domenica 12 maggio 2024

L'APOCALISSE — L'APOCALISSE È UN LIBRO EBRAICO

(segue da qui)


III. L'APOCALISSE È UN LIBRO EBRAICO

Quali sono questi santi? Quale è questa guerra? Quale è questa vittoria? Nerone ha massacrato i cristiani di Roma nell'anno 64. Negli ultimi anni del suo regno (intorno al 95) Domiziano condannò a morte perché colpevoli di empietà o di ateismo un certo numero di personaggi di cui alcuni, in particolare Flavio Clemente, passano, a torto o a ragione, per essere stati cristiani. Intorno all'anno 108 Traiano pubblicò un rescritto che portò molti cristiani davanti ai tribunali. Ma se è beninteso che una guerra presuppone combattimenti nei quali l'aggressore incontra della resistenza, non si può pensare di decorarli col nome di guerra e di guerra vittoriosa o la terribile strage organizzata da Nerone, o le proscrizioni decretate da Domiziano, o le persecuzioni giudiziarie organizzate da Traiano. L'impero tomano ha fatto guerra agli ebrei una prima volta sotto Vespasiano, una seconda volta sotto Traiano, una terza sotto Adriano; e in queste tre guerre è stato vittorioso sugli ebrei che ha ucciso a centinaia di migliaia. Ha anche messo a morte i cristiani e, a partire da Traiano, ha istituito contro di loro la persecuzione legale. Ma non si può dire che abbia vinto in guerra i cristiani poiché quest'ultimi non gli hanno opposto alcuna resistenza. La Bestia di cui parla l'Apocalisse in 13:7 è proprio 'impero romano. Ma i «santi» ai quali [1] fa la guerra non sono cristiani: sono ebrei. 

E la vittoria che ottiene su di loro va collocata o nel 70, o nel 117, o infine nel 135. Ecco il risultato al quale ci conduce lo studio serio di 13:6-8. 

Questo risultato è di un'importanza capitale. Ma quanto più è importante, tanto più necessita di essere confermato, di essere garantito contro ogni possibilità di errore. Vediamo quindi se l'Apocalisse si occupa altrove degli ebrei, se si interessa di loro. E, prima di tutto, esaminiamo chi sono i «santi» che compaiono qua e là nei suoi testi. 

Nel capitolo 17 l'autore descrive Roma che un angelo gli ha appena mostrato sotto i tratti di una prostituta. La sua raffigurazione si conclude con questa frase (6): «E io vidi quella donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù». Qui le vittime sono divise in due gruppi. Nel primo ci sono «i santi», nell'altro «i martiri di Gesù». Questi due gruppi sono evidentemente differenziati da qualcosa. Da cosa? Alcuni commentatori [2] passano oltre senza soffermarsi: è un escamotage. Altri dicono che i «santi» sono i cristiani comuni mentre i «martiri di Gesù» sono coloro che hanno reso a Gesù una testimonianza considerevole. Ma quale più bella testimonianza si può dare della testimonianza del sangue? Ma i «santi» hanno versato il loro sangue proprio come i «martiri di Gesù» poiché la prostituta se ne è ubriacata. Entrambi i gruppi si compongono l'uno dall'altro di uomini che hanno versato il loro sangue. Cos'è quindi che li differenzia? Il testo ce lo dice chiaramente: è solo nel secondo gruppo che si trovano coloro che hanno versato il loro sangue per Gesù. I martiri del primo gruppo hanno versato il loro sangue per un'altra causa, per una causa che non era quella di Gesù. I martiri del secondo gruppo sono i cristiani immolati in una persecuzione che dovremo più tardi identificare. I martiri del primo gruppo sono gli ebrei che sono stati massacrati da Roma o nel 68-70, o nel 115-117, o nel 132-135.

Continuiamo la nostra inchiesta sui «santi». In 11:18 i ventiquattro vecchi felici di vedere che Dio si appresta a vendicare i suoi servi, gli rendono grazie: «La tua ira è venuta; il tempo è venuto di giudicare i morti, di ricompensare i tuoi servi, i profeti, i santi e coloro che temono il tuo nome». In 16:6 un angelo tiene un linguaggio analogo: «Tu sei giusto... tu sei santo perché rendi questi giudizi; perché hanno versato il sangue dei santi e dei profeti e tu hai dato loro del sangue da bere». In 18:24: un altro angelo, che celebra in anticipo la distruzione di Roma, spiega perché quella città sarà punita: è «perché si è trovato in essa il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro che sono stati sgozzati sulla terra». In tutti questi testi i santi sono associati ai profeti. In tutti anche i profeti e i santi sono martiri; essi hanno versato il loro sangue per la buona causa e Dio si appresta a vendicarli. Se è per la causa cristiana che hanno versato il loro sangue, non su vede cosa vengono a fare qui i profeti che, in quell'ipotesi, non possono che essere personaggi del tipo di Agabo di cui parlano gli Atti 11:27; 21:10. L'importanza di questi profeti non aveva niente di paragonabile a quella degli apostoli di cui i più grandi — anche se ci si ostina a collocare l'Apocalisse nel 69 — avevano già versato il loro sangue. Sono gli apostoli che avrebbero fallito di menzionare e non i profeti. Non si obietti il versetto 18:20 nel quale gli apostoli intervengono: «E voi, i santi, gli apostoli e i profeti, rallegratevi anche voi». La presenza degli apostoli in 18:20 sarà spiegata presto senza difficoltà. Ciò che è inspiegabile è la loro assenza in tre testi dove si dovrebbe incontrarli e dove si incontra al loro posto i profeti che non hanno alcun titolo ad essere lì. In poche parole l'ipotesi secondo la quale i «santi» di 11:18; 16:6; 18:24 sono martiri cristiani ha per risultato di rendere impossibile la spiegazione di questi testi. Questo risultato è un indizio sufficiente della sua falsità. Distogliamo dunque il nostro sguardo da un altro lato e diciamo che i «santi» in questione hanno versato il loro sangue per la causa ebraica in una data che resta da determinare. Immediatamente i «profeti» diventano o i profeti dell'Antico Testamento oppure gli istigatori del sollevamento — ancora ignoto — nel quale i «santi» hanno ceduto; e, in un modo o nell'altro, hanno qui la loro ragion d'essere. Aggiungo che «gli uomini che temono» Dio di 11:18 diventano, in quell'ipotesi, proseliti affiliati al giudaismo e vittime della loro affiliazione. I nostri testi, che prima erano incomprensibili, acquisiscono un significato plausibile. In quattro punti i «santi» dell'Apocalisse sono martiri per la causa ebraica. È il momento di ritornare alle «anime» di 6:10 che domandano a Dio di vendicarle e ai «servi» di 19:2 che Dio ha vendicato. Abbiamo visto che le anime che gridano vendetta al cielo non possono essere i martiri cristiani del 64. Ma è impossibile non riconoscerli nei «santi» di cui Roma ha versato il sangue e che saranno vendicati. Le anime che, in 6:10, domandano a Dio di prendere in mano la loro causa e che, in 19:2, hanno ottenuto soddisfazione, sono quindi martiri ebrei. E, siccome l'ambientazione teatrale dell'Apocalisse — fatta eccezione di vari ritocchi — serve a preparare o a realizzare la vendetta divina, ne consegue che l'Apocalisse, considerata nel suo insieme e al netto di alcune aggiunte che restano da determinare, è un'opera ebraica.

Quella seconda conclusione, nello stesso tempo in cui conferma la prima, la peggiora particolarmente. Non si può formularla senza temere di cadere in qualche illusione. Non si può ammetterla senza cercare una prova ulteriore. Questa prova ulteriore esiste? Alle concordanze già segnalate si possono aggiungere nuove concordanze? Vediamo. 

A partire dal capitolo 8 calamità di ogni sorta si abbattono a valanghe sulla terra. Ma, prima che i cataclismi siano rovesciati, un angelo (7:3-8) segna sulla fronte i servi di Dio. Dove si trovano questi servi di Dio? Nelle dodici tribù dei figli d'Israele, che sono passati tutti successivamente in rassegna, e che forniscono tutti il loro sostegno come servi di Dio. L'epistola ai Galati ci dice (3:28) che, nel Cristo Gesù, «non vi è più né Giudeo né Greco»; e (6:15) che «la circoncisione non è nulla né l'incirconcisione, ma la nuova creatura». Ma quella dottrina è nulla per il nostro Veggente che esprime fieramente davanti a noi la lista delle tribù dei figli d'Israele ed enumera i servi di Dio che possiede ciascuna di loro. 
Leggiamo ora il capitolo 21. Vediamo la nuova Gerusalemme discendere dal cielo. Essa è meravigliosa. Nella sua possente muraglia dodici porte sono presenti. E sulle dodici porte sono scritti dodici nomi (21:12). Quali ? «Quelli delle dodici tribù dei figli d'Israele». So che poche righe più oltre (14) la muraglia ha «dodici basi» sulle quali ci sono «i dodici nomi dei dodici apostoli». Ritornerò più oltre sulle «dodici basi» e dirò perché esse sono lì. Noto semplicemente qui che esse non riescono a nascondere quanto scritto. Qualunque cosa facciano, ciò che è scritto sulle dodici porte, sono i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele, e i nomi attestano alla loro maniera che l'Apocalisse è un'opera ebraica.

Esistono ancora altre corrispondenze? Interroghiamo le lettere alle Chiese dell'Asia. 

La lettera alla chiesa di Smirne denuncia (2:8) persone «che si dicono giudei, che non lo sono, ma che sono una sinagoga di Satana». La lettera alla chiesa di Filadelfia ci informa (3:9) che vi è anche in quella città una «sinagoga di Satana» e che quella sinagoga è composta da persone «che si dicono giudei ma non lo sono e mentono». Le «sinagoghe di Satana» sono, nel pensiero dell'autore, false sinagoghe di fronte alle quali si ergono le sinagoghe di Dio. A Smirne e a Filadelfia ci sono due sinagoghe, la sinagoga di Dio e la sinagoga di Satana che è solo una caricatura della prima. Cos'è che le differenzia l'una dall'altra? Raccogliamo le parole dell'autore. Egli ci spiega che le sinagoghe di Satana hanno come membri persone che si pretendono ebree senza esserlo. Se i loro membri fossero ebrei  non sarebbero quindi più delle sinagoghe di Satana. Si vede chiaramente che solo i veri ebrei costituiscono le sinagoghe di Dio e che una sinagoga appartiene a Satana quando coloro che la compongono non sono ebrei pur avendo la pretesa di esserlo. 

Le due ipotesi opposte sono possibili. Si può supporre che l'autore sia un cristiano che, basato sull'epistola ai Romani 2:28-29, dice agli ebrei: «I veri ebrei siamo noi perché noi abbiamo la vera circoncisione, quella del cuore». [3] Ma si può anche supporre che l'autore sia un ebreo che dica ai cristiani: «Voi pretendete di essere ebrei:  voi mentite; noi soli siamo ebrei perché noi soli osserviamo la Legge». Come scegliere? La scelta sarebbe impossibile se le nostre due ipotesi corrispondessero entrambe alla realtà. 

Ma ciò non è così. I cristiani pretendevano di essere i veri ebrei solo allorché erano costretti a quella pretesa dalle esigenze della polemica. Nella vita comune essi dimenticavano quella pretesa e lasciavano agli ebrei il monopolio del loro titolo. L'autore delle nostre sette lettere è un ebreo. Il significato dei suoi testi è questo: «I cristiani di Smirne e di Filadelfia, pressati dalle nostre obiezioni e per avere qualcosa da dire quando sono a corto di argomenti, si definiscono ebrei. Essi mentono e le loro sinagoghe sono sinagoghe di Satana». La condotta degli avversari è paragonata a quella di Balaam e di Gezabele; ai sostenitori è promessa un frammento di manna nascosta: tutti questi ricordi dell'Antico Testamento si spiegano perfettamente sotto la penna di un autore ebreo.
 Ma quali sono le «profondità di Satana» (2:24) conosciute dagli avversari? Come un ebreo può trattare da «mentitori»  (2:2) gli apostoli cristiani? Le «profondità di Satana» sono un'allusione alle «profondità di Dio» di cui parla la prima epistola ai Corinzi (2:10). L'autore conosce questo testo e vi risponde con un'ironia sprezzante. Quanto al rimprovero formulato contro gli apostoli cristiani, egli trova la sua spiegazione nella cronologia. Se teniamo conto solo del vocabolario, dobbiamo dire che l'apostolato cristiano è ispirato all'apostolato ebraico. Prima della venuta del Cristo il sinedrio inviava tra gli ebrei della diaspora dei delegati incaricati di prelevare l'imposta del tempio e di compiere altre missioni comandate dalle circostanze. Questi delegati erano definiti apostoli. Paolo era uno di questi apostoli prima della sua conversione, fu inviato dal sinedrio a castigare gli ebrei cristiani. È per imitazione degli apostoli ebrei che i delegati delle comunità cristiane e i predicatori cosiddetti delegati dal Cristo sono stati chiamati apostoli. [4] L'autore delle nostre lettere, che conosce solo gli apostoli ebrei, tratta da mentitori gli apostoli cristiani.

NOTE
[1] L'impero romano.
[2] Come Bossuet.
[3] Si veda Giustino, Dialogo, 11, 123, 135.
[4] Harnack, Mission und Ausbreitung des Christentums, pag. 274.

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