(segue da qui)
IL FABBRICANTE DI TENDE
San Paolo è ebreo, ed ebreo di razza; egli stesso si dichiara della tribù di Beniamino; [1] ma è un ebreo «ellenista», vale a dire che è nato ed è stato educato nella Diaspora.
Tarso, sua patria, è una grande città, vicina al Mediterraneo, punto di partenza della strada che conduce ad Antiochia e in Siria e di quella che, salendo il Tauro, conduce agli altipiani dell'Asia Minore. Da qui un commercio fiorente. Popolazione mista di greci, di orientali e di ebrei. Centro dove abbondano le religioni ellenistiche. Centro di cultura egualmente; scuole numerose e famose, che gli ebrei non frequentavano minimamente.
San Paolo è dunque il figlio di una grande città e, se non ha partecipato alla sua cultura, non può essersi completamente sottratto alla sua influenza.
Sebbene vivesse in mezzo ai pagani e, come tutti gli ebrei della Diaspora, parlasse greco, la sua formazione è stata nondimeno fondamentalmente ebraica. La tradizione che lo rappresenta cresciuto «ai piedi di Gamaliele» deve essere respinta, come pure quella che gli attribuisce una perfetta cultura rabbinica; contro un tale errore i maestri del giudaismo contemporaneo hanno sempre protestato, e a buon diritto. [2] Non crediamo però che un ebreo ellenista sia necessariamente un ebreo approssimativo. L'esempio di Filone e di tanti altri, e degli stessi maestri del giudaismo contemporaneo, prova che si può parlare un'altra lingua rispetto all'aramaico e non aver frequentato le scuole rabbiniche, pur conservando un'anima ebraica.
Come la maggior parte degli ebrei di quell'epoca, esercita un mestiere manuale. Il primo aspetto sotto il quale lo scorgiamo è quello di un lavoratore fabbricante di tende; [3] per tutta la sua vita continuerà ad esercitare il suo mestiere; al culmine della sua carriera apostolica, si impiega nella bottega di Aquila a Corinto; [4] afferma di faticare giorno e notte al fine di non essere a carico di nessuno; [5] più tardi si vanta di lavorare con le sue mani, [6] e pretende di non avvalersi del diritto che avrebbe di essere rifornito dalle sue comunità; [7] ricorderemo il grande precetto bolscevico formulato dai suoi discepoli, [8] che colui che non lavora non mangerà?
Il ritratto fisico di San Paolo è familiare a chiunque sia iniziato alla storia del cristianesimo primitivo, e non abbiamo niente di meglio da fare che rinviare i nostri lettori a quello che ne ha tracciato Renan. [9] Basso di statura, grosso, curvo, forti spalle, piccola testa, calvo, viso pallido, barba folta, naso aquilino, occhi penetranti, sopracciglia nere che si incontrano... Questa descrizione trovandosi solo in opere sensibilmente posteriori e di valore mediocre, ha potuto a lungo passare per romanzata; ma, in una comunicazione fatta alla Società Ernest Renan, [10] il signor Robert Eisler ha suggerito che gli itineranti del giudaismo e del cristianesimo primitivo non viaggiavano senza essersi muniti di descrizioni analoghe a quelle dei nostri moderni passaporti, che servivano loro da carte d'identità per farsi riconoscere in una comunità dove essi non erano personalmente conosciuti; quest'ultima li conservava nei suoi archivi, ed è possibile che una di esse sia servita successivamente allo scrittore che ha voluto tracciare un ritratto dell'apostolo. La verosimiglianza si accresce dal fatto che, dopo aver raccontato tratti così poco lusinghieri, lo scrittore dichiara che costui fosse un bell'uomo!
Il peggiorativo ritratto è in ogni caso confermato da quanto scrive lo stesso San Paolo sulla sua debolezza, sulla sua timidezza, [11] sulla sua apparenza umile. [12]
Quanto alle sue parole, egli stesso ne riconosce la mediocrità; [13] il suo potere di persuasione proveniva da tutt'altra cosa rispetto all'eloquenza.
Con ciò, l'enigma, sul quale si è tanto dissertato, della «spina messa nella sua carne»... [14] ... Si ha a lungo creduto ad una malattia con attacchi intermittenti, l'epilessia, ad esempio; si troverà alcune pagine più oltre la spiegazione diversissima che noi ne proponiamo.
Si pensi ad un Lenin, piccolo anche lui, brutto anche lui, gli occhi penetranti, le parole imbarazzate, molto più che a un tribuno dal possente petto e dall'abbagliante disinvoltura, tipo Trotsky. Così, vi sarebbe solo un'esagerazione di poeta nel termine terribile e magnifico col quale si qualifica, allorché racconta che il Signore risorto gli è apparso, a lui, «l'ultimo, come all'aborto».
L'uomo di genio non ha bisogno, per essere amato da una donna, di essere bello della bellezza degli altri uomini... Ed eccoci arrivati alla commovente storia del matrimonio del grand'uomo.
Che San Paolo sia stato sposato, lo sappiamo da San Clemente di Alessandria; [15] ancor più sicuramente, lo sappiamo da lui stesso, quando in un'epistola rivendica per San Barnaba e per sé il diritto che hanno i compagni di condurre con sé nei loro viaggi la «sorella moglie». [16] E questo è a ciò che il capitolo 7 della stessa epistola porta: non una smentita, come si crede generalmente, ma una piena conferma.
In questo capitolo 7, San Paolo comincia in effetti col dichiarare che meglio sarebbe per l'uomo e la donna vivere nella continenza; ma, siccome la carne è debole (e siccome, diremmo noi, il meglio è nemico del bene), acconsente che «ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito» (verso 2) e, rivolgendosi alla gente sposata, dice loro (verso 5):
Non privatevi l'uno dell'altro, se non di comune accordo per un tempo, per dedicarvi al digiuno e alla preghiera; e in seguito ritornate insieme.
E in una circostanza, verso 7, si propone come esempio.
Consiglio simile per i celibi e le vedove (versi 8-9): meglio sarebbe non sposarsi (o risposarsi); ma se non si può vivere nella continenza, che ci si sposi!
E, in una seconda circostanza, si pone come esempio per la seconda volta.
Ma da esempio di cosa? Da esempio della vita ideale che è il celibato?... Per niente. Da esempio della continenza momentanea che devono mantenere i coniugi quando è necessario e in particolare durante il tempo del digiuno e della preghiera. [17]
Questa è la dottrina che San Paolo professa, nel modo più ufficiale, in tutto questo capitolo 7. Il celibato è preferibile, ma il matrimonio è permesso; «è meglio sposarsi che ardere»; è ciò che ho fatto io; fate come me; ma sappiate, come me, mantenere la continenza quando è necessario.
Si deve vedere in questo non evidentemente dell'ascetismo, ma quantomeno una tendenza all'ascetismo? Le scuole ascetiche che appariranno più tardi nel cristianesimo si raccomanderanno a queste righe che interpreteranno in questo senso. In realtà, non c'è traccia di ascetismo nella dottrina di San Paolo, non più che tra gli ebrei del suo tempo e di tutti i tempi, non più che tra i Galilei. Abbiamo mostrato a qual punto i Galilei, sposati e circondati dalle loro famiglie, fossero lontani dal vivere la vita dell'ascesi e, su questo punto, fossero rimasti estranei al movimento rigorista che si era manifestato in alcune sette come gli Esseni. Sappiamo che, su questo, il cristianesimo primitivo non si è distinto dal giudaismo tradizionale e che si deve attendere fino alla seconda metà del secondo secolo per vedere, ad esempio, gli Atti apocrifi fare della continenza la regola suprema degli apostoli. Ebreo venuto alla dottrina galilea, San Paolo non poteva essere un asceta più di quanto non lo fossero i Galilei e gli ebrei ortodossi; se il matrimonio gli sembra essere uno stato meno raccomandabile, è, dice espressamente nei versi 32-34, perché
Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, e dei modi di piacere al Signore; ma colui che è sposato si preoccupa delle cose del mondo e dei modi di piacere a sua moglie. La donna che non è sposata si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; ma quella che è sposata si preoccupa delle cose del mondo e dei modi di piacere a suo marito.
Nel frattempo, osserva nei versi 19-31 che, il grande giorno essendo vicino, coloro che hanno moglie saranno presto come coloro che non l'hanno... il che significa non, come si è voluto, che non ci si deve sposare, ma che dopotutto il gioco non vale forse la candela... Ma non vi è nulla che abroghi una legge che è alla base del giudaismo e che è restata quella dei compagni galilei.
Quanto alle restrizioni che impone all'opera della carne, non va dimenticato che le ha prese dal giudaismo stesso, il quale ha sempre in certi casi imposto la continenza. [18]
Nei principi esposti nel capitolo 7 della prima epistola ai Corinzi, vi sono dunque tre cose. Vi è dapprima l'ordine, dato alla gente sposata, di astenersi dai rapporti coniugali durante il tempo del digiuno e della preghiera; e San Paolo segue qui le regole del giudaismo. Vi è secondariamente l'affermazione, la quale è in qualche modo in contrasto con lo spirito del giudaismo, che il celibato sia preferibile al matrimonio, non perché, come dicono gli asceti, le cose della carne siano di per sé condannabili, ma perché possono, se non ci si prende cura, allontanare dalle cose del Signore; ed è allora, ma allora soltanto, che diventano peccato e opera di Satana. Vi è in terzo luogo il consiglio di sposarsi, tuttavia, «piuttosto che ardere», ma a condizione di ritornare alla continenza così come è detto precedentemente.
Pur riconoscendo che siamo lontani dal rigorismo che doveva prevalere in seguito, si deve ammettere che l'impiego di parole come il «peccato» dà a certe pagine delle epistole un tono predicatorio che non è molto piacevole; ma è affare di vocabolario, e se questo vocabolario è sgradevole è a causa dell'uso che ne è stato fatto, non da San Paolo, ma da coloro che sono venuti dopo di lui. Basta rimettere le cose nella loro situazione per comprendere che il frammento tutt'intero esprime la preoccupazione di chiunque, essendosi dato ad una grande causa, è ansioso di non privarla di nulla di sé.
Traduciamo in linguaggio moderno. Al posto delle «cose del Signore», uno dirà le «cose dello Spirito», un altro le «cose dello Stato», un altro le «cose del Partito»... Domando quale sia il rivoluzionario che non si preoccuperà se scopre che «le cose della carne» lo distraggano (o distraggano il compagno) dalle «cose del Partito»... Non si sente la voce del capo: — L'amore? Quanto ne volete! Ma la Causa prima di tutto.
E quanto più severa sarà la voce, se il capo parla a sé stesso nello stesso tempo in cui parla ai compagni!
...Se il capo parla a sé stesso... Tocchiamo forse qui il segreto della vita intima di San Paolo.
Ben povera sarebbe la psicologia che da una sovrabbondanza del misticismo concluderebbe per una carenza della sessualità. Non solo l'unione è frequente in numerose grandi individualità, ma il loro conflitto il più delle volte non fa altro che ravvivare l'una e l'altra. Renan mi sembra essersi per una volta sbagliato del tutto quando parla [19] della «freddezza completa del temperamento di San Paolo» e lo dipinge «insensibile alle voluttà carnali»; e senza dubbio quell'errore del grande storico del cristianesimo proviene dal fatto che aveva accettato in merito, senza attribuirgli importanza, le stronzate che corrono nei seminari... Certe pagine delle epistole ci edificano, al contrario, sul combattimento a cui si erano abbandonati nella persona di San Paolo il demone della lussuria e l'angelo della continenza; tale il famoso brano dell'epistola ai Romani 7:14-23:
Io sono carnale e venduto come uno schiavo al peccato... Mi compiaccio della legge di Dio; ma nelle mie membra vedo un'altra legge che la combatte.
Tali ancora, nel capitolo 7 stesso della prima epistola ai Corinti e nell'epistola ai Romani, tutte queste espressioni che tradiscono in modo così caratteristico un uomo ossessionato dalle preoccupazioni sensuali. San Paolo avrebbe parlato della «schiavitù» della carne, se non avesse, al contrario di quanto ha creduto Renan, sentito lui stesso il giogo?
Sposato e innamorato di sua moglie, San Paolo si è rimproverato di dimenticare, quando era tra le sue braccia (o quando si ricordava delle sue braccia), che egli si doveva tutt'intero al Signore, vale a dire alla Causa. E tale è il conflitto (uno dei conflitti!) che ha lacerato il suo cuore.
Ma, come tutti gli uomini veramente forti, egli è uscito dalla battaglia a suo onore, prendendo la risoluzione che ha giudicato più saggia e che consiglia ad altri; e la vittoria che ha riportato su sé stesso non è stata quella teatrale dell'angelo che vince il demone, ma quella umana che tratta con lui e che resta in guardia.
È in questo senso che io ritrovo, nel capitolo 7 della prima epistola ai Corinti, l'acre sapore di una confessione personale: un uomo inquieto di sapere se il marito e la moglie debbano «privarsi l'uno dell'altra», che, sostenendo il celibato, consiglia a coloro che non possono sopportare una continenza perpetua di sposarsi, e che va fino a porre la domanda: i celibi devono sposarsi? Le vedove e i vedovi devono risposarsi? [20] che più oltre deplora (come se si accusasse lui stesso) che l'uomo sposato trascuri di «preoccuparsi delle cose del Signore e dei modi di piacergli» per «preoccuparsi delle cose del mondo e dei modi di piacere alla sua donna», e che scrive nondimeno (verso 36): coloro che si amano si sposino! [21]
Coloro che si amano si sposino!... Tale è il programma che lui stesso ha seguito; la triplice regola di condotta che il grande mistico (che non è un asceta) impone ai suoi Corinti è esattamente quella che si è imposta a lui stesso.
Ma, prima di tutto, la Causa!
È possibile sapere chi fu la moglie di San Paolo? Non può trattarsi dell'inesistente Tecla di Iconio, personaggio romanzesco inventato un secolo e mezzo più tardi, ma, con una verosimiglianza che sfiora la certezza, di una pagana nativa di Tiatira in Lidia, che era venuta a stabilirsi a Filippi in Macedonia e si chiamava Lidia, o piuttosto «la Lidia», proprio come oggi a Bordeaux si potrebbe chiamare «la Normandia» una normanna stabilitasi in quella città. Esercitava la professione di mercante di stoffe di porpora, che riceveva dalla sua città natale dove li fabbricava; aveva un'intera casa ai suoi ordini e sembra essere stata relativamente ricca. Era una di quelle mezze convertite al giudaismo che si chiamavano le «timorate di Dio». Conveniamo che la sua avventura è concepibile solo se le si suppone della bellezza, nello stesso tempo che una natura ardente e, se ne giudicherà, la decisione. Renan gli accorda l'allegria; noi non riteniamo utile spingerci fin là. Vedremo presto, d'altra parte, a quale grandezza fu innalzata la fine della sua vita.
Il libro degli Atti racconta, 16:13-15, di come San Paolo, al momento del suo arrivo a Filippi, avesse fatto la sua conoscenza e come al primo sguardo lei avesse ricevuto il colpo di fulmine... Il tuo dio sarà il mio dio... Ascoltiamo uno dei compagni dell'apostolo narrare l'idillio (a parte due episodi ovviamente destinati a farlo rientrare nel quadro d'edificazione del libro).
Il giorno di sabato andammo fuori dalla porta, lungo un fiume, e, sedutici, parlavamo alle donne che si erano là riunite.
E una donna di nome Lidia, mercante di porpora, della città di Tiatira, ascoltava, e il Signore aprì il suo cuore alle parole di Paolo.
E ci pregò dicendo: «Se mi avete giudicato degna di essere dei vostri, entrate in casa mia e alloggiatevi. E ci fece forza. [22]
Secondo ogni probabilità, la scena si svolse intorno all'anno 46; San Paolo si avvicinava alla quarantina; la quarantina è per gli uomini l'età del rinnovamento; si ricordò che valeva meglio sposarsi che ardere. E, se ci si fida delle confidenze che le epistole lasciano trasparire, non si può dubitare che, rispondendo alla fiamma della bella pagana, egli non abbia provato per lei l'attaccamento al contempo sentimentale e carnale che non impediva loro di praticare l'uno e l'altra, quando era necessario, la continenza.
Cosa avvenne in seguito di questo matrimonio d'amore? Tentando di scoprirlo, troveremo la conferma di ciò che fin qui non era che una congettura.
Un racconto del libro degli Atti ci mostra San Paolo gettato poco dopo in prigione proprio a Filippi, e subito rimesso in libertà, che ritorna in Lidia, [23] ma per poco tempo, poiché è obbligato ad abbandonare la città lasciandovi la sua piccola comunità.
Porta con sé sua moglie nelle sue peregrinazioni, come fanno San Pietro e gli altri apostoli? Interpreto il testo già citato della prima epistola ai Corinti 9:5-6, come la prova che lei lo accompagnò talvolta, in particolare a Corinto, e il testo dell'epistola ai Filippesi, che sarà citato tra poco, come la prova che non lo accompagnò sempre. Poteva d'altronde abbandonare per molto tempo la sua casa di commercio?... I libri del cristianesimo primitivo tacciono su ciò che concerne le mogli degli apostoli, tanto quella di San Paolo quanto quelle degli altri.
Il libro degli Atti si accontenta di raccontarci, sia pure sommariamente, come egli ritorna in Macedonia dopo aver lasciato Efeso, [24] e un'altra volta dopo aver lasciato la Grecia, [25] lasciando intendere che vi celebrò la Pasqua, evidentemente in famiglia.
Bisogna ora saltare qualche anno. San Paolo è in prigione; scrive alla sua comunità di Filippi e annuncia la sua intenzione di venire non appena sarà liberato, dopo aver espresso la fiducia che ha di poter restare; ben meglio, apprendiamo da lui che la comunità di Filippi è la sola che gli ha fatto pervenire sussidi, e aggiunge che «è stato ricolmo»! [26] Tutto ciò è molto significativo e i biografi di San Paolo avrebbero dovuto tenere conto molto più di quanto non abbiano fatto di questi testi dell'epistola ai Filippesi, che sono i soli testi delle epistole dove costui esprime il suo desiderio e la sua speranza di finire i suoi giorni in uno dei gruppi che aveva fondato, il quale era quello che aveva provveduto ai suoi bisogni e proprio dove abitava Lidia!
Ma ecco cos'è decisivo. Rivolgendosi a una persona che non nomina, si esprime così:
Ti prego anche, fedele compagno, di venire in aiuto a (tali e tali) che mi hanno aiutato nel mio vangelo... [27]
«Fedele compagno», dicono la maggior parte dei traduttori; «vero compagno», propone un altro; «fedele collega», immagina l'inenarrabile Segond; ma la parola greca σύζυγος è sia femminile che maschile, e il «fedele compagno» può essere altrettanto bene «una fedele compagna»; ben meglio, il significato letterale è «unito sotto lo stesso giogo», «accoppiato», da cui «unito in matrimonio». Se San Paolo impiega la parola nel suo senso esatto e abituale, la «fedele compagna» è una «fedele congiunta», vale a dire la fedele sposa che avrebbe lasciato a Filippi e a cui è naturale che raccomandi le donne che sono state le sue aiutanti. [28]
Ultima informazione. Ci tocca ancora saltare un certo numero di anni. San Paolo in questo momento è morto. L'autore delle lettere che figurano nei primi capitoli dell'Apocalisse ne indirizza una alla chiesa di Tiatira... Tiatira... Questa volta non è più la città in cui la mercante di porpora esercitava la sua professione, ma quella di cui era originaria... In quella lettera, lo scrittore si abbandona a furiose invettive contro i «Nicolaiti» nei quali è facile riconoscere lo stesso San Paolo e i suoi discepoli, [29] e scrive le righe seguenti:
Ecco ciò che dice il Figlio di Dio...
Ho qualcosa contro di te: tu permetti alla donna Gezabele, che si dice profetessa, di insegnare e di sviare i miei servi, perché fornichino [30] e mangino carni consacrate agli idoli... [31]
Seguono le più terribili minacce.
«Gezabele» è per gli ebrei ortodossi l'equivalente della «pagana», e così dovevano designare quelle donne pagane che si erano avvicinate al giudaismo, non appena avevano qualcosa da rimproverare loro. Allo stesso modo, oggi, l'ebrea convertita al cristianesimo che, sposando un cristiano, entra in una famiglia cristiana, non viene chiamata altro che «l'ebrea» quando ha cessato di piacere.
La «Gezabele», o, se si preferisce, «la pagana», dovremmo dire «la goy», che a Tiatira professa gli abomini paolini (si parla, due versi più oltre, delle «profondità di Satana»), [32] e che profetizza, e che, alcuni anni dopo la morte di San Paolo, si trova a Tiatira, non è forse la fedele congiunta, divenuta vedova, che è ritornata nel suo paese natale e vi ha portato la dottrina dello sposo amato e venerato? [33]
Abbiamo richiamato l'attenzione sul ruolo eroico al quale sanno elevarsi le donne dei grandi apostoli come pure quelle dei grandi rivoluzionari. Sotto i suoi capelli divenuti bianchi, la bella convertita è al presente la militante capace di suscitare le furie dei nemici del suo sposo. Le invettive dell'Apocalisse fanno indovinare la vedova di San Paolo che succede a costui e che ispira, a Tiatira, uno di quei gruppi di discepoli ferventi che il nostro gergo qualifica come post-paolini, e che profetizza, con il capo coperto da un velo, come aveva ordinato il grande defunto. La bellezza radiosa che, ai tempi della sua giovinezza, aveva sedotto l'apostolo, è semplicemente divenuta, con l'età, la bellezza seria e un po' severa di quella che tiene tra le sue due mani l'eredità dello Spirito.
Tiatira è situata sulle rive del Lico, a poche decine di chilometri dal mare... Chissà che non sia proprio dalla piccola comunità dove profetizzò la vedova di San Paolo che è partito il discepolo che portò il cristianesimo, a due giorni di navigazione da lì, a Sinope, patria di Marcione?
Ma questo capitolo è quello della vita sensuale del maestro. Atteniamoci. E domandiamoci piuttosto se, per quanto amata sia stata, Lidia avesse posseduto senza condividerlo il cuore del suo marito.
Nessuno avrà dimenticato, chi una volta l'avrà letta, questa poesia che si crederebbe dei nostri giorni e di cui citerei i primi e gli ultimi versi, se non altro per la loro straordinaria bellezza.
So un uomo in Cristo,
Se fu nel corpo non lo so, se fu fuori dal corpo non lo so, Dio lo sa,
Che fu rapito fino al terzo cielo,
E so che quest'uomo,
Se fu nel corpo o fuori dal corpo, io non lo so, lo sa Dio,
Fu rapito in cielo e udì parole ineffabili.
...Ma per non gloriarmi,
Mi è stata data una spina nella carne,
Un angelo di Satana per percuotermi,
Perciò per tre volte ho pregato il Signore che si ritirasse da me,
E il Signore mi ha detto: Non ti basta la mia grazia? [34]
Si è molto dissertato, lo abbiamo detto più sopra, per sapere cosa fosse quella spina nella carne dell'apostolo, quell'angelo di Satana che lo percuoteva... Nessuno dei lettori che mi seguono supporrà che io voglia interpretare come una caricatura una delle pagine più altamente spirituali delle epistole; ma Freud ci ha insegnato come le cose dello spirito si mescolino stranamente con le cose della sessualità.
Prima di conoscere e di amare Lidia, San Paolo avrebbe forse amato un'altra donna, un'ebrea?
Egli aveva raggiunto la quarantina quando sposò Lidia; era restato fino ad allora celibe? Questo sarebbe stato contrario all'usanza ebraica; il suo mestiere di itinerante non sarebbe stato durante la sua giovinezza un ostacolo al matrimonio più di quanto non dovesse esserlo durante la sua maturità; si dovrebbe solo ammettere che era vedovo, quando arrivò a Filippi... Abbiamo detto come i libri del cristianesimo primitivo siano irrimediabilmente privi di informazioni sulle mogli degli apostoli; l'inchiesta minuziosa che abbiamo condotto attraverso i testi non ci ha fornito alcun indizio. Per sostenere la nostra ipotesi, siamo ridotti a invocare, oltre all'usanza ebraica che obbligava gli uomini a sposarsi, l'insistenza con la quale si è visto, poche pagine più su, San Paolo ritornare sul caso dei celibi e delle vedove... Se si vuole ben riconoscere a questo capitolo 7 della prima epistola ai Corinzi l'accento di confidenza personale che vi troviamo, è la storia di un vedovo che si è risposato che si leggerà tra le righe... a meno che l'ebrea che avrebbe amato nella sua giovinezza, invece di essere una ebrea in carne e ossa, non sia stata la ebrea ideale, simbolo del giudaismo stesso, la Figlia di Sion dei suoi profeti.
Ma, reale o allegorica, per quanto l'abbia amata e per quanto sia stata bella, egli ha tradito la sua memoria e tradito il giudaismo per la pagana, non meno bella, che egli ha non meno amata nella sua innegabile storicità.
E mi domando se non si debba cercare nel rimorso del suo inconscio «la spina che lacerava la sua carne»; se il nero demone che lo tormentava non fosse la forma che il giudaismo prese per vendicarsi, e fino a qual punto non fosse la Figlia di Sion che venne a percuoterlo nei suoi sogni, quando usciva dal terzo cielo delle braccia della sua pagana.
Ma per comprendere il simbolismo dei «due amori di San Paolo», ci tocca risalire al tempo della sua prima giovinezza.
NOTE
[1] Romani 11:1 e Filippesi 3:5.
[2] Si veda, ad esempio, Jewish Encyclopaedia, l'articolo Saul of Tarsus, di Kaufmann Kohler; o Claude Montefiore: the Judaism and the epistles of Paul, Jewish Quarterly Review, 13, 1901.
[3] Atti 18:3. Se il linguaggio di uno scrittore riflette le sue occupazioni quotidiane, si troverà un argomento a favore dell'autenticità dei versi 5:1-4, della seconda epistola ai Corinzi, nella straordinaria metafora della tenda con cui si avvolge, metafora è vero presa dalla Bibbia, ma che ha interamente rinnovato e, si può dire, rivissuto. Sulle metafore delle epistole, cfr. di sotto, pag. 332.
[4] Ibidem.
[5] 1 Tessalonicesi 2:7-9.
[6] 1 Corinzi 4:12.
[7] Ibidem, 9:6-18.
[8] 2 Tessalonicesi 3:10.
[9] Les Apôtres, pagina 170, con l'indicazione dei riferimenti.
[10] E ripresa in Iesous, o Basileus o basileusas, 2, pagina 413.
[11] 1 Corinzi 2:3, e 2 Corinzi 10:10 e 11:30.
[12] 2 Corinzi 10:1.
[13] 2 Corinzi 10:10.
[14] 2 Corinzi 12:7.
[15] Stromati 3:52-53, citato e non contraddetto da Eusebio, Storia ecclesiastica 3:30, 1.
[16] 1 Corinzi 9:5.
[17] Gli specialisti e quelli dei nostri lettori che queste discussioni interessano troveranno nell'Appendice 7 le argomentazioni sulle quali noi basiamo queste conclusioni, che vanno contro l'opinione più generalmente accettata.
[18] Esodo 19:14-15, e le varie leggi del Levitico sulla purezza e l'impurità; si veda anche Origene, In Levit., Omelia 6:6, P. G., 12, col. 474; infine, i testi talmudici che stabiliscono regole ancora osservate oggi, ad esempio ai Purim.
[19] Apôtres, 172.
[20] Ritorneremo qualche pagina più avanti su questo punto.
[21] In un caso abbastanza particolare, è vero, ma sempre con il pensiero che ci si debba sposare «piuttosto che ardere».
[22] In greco, παρεβιάσατο ...Il discepolo crede di dover scusare il maestro.
[23] Atti 16:40.
[24] Ibidem, 20:1.
[25] Ibidem 20:3.
[26] Filippesi 1:25-26; 2:24 e 4:16-18.
[27] Ibidem 4:3.
[28] San Clemente di Alessandria (testo riprodotto da Sant'Eusebio, riferimenti indicati sopra) aveva così compreso il significato delle parole σύζυγος γνήσιος quando dice che in una delle sue epistole San Paolo invia i suoi saluti alla moglie. Testimonianza interessante, in quanto proviene da una persona che parlava greco, il cui orecchio non poteva fraintendere le sfumature dell'espressione, e che prova che l'uso permetteva che l'aggettivo γνήσιος restasse qui al maschile... Non si dice in francese a una bambina «mon cher enfant» come pure «ma chère enfant». Aggiungiamo che in greco moderno σύζυγος si impiega comunemente oggi nel senso di marito e di moglie.
[29] Per tutto questo, rimando di nuovo a Grandeur et décadence de la critique, pagine 35-36.
[30] Vale a dire, contraggono matrimonio con i pagani.
[31] Apocalisse 2:20.
[32] Sul significato di quella espressione, si veda anche Grandeur et décadence de la critique, pagine 35-36.
[33] Diversi studiosi, tra cui Renan (Saint Paul, pagina 148), avevano pensato di identificare la Lidia degli Atti e la «fedele sposa» dell'epistola ai Filippesi; il signor Robert Stahl ha identificato (Mandéens, pagina 145) quella Lidia e la Gezabele dell'Apocalisse; occorre identificarle tutte e tre.
[34] 2 Corinzi 12:2-3, 7-8.
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