lunedì 15 agosto 2022

L'APOSTOLO DI FRONTE AGLI APOSTOLIGIOVANNI BATTISTA E I DISCEPOLI DI GIOVANNI BATTISTA

 (segue da qui)

APPENDICI

I


GIOVANNI BATTISTA 

E I DISCEPOLI DI GIOVANNI BATTISTA

I vangeli forniscono su Giovanni Battista alcune informazioni che, in mezzo ai racconti universalmente leggendari di questi libri, hanno il sapore di dati storici. Si riconosce che un racconto ha delle possibilità di essere storico, quando esso soddisfa due, se non tre condizioni: principalmente, quando non è destinato a provare o legittimare alcunché, detto altrimenti, quando è disinteressato; secondariamente, quando rientra nel quadro della Storia acquisita; una garanzia supplementare gli è data (e questa è la terza condizione, la quale, senza essere indispensabile, è utile), quando è confermato da un documento di origine indipendente.

Ora, i racconti su Gesù sono universalmente (anche quelli che a prima vista non ne hanno l'aria, come quelli di Marco) messinscena destinate a situare degli insegnamenti; gli eventi della vita di Gesù si adattano alla storia ebraica solo con grandi rinforzi di esegesi; [1] infine, nessuna conferma di nessuna specie proviene dal minimo documento non cristiano. Al contrario, la predicazione di Giovanni presso il Giordano e la sua morte a Macheronte sono fatti che non tendono a dimostrare alcunché; essi si collocano molto naturalmente nel quadro del regno di Erode Antipa; hanno infine la rara fortuna di essere confermati da Giuseppe.

Si è obiettato il parallelismo del trio Giovanni, Antipa, Erodiade con il trio Elia, Acab, Gezabele; se occorresse che una rassomiglianza fosse necessariamente una dipendenza, si risponderebbe giustamente che il programma stesso di Giovanni era di ricominciare Elia e i profeti; forse, d'altronde, l'intero intervento di Erodiade è, come pure la danza di Salomè, la leggenda che fiorisce sulla Storia.

Per contro, il ruolo che i vangeli prestano a Giovanni è tendenzioso; Giovanni è il testimone di Gesù; la sua missione è di autenticare la carriera umana di Gesù. In Matteo 11:2-6 (il messaggio) lo scopo dogmatico risalta agli occhi. Ma ciò è un dogma sovrapposto alla Storia. Proprio come Paolo, Giovanni Battista è un personaggio storico che deve alla sua notorietà stessa il ruolo che gli assegnarono i vangeli; controllando il Nuovo Testamento per mezzo di Giuseppe, non è difficilissimo ricostruire i grandi tratti della sua carriera.

I dati del Nuovo Testamento su Giovanni sono conosciuti da tutti:

è nato ebreo e resta ebreo ortodosso;

è nazir (nell'accezione perpetua di Salvatorelli) ed è stato consacrato a Dio prima della sua nascita;

è un sant'uomo e un asceta;

riprende le procedure dell'antico profetismo;

la sua carriera pubblica si svolge in un'epoca che i sincronismi situano durante il procuratorato di Pilato (26-36);

opera nel deserto di Giudea e sulle rive del Giordano;

dà al battesimo un valore considerevole;

predica il prossimo avvento messianico;

è imprigionato e messo a morte da Erode Antipa a Macheronte.

Ecco d'altra parte ciò che si legge (Antichità 18:5,2 e 18:7) dopo il racconto della disfatta di Erode Antipa da parte di Areta, nel 36... Si comprenderà, cammin facendo, quale detestabile scrittore fosse questo Flavio Giuseppe...

«A più Giudei è parso che la rovina dell’esercito di Erode fosse dovuta a Dio, che vendicava molto giustamente la morte di Giovanni chiamato il Battista. Infatti Erode lo fece uccidere, lui, quest’uomo buono che esortava i Giudei a esercitarsi alla virtù, a praticare la giustizia gli uni nei riguardi degli altri e la pietà verso Dio, e a venire al battesimo. L'immersione li sembrava così una cosa buona, se non per cercarvi il perdono di certi peccati, almeno per la purificazione del corpo, l'anima essendo prima sbarazzatasi delle sue macchie per mezzo della giustizia. Tutto il popolo si affollava intorno a lui, ed erano appesi alle sue labbra. Erode temette che usasse il suo ascendente sugli uomini per portarli a qualche rivoluzione; poiché gli parevano disposti a far tutto su sua istruzione. Così egli giudicò preferibile, prima che qualcosa fosse tentato da lui, prendere l'iniziativa e far perire il Battista, piuttosto che aver da pentirsi, se un cambiamento si verificasse, di essere caduto in difficoltà. È per questo sospetto che Giovanni fu inviato come prigioniero a Macheronte, roccaforte menzionata più sopra, dove fu messo a morte».

Non vi è alcuna ragione di credere ad un'interpolazione.

Il passo è citato da Origene, Contro Celso 1:47.

È anche riportato da Eusebio, Storia ecclesiastica 1, 2:1-6 e 9, che lo cita testualmente. Tutto ciò concorda in fondo con i vangeli. Solo manca in Giuseppe la menzione del messianismo; ma si sa che Giuseppe ha il pregiudizio rigoroso di ignorare il messianismo.

La questione della patria di Giovanni è più difficile. Il Nuovo Testamento ne fa un ebreo; e Luca precisa, in 1:39-40, che i suoi genitori abitavano «una città di Giuda» e che suo padre era «sacerdote della classe di Abia». Per contro, egli è presentato da Giuseppe come pure dal Nuovo Testamento soggetto a giudizio da Erode Antipa, il che implica che sia suo suddito; ora, la giurisprudenza dei tempi è su questo esplicita. Il processo di Gesù è raccontato da scrittori che conoscevano male le usanze della Palestina; Marco e Matteo lo fanno comparire, quantunque galileo, davanti al procuratore di Giudea; ma Luca, che è meglio informato della legge in vigore, aggiunge, in 23:9, che quando Pilato «apprese che Gesù era della giurisdizione di Erode Antipa, egli lo rinviò a costui». Essendo Antipa tetrarca di Galilea e di Perea, e non essendo nulla in Giudea, un'origine galilea o transgiordana è quindi storicamente probabile; ma non vedo alcun documento capace di risolvere il problema. 

Dal maestro passiamo ai discepoli. Ci si permetta di chiamarli i giovannei per distinguerli dai giovannisti, parola comunemente riservata ai discepoli di Giovanni figlio di Zebedeo.

Essi sono menzionati nel modo seguente nei vangeli:

Matteo 9:4, Marco 2:8 e Luca 5:33: essi digiunano;

Matteo 11:2 e Luca 7:18: Giovanni, dalla sua prigione, li invia a parlare da Gesù; 

Matteo 14:12; Marco 6:29: seppelliscono il corpo di Giovanni;

Giovanni 1:35-41: due di loro, Andrea, fratello di Pietro di Betsaida, e un altro che sembra essere Giovanni, figlio di Zebedeo, sono i primi discepoli di Gesù;

Giovanni 3:25: disputano con un ebreo sulla purificazione, vale a dire sul battesimo.

Inoltre, senza specificare che siano dei discepoli, Matteo 3:5-6, Marco 1:5 e Luca 3:7 dicono che la folla viene a farsi battezzare da lui nel Giordano.

Giuseppe, lo abbiamo visto, dice similmente che «tutto il popolo si affollava intorno a lui, ed erano appesi alle sue labbra»; ma non precisa che abbia avuto discepoli. Questo silenzio non ha peraltro nulla che deve sorprenderci: i santi, gli asceti e i battezzatori erano numerosi in Palestina e, se Giovanni aveva avuto in Palestina un ruolo effimero, i suoi discepoli non ne svolsero alcuno che attirasse l'attenzione dello storico.

I dati dei vangeli, non contraddetti da Giuseppe, non ci permettono quindi di trarre, per i giovannei, le caratteristiche riconosciute a Giovanni e che si riassumono in queste tre parole: ascetismo, battesimo e messianismo.

Gli Atti degli Apostoli sono, per contro, particolarmente interessanti sui discepoli di Giovanni Battista:

C'è dapprima Apollo, in 18:24-28, giudeo originario di Alessandria, un uomo eloquente e versato nelle Scritture... Egli annunciò e insegnò accuratamente ciò che concerne Gesù, benché conoscesse il battesimo di Giovanni... Aquila e Priscilla, discepoli di Paolo, gli esposero più esattamente la dottrina.

Più oltre, in 19:1-7, sono dodici uomini ad essere stati battezzati con il battesimo di Giovanni.

Più oltre ancora, in 19:13-19, gli esorcisti, i sette figli del sacerdote ebreo Sceva, che operano nel nome del signore Gesù.

Questi testi sono tra i più importanti del Nuovo Testamento; si sa che forniscono uno dei migliori punti di appoggio alla tesi del Gesù mitico. Come spiegare che questo discepolo di Giovanni, Apollo, conosca ἀκριβῶς τὰ περὶ τοῦ κυρίου, se Giovanni stesso non è stato un settario dell'antico dio Gesù? Schmiedel, nel suo articolo dell'Encyclopedia Biblica su Apollo, ammette piuttosto ingenuamente il suo imbarazzo. Lo scrittore di Atti 18:25, raccontando che Apollo conosceva ciò che concerne Gesù, voleva parlare solo del messia come tutti gli ebrei lo aspettavano e lo intendevano comunemente, dice Schmiedel; soltanto, al posto di dire «il messia», egli ha detto «Gesù»... E Schmiedel aggiunge: 

«Lo scrittore non poteva esprimere il suo pensiero in un modo più improprio e più difettoso!».

Il buon comico è quasi sempre quello che non è intenzionale... Rassicuratevi, professor Schmiedel! Certi pensano che lo scrittore non fosse né un così cattivo scrittore né così starnazzatore, e che abbia detto benissimo ciò che voleva dire... Il grande starnazzatore è forse, vedete, il compilatore che ha dimenticato di correggere...

Tratteniamo tuttavia il significato delle parole τὰ περὶ τοῦ κυρίου. W. B. Smith ha stabilito che l'espressione non poteva concernere semplici informazioni sulla persona e sulla dottrina di un uomo di nome Gesù; non si sarebbe potuto dire, in quell'accezione, τὰ περὶ Ἰησοῦ più di quanto si sarebbe potuto dire τὰ περὶ Παύλου, τὰ περὶ Πέτρου, per parlare della vita e della predicazione di Paolo o di Pietro. Τὰ περὶ τοῦ κυρίου significa la fede in Gesù, il culto di Gesù, e sono precisamente definiti dagli antichi documenti degli Atti: «le parole del Signore Gesù», «la fede nel signore Gesù», gli esorcismi «nel nome del signore Gesù», i battesimi «nel nome del signore Gesù», ecco, ad esempio, in cosa consiste τὰ περὶ Ἰησοῦ. L'espressione implica, per parlare il linguaggio razionalista, se non la divinizzazione assoluta di Gesù, almeno la sua sovrumanizzazione. Ma non crediamo necessario insistere su un punto che Schmiedel riconosce dal fatto stesso che interpreta τὰ περὶ Ἰησοῦ con τὰ περὶ τοῦ Μεσσιας.

Esaminiamo quindi da vicino i due testi di Atti 18:24-28 e 19:1-7; non dobbiamo né accontentarci, come W. B. Smith, di trarne opinioni generali sull'esistenza di un culto «precristiano» di Gesù, né, come Schmiedel, eluderle. Il testo più importante è dei due 18:24-28, riguardante Apollo; ma esso si completa da quello, in 19:1-7, riguardante i dodici giovannei di Efeso. Apollo, infatti, non è un caso isolato; i dodici giovannei di Efeso sono, nei confronti degli altri cristiani, nella stessa situazione di Apollo; ma il testo che li riguarda fornisce, lo vedremo, un'indicazione che manca al primo. Aggiungiamo che i due testi provengono dal documento che chiamiamo «la Narrazione paolina» e che era un racconto, scritto di prima mano, delle avventure di Paolo; la Narrazione paolina non ha la venerabilissima antichità e l'intangibilità del Diario di viaggio; essa è nondimeno una guida abbastanza sicura... Ma queste sono questioni che non si possono trattare in poche pagine; il nostro modo di vedere al soggetto di questi due documenti non si discosta peraltro dal modo più generalmente accettato tra i critici razionalisti se non in questo, che noi accordiamo a queste due fonti, così come alla fonte antiochena, più autorità di quanto essi non facciano comunemente. 

Posto ciò, noi deduciamo da Atti 18:24-28 e 19:1-7 i punti seguenti:

Apollo viene istruito su «la via del Signore»; sappiamo che «la via del Signore» significa nel Nuovo Testamento la vera religione, il cristianesimo stesso; così, Apollo «annuncia e insegna con esattezza ciò che concerne Gesù», τὰ περὶ Ἰησοῦ, vale a dire la fede in Gesù e il culto di Gesù;

egli conosce il battesimo di Giovanni;

però non conosce interamente «la via del Signore», poiché Aquila e Priscilla gliela insegnano «con più esattezza»;

inoltre, il battesimo di Giovanni è insufficiente come battesimo;

egli è quindi «uno della via», un discepolo di Gesù, un battezzato, vale a dire un cristiano; ma un cristiano incompleto;

i testi non precisano in cosa Aquila e Priscilla completino la sua istruzione;

il primo testo, 18:24-28, non precisa, ma il secondo testo, 19:1-7, precisa in cosa il suo battesimo è insufficiente e come deve essere ricominciato; il battesimo che conta è il battesimo che, dato nel nome di Gesù, da chi di diritto, conferisce lo spirito santo... impieghiamo deliberatamente l'espressione vaghissima: da chi di diritto...;

quando l'istruzione del giovanneo è completata e il battesimo ricominciato, egli è ammesso «tra i fratelli».

Da questi fatti deduciamo, senza alcuna esitazione, che i giovannei sono cristiani, ma cristiani incompleti. Sono cristiani, perché sono istruiti su «la via del Signore» e possono annunciare e insegnare «ciò che concerne Gesù». Sono cristiani incompleti: perché la loro conoscenza della «via» ha bisogno di essere completata; perché il loro battesimo è insufficiente.

I testi, diciamo, non specificano in cosa Aquila e Priscilla debbano completare l'istruzione dei giovannei; essi precisano, al contrario, quali condizioni il battesimo deve soddisfare per essere valido. Senza studiare la storia del battesimo, tutti sono d'accordo che esso è la cerimonia di purificazione necessaria a chi vuole essere ammesso; il battesimo è la cerimonia di iniziazione che apre le porte dei gruppi. Il problema è dunque sapere fino a che punto il battesimo conferito in un gruppo apre le porte di un altro gruppo, è riconosciuto valido in un altro gruppo.

Non ci è possibile trattare in poche righe la questione del paolinismo più di quella della composizione degli Atti; tutti ammetteranno, in ogni caso, che intorno all'anno 50 i gruppi paolini erano in buona sintonia tanto con quello di Gerusalemme quanto con gli altri gruppi non paolini, se si hanno in vista solo i gruppi sparsi attorno al Mediterraneo. L'adesione dei pagani e l'obbligo della circoncisione sollevano solo alcune difficoltà, le quali non hanno nulla a che fare con la questione di Apollo e dei giovannei. Ciascuno dei gruppi cristiani ha la sua esistenza propria, la sua organizzazione e (speriamo che si finirà per riconoscerlo) la sua gerarchia; ma tutti hanno principi comuni, essi sono d'accordo sull'essenziale; intrattengono tra loro relazioni di confraternita; si è l'uno per l'altro «dei fratelli»; si è membri dello stesso corpo. Per dirla tutti, i diversi gruppi sono gruppi affiliati; le porte di un gruppo sono aperte ai membri di un altro gruppo.

Ora, praticamente, quella espressione «le porte di un gruppo sono aperte ai membri del gruppo vicino» si traduce nel modo seguente: il battesimo di iniziazione conferito, per esempio, nel gruppo di Corinto, permette di entrare anche nel gruppo di Efeso o persino di Gerusalemme; detto altrimenti, il battesimo conferito nel gruppo di Corinto è riconosciuto valido nel gruppo di Efeso o persino di Gerusalemme; detto altrimenti infine, il cristiano che è stato ammesso in uno dei gruppi affiliati può, se viaggia, mescolarsi con i membri degli altri gruppi; ma è indispensabile che il gruppo a cui è stato ammesso dapprima, vale a dire dove è stato battezzato, sia un gruppo affiliato.

Ora, l'analisi dei nostri testi stabilisce che il battesimo conferito in un gruppo giovanneo non conta nei gruppi cristiani, o perlomeno nei gruppi di Corinto e di Efeso, perché il gruppo giovanneo non è un gruppo affiliato.

Tale è la conclusione singolarmente importante alla quale ci conduce lo studio dei testi relativi ai giovannei. I giovannei conoscono, annunciano e insegnano ciò che concerne Gesù. Atti 18:25 è esplicito, ne convenite, o professor Schmiedel! Essi sono «della via del Signore», in modo incompleto ma esatto. I giovannei credono in Gesù; i giovannei sono cristiani. Ma i giovannei sono cristiani non affiliati agli altri gruppi; non appartengono a ciò che i teologi chiamano la grande chiesa.

Tentiamo, al presente, di collocare nella Storia il ruolo di Giovanni Battista.

Giovanni Battista, che sia originario di Giudea, di Galilea o di Perea, è un cristiano, vale a dire, poiché siamo in paese di lingua aramaica, un Nasuraia. Non cerchiamo affatto se sia nato da genitori già affiliati alla setta, o se vi sia aderito al momento in cui comincia la sua carriera; delle due ipotesi la prima è impossibile nella teoria razionalista e la seconda ben difficile da ammettere. Quel che ne sia, Giovanni, all'epoca del regno di Erode Antipa e più particolarmente in quella del procuratorato di Pilato, predica il nasoreismo, o piuttosto una certa specie di nasoreismo che gli è personale.

Si può immaginare la cosa come una sorta di rinnovamento nasoreo... La tesi mitica pone in linea di principio che il nasoreismo, quando verso l'anno 26 uscì da Genesaret, esisteva già da tempi lunghissimi e vegetava oscuramente... Quel che ne sia, Giovanni Battista è l'uomo la cui forte personalità gli dà una nuova vita; ma egli resta in disparte; non si mescola con gli altri Nasuraia; se ne va nel deserto; vive solitario, accontentandosi di chiamare le popolazioni al battesimo purificatore; sfugge all'organizzazione, diciamo alla gerarchia nasorea; il suo ideale è il profetismo; i suoi maestri sono Elia ed Eliseo; egli è, nel nasoreismo, un caso isolato. Così, il movimento giovanneo, se è un movimento di recrudescenza nasorea, è essenzialmente un movimento locale e individuale; si concentra attorno ad una personalità; rassomiglia a quei movimenti religiosi puramente locali che il protestantesimo denomina risvegli.

La grande posizione di Giovanni Battista nel cristianesimo sta, non si potrebbe ridirlo troppo spesso, nel fatto che se ne è fatto il testimone di Gesù; questo ruolo gli fu assegnato fin dal giorno in cui furono poste le prime basi del Matteo aramaico. Giovanni, a quella data, era morto da tempo; ma aveva lasciato alcuni discepoli e, dalla metà del primo secolo, si vedono, dai testi di Atti 18 e 19 sopra analizzati, che i cristiani della «grande chiesa», cristiani come Giacomo, come Pietro, come Giovanni, figlio di Zebedeo, consideravano i giovannei come dei «quasi fratelli»; si chiede solo di accoglierli; ma è necessario che è essi si facciano affiliare. 

I giovannei sono restati un gruppo di isolati; non c'è traccia di organizzazione nei testi che li riguardano. I gruppi nasorei di Paolo, di Giacomo, si Pietro sono al contrario gruppi organizzati, gerarchici... Gli uni sono chiamati a scomparire, gli altri a vivere — e a conquistare il mondo. Io vedo quindi Giovanni Battista come una sorta di Paolo avant la lettre, con tutta l'inferiorità di una personalità incurante dell'organizzazione rispetto ad una grande personalità organizzatrice.

Se Giovanni non fosse sembrato loro di poter essere il testimone della carriera umana che cominciavano ad attribuire al loro dio, non c'è dubbio che i cristiani avrebbero dimenticato il nome del fratello che aveva fatto banda a parte.


NOTE

[1] L'autenticità delle righe che si leggono su Gesù in Flavio Giuseppe è estremamente sospetta; la giustificazione che Robert Eisler ha creduto di trovare nell'edizione slava sembra poco accettabile. 

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