martedì 25 aprile 2023

Origini Sociali del CristianesimoApocalisse

 (segue da qui)


CAPITOLO VIII

LA GRECIA E L'ASIA. 

SAN GIOVANNI E LA GNOSI


SOMMARIO

I. — Comunità giovannee. L'Apocalisse. Il quarto vangelo. Le epistole giovannee.

II. — Comunità gnostiche. La gnosi secondo Ireneo. Ofiti. Naasseni.

III. — La gnosi simoniana. I simoniani. Simone e Paolo. Paolinismo e giudaismo. Tendenze giudaizzanti. Conclusione.

Sommairo di P. A. — Cristianesimi giovannei: le sette chiese d'Asia viste da Patmos. Efeso e il quarto Vangelo. Gnostici giudaizzanti: Naasseni. Perati, Set... Ofiti. Gnostici antigiudaici: Marcione. Antignostici: Policarpo, Papia. 

I. — COMUNITÀ GIOVANNEE

Accanto alle comunità paoline in Asia, ce n'erano altre che si possono definire giovannee, perché si appellavano a Giovanni, discepolo preferito di Gesù. Il loro centro principale si trovava a Efeso, dove questo apostolo, si diceva, aveva finito i suoi giorni. Queste Chiese ci sono soprattutto conosciute dai primi capitoli dell'Apocalisse, dal Quarto Vangelo e da tre Epistole che vi si legano strettamente. Una lettura attenta di questi testi ci mostra che anche lì ci si combatteva duramente tra i credenti e  le tendenze estreme si affrontavano. Anche lì la lotta era avvenuta tra le tradizioni del giudaismo e quelle dell'ellenismo.

Apocalisse.

La concezione più arcaica è rappresentata dall'inizio dell'Apocalisse. Il testo iniziale si presenta come una «rivelazione» di «ciò che deve arrivare presto» fatta per mezzo di un Angelo al Servo di Dio Giovanni. [1] Costui raccontava subito come fu rapito in spirito nel giorno del Signore e intese una voce, simile al suono di una tromba che lo invitava a salire per vedere ciò che doveva accadere. [2] Negli intervalli di questo preambolo fu introdotto, nel primo quarto del II° secolo, un brano importante che occupa la maggior parte del primo capitolo e la totalità dei due successivi. Il carattere apocrifo di questo brano è evidente. Il verso iniziale annuncia la Rivelazione di «ciò che deve accadere presto», e il resto del libro risponde a questo programma. Qui, al contrario, si tratta piuttosto di ciò «che è» della situazione presente delle «Chiese d'Asia». È detto all'inizio che quella manifestazione del futuro accordata da Dio al suo servo è stata fatta «per mezzo del suo Angelo» ed è in effetti per mezzo di lui che è mostrato nel seguito tutto ciò che accadrà. Ora, nell'enclave in questione, è Gesù stesso che interviene, non uno spirito anonimo. [3] L'insieme è costituito da una serie di visioni di cui ciascuna comincia con la stessa espressione: «Ho visto». Il testo interpolato inizia piuttosto con l'ascolto di una grande Voce che domanda a Giovanni di scrivere alle sette Chiese di Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea. Un messaggio speciale è dato per ciascuna di queste città, che si susseguono per ordine di importanza e sempre esordisce con la stessa parola: «Scrivi».

Ora queste lettere sono la controparte delle Epistole di Paolo ai Galati, ai Corinzi, ai Romani, ai Tessalonicesi, ai Laodicesi, ai Filippesi, ai Colossesi. Esse hanno per scopo di mettere i lettori in guardia contro le innovazioni della gnosi ellenica. L'apostolo dei Gentili non vi è affatto nominato. L'autore se la prende direttamente solo contro i «Nicolaiti».

Si è detto di buonissima ora, e già nel II° secolo, [4] che si tratta dei discepoli di un certo Nicola, proselita di Antiochia, che ci è presentato negli Atti degli Apostoli come uno dei capi del gruppo dei cristiani «ellenisti». [5] Queste persone, si spiega, erano gnostici. Distinguevano il Dio padre dal Creatore, Potenza molto inferiore, senza comunicazione con il mondo invisibile. Per loro, Gesù era un uomo come gli altri, derivato dal Creatore come tutti i suoi simili. Il Cristo, figlio unico del vero Dio, discese in lui, poi, compiuto il suo compito, lo abbandonò per risalire nel seno del Pleroma. Lì si limitano le nostre informazioni. Ma si può ipotizzare che, per questi gnostici come per tutti gli altri, il Cristo, venuto quaggiù al fine di rimediare all'opera nefasta del demiurgo, e di liberare lo spirito divino, prigioniero della materia, avesse presentato la legge degli ebrei e quelle degli altri popoli come pure invenzioni del Creatore, e avesse insegnato che si può essere salvati solo per mezzo della fede nel Cristo e dell'adesione alla sua dottrina. Così si spiegherebbero i rimproveri che il veggente di Patmos fa rivolgere loro per mezzo del Cristo.

Ma le sue critiche sembrano rivolte, attraverso la gnosi dei Nicolaiti, a quelle dei Paolini, il cui capo, venuto anch'egli da Antiochia, e spesso trattato da «falso apostolo», aveva sostenuto che si possono mangiare senza contaminarsi carni consacrate agli idoli, e aveva affermato con enfasi che lo spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio, che aveva d'altra parte guadagnato alla sua fede una donna lidia di Tiatira e preso dimora da lei. [6] Visibilmente le sette lettere dell'Apocalisse rappresentano le tendenze del cristianesimo giudaizzante, che rifiuta sistematicamente ogni abbandono della Legge come una perversione della fede.

Ecco, ad esempio, la lettera indirizzata all'«Angelo della Chiesa di Efeso», vale a dire al Presidente della comunità: «Conosco le tue opere, il tuo lavoro, la tua costanza, e dico che non puoi tollerare i malvagi. Mettesti alla prova quelli che si dicono apostoli e quelli che non lo sono, li trovasti bugiardi... Hai questo per te: odi le opere dei Nicolaiti, che anch'io odio». [7]

L'importanza data qui alle «opere» è una lezione all'indirizzo di coloro che sostengono con Paolo che si è salvati solo per la fede. Il ripudio di «coloro che si dicono apostoli e non lo sono» deve rivolgersi anche a lui, perché egli stesso fa un'allusione molto netta ai giudaizzanti che rifiutano di riconoscere il suo apostolato. [8]

Non meno significativa è la lettera all'«Angelo della Chiesa di Smirne»: «Conosco la tua tribolazione e la tua povertà, tuttavia tu sei ricco, e la blasfemia di coloro che si dicono giudei e non lo sono, ma conciliabolo di Satana». Ricordiamo a questo proposito l'insistenza con la quale Paolo avanzava le sue origini ebraiche, come se il bisogno se ne facesse sentire [9] e la leggenda tendenziosa dei Nazareni che gli davano una madre e un padre pagani.

All'«Angelo della Chiesa di Pergamo» è scritto ancora: «Ho contro di te qualcosa: hai là gente che custodisce la dottrina di Balaam, che insegnava a Balak a far inciampare i figli d'Israele, fino a mangiare carni di idoli e a fornicare; così anche tu hai alcuni che custodiscono similmente la dottrina dei Nicolaiti». La menzione piuttosto inaspettata di Balaam deriva da un semplice gioco di parole, perché questo nome vuol dire in ebraico la stessa cosa di Nicola in greco. Altrettanto importante è il rimprovero di permettere il consumo di carni consacrate agli idoli e alla fornicazione. L'accusa investe direttamente Paolo, che scrive nella Prima Epistola ai Corinzi: «Tutto ciò che si vende al mercato, mangiatelo, senza informarvi di nulla per ragione di coscienza, perché del Signore è la terra così come il suo contenuto» (Salmo 24:1). Comportarsi così, per l'autore dell'Apocalisse, equivale a prostituirsi con false divinità, equivale a fornicare con esse. [10]

All'«Angelo della Chiesa di Tiatira» è rivolta un'obiezione identica: «Ho contro di te che lasci fare la donna Gezabele, che si dice profetessa, che insegna e che svia i miei servi cosicché si diano alla prostituzione e mangino la carne degli idoli. Le ho dato un termine perché si penta... ma io dico a voi, agli altri di Tiatira, che non avete affatto quella dottrina, che non conoscete le «profondità» di Satana, come dicono, ... Io non getto su di voi altro peso, ma quello che avete, custoditelo finché io venga». [11] Si è ipotizzato che la nuova Gezabele, che come la moglie di Acab induce i fedeli all'idolatria, possa ben essere una donna di Tiatira di nome Lidia, che secondo gli Atti degli Apostoli si dedicò appassionatamente a Paolo. In ogni caso, è proprio lui stesso che sembra essere preso di mira nella seconda parte del messaggio, perché leggiamo nella Epistola ai Romani: «O profondità della ricchezza, dei sapienti e della scienza di Dio!» e nella prima Epistola ai Corinzi: «Lo spirito penetra ogni cosa, anche le profondità di Dio». È con sarcasmo che il suo avversario giudaizzante parla a questo proposito di «profondità di Satana». Il messaggio all'«Angelo della Chiesa di Sardi» è ben più vago e si riassume in questo avviso sommario: «Conosco le tue opere: hai nome di vivente e sei un morto. Risvegliati, ravviva ciò che rimane e stava per morire, perché non ho trovato opere da te compiute davanti al mio Dio». La riflessione sarebbe ben insignificante rispetto al contesto se non celasse un'intenzione più ampia. L'assenza di buone opere è rimproverata con una tale asprezza solo perché si veda bene che non è  la fede che salva, come insegna Paolo. [12]

Gli ultimi due messaggi, indirizzati agli Angeli delle Chiese di Filadelfia e di Laodicea, non fanno che ripetere i temi precedenti. Uno inveisce di nuovo contro «coloro che si dicono giudei e non lo sono». L'altro rimprovera il destinatario anonimo di queste stesse «opere» la cui importanza è già stata così affermata e che egli pratica con troppa tiepidezza.

L'autore ha detto tutto quello che aveva da dire. Ricorda, per finire, la grande Voce che ha inteso all'inizio e che lo invita a «salire» per vedere «ciò che accadrà». Così si ritrova riunito al testo originale. Si era fermato su queste parole: «Fui rapito in spirito nel giorno del Signore». L'autore riprende ora la formula: «Fui rapito in spirito», facendo così come un punto di sutura. [13] Poi, siccome il testo dell'Apocalisse così ampiamente interpolato da lui, rischia di essere lungo per la lettura della domenica, sopprime la conclusione del libro che è lunghissima e la sostituisce con un'altra molto più breve, [14] che non impedirà a un copista di aggiustare più tardi da un capo all'altro i due finali per non lasciar perdere nulla.

L'aggiunta dei sette messaggi è di grande interesse per la storia delle origini del cristianesimo. Mostra che la gnosi ellenizzata dello Pseudo-Paolo si è saldamente radicata nell'importante regione delle sette chiese. Ma attesta anche che i cristiani giudaizzanti sono numerosi e le fanno una guerra accanita. L'opposizione tra le due culture che si è manifestata di buon'ora in Siria riappare qui con un vigore accresciuto. Ma le posizioni rispettive delle parti non sono più le stesse. L'ellenismo si trova qui sul suo stesso terreno, ha nel paese radici profonde; il giudaismo al contrario fa qui figura di straniero, è soprattutto rappresentato da una popolazione fluttuante di immigrati la cui influenza è minima. Uno trionferà facilmente sull'altro. La stessa gnosi paolina sembra ancora troppo carica di elementi giudaici, che si devono alle sue prime origini e che le si impongono in virtù di un passato già lungo. A questo paese, dove il pensiero greco ha compiuto per secoli un balzo magnifico, occorre una dottrina meglio adatta alle sue tradizioni e al suo ideale.


NOTE DEL CAPITOLO 8 

[1] Apocalisse 1:1-3.

[2] Id. 1:9-10; 4:1.

[3] Id. 1:19-4:1.

[4] IRENEO 1:26, 3; 3:11, 1.

[5] Atti 6:5.

[6] 1 Corinzi 2:10. Atti 16:14-15.

[7] Apocalisse 2:2-6.

[8] 1 Corinzi 9:1-2.

[9] Apocalisse 2:9. 2 Corinzi 11:22. Filippesi 3:5.

[10] Id. 2:14-15. 1 Corinzi 10:25.

[11] Id. 2:20, 24-25. Cfr. Atti 16:14-15.

[12] Romani 11:33. 1 Corinzi 2:10. Apocalisse 3:2.

[13] Apocalisse 1:10 e 4:2.

[14] Id. 17:10-21:8 e 21:9, 20. 

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