sabato 27 maggio 2023

Origini Sociali del CristianesimoPrima Epistola di Pietro

 (segue da qui)

V. — NUOVE SCRITTURE

Per garantire al meglio la fede della grande Chiesa, minacciata dalle critiche dei dissidenti, importava, poiché il dibattito si svolgeva sul terreno dei testi, moltiplicare le testimonianze scritte, a favore della fede ortodossa. Paolo restava sospetto a molti, perché era l'autore preferito dagli eretici. Non è citato né menzionato una sola volta dall'apologeta Giustino, che non ha potuto però ignorarlo e il cui silenzio persistente è quindi sistematico. Non valeva meglio invocare, ad uso dei fedeli che non si erano lasciati insidiare dalla propaganda marcionita, l'autorità dei grandi apostoli che avevano difeso contro di lui i diritti della tradizione? Questo pensiero ben naturale ispirò diversi scritti che dovevano presto prendere posto accanto alla raccolta paolina.


Prima Epistola di Pietro.

Pietro appariva come il patrono più qualificato della vera fede. Non era forse il primo dei Dodici, il Principe degli Apostoli? Nel libro stesso degli Atti, dove era messo in parallelo con Paolo, manteneva molto nettamente la precedenza. Anche lui, soprattutto, doveva intervenire a favore del cristianesimo per premunirlo dai pericoli che lo minacciavano. Nella seconda edizione del Vangelo secondo Luca, Gesù gli aveva annunciato, prima di predire il suo triplice rinnegamento, che si sarebbe risollevato e che avrebbe dovuto rafforzare i suoi fratelli. [95] È dal senso di questo ruolo provvidenziale che procede un'Epistola importante, che si presenta come indirizzata da «Pietro, apostolo di Gesù Cristo, agli stranieri eletti della Diaspora di Ponto, Galazia, Cappadocia, Asia, Bitinia».

Perché lo scritto è riservato ai membri della Diaspora? Perché l'autore è ritenuto avere per sua parte gli ebrei, come Paolo i gentili. Perché si dà così lontani destinatari? Non ce lo si spiegherebbe se non ci si ricordasse che la prima delle cinque province elencate da lui è quella da cui proviene Marcione. Il discorso tende a mostrare che il Ponto è stato iniziato di buon'ora, come gli altri paesi, alla vera fede e che è per colpa dell'eresiarca se esso ha perso la sua purezza originaria. Una leggenda successiva tradurrà quella idea sotto una forma immaginaria: Marcione sarebbe stato il figlio di un vescovo di Sinope e sarebbe stato scomunicato da lui per aver sedotto una vergine. [96] Per il momento, mediante un'audace capovolgimento dei ruoli, si fa venire dai luoghi stessi da cui è partita la sua offensiva un'attestazione solenne del primo degli apostoli a favore dei cristiani che restano legati alla tradizione ebraica.

Questo è, infatti, il carattere essenziale dell'Epistola. L'autore vi delinea a grandi tratti l'insegnamento dogmatico e morale della Chiesa romana. Lo fa seguendo il metodo così caratteristico dei due libri a Teofilo e della nuova raccolta dei testi paolini. Prende, in particolare, uno degli scritti a cui si appellano gli eretici, l'Epistola agli Efesini, di cui Marcione ha fatto un grande uso; se ne appropria le parti essenziali, separandole al meglio per restare fedele alla sua finzione, e le completa con osservazioni proprie, designate a far valere la sua propria concezione del cristianesimo, o più esattamente quella del gruppo che rappresenta.

Come lo Pseudo-Paolo dello scritto in questione, lo Pseudo-Pietro mette in rilievo l'idea del Cristo Salvatore, che è morto per gli uomini al fine di purificarli con il suo sangue, ma che è stato risorto in spirito da suo Padre ed esaltato da lui al di sopra degli Angeli, dei Principati e delle Potenze, da dove lo si vedrà presto venire per rendere a ciascuno secondo le sue opere. [97] Si spinge ancora più in là in quella direzione, perché ci mostra il Crocifisso che discende negli inferi per «predicare agli spiriti che erano in prigione» dal tempo del diluvio. «Il Vangelo», dice più oltre, «è stato annunciato ai morti affinché, dopo essere stati giudicati come gli uomini quanto alla carne, vivessero secondo Dio quanto allo spirito». [98] La stessa idea era già stata sostenuta da Marcione. Riprendendola per suo conto, lo Pseudo-Pietro mostra piuttosto di voler fare opera di sintesi, non di «antitesi».

La preoccupazione per la moralità prevale in lui su quella per la dogmatica. Lo si vede dall'ampiezza e dalla diversità delle regole che formula. Dettaglio tipico: raccomanda soprattutto di essere «soggetti a ogni autorità costituita tra gli uomini, sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi luogotenenti, per il castigo dei malfattori e la ricompensa dei buoni». [99] Abbiamo lì come un'eco della raccomandazione formulata nell'ultima edizione dell'Epistola ai Romani. Le altre direttive riguardano gli schiavi, le mogli, i mariti, gli «anziani», i giovani. [100] La maggior parte sono modellate su quelle che lo Pseudo-Paolo rivolge agli Efesini. Esse mirano a fare dei cristiani a cui sono destinate «una razza eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa». [101] Un buon marcionita avrebbe potuto sottoscrivere questo senza difficoltà. 

Ma lo pseudo-Pietro non si ferma qui. Egli presenta l'intera economia cristiana della redenzione come il risultato finale della religione di Israele. «È di questa salvezza», spiega, «che i profeti... hanno fatto l'oggetto delle loro ricerche e delle loro indagini, volendo sondare l'epoca e le circostanze segnate dallo Spirito che era in loro e che attestava in anticipo le sofferenze del Cristo e la gloria da cui sarebbero seguite. A loro è stato rivelato che non era affatto per loro stessi ma per voi che prepararono le cose che, ora, vi sono state annunciate...». [102] Ciò equivale a dire che il giudaismo costituisce una sorta di introduzione al Vangelo. Il seguito lo attesta ancora meglio e in modo più preciso. Vi vediamo invocare o sfruttare di volta in volta la Genesi, [103] l'Esodo, il Levitico e il Deuteronomio, Osea, Isaia, Ezechiele e Daniele, i Salmi e i Proverbi. Non sono quindi solo i Profeti propriamente detti, ma gli autori sacri dell'ebraismo nel loro insieme ad aver profetizzato a proposito della Nuova Legge. È tutta la Bibbia ebraica a  dover essere considerata come una preparazione evangelica. Siamo qui all'opposto del marcionismo. Se nessun tratto si rivolge ad esso in un modo diretto, è semplicemente perché non si poteva, senza andare contro ogni probabilità, far criticare da uno dei dodici compagni di Gesù una dottrina del secondo secolo.

Il testo appare nondimeno scritto in un tempo di crisi, per mantenere i fedeli sulla via dell'ortodossia, da cui rischiavano di essere sviati dalle false dottrine di una comunità rivale. Così si spiega quella dichiarazione finale ben caratteristica: «È per mezzo di Silvano, che è ai miei occhi un fratello fedele, che vi ho scritto queste poche parole, per esortarvi e testimoniarvi che la grazia di Dio alla quale voi siete legati è quella vera». [104] Questo dà a pensare che c'è un'altra economia di grazia che non è affatto secondo la verità, che ci sono altri fratelli che si allontanano dalla fede.

Lo Pseudo-Pietro continua: «La Chiesa degli eletti che è in Babilonia vi saluta, così come Marco mio figlio». Va notato che Silvano e Marco appaiono nell'Apostolikon come ausiliari di Paolo. Presentandoli entrambi come propri compagni, il capo dei giudeo-cristiani mostra di essere d'accordo con il suo ex rivale, senza professare perciò le dottrine che gli eretici gli attribuiscono. Dandogli il secondo come suo «figlio», lo raccomanda particolarmente ai suoi lettori. Alcuni critici hanno ipotizzato con molta probabilità che egli voglia rivestire così della sua autorità il Vangelo detto «secondo Marco». Presto in effetti si dirà, contrariamente a ogni probabilità, che Marco è stato il discepolo di Pietro e che sono i ricordi del Maestro ad essere esposti da lui nella sua opera, come se il suo racconto non fosse chiaramente ostile al primo dei Dodici quanto e ancor più che al gruppo nel suo insieme.

Infine, la menzione di «Babilonia» può essere presa alla lettera e designare l'antica città di questo nome, dove il nostro autore avrà spedito il Principe degli Apostoli per fargli evangelizzare tutto l'Oriente. Di buon'ora si è pensato che si trattasse piuttosto di Roma e ci si è basati su questo testo per sostenere che il capo del Collegio apostolico fosse giunto, come il suo primato sembrava richiedere, al centro dell'Impero. Solo non si vede perché colui che scrisse in suo nome ne avrebbe fatto mistero. Egli aveva ogni interesse a dirlo senza mezzi termini. D'altra parte, l'identificazione della città imperiale con l'antica Babilonia, detestata dagli ebrei, è comprensibile in un'opera così ostile all'Impero come l'Apocalisse. Essa non si spiegherebbe in uno scritto come il nostro, il cui autore chiede ai cristiani di avere un atteggiamento leale nei confronti dei Poteri costituiti.

Ma non c'è dubbio che l'Epistola sia stata scritta a Roma. Tutto, infatti, tradisce in essa lo spirito, il metodo, lo stile di Clemente. È il complemento naturale dei due libri a Teofilo e della raccolta dei testi paolini. 

NOTE

[95] Luca 22:32.

[96] EPIFANIO, Haer. 42:1. 

[97] Prima Epistola di Pietro 1:3-5 e 17-21. Si veda Efesini 1:3-14; 20-23; 2:1-18; 3:8-12.

[98] Prima Epistola di Pietro 3:18-20; 4;6.

[99] Id., 2:13-17; Romani 13:1-7. 

[100] Pietro 2:18-25; Efesini 6:5-8; Pietro 3:1-6; Efesini 5:22-24; Pietro 3:7; Efesini 5:25-33; Pietro 4:1-4; Efesini 4:14-17; Pietro 5:5-7; Efesini 6:1-3. 

[101] Pietro 2:9.

[102] Id., 1:10-12. 

[103] Genesi: Pietro 3:5-6; Esodo: Pietro 2:9; Levitico: Pietro 1:16; Deuteronomio: Pietro 1:23; Osea: Pietro 2:10; Isaia: Pietro 2:6-8-12, 22-24; 3:14; 4:14; Ezechiele: Pietro 4:17; Daniele: Pietro 1:23; i Salmi: Pietro 2:3-7-11; 3:10; 5:7; i Proverbi: Pietro 2:17; 3:6; 4:8-18.

[104] Pietro 5:12.

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