(segue da qui)
III
LA REPRESSIONE
Per più di trentacinque anni le comunità hanno goduto di una tranquillità che è stata turbata solo accidentalmente a Gerusalemme e una volta soltanto a Roma all'epoca di Claudio; le tribolazioni di cui San Paolo ha sofferto non hanno raggiunto la massa dei fedeli, e la Chiesa, secondo le espressioni che abbiamo attinto da uno studioso cattolico, ha potuto ingrandirsi nell'ombra e nel silenzio. E tutto di colpo, nel 64, decimo anno del regno di Nerone, come una tempesta in un ciel sereno, la repressione scoppiò a Roma, terribile.
Due testi precisi. In Svetonio, Nerone, 16, quella semplice frase
I cristiani, razza d'uomini di una superstizione nuova e perniciosa, furono consegnati ai supplizi.
In Tacito, Annali 15:38-44, il famoso racconto dell'incendio di Roma: la città che brucia per sei giorni, dieci dei suoi quattordici quartieri interamente o semidistrutti, Nerone che sale sul suo teatro privato per cantare la rovina di Troia, i cristiani subito accusati del crimine, arrestati in massa e orribilmente torturati.
«Li si avvolse in pelli di animali», scrive Tacito, «per farli divorare dai cani; li si attaccò a croci, oppure si spalmarono i loro corpi di resina e ci si servì la notte come di torce per illuminarsi. Nerone aveva ceduto i suoi propri giardini per questo spettacolo; e, allo stesso tempo, dava giochi nel circo, mescolandosi tra il popolo, in veste di cocchiere o guidando carri. Così, quantunque colpevoli e degni degli estremi supplizi, si sentì un moto di compassione per queste vittime, che sembravano immolate non tanto per il bene pubblico quanto per la crudeltà di un uomo». [1]
La storicità di questi supplizi non è al riparo da ogni sospetto. Benché i costumi romani siano stati quasi altrettanto feroci di quelli del medioevo cristiano, mal si immagina queste scene di orrore nella Roma del primo secolo. Tacito è un grande poeta che si compiace nelle sue immaginazioni parossistiche. L'autenticità di questo testo, o quantomeno di una sua parte, è stata d'altra parte sospettata; lo stile è così esemplarmente «tacitiano» che si pensa ad un «alla maniera di»... Un argomento meno soggettivo contro l'autenticità è il silenzio degli scrittori cristiani dei primi tre secoli. Come ammettere che gli apologeti, che i Padri della Chiesa, così avidi di rimproverare ai pagani la loro scelleratezza, di mettere in evidenza le sofferenze dei martiri, abbiano aspettato fino alla fine del quarto secolo per evocare le terribili scene dei giardini di Nerone? [2] Trarremo in ogni caso da questo testo il fatto di una repressione egualmente attestata da Svetonio e che confermano peraltro le numerose allusioni che riempiono la letteratura cristiana e alcuni in particolare dei libri del Nuovo Testamento. Altrettanto bene, un importante problema ci sollecita: quella dura e improvvisa repressione, da cosa era stata motivata?
I cristiani, dice Tacito, sarebbero stati accusati di aver appiccato l'incendio. In presenza dei sospetti di cui l'imperatore era oggetto, costui o piuttosto la sua polizia si sarebbe creduta obbligata a trovare dei colpevoli; si sarebbero presi i cristiani.
Che essi siano stati realmente gli autori del crimine è un'ipotesi contro la quale diciotto secoli di tradizione cristiana protestano, ma che lo storico ha il diritto di respingere solo dopo esame.
Un primo fatto è fuori discussione: i cristiani attendevano, speravano, sostenevano con tutte le loro forze la distruzione del mondo terreno, e non si immagina che in quella distruzione generale abbiano accordato alla capitale dell'Impero il beneficio di un'eccezione. Le epistole di San Paolo si limitano, a dire il vero, a minacce di ordine generale; per contro l'Apocalisse indica nel modo più manifesto (e con quale violenza!) Babilonia, la grande città. [3] Stessa furia nelle parti cristiane dei libri sibillini. [4] Domandiamo a un giudice istruttore quali conclusioni trarrebbe dalla scoperta, negli scritti degli accusati, di attacchi e di minacce contro le persone o le cose che li si sospetta di aver voluto danneggiare? Renan stesso, per quanta parzialità mostri a favore delle tesi ortodosse, è costretto a confessare il proprio imbarazzo.
Secondo fatto, non meno incontestabile, e che apparirebbe singolarmente grave a un giudice istruttore incaricato di perseguire degli incendiari: è per mezzo del fuoco che l'Impero e Roma stessa, a detta di questi libri, devono perire.
A discolpa degli accusati, si porterà l'assenza nelle epistole di qualsiasi appello all'azione diretta. I cristiani attendono la distruzione del mondo pagano, ma l'attendono dalla mano del Signore e non dalle loro proprie mani. Sappiamo, per contro, che quella fiducia riposta nel Signore è solo un simbolo della fiducia che essi ripongono in sé stessi, e ignoriamo fino a qual punto il loro inconscio ha potuto gettare il turbamento nelle loro risoluzioni consapevoli; ci siamo persino domandati se, attorno a San Paolo o in altri gruppi, alcuni estremisti non si fossero trovati, che avrebbero creduto utile «aiutare» il Signore a compiere la sua opera di sterminio. Resta nondimeno il fatto che, se l'immagine che ci siamo fatti della prima generazione cristiana è fino a un certo punto quella di agitatori che diffondono idee, non è quella di militanti che organizzano un colpo di forza. Quanto ai capi, San Paolo ha oltrepassato la sessantina, San Pietro i settanta, forse; non è l'età in cui si esordisce nell'azione diretta.
Concluderemo che non è stabilito, ma probabile che i cristiani non fossero colpevoli; ma non è meno probabile che, vedendo l'incendio abbattersi sulla Città e progredire di ora in ora, la maggior parte di loro credesse all'arrivo del Gran Giorno e che, lungi dall'affrettarsi a fare la catena, rendessero grazie al Signore, — anche a costo di essere rapidamente disillusi.
Ma se non hanno commesso il crimine di cui li si ha accusati, se li si è presi semplicemente perché era necessario trovare dei colpevoli, ci si domanderà perché li si è presi, loro, piuttosto che altri nell'immensa folla di gente di ogni razza e di ogni condizione che brulicava a Roma?
La Chiesa vi ha riconosciuto, come nelle successive «persecuzioni», l'opera maligna di Satana. Non essendo Satana un personaggio della Storia, cercheremo un'altra spiegazione.
Che sia il rumore pubblico che abbia indicato i cristiani alla polizia, che sia la polizia che spontaneamente li abbia messi in causa, la ragione potrebbe essere la stessa: erano considerati «nemici del genere umano», come «una razza capace dei più grandi crimini»...
Per quel che è del rumore pubblico, l'ipotesi si spiegherebbe se, dal tempo dell'incendio, le dottrine cristiane fossero trapelate e se si avesse saputo distinguere i cristiani stessi dagli ebrei, i quali avevano il loro posto al sole dell'Impero. Ora sappiamo che non era così.
Tacito e Svetonio, si dirà, fanno benissimo la differenza e, mentre hanno per il «popolo giudeo» solo un disprezzo altezzoso, abbiamo appena constatato la spaventosa reputazione che riservano ai cristiani; ma Tacito e Svetonio scrivono intorno all'anno 115, ossia un mezzo secolo dopo l'incendio; se i fatti che riportano sono antichi, le valutazioni che portano loro sono personali o sono quantomeno quelle del loro tempo, e non quelle che si portavano all'epoca in cui i fatti si sono svolti.
Lungi dal credere che sia la loro cattiva reputazione che abbia fatto accusare i cristiani di aver messo fuoco alla città, si immaginerà ben piuttosto che quella accusa, mettendoli in una luce di uomini capaci di tutti i crimini, sia stata il punto di partenza delle voci infamanti che da allora non cessarono di correre su di loro.
Ci si potrebbe domandare se l'accusa non fosse stata lanciata dagli ebrei ortodossi. Infatti, sappiamo fino a quale odio potevano finire le dispute degli ebrei con i cristiani; ma diffondere la voce che uomini che facevano giuridicamente parte del «popolo giudeo» avessero dato fuoco a Roma sarebbe stato giocare un gioco troppo pericoloso.
L'accusa di aver appiccato l'incendio si spiega meglio se sia stata l'opera della polizia, a condizione che non si voglia che quest'ultima sia andata a cercare della santa gente che avrebbe saputo incapace di uccidere una mosca. Come, se l'accusa le fosse apparsa sprovvista di ogni specie di probabilità, l'avrebbe scelta per farne dei colpevoli? C'era miglior preda da eliminare nei bassifondi romani. Quando oggi la Sicurezza Generale si trova costretta alla necessità di produrre gli autori di qualche crimine misterioso, non va a cercarli tra gente che sa irreprensibile. La polizia imperiale ha potuto mettere in causa i cristiani solo se, da quel tempo, possedesse su di loro ciò che noi chiamiamo un dossier, vale a dire informazioni che li mostrassero non come malfattori (cosa che non erano affatto), ma come operanti per la distruzione dell'Impero.
I testi delle epistole, dell'Apocalisse, della Sibilla ai quali abbiamo appena fatto allusione non provano che i cristiani abbiano tentato di distruggere l'Impero; provano, per contro, non lo dimentichiamo mai, che quella distruzione essi la desideravano, la speravano, l'aspettavano, e che vi si preparavano e, per ciò stesso, la preparavano. I vangeli potranno, un quarto di secolo o mezzo secolo più tardi, predicare la non resistenza al male; la Chiesa potrà un giorno rassegnarsi a vedere il mondo durare e rimandarne la fine ad una data indeterminata; ma, intorno all'anno 64, il messaggio di «pace e amore» che il cristianesimo portò all'Impero era l'annuncio che «ogni principato, ogni dominazione e ogni potenza» doveva essere annientato, [5] vale a dire l'amabile avvertimento che i suoi ultimi giorni erano giunti. Lo studio dei documenti ci ha fatto riconoscere nel programma a stampo religioso del cristianesimo primitivo un programma rivoluzionario; ma, qualunque aspetto di «santa gente sempre in preghiera» Renan presti ai primi cristiani, le autorità romane non avevano bisogno di fare esegesi per vedere nella propagazione cristiana, non appena ne ebbero conoscenza, ciò che vi vediamo noi stessi: una preparazione rivoluzionaria. Soltanto, quella preparazione rivoluzionaria, occorreva che ne avessero conoscenza. E la domanda si pone: come ne avevano avuto conoscenza? Come la polizia aveva ottenuto le informazioni necessarie? Come il «dossier» era stato costruito?
Abbiamo insistito sul fatto che fino al 64 i cristiani sono stati lasciati in pace a Roma; l'agitazione repressa sotto Claudio quindici anni prima aveva avuto per causa una disputa tra ebrei ortodossi ed ebrei cristiani; ma è di tutta evidenza che la polizia romana vi aveva visto una disputa tra ebrei; il testo di Svetonio è formale. [6] In modo generale, le autorità romane si rifiutavano in quell'epoca di ammettere una qualunque differenza tra ortodossi e dissidenti; l'aneddoto di Gallione lo testimonia abbondantemente. [7] Quando quella situazione si è modificata?
Il processo di San Paolo a Roma, [8] pochi anni prima dell'incendio, fornisce un punto di riferimento.
Si ricorda che San Paolo, arrestato a Gerusalemme e avendo fatto appello alla giurisdizione imperiale, era stato portato a Roma, dove fu probabilmente rilasciato intorno all'anno 61 o 62. Se, nel corso della lunga indagine che precedette l'esito (qualunque esso sia stato) del processo, le autorità romane avessero avuto la minima percezione che non si trattava più di una disputa tra ebrei, ma di attività contrarie alla sicurezza dell'Impero, non si sarebbero accontentate di condannare San Paolo e avrebbero ricercato i suoi complici; abbiamo spiegato che vi era là, ai nostri occhi, la prova che non è stato condannato. Che sia stato assolto, o piuttosto prosciolto dai capi d'accusa (come crediamo), oppure che, essendo stato condannato (come ci rifiutiamo di credere), i suoi adepti siano rimasti scagionati (come in nessun caso è permesso dubitarne), ciò significa che i magistrati imperiali non avevano affatto in quell'epoca la nozione del movimento rivoluzionario che si celava sotto l'apparenza di una semplice eresia ebraica. Ma non sarebbe questo processo stesso che avrebbe aperto gli occhi alla polizia?
Tentiamo di immaginare cosa succederà.
Le autorità, gli alti magistrati incaricati di studiare il caso, vi hanno visto solo l'eterna disputa tra ebrei, l'eterna disputa teologica che fa loro alzare le spalle; d'altronde, gli ebrei ufficiali non hanno seguito; e si è inviato San Paolo a farsi impiccare altrove. Ma l'attenzione è stata destata... l'attenzione di chi?... di alcuni poliziotti, il cui mestiere è di essere curiosi... Supponiamo alcuni di questi ispettori di polizia che lo amino, questo mestiere; il caso è frequente; eccoli che intraprendono una inchiesta, per loro conto personale forse, forse con l'approvazione del capo. Siamo sicuri che, per arrivare ai loro scopi, alcuni almeno si infiltreranno nella comunità; si «convertiranno», non ne dubitiamo; e non faranno che seguire la regola elementare che in ogni tempo e in ogni luogo ha seguito ogni informatore che si rispetti; si sa che i circoli rivoluzionari erano, nella Russia zarista, pieni di spie, e che lo sono attualmente nella Francia repubblicana! Dappertutto ci sono stati falsi fratelli; ci sarebbe voluto uno speciale decreto della Provvidenza perché le comunità cristiane ne fossero esenti.
I nostri poliziotti non ci mettono a lungo ad apprezzare quanto questi dissidenti dal giudaismo rassomiglino poco ai bravi ebrei ortodossi che hanno così bene accettato la legge romana e, a maggior ragione, ai ricchi e brillanti Erodiani che ruotano intorno all'imperatore. E per loro non sarà più difficile comprendere che l'obiettivo verso il quale tendono questi innovatori è la distruzione del mondo presente, vale a dire la distruzione dell'Impero.
Li fanno arrestare immediatamente?
Non è nei metodi di una buona polizia affrettare le sue operazioni; ci si preoccupa di evitare le false manovre; si aspetta l'occasione, anche a costo di farla nascere; ci si accontenta di intensificare la sorveglianza; e poi, i gatti hanno sempre amato giocare con i topi... Le cose avrebbero potuto trascinarsi a lungo, se tutto di colpo, nel luglio del 64, l'incendio non fosse scoppiato che in pochi giorni aveva incendiato la metà della Città. I nostri poliziotti non avrebbero forse pensato a renderne i cristiani responsabili; ma ecco che sentono dichiarare dai «fratelli» nel cui mezzo si sono insinuati, osanna! che il Gran Giorno è arrivato, ben più, che è la mano stessa del loro dio che ha appiccato il fuoco... La mano del loro dio, o le loro stesse mani?... Eccola, l'occasione!... Al supplizio, gli incendiari! Vale al dire al supplizio, i nemici del genere umano!... E, allo stesso tempo, si darà soddisfazione al popolo che vuole dei colpevoli, e si distoglieranno i sospetti che gravano sull'Imperatore.
I nostri poliziotti, in ogni caso, non hanno perso il loro tempo.
L'ipotesi, che potrebbe sembrare gratuita, si basa su tre testi concordanti.
C'è, da una parte, un testo del vangelo secondo San Matteo 24:9-10, che in un discorso attribuito a Gesù contiene sotto forma di predizione un'allusione diretta alla repressione neroniana:
Vi consegneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio nome.
E molti saranno scandalizzati, e si abbandoneranno gli uni agli altri e si odieranno gli uni gli altri.
Così apprendiamo che, in un'epoca che precedette quella in cui questo passo fu scritto, si sapeva che c'erano stati cristiani che avevano «consegnato» altri cristiani.
Il secondo testo è di Tacito stesso e viene al seguito del racconto dell'incendio. «Furono dapprima arrestati», leggiamo, «coloro che confessarono; in seguito, su loro indicazione, una grande moltitudine». [9] Gli storici hanno discusso a lungo sull'espressione «coloro che confessarono» — chi confessò cosa? Non potendo concepire che dei cristiani avessero confessato di aver appiccato il fuoco a Roma, i più (Ernest Havet stesso!) hanno compreso: che confessarono di essere cristiani; il significato naturale sarebbe ben piuttosto «che confessarono di aver appiccato l'incendio». Quel che ne sia, e in un caso come nell'altro, vediamo la massa dei cristiani denunciati da alcuni di loro, il che conferma il vangelo secondo San Matteo.
Questi due testi, in cui Tacito dà la mano a San Matteo, potrebbero spiegarsi supponendo che si tratti di alcuni sfortunati messi sotto accusa e che non avrebbero resistito alla tortura, se Tacito non dicesse che questi denunciatori furono «i primi» che si arrestò; e si pensa immediatamente alle procedure comunemente impiegate dagli agenti provocatori, — tanto più che Tacito omette di aggiungere (cosa che sarebbe stata però alla sua maniera) che la denuncia sia stata loro estorta per mezzo della tortura. In questi cristiani che si affrettano a farsi arrestare e, appena arrestati, «consegnano» i loro correligionari, non si deve riconoscere i nostri poliziotti sedicenti convertiti? Questo è ciò che il nostro terzo testo ci deciderà ad ammettere.
In uno scritto probabilmente posteriore di una trentina o di una quarantina d'anni dopo l'incendio, un cristiano di Roma, Clemente, deplora [10] i mali causati da ciò che chiama la «gelosia» e lo «spirito di divisione»; Il brano rientra nella peggiore retorica; ma tra i quattordici casi simmetrici che vi sono citati, abbiamo la fortuna di incontrare quello dei «beati Pietro e Paolo», che, nel corso della persecuzione, sarebbero stati anche loro vittime di quella «gelosia». Alcuni critici hanno concluso che i cristiani si erano denunciati tra loro per soddisfare i loro odi interni; ma per quanto acuti siano stati i disaccordi e violenta la rabbia, la probabilità ha dei limiti ai quali occorre fermarsi. Ci si atterrà al caso di malcapitati che, sotto la pressione della tortura, avrebbero denunciato i compagni? Ma, per quanto deplorevole fosse stata quella debolezza, non si vede come Clemente avesse potuto annoverarla tra i casi di «gelosia» o «spirito di divisione».
Nulla impedisce di credere, al contrario, che si sia saputo tra i cristiani che si era stati denunciati da uomini che erano considerati dalla comunità come fratelli, senza che si sia mai saputo che appartenessero alla Tour Pointue.
Abbiamo supposto fin qui che l'incendio fosse stato opera del caso; ma un'altra ipotesi è possibile. Nerone non avrebbe davvero voluto bruciare Roma al fine di ricostruirla a suo gusto e per soddisfare allo stesso tempo la sua mostruosa libido?... Non c'è nulla che non ci si debba aspettare da un sadico che esercita un potere illimitato... Dopo aver descritto l'andamento dell'incendio, Tacito ritorna sull'accusa e riporta dei fatti piuttosto inquietanti.
«Nessuno», scrive, «osò resistere; si udirono intorno a loro mille grida minacciose che vietavano di spegnere il fuoco; si videro persino gente che lanciava apertamente le torce, gridando a gran voce che ne avevano l'ordine, sia al fine di esercitare più liberamente il loro brigantaggio, sia perché l'ordine fu reale».
Quando si ricordano le procedure che impiegava la polizia zarista, che fabbricava attentati gettando essa stessa delle bombe, ci si domanda quali macchinazioni torbide non si siano perpetrate attorno a Nerone. Se è vero che costui ha voluto mettere a fuoco la sua capitale, non è dopo, ma prima dell'incendio che ci si è dovuti preoccupare di trovare dei colpevoli... Doppio compito (e doppia approvazione) per la polizia imperiale. L'incendio? Nessuna difficoltà. I colpevoli? Li si ha a portata di mano; si attendeva solo un'occasione per regolare il suo conto con la pericolosa banda; eccola, l'occasione. Così un'amministrazione ben strutturata sa servire lo Stato allo stesso tempo in cui dà soddisfazione ai capricci del sovrano.
Quel che ne sia, appiccato dalla polizia o dal dio Caso, l'incendio fu il segnale di ciò che la Chiesa chiama «la prima persecuzione».
Sembra in ogni caso evidente che all'origine dell'accusa mossa contro i cristiani non vi fosse né la reputazione (che all'epoca non avevano) di essere capaci di tutti i crimini, né il bisogno (che ebbe necessariamente la polizia) di alimentare la collera del popolo e di scagionare Nerone. Nella «persecuzione» neroniana vediamo la repressione perpetrata, in occasione e sotto il pretesto dell'incendio, dalle autorità imperiali contro il movimento rivoluzionario di cui erano appena venute a conoscenza. Questo è ciò che conferma il testo di Svetonio, il quale riporta semplicemente che i cristiani, uomini di una superstizione perniciosa, furono consegnati ai supplizi, — evidentemente perché la loro «superstizione» era apparsa lesiva della sicurezza dell'Impero. Quanto agli scrittori ecclesiastici, essi sono unanimi nel dichiarare che i cristiani sono stati perseguiti perché erano cristiani, il che è l'equivalente ortodosso della nostra tesi: perché rivoluzionari.
La Chiesa ha da ogni tempo sostenuto che, perseguitando i cristiani, gli imperatori hanno voluto difendere il paganesimo contro una religione che lo negava. In reazione a quella dottrina, un gran numero di storici razionalisti si sono sforzati di stabilire che i cristiani sono stati perseguiti più generalmente solo per gli atti che la legislazione imperiale considerava crimini di diritto comune. Noi ritorniamo alla dottrina della Chiesa, a condizione di tradurla in termini laici: è (più generalmente) contro un movimento rivoluzionario che l'Impero ha voluto difendersi, — ma con così poca intenzione in seguito!
Molti storici, e in particolare gli storici cattolici, credono in una proibizione legale del cristianesimo pronunciato da Nerone, l'institutum neronianum di cui parla Tertulliano, [11] il christianum esse non licet di cui parla Sulpicio Severo. [12] Non sembra che la proibizione abbia ricevuto fin dal primo secolo questo carattere giuridico; sotto una forma meno categorica, le esecuzioni dell'anno 64 segnano semplicemente l'inizio dell'era di repressione che doveva pesare, con ogni sorta di interruzioni, per due secoli e mezzo sul cristianesimo. Fino ad allora, abbiamo insistito su questo, il cristianesimo è ignorato dalle autorità imperiali in quanto distinto dal giudaismo e per ciò stesso profitta, salvo un piccolo numero di incidenti, della pace di cui quest'ultimo godeva nell'Impero. Nel 64, le autorità imperiali prendono conoscenza della novità rivoluzionaria che si propaga, e l'incendio di Roma scatena la repressione.
L'orrore dei supplizi è forse stato esagerato da Tacito; resta nondimeno il fatto che la comunità cristiana fu decimata. Con la maggior parte degli uomini della loro generazione e con un gran numero di quelli della generazione successiva, i capi perirono. San Pietro, a quasi settant'anni, fu messo in croce, la sua eroica moglie condotta a chissà quale supplizio, San Paolo decapitato, tutti e tre presso il luogo dove doveva erigersi il monumento più colossale che nessuna rivoluzione trionfante abbia mai eretto, il Vaticano.
La repressione dell'anno 64 completa la storia della prima generazione cristiana. Di fatto, essa è il «segno» che completa di dimostrare il carattere rivoluzionario del cristianesimo primitivo. Il cristianesimo primitivo, per il fatto stesso che è un movimento rivoluzionario, dovette passare per il ciclo riservato a tutti i movimenti rivoluzionari: dapprima il periodo di tranquillità che permette loro di formularsi, poi la repressione, e la repressione feroce.
Ma (questa è la grande bellezza del destino degli uomini) ci si può ben chiamare Nicola II o Nerone, mitragliare a Pietroburgo o bruciare vivi a Roma, non si ostacola la strada alla Rivoluzione.
Tra i grandi rivoluzionari, come tra i grandi riformatori, alcuni vedono la loro opera realizzata, vale a dire così realizzata come un'opera umana possa esserlo; e muoiono nella loro gloria; tali, Lutero e Calvino, Cromwell, Lenin. Un piccolo numero si spegne oscuramente, senza aver raggiunto nulla. Non parliamo di coloro che, dopo essersi assisi alla Convenzione, finiscono prefetti dell'Impero. Alcuni muoiono nel corso della battaglia, come i migliori uomini del 1793 e quelli della Comune, oppure nella repressione, come Liebnecht e Rosa Luxemburg e come i capi del cristianesimo primitivo.
In realtà, i loro destini sono gli stessi. Tra gli operai delle rivoluzioni a stampo religioso e quelli delle rivoluzioni moderne a stampo politico, non esiste, in ultima analisi, non lo dimentichiamo, altra differenza che quella dei miti di cui si rivestono.
Abbiamo tentato di dare dei primi cristiani una tutt'altra immagine rispetto a quella che evocano i vangeli e che ha trattenuto la tradizione, Renan incluso. Gli artefici della rivoluzione a stampo religioso che fu il cristianesimo primitivo rassomigliano a quelli delle rivoluzioni politiche moderne, in quanto le virtù che praticano, così come quest'ultimi, sono quelle dell'eroismo e non quelle che i vangeli hanno predicato.
Dal canto loro, gli artefici delle rivoluzioni politiche moderne assomigliano loro in questo: non solo sono, altrettanto bene come loro, gli annunciatori di un mondo rigenerato che deve prendere il posto di un mondo decaduto, ma, altrettanto bene come loro, quando dicono a questo mondo decaduto: Hai vissuto abbastanza! essi sono i portavoce dello Spirito.
Morte e resurrezione. Ma principalmente vi è lo Spirito.
NOTE
[1] Traduzione Dureau de Lamalle.
[2] A quella obiezione, il signor Guglielmo Ferrero mi rispose, nel corso di una controversia, che un gran numero di opere dell'antichità erano andate perdute. Di opere pagane, certamente; di opere cristiane, molto meno, ed è proprio il silenzio delle opere cristiane che è caratteristico.
[3] Notiamo però che l'Apocalisse è stata scritta in un altro ambiente e dopo l'evento.
[4] Libri sibillini 4:172 e seguito.
[5] Riferimento sopra, pagine 174-175.
[6] Claudio, 25.
[7] Si veda sopra, pagina 146.
[8] Si veda sopra, pagine 200 e seguenti.
[9] Primum concepti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo...
[10] Epistola di Clemente Romano ai Corinzi 5.
[11] Apologia 5.
[12] Cronache 2:41.
Nessun commento:
Posta un commento