quelli che seguiranno) parlano infatti di Clemente, e tutti gli esegeti di oggi affermano che Clemente è realmente – storicamente – esistito. Nel II° secolo.

La mania che consiste nel giudicare della falsa o della vera attribuzione di questo o quel testo a questo o quell'autore degli inizi — e di discuterne o di congratularsi al riguardo — è uno scherzo. Scherzo di questo tipo, e mania, riempiono volumi di volumi — e questo da secoli.

In effetti, la chiave dell'esistenza o dell'inesistenza di Clemente (di Roma o meno) si nasconde in un duplicato finora inspiegabile – e che posso, da parte mia, giustificare.

Duplicato? Quale duplicato?

In forma di prefazione alle Omelie attribuite a Clemente, è consuetudine tra gli editori farle precedere da un breve trattato intitolato «Lettera di Clemente a Giacomo» (questo Giacomo-Giacobbe-YQB essendo ovviamente tratto dal Nuovo Testamento). Qualunque sia il contenuto della lettera, essa possiede un problema. Siouville descrivendolo adeguatamente, lo cito: «La difficoltà deriva da questo. L'epistola ruota quasi interamente sulla consacrazione episcopale di Clemente. Ora, nell'Omelia [clementina] 3:60-72, troviamo raccontata, con altrettanti particolari e pressappoco negli stessi termini, l'ordinazione di Zaccheo a vescovo di Cesarea».

E Siouville, dal duplicato, non ricava nulla. — Si accontenta di sorvolare sulle ridicole battaglie di studiosi che si chiedono quale dei due testi (quasi identici) sia la copia dell'altro — quindi, la parte spinosa del problema... quale è anteriore all'altro. (Del resto la bibliografia sull'argomento è immensa — e sulla letteratura clementina idem: un mucchio di volumi).

Per quanto immensa sia, la bibliografia in questione non mi aiuta affatto a capire perché due testi simili (quasi assolutamente identici) hanno per protagonisti, l'uno Zaccheo (e Cesarea), l'altro Clemente (e Roma). Essa non mi aiuta; allora l'aiuterò.

Da una parte, noto che Roma e Cesarea sono, per l'occasione, intercambiabili. La ragione è semplice; semplice, almeno per un ebreo. A Cesarea c'è Cesare; e Cesare è a Roma. Nei meandri del midrash non c’è affatto urgenza di andare a cercare più oltre. E ciò non ha niente di volgare — oh no — perché:

D'altra parte «Zaccheo» sta all'ebraico ciò che «Clemente» sta al latino. In latino clemens significa: «mite, buono, indulgente», e ZKʼY (= Zaccheo) significa, in ebraico o in aramaico, «giusto, degno» e soprattutto: «chi trasferisce ad altri i propri meriti».

Risolto, l'enigma.

Non esistette mai un Clemente autore, o no, a Roma o no, dei vari scritti della letteratura (immensa, voluminosa) recanti la sua firma. Tutto il ciclo clementino è stato semplicemente posto, nell'antichità, sotto il duplice ed unico nome di Zaccheo (divenuto per duplicato, in effetti, in latino, Clemente), lo Zaccheo del Vangelo, lo Zaccheo (primitivamente biblico) che sale in qualche fico in Luca 19:1-10. — Ehi, che vi si arrampica per effetto di midrash? Oppure che vi si arrampica storicamente? Scherzo per scherzo, vado avanti...

ma, più decisamente, agli Atti di Paolo:

In Quasten, Initiation aux Pères de l'Eglise, I, pag. 151, apprendo che gli Atti di Paolo hanno «un contenuto leggendario». E presto, il disprezzo per gli apocrifi! Quasten e i suoi colleghi prendono i racconti evangelici per dei resoconti e gli apocrifi per delle favole. Gesù che cammina sulle acque e che risana i ciechi è storico (canonico) o è leggendario (apocrifo)? — E, qui, la morte di Saulo-Paolo negli apocrifi sarebbe fantasia, ma la sua fabbricazione di tende, invece, nel Nuovo Testamento, informazione arcisicura! — Sto sognando...

in questi Atti si legge:

L'ambientazione è Roma e l'epoca è quella di Nerone. (Per midrash, Saulo-Paolo muore quindi a casa sua, a RMH/«Rama, Roma» — o meglio: in una delle sue case...)

«...e, ciò detto, pervenne al luogo della (sua) passione: voltandosi verso l'Oriente, levando le mani al cielo, in lacrime, pregò a lungo in ebraico e rese grazie a Dio... Allora il carnefice levò il braccio in aria e, colpendo con forza, gli tagliò la testa... Immediatamente, un fiotto di latte schizzò sul mantello del soldato e, poco dopo, del sangue ne scaturì...».

Testo (latino) in Acta Apostolorum Apocrypha I, ed. Lipsius, ripr. Olms Verlag, 1972, pag. 40 («Passione di San Paolo Apostolo» 16). La mia traduzione è letterale.

Esistono altre versioni della stessa scena, ma qua e là sono ben presenti il ​​boia, il latte e la decapitazione. In altri apocrifi è la testa di Simon Mago ad essere allusa. Simon Mago è, infatti, nella letteratura cristiana antipaolina, solo l'immagine rovesciata e peggiorativa dell'apostolo — vale a dire (a mio avviso, e nel contesto del presente studio) una critica — personificata — del parte del midrash cristiano primitivo riguardante il Saul biblico... Una critica, lo si vedrà, che si avvale di metodi identici a quelli impiegati dagli avversari.

  Il resoconto (molto storico, molto scoop...) della morte — del martirio — di Saulo-Paolo varia secondo le versioni (e secondo le lingue nelle quali queste versioni sono andate a riversarsi): ma, gli elementi chiave rimanendovi immutati — la decapitazione, il carnefice, il latte — posso iniziare da subito l'analisi del passo.

Si decapita l'apostolo: gli si taglia il collo. Considero «collo». Dalla sua testa o dal suo collo sgorga del latte: considero «latte». E, prima del collo, è il latte che cerco.

Quando i cristiani primitivi hanno estratto dalla Bibbia il personaggio di Saul (e alcuni suoi bagagli) per farne, in adempimento della Scrittura, protagonista di una vasta narrazione che fa seguito alla vita, alla morte e alla resurrezione (midrashiche) di Gesù-Giosuè — di Gesù-Giosuè in quanto è, precisamente, YHWH che risorge-risorto — non hanno immediatamente attribuito a Saulo-Paolo un luogo di nascita invariabile. Canonico. Nel lavoro su Saulo-Saulo diventato Saulo-Paolo, ci sono state esitazioni, dissensi, abbagli.

Sbavature, dissensi e tentennamenti – contraddizioni – senza sorpresa. Il midrash cristiano non ha raggiunto nuove vette di colpo. Gli ci è voluto del tempo per formarsi, e ancora più tempo per assicurare ogni dettaglio e collegarlo ai suoi elementi affini. Al centro dell'impalcatura, delle differenze? — Ciò è normale...

Parlatemi dunque delle coerenze assolute della Bibbia; e dei midrashim ebraici non cristiani; e dei testi del Mar Morto; e dei Talmud...

La tradizione di nascita più nota opta per Tarso (in Cilicia). È la meglio conosciuta perché affiora a più riprese nel Nuovo Testamento. — Ma è lontana dall'essere — cristianamente e primitivamente — l'unica.

L'abbiamo scoperto più sopra, in quanto romano, anche il Saulo del Nuovo Testamento è originario di RMH/«Rama» (cioè, per midrash e attualizzazione, di «Roma»).

Tarso e Roma sono, di conseguenza, nel Nuovo Testamento, i due luoghi rivali che il midrash cristiano primitivo, ebraico, assegna alla nascita e alla prima infanzia dell'apostolo. — Ma questa ambiguità è propria solo del Nuovo Testamento; in qualche apocrifo, oggi perduto (?), si aggravava: e il Saulo-Paolo delle Epistole e degli Atti non vi nacque né a Tarso (di Cilicia, di Cappadocia, di Spagna o altrove) né a Rama divenuta Roma, ma... a Giscala.

Giscala, in alta Galilea, a nord nord-ovest del lago di Tiberiade.

Ed è proprio la tradizione di Giscala ad essere riportata da Girolamo (De viris 5, Ad Phil. 23):

Girolamo vi situa, molto stranamente, Giscala in Giudea.

secondo essa i genitori dell'apostolo sarebbero originari di Giscala e sarebbero stati deportati a Tarso dopo la nascita del loro figlio.

La seconda parte dell'asserzione (deportazione a Tarso) è un riadattamento tardivo destinato a non lasciarsi sfuggire piamente la Tarso neotestamentaria divenuta canonica.

Il progetto di far nascere Saulo-Paolo in Galilea deriva probabilmente da una lettura devota (ed ebraica!) di Filippesi 3:8 (è Paolo che parla):

«...è superiore a tutto conoscere il Cristo Gesù-Giosuè mio Signore, a causa di cui

Oppure: per la cui intermediazione...

ho rinunciato a tutto e grazie a cui considero tutto come spazzatura/skubala...»

La dichiarazione facendo seguito ad elementi biografici,

Versetti 5-6: «...israelita, della tribù di Beniamino...», ecc.

i proponenti di Giscala vi hanno rilevato che Saulo-Paolo fosse galileo. Perché? — perché afferma di aver lasciato la «spazzatura»/skubala al fine di unirsi al Cristo. Era dunque bene che in primo luogo vivesse lì, nella spazzatura, nello skubala...

Ma skubala («spazzatura») non è altro che la traduzione greca dell'ebraico GL(W)LYM. Ma GLLYM sono gli abitanti della Galilea — i Galilei!

Derivato da un midrash, il Nuovo Testamento è quindi a sua volta qui servito da bersaglio a un midrash. Normale... (E ad un midrash che funziona, fate attenzione, solo in ebraico — al tempo in cui l'ebraico era ancora la lingua del corpus cristiano primitivo... —, perché è solo in ebraico che «spazzatura» e «galileo(galilei)» sono termini analoghi).

P.-S. E non dimenticate che la Galilea è, per midrash (aritmetico) di Genesi 1:1, il luogo natale dell'escatologico messia dei vangeli (o, se preferite, uno dei suoi primi luoghi di residenza).

Bene: da Filippesi 3:8 e dalla spazzatura lasciata da Saulo-Paolo, i proponenti di Giscala hanno dapprima attinto l'idea che Saulo-Paolo un giorno abbia lasciato la Galilea (e i Galilei), e quindi che sia nato a nord della Palestina. Va per la Galilea.

Ma perché, in Galilea, questi cristiani hanno scelto Giscala? Quale relazione tra l'apostolo e questo luogo?

Ebbene, la scelta in questione segue semplicemente da 1 Corinzi 3:2 e da Ebrei 5:12-13 (parole di Saulo-Paolo):

Per il cristianesimo degli inizi (e contrariamente agli studiosi di oggi), l'Epistola agli Ebrei è uno scritto che rientra nel ciclo delle epistole (pseudepigrafe) di Paolo.

«...è del latte che vi ho dato da bere...»; «...siete venuti ad aver bisogno di latte ...»

Questo latte è evidentemente latte d'asina; il latte delle asine che Saul cerca in 1 Samuele 9.

In questi versetti l'apostolo appare come un produttore di latte. — Ma quale è la città — il villaggio — che, in ebraico, nella lingua, produce il latte (che distribuisce l'apostolo Saulo-Saulo)? — GWŜ LB, Giscala, letteralmente «il territorio del latte».

Conclusione: la tradizione riportata da Girolamo, e che fece di Saulo-Paolo l'apostolo un nativo di Giscala, aveva per radice per nulla affatto storia o geografia reali, ma un'esegesi che approfondiva alcuni versetti del Nuovo Testamento (ebraico!), versetti ritenuti scritti dall'apostolo.

Ne deduco:

a) Che al midrash cristiano non importava di far nascere Saulo-Paolo, in tutta ubiquità, a Tarso, a Roma o a Giscala, poiché non gli importava né della geografia né della storia — solo gli importano l'escatologia, la mistica e la linguistica sacre;

b) Che questo midrash era ebraico;

La «spazzatura»/GL(W)LYM che fa nascere Saulo-Paolo in Galilea e il «latte»/LB che lo fa nascere in Giscala, funzionano solo in ebraico — non in greco, non in indoeuropeo, e non in Storia! Chiaro...

c) Che i versetti del Nuovo Testamento interessati da questo midrash erano (originariamente) ebraici.

Al posto del greco gala c'era LB («latte»); al posto di skubala c'era GL(W)LYM («le lordure, la spazzatura, gli idoli»).

Compreso ciò, ho facilità a ritornare alla morte apocrifa dell'apostolo. E al latte che gli schizza dal collo allorché il carnefice lo decapita. Del latte ? Del Latte leggendario?

Quello no: del latte normale. Nato a Giscala perché produttore di latte come Saul custode di asine (e perché egli è Saul!), l'apostolo lo distribuisce fino all'istante della sua morte. L'apostolo che tanto tiene, nelle sue Epistole, alla resurrezione dei morti,

Vedremo, più oltre, il perché (enorme) della cosa.

agisce al momento della sua morte nello stesso modo in cui agiva durante la sua esistenza narrativa: da lattaio. — Occorre insistere?

Io non insisto. Io procedo.

 

Ma Saulo-Paolo non si accontenta di produrre del latte morendo; muore per decapitazione, sotto la spada del carnefice. Muore per il collo.

 

E ciò, ciò è ancora affascinante... (mentre gli studiosi, sprezzanti degli apocrifi, ne vedono ancora nulla...) — e non un'oncia, lì, né di leggenda né, viceversa, di Storia.

Non c'è alcuna leggenda nei racconti dei cristiani giudeo-ebraici primitivi (e degli gnostici, dei canonici e degli apocrifi). I loro scrittori non sono né favolisti (deliranti) né storici (giornalisti): sono lettori della Bibbia.

Aspetto, risalendo i secoli e i commentari che vi si accumulano, che mi si spieghi questa cosa emozionante. Aspetto e non ottengo nulla. Né Origene, né Agostino, né Tommaso d'Aquino, né Lutero, né Bossuet, né Pascal, né Renan, né i papi di oggi o di ieri — e né i loro funzionari — mi aiutano. Si rilassano tutti. — E me la sbroglio quindi da solo.

Come muore Saul?

Si suicida.

Indovinello (per storicisti): ci sono molti suicidi nella Bibbia?

1 Samuele 31:4-5:

«...e disse, Saul, al portatore della sua arma: Estrai la tua spada e trafiggimi, per timore che... E siccome il portatore della sua arma aveva molta paura, Saul prese la spada e si lasciò cadere su di essa. E il portatore della sua arma vide

Gioco di parole, qui (e che si ritrova in vari punti del Nuovo Testamento, sotto il suo greco!), tra YRʼ/«egli vede» e YRʼ/«egli ha paura».

che Saul era morto, e si lasciò cadere, anch'egli, sulla spada e morì con lui...»

Ciò è la traduzione ovvia, triviale, superficiale del passo biblico. — Ora: come gli autori post-bibilci comprendono, invece, il racconto?

Da una parte vi figura il ʼ KLY(W)/«lo scudiero» (letteralmente «il portatore d'armi») di Saul. Di costui, i gli autori cristiani primitivi hanno fatto un «carnefice» (greco spekulator). — Questo termine, spekulator, che è sconosciuto in greco prima degli inizi del cristianesimo (?), si trova — come per caso — appartenere al lessico dei prestiti dall'ebraico post-biblico sotto le forme ʼYSPQLTWR e SPYQLTWR, e questo, con i significati seguenti:

a) «il portatore d'armi, la guardia»;

b) «il carnefice».

Stranamente, nel Nuovo Testamento, il termine spekulator ricorre una sola volta (in Marco 6:27) – in occasione, anche, di una decapitazione, di una morte per il collo (quella del Battista).

Ed è proprio uno spiculator

Equivalente latino del greco spekulator/«carnefice».

che, negli Atti di Paolo, taglia il collo dell'apostolo.

Ora ritorno alla mia domanda: come gli autori dei midrashim postbiblici intendono la narrazione biblica della morte di Saulo? Cosa vi vedono?

Vi vedono — contro l'ovvio del testo — che Saul si è tagliato il collo!

Ora ricordatevi delle asserzioni degli apocrifi: Saulo-Paolo non vi è detto morire non importa come; non lo si crocifigge, non lo si brucia, non lo si taglia a fette: lo si decapita.

Il trattamento di cui Saul beneficia nei Talmud è dei più significativi. Dappertutto, in ogni punto, corrisponde a quello con cui si premia, nel Nuovo Testamento, Saul divenuto Saulo-Paolo. I metodi di lettura attiva della Bibbia qua e là sono gli stessi. E identica, da una parte e dall'altra, l'indifferenza alle istanze della geografia e della storia. — Alcuni esempi talmudici? Eccoli, e in disordine:

1. In Megillah 13b, modestia di Saul (e, un po' più oltre, si parla di Tarso...) derivata dal fatto (biblico) che è piccolo e venuto dalla più giovane delle tribù. — Di Saul si fa, nel contempo, un discendente di Rachele e un antenato di Ester (cfr. Megillah 16a) — questo per midrash, perché da nessuna parte, nella Bibbia, si fa menzione (esplicita) di questi legami genealogici.

2. In Megillah 14a, Horayoth 12a, Kerithoth 6a (e cfr. Kallah R. 53a), si prende la «fiala»/PK che è servita al momento dell'unzione di Saul da Samuele, e se ne fa un segno premonitore dello scarso successo di questo re e della sua dinastia (abortita). Se, come Davide e Salomone, Saul fosse stato unto con l'aiuto di un corno/QRN, egli non si sarebbe unito (assieme a Jehu) al campo degli sfortunati. — Midrash derivato dal fatto che QRN/«corno» significa anche, in ebraico, «la forza» — e, inoltre, da un gioco di parole tra PK/«la fiala dal collo stretto» e HPK/«ruotare, ruotare breve» (nella Bibbia, la dinastia di Saul ruota così breve che cessa alla sua morte!).

3. In Moed Katan 16b, Erubin 53a e Gittin 59a, si afferma che Saul fosse etiope. (Il disprezzo per la Storia... Come un figlio biblico di Beniamino può essere detto etiope?) Perché? Per motivi storico-geografici? No, perché era il figlio di QYŜ/«Kis» e QYŜ forma un gioco di parole con KWŜY/«cushita, etiope». Metodo del gioco di parole. Metodo – anche – del midrash neotestamentario.

4. In Moed Katan 26a, metodo dell'attualizzazione: si prenda il testo sacro ancestrale e lo si costringa a emettere dati coerenti con i costumi e i riti contemporanei. Lì Saul è detto NŜYʼ/«principe, capo del Sinedrio, capo di una sinagoga» e suo figlio Gionata ʼB BY DYN/«sottocapo del Sinedrio, sottocapo di una sinagoga». (La stessa asserzione è sviluppata nel Cantico Rabbah 8). Ancora del midrash: un colpo di anacronismo; e un colpo di spostamento lessicale. — Nella Bibbia, Saul è re; nell'epoca in cui l'oratore di Moed Katan 26a si esprime, è da molto tempo che un re — ebreo — diriga Israele; essere re significa essere principe NŜYʼ; ma essere principe è ora un'espressione che significa «dirigere una sinagoga, dirigere il Sinedrio» — si trasferisce dunque il Saul biblico, principe di una volta, a capo di una sinagoga (come se esistessero delle sinagoghe al tempo di Saul!...). E, con lui, Gionata, suo figlio, e assistente, biblico. E il gioco è fatto. — Stessa sorta di attualizzazione come nel Nuovo Testamento; identici procedimenti.

Mi seguite? Capite l'analogia che esiste tra ciascuna delle asserzioni talmudiche e quelle del Nuovo Testamento (e dei testi cristiani apocrifi-primitivi); la loro analogia: non la loro identità; il fatto che siano tutte derivate dagli stessi metodi, dagli stessi processi (logici)...

5. In Berakoth 62b, non solo si insiste sullo status di «persecutore»/RWDP biblicamente attribuito a Saul e sulla sua modestia (ricavata dalla sua piccolezza biblica), ma lo si mette in relazione con le tende. — Ciò non vi ricorda nulla?

6. In Succah 52b, Saul è annoverato (con Iesse, Samuele, Amos, Sofonia, Sedecia, il Messia-Cristo ed Elia) tra «gli otto principi tra gli uomini» di Michea 5:4. (Lì mi rifiuto di dire perché: mi occorrerebbero cinquanta pagine...)

N.B. in questi paraggi, il Talmud dice del messia-figlio-di-Giuseppe (oppure: di Davide) che è un RŜ, ossia «un fabbro, un carpentiere» e ciò con riferimento a Zaccaria 2:3. (Il messia carpentiere, e figlio di Davide, e figlio di Giuseppe, ciò non vi ricorda nulla? E guardatevi dal credere che i compilatori del Talmud siano andati a pescare l'informazione tra i cristiani — che odiano e detestano!) Una miseria... Sei sfortunati esempi del midrash talmudico su Saul... Ma sei esempi che ci mostrano:

a) che il midrash neotestamentario non è marginale;

b) che si fa beffe della storia e della geografia più di quanto se ne fa il midrash ebraico in generale (midrash ebraico di cui fa peraltro parte — che esso è) — e niente meno;

c) che impiega i metodi logici di analisi biblica in azione in tutti i compartimenti, angoli e fessure del giudaismo — metodi a loro agio in ebraico.

Siete convinti?

Ed è intorno alla parola «collo» (assente nel racconto biblico della morte di Saul) che vortica allora la morte di Saul.

Notate il midrash inversivo che si mette all'opera nella morte apocrifa di Saulo-Paolo l'apostolo. Da una parte, lo scudiero di Saul vi diventa il «carnefice» di Saul (il NŜʼ KLYW biblico, «suo portatore d'armi», ivi trasformandosi in «colui che porta contro di lui la sua arma»); e, d'altra parte, Saul che si uccide diventa Saulo che è ucciso. — L'ho detto, più sopra: il midrash inversivo è una delle forme principali del midrash ebraico. Nessuna sorpresa se sta dietro le quinte anche tra i cristiani primitivi (giudeo-ebrei)...

E, in effetti, è il collo di Saul che viene costantemente alluso dagli autori ebrei antichi. Un riferimento, a questo proposito, mi basterà: nel Talmud (di Babilonia), Sotah 10a.

Sotah 10a afferma che cinque personaggi biblici, creati a rassomiglianza di Dio, sono stati direttamente puniti «nella»/B loro caratteristica propria: Sansone «nella sua forza»; Saul «nel suo collo»; Assalonne «nei suoi capelli»; Sedecia «nei suoi occhi»; e Asa «nei suoi piedi». E il testo giustifica le cinque punizioni (le cinque morti violente) e le parti del corpo a cui alludono estraendole da vari versetti del Testo sacro.

Estrazioni che sono ovviamente comprensibili e apprezzabili solo in ebraico. (Poiché, non più del Nuovo Testamento originale ebraico, il Talmud non fu compilato per gli indoeuropei...).

Ma quale è la giustificazione talmudica di Saul morto «nel suo collo»? Laconicamente, questa qui:

«...poiché è scritto: Saul prese la sua spada e vi si lasciò cadere sopra...» Niente di più! Lo scrittore — il compilatore talmudico — di «poiché è scritto» pensa che si ha capito.

Ma da subito non si capisce nulla: da «Saul prese la spada e si lasciò cadere sopra» (1 Samuele 31:4), è impossibile ricavare la parola ŜʼWR/«collo»! Alla prima e ultima lettura si direbbe piuttosto che Saul si sia trafitto il petto, il torace, il cuore. Non il collo.

Ma, sottintende il Talmud, né il cuore, né il torace, né il seno sono caratteristiche di Saul...

Ora, si ha capito solo se si cerca di scoprire, da soli, quale sia la caratteristica corporale biblica di Saul. Per capire, insomma, bisogna farsi, à la Talmud, esperti della Bibbia.

Ho sottolineato, più sopra, che Saulo l'apostolo si chiama «Paolo» (cioè «il Piccolo») perché Saul è esplicitamente detto QTN/«piccolo» nel primo libro di Samuele. — Certo. Ma Saul vi è anche detto, in questo libro — e senza che gli ebrei vi vedano contraddizione —

Dio autore e ispiratore della Bibbia non si sbaglia, non si contraddice! Tale è l'assioma ebraico (assioma che è anche quello degli scrittori giudeo-ebrei del Nuovo Testamento giudeo-ebraico originale...).

di alta statura. Peggio: la caratteristica (immediata) del (futuro) re Saul è che oltrepassa tutti di una spalla/ŜKM:

1 Samuele 9:2: «...dalla spalla in su, superava tutto il popolo...»; 10:23: «...e si presentò in mezzo al popolo, e dalla spalla in su, sopravanzava tutto il popolo...».

Il Talmud, in Sotah 10a, si esenta dallo spiattellarci questi versetti. Non si rivolge a catechisti indoeuropei senza cultura biblica, ma a esperti: gente che, fin dall'infanzia, mastica a fondo la sua Bibbia, e la sa (in ebraico!) a memoria.

Allora, mi direte, logicamente Saul dovrebbe morire per la spalla («nella spalla»), secondo il Talmud. — Sorrido: la vostra logica è troppo indoeuropea; e non tiene conto dell'ebraico della Bibbia.

Infatti: come si scrive, in ebraico, «superava tutto il popolo dalla spalla in su»?

1 Samuele 9:2:

«...MŜKMW dalla sua spalla WM LH in su GBH egli era alto MKL HM più di tutto il popolo...».

1 Samuele 10:23:

«...WYGBH ed egli era alto MKL HM più di tutto il popolo MŜKMW dalla sua spalla WMLH in su...».

Dalla spalla in su! In su!

Sopra (MLH) la spalla c'è il collo. La caratteristica corporea biblica di Saul non è quindi, per il Talmud che scava nella Bibbia, la spalla, ma proprio il sopra della spalla:  ossia ŜʼWR/«il collo», ed ecco, allora — tenetevi forte! — che la parola «collo» non figura né nel primo né nel secondo libro di Samuele, e né a proposito di Saul né a proposito di chiunque altro!

E tutto ciò il Talmud non lo dice — il Talmud lo suppone noto, evidente...

E questo ragionamento, che il Talmud (rivolgendosi ai conoscitori della Bibbia ebraica) non fornisce, fornisce e feconda subito la decapitazione di Saul. Definito dal collo, suggerisce Sotah 10a, Saul è perito/perisce/perirà per il collo.

Conclusione: la morte (apocrifa) di Saulo-Paolo l'apostolo — di Saulo, che è Saul — è una morte per decapitazione perché si modella, in un midrash estendibile, sulla morte del re biblico come intesa dal giudaismo. In ebraico... Sullo sfondo della Bibbia (approfondita)... (Non nella leggenda. E non nella storia biblica).

Ed ecco, di colpo, giustificati — in effetti per mezzo di midrash — i tre temi essenziali della morte dell'apostolo: quello del carnefice (per riutilizzo dello scudiero di Saul), quello del latte versato (per riutilizzo di Saul guardiano di asine) e quello del collo (per riutilizzo della caratteristica corporale del Saul biblico).

Nel midrash cristiano, il formato di Saul si presta quindi a contestazione. In certi testi (apocrifi), ci si appoggia alla spalla del re biblico e alla sua alta statura (sulla sua «al di sopra della spalla», sull'esempio del Talmud, per farlo perire per il collo — per decapitazione; e, in questo caso, i cristiani cambiano lo scudiero di Saul in carnefice (stessa parola, in ebraico, NŜʼ KLY) e il suo suicidio in esecuzione — effetto del midrash inversivo ormai a noi ben noto.

In compenso, nei testi (oggi canonici) raccolti dal Nuovo Testamento, si preferisce riferirsi ai versetti biblici (altrettanto biblici quanto i loro rivali!) che lo descrivono come un QTN, come un «piccolo» — da cui, allora, la deriva di Saul verso Paolo (= il Piccolo).

Ma ciò non esaurisce l’argomento.

L'alta taglia di Saul, l'ho appena previsto, riguarda la sua spalla (ed è solo con del ragionamento che si passa dalla spalla al collo...): il letterale e l'ovvio del racconto di 1 Samuele indicano che Saul oltrepassa, in altezza, tutto il popolo; che lo oltrepassa della spalla — per la spalla, vale a dire, in ebraico per il suo ŜKM (termine maschile). Ebbene, la detta parte del corpo di Saul genera, nel Nuovo Testamento debolmente, e molto fortemente in vari testi cristiani (primitivi) rivali, effetti della più elevata — caso di dirlo... — importanza. E tra questi fatti, finora fraintesi, il più cruciale è questo:

Non tutti i cristiani giudeo-ebrei primitivi hanno accettato il midrash su Saul e il suo culmine nel Saulo-Paolo neotestamentario. Vi sono stati, a questo riguardo, degli attriti. Ora, nel numero di avversari di questo midrash, conviene contare diversi autori (cristiani!) fabbricatori di un personaggio essenziale nella storia della Chiesa degli inizi, ovvero: Simon Mago, il famoso e cosiddetto «padre di tutte le eresie» (cfr., sul suo conto, ad esempio Ireneo, Adv. Haer. 1:23, 2, ecc.) — individuo che si trova essere nel contempo Saulo-Paolo apostolo e il suo controtipo (la sua caricatura, la sua parodia, il suo clown, il suo duplicato peggiorativo). Migliaia di dettagli circondano, in massa e su centinaia di pagine (in Giustino, in Ireneo, negli apocrifi... e fino in Atti 8...),  Simon Mago caricatura di Saulo-Paolo, ne estraggo solo uno: il luogo della sua nascita, Samaria. In Atti 8 e altrove, Simon Mago è detto o si dise sia samaritano sia (molto spesso) nativo di Samaria. Perché? — è semplice (e nessuno lo vede!): perché Simone è Paolo (all'inverso), Paolo è Saul, Saul è Saul, e Saul oltrepassava (dalla sua presentazione biblica, in 1 Samuele 9) tutto il popolo «della spalla». In ebraico, in effetti, ŜKM, «la spalla», è anche «Samaria», l'antica Sichem. Sic.

Nessuna fantasia o invenzione (gratuita) nel Nuovo Testamento e negli apocrifi ebraici (o di origine ebraica); e niente storia accurata e geografia al limite. Del midrash! Un'analisi paziente, ostinata, virtuosa del Testo sacro. E un'analisi che produce! Chi rende! Che dà, a sua volta, del testo...

Penso — senza lusingarmi, no... — di aver ingurgitato non poche monografie (articoli o volumi) che affronterebbero apparentemente il problema di Simon Mago. Sicuro di un certo fatto: mai vi ho trovato la (buona) ragione della sua origine samaritana.

E mai vi ho trovato la spiegazione e la giustificazione dell'Elena che accompagna il mago Simone, donna che i Padri della Chiesa e gli apocrifi sostengono, in coro, che lui avesse raccolto in un lupanare. — Eppure la spiegazione è semplice. — Paolo (Saulo) l'apostolo è detto, nel Nuovo Testamento e per motivi che considererò più oltre, occuparsi delle «nazioni», dei GWYM. Leggendo ciò, i fabbricatori della caricatura di Saulo-Paolo (ossia Simon Mago, appunto) gli hanno dato per accolita la nazione pagana per eccellenza, YWNH, la nazione «greca» (la nazione odiata — da cui il lupanare: il luogo della prostituzione, luogo tipico dell'idolatria nel lessico tecnico-religioso del giudaismo): perché «Elena», per mezzo di gioco di parole, significa «la Greca»! e il suo equivalente ebraico, YWNH, vuol dire anche «la Greca, l'Ellena» (letteralmente «la Ionia»)! — Se il mago Simone è andato a cercare in un bordello una di nome Elena, è perché, antitesi che ridicoleggia Saulo-Paolo, flirtava con le «nazioni» (vale a dire con i GWYM — termine tendenziosamente inteso , dai detrattori dell'apostolo e del midrash che lo produce, nel suo unico senso di «nazioni pagane», di «nazioni empie, incirconcise»): «nazioni» di cui tutti i profeti biblici ribadiscono che sono «prostitute», ZNW.

Da cui Elena compagna di Simone — una prostituta che fa da spalla alla caricatura di Saulo-Paolo; da cui Elena (ossia la Greca) venuta da un luogo di prostituzione.

E Simon Mago non è una caricatura greca o latina di Saulo-Paolo: ne è l'antitipo ebraico. Testualmente nulla nella sua genesi, si comprende senza ricorso all'ebraico. (E la prova ne è, oltre quella che ho appena stabilito, che gli esperti di gnosticismo e di Simone — tutti bravi a cosa? — non capiscono, infatti, nulla della sua genesi, dei suoi fatti e gesta, della sua avventure...)

Ma abbastanza su Simone. Abbastanza su Saulo-Paolo parodiato.

Dove sto?

Presso il Saulo-Paolo, derivato, per mezzo di midrash, dal Saul biblico. Dalla cosiddetta biografia storica dell'apostolo cosiddetto storicamente esistito, ho, non senza successo, eliminato un buon numero di tratti caratteristici e le ho fatte riportare alla loro patria originaria: la Bibbia ebraica.

Il mio risultato: questo stupido teorema: Paolo, in quanto è Saulo-Saul/ŜʼWL, ha per luogo naturale la Bibbia.

La Bibbia ebraica: ciò che gli indoeuropei chiamano, assurdamente, l'Antico Testamento. — E sì: tutto Paolo (tutto Saulo) viene da 1 e 2 Samuele.

Viene da 1 e 2 Samuele, certo... ma non viene solo da lì. Perché: e Tarso?... e la resurrezione dei morti?... e Saulo-Paolo legato in catene?... e... e la via di Damasco?... È vero: che ne faccio?

Che lo faccia o no, ci arrivo. Infine:

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