mercoledì 12 luglio 2023

Le interpolazioni al testo di Giuseppe

 (segue da qui)

II. — SUL TESTO DI GIUSEPPE FLAVIO


§ 4) Le interpolazioni al testo di Giuseppe. — A questo punto, per quei lettori che — non usi a maneggiare codici antichi — potrebbero essere tratti in inganno da alcune interpolazioni contenute in Giuseppe Flavio, dobbiamo rilevare che nelle comuni edizioni delle Antichità Giudaiche si legge un passo intero (XVIII, IV, 3), incastrato fra i passi illustranti i tempi di Pilato, che così suona: «Circa quel tempo visse Gesù: uomo saggio, seppure è lecito affermare ch'egli fosse uomo; perché fece opere meravigliose. Fu Maestro di persone che amavano con passione la verità, e trasse al suo seguito molti Giudei e molti Gentili. Egli era il Messia (Kristòs); e quantunque Pilato, a richiesta dei primi tra i nostri che l'accusavano, lo avesse condannato alla croce, pure i suoi originari seguaci non cessarono mai di amarlo, giacché dopo il terzo giorno comparve loro vivo di nuovo, avendo queste e cento altre cose mirabili predetto di lui i divini profeti; e perdura ancora una gente, la quale da lui fu nominata dei messianici (Kristianòn)».

È giudizio acquisito che questo passo non appartiene al testo originario di Giuseppe. D'altronde, a parte lo stile assolutamente nuovo, ed il senso di venerazione implicito nei termini usati, basti rilevare che in questo passo Gesù è riconosciuto «Messia», per argomentare che Giuseppe Flavio, sacerdote giudeo, non poteva ammettere, e quindi non poteva scrivere, che il «Messia» fosse Gesù. È noto infatti che i Giudei, e specialmente i sacerdoti, avevano negato al Maestro di Galilea la veste di Messia; ché anzi, secondo la tradizione, il Sinedrio di Gerusalemme aveva condannato quello, appunto perché si era proclamato Messia. Ciò stante, come poteva Giuseppe, che era giudeo ed era sacerdote, riconoscere al Gesù, nel quale egli non aveva creduto (o quanto meno, non credeva più nel momento in cui scriveva) la veste di Messia? Peraltro, appartenendo Giuseppe alla classe sacerdotale, che presso tutti i popoli rappresentò sempre il partito conservatore, egli era, e doveva essere, avversario di ogni idea innovatrice. Aggiungiamo che essendo Giuseppe un «dottore della Legge» conosceva bene le profezie messianiche; ma aveva preferito, nel suo libro, applicarle a Vespasiano imperatore (Guerra, VI, V, 5). Ora, se per Giuseppe Flavio il Messia vaticinato dai profeti era Vespasiano, non poteva essere stato contemporaneamente un altro personaggio. Il passo sopra riportato quindi deve ritenersi interpolato.

Non occorre adesso rilevare le altre incongruenze del passo stesso, il cui contenuto è smentito anche dalla tradizione cristiana. Difatti — a parte l'assurda attribuzione a Giuseppe Flavio di un riconoscimento riguardante il «mistero» della resurrezione — dire che il «Maestro» avrebbe tratto al proprio seguito, oltre a molti Giudei, anche molti Gentili, costituisce una enormità. Giacché dai Vangeli apprendiamo che allorquando Gesù prescrisse ai discepoli di predicare la sua dottrina, così ebbe a dir lor (Matteo, X, 5): «Non andate ai Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani; ma andate soltanto alle pecore perdute della casa di Israele, e predicate loro dicendo: il Regno dei Cieli è vicino».

Per altro le interpolazioni nei codici erano anticamente molto frequenti. Giacché pochi essendo allora gli esemplari di un'opera, e tutti essendo manoscritti, facile era a chi detenesse un codice aggiungere di proprio pugno quei passi, postille o chiose, che esso riteneva utili. E poiché quello stesso codice serviva in seguito per tirare altre copie dell'opera, avveniva che il successivo copista copiasse le chiose aggiunte dal precedente lettore, insieme col testo. Nel caso concreto poi è verosimile — dato lo stile del passo — che qualche lettore cristiano dei primi secoli, consultando il testo di Giuseppe, e non trovando in mezzo ai fatti di Pilato alcun cenno del Gesù, avesse creduto necessario apporre un'aggiunta al testo, con la convinzione di colmare una lacuna. Ed è superfluo ricordare che proprio in conseguenza di tale aggiunta, Giuseppe Flavio, erroneamente ritenuto scrittore cristiano, sfuggì con le sue opere al rogo, che ogni opinione vincitrice accende sempre, coi libri delle opinioni contrarie, quando debba festeggiare il proprio trionfo (cfr. Cassiodoro, Institutiones divinarum litterarum). 

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