giovedì 12 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANALA SPERANZA MISTERICA

 (segue da qui)

LA SPERANZA MISTERICA

Così chiamiamo la speranza, diversa nelle sue formule, la stessa nei suoi principi, che portavano alle religioni misteriche i loro seguaci. Sembra essere stata quella del pre-cristianesimo; fu, in ogni caso, il punto di partenza della speranza cristiana e restò la speranza di quelli tra i primi cristiani che non seppero rinnovarne il significato.

Tra la speranza ebraica e la speranza misterica, a qualsiasi stadio la si prenda, non vi sono soltanto differenze, vi è antagonismo su tutti i tratti essenziali.

Primo tratto. Le religioni ufficiali dell'antichità (il giudaismo tanto e forse più delle altre) hanno per scopo la perpetuità fiorente della nazione; sono, per definizione, religioni nazionali. Le religioni misteriche sono indifferenti ai destini della nazione; esse hanno in vista solo quelli particolari dei loro aderenti. Così, la speranza messianica è nazionale e nazionalista, e la speranza misterica tende ad opporre a questo nazionalismo un particolarismo sempre più internazionale, persino quando lo Stato mette le mani sul suo culto.

Ma a seconda che si abbia a che fare con religioni in decadenza o con religioni che si rinnovano, lo stesso principio porterà a conseguenze diverse. La scomparsa del sentimento nazionale doveva condurre le prime all'ignominioso individualismo che ha in vista, per ciascuno dei suoi membri, solo la sua salvezza personale; essa doveva condurre le altre alla costituzione di un raggruppamento sociale rigenerato. 

Secondo tratto. Evidentemente impotenti ad assicurare quaggiù la felicità dei loro aderenti, le religioni misteriche situano al di là della tomba, in ciò che chiamiamo l'aldilà, la realizzazione delle loro promesse; in realtà, lo scopo principale è, per queste religioni, procurare ai loro fedeli una sorta di palingenesi, vale a dire una vita nuova e beata dopo la morte; così si è potuto definirle religioni di salvezza e religioni d'immortalità. Al contrario, le religioni nazionali avendo per scopo la prosperità della nazione, non sembrano considerare ciò che avviene dell'individuo dopo la sua morte. Abbiamo visto studiosi, di cui si può dire che possiedono a fondo la comprensione del giudaismo, professare che il regno di Dio della speranza messianica è quello che deve realizzarsi sulla terra; i mezzi che saranno impiegati per realizzarlo possono essere di ordine soprannaturale; il regno realizzato resterà di ordine naturale. La credenza nella vita futura introdotta nel giudaismo dai Farisei non aveva modificato, su questo punto, l'antica concezione.

Conseguenza. Tra la situazione presente e l'avvenire sperato, le religioni misteriche mettono e l'ebraismo non mette la necessità di passare attraverso la morte. Fatto di un'importanza incommensurabile, in quanto perpetua nella storia dell'umanità l'antico principio della morte al fine di resurrezione. Nei giorni tumultuosi della sua giovinezza, il giudaismo aveva previsto, a dire il vero, la legge ferrea, e i Profeti avevano cantato in ogni tono, che Israele doveva morire al fine di rinascere rigenerato; ma i Farisei non avevano ripreso la tradizione.

Ancora su questo punto, vedremo come il cristianesimo seppe rendere alla speranza misterica un significato che le religioni ellenistiche avevano dimenticato.

Tra la speranza misterica e la speranza ebraica, un tratto comune. Da entrambi i lati, si conta, per la realizzazione della speranza, su un intervento d'ordine soprannaturale.

Ma tanto le speranze differiscono, tanto diversi i mezzi con cui ci si aspetta il risultato promesso. Nel giudaismo, la speranza è la liberazione di Israele e l'instaurazione del suo dominio sulla terra; si realizzerà con una vittoria napoleonica che non lascerà sussistere nulla delle potenze nemiche. Per gli affiliati delle religioni misteriche, si tratta di ottenere nell'aldilà, dopo la morte, una immortalità beata; quell'immortalità beata si otterrà seguendo il dio nella sua morte e nella sua resurrezione, vale a dire partecipando alla virtù di quella morte e di quella resurrezione (o di una rivelazione gnostica), vale a dire per mezzo di riti cultuali; siamo agli antipodi del colpo di forza messianico.

Avrei amato mostrare, a titolo di esempio, come queste cose erano intese nei misteri di Demetra o in quelli di Iside; ma ogni precisazione necessiterebbe spiegazioni e talvolta discussioni che ci trascinerebbero lontano dal nostro soggetto, e preferisco rinviare i miei lettori non specialisti alle opere, accessibili per loro, in cui queste questioni sono trattate. [1]

Come gli altri elementi della speranza misterica, la fede in un intervento soprannaturale doveva portare a conseguenze diametralmente opposte, a seconda che fosse presa grossolanamente alla lettera (come questo fu il caso nelle religioni ellenistiche e nel cristianesimo ad usum profani pecoris) o che fosse interpretata dalle grandi anime.

Ai tratti (rinnovati o meno) che ricava dalla speranza misterica, la speranza cristiana ne aggiunge uno la cui importanza sarà infinita e che doveva contribuire più tardi ad accostarla alla speranza ebraica.


Il «Gran Giorno» o «Giorno del Signore». — Abbiamo esposto come, tra le religioni misteriche, alcune celebravano il loro culto in due giorni e altre in tre giorni, vale a dire come i miti delle prime si svolgevano in due giorni e i miti delle seconde in tre giorni: morte del dio e resurrezione del dio, con o senza episodio intermedio. 

Nelle religioni in cui non si svolge nulla tra la morte e la resurrezione del dio, non può nulla accadere tra la morte e la resurrezione dei fedeli, e la speranza è più o meno obbligata a realizzarsi per ciascun individuo dall'istante della sua morte. Si potrà errare qualche tempo prima di entrare nel luogo della propria eterna felicità; si sarà nondimeno transitati direttamente dal mondo terreno all'aldilà. L'ingresso nella vita futura si opera dunque di pari passo con la morte di ciascuno; che in un anno muoiano due, duecento o duemila fedeli, la porta dell'aldilà si aprirà due, duecento o duemila volte l'anno... Questa è la concezione ingenua che la Chiesa ha lasciato formarsi tra il maggior numero del suo gregge; non è quella del cristianesimo primitivo.

Tra il giorno della morte del dio e il giorno della sua resurrezione, il pre-cristianesimo e, dopo di esso, il cristianesimo interpongono, l'abbiamo visto, il sonno nella tomba. Ma nelle religioni misteriche, come nelle religioni primitive, come nella Bibbia stessa, la parola giorno, iom in ebraico, non esprime necessariamente una durata di ventiquattro ore, ma implica altrettanto comunemente una durata indeterminata, la quale può essere lunghissima; come i sette giorni della creazione. È in quell'accezione ampia che si deve intendere e che era inteso il giorno che i fedeli dovevano passare nel sonno della tomba, ed è questo che permette di farli risorgere tutti nello stesso tempo. Benché fossero morti in epoche diverse, il giorno della resurrezione è diventato lo stesso per tutti i fedeli, vale a dire che nella speranza cristiana la resurrezione si opera collettivamente. 

Si osserverà che approfondendo la nozione del sonno nella tomba, i grandi mistici dovevano essere indotti a conciliare quella resurrezione collettiva con l'entrata di ciascuno nell'aldilà all'istante della sua morte. Il «giorno» del sonno nella tomba rappresenta, abbiamo detto, una durata indeterminata; si potrebbe dire che in realtà non ne rappresenta nessuna. Il sonno, per i vivi, è in parte un arresto e in parte una continuazione della vita organica; al contrario, il sonno della tomba è un annientamento completo, quantunque passeggero, durante il quale il tempo non conta più. Che il martire che è morto, supponiamo nell'anno 64, entri nell'aldilà nell'istante stesso o nell'anno 1000, la differenza non esiste, se quel minuto o quei novecentotrentasei anni sono stati per lui questo completo annientamento. Così San Paolo potrà professare, prima epistola ai Corinti, che risorgerà nello stesso tempo dei compagni, e dire, epistola ai Filippesi 1:23, che la morte sarebbe per lui una riunione con il Cristo; si deve essere poco comprensivi delle cose spirituali come lo sfortunato studioso che non ho bisogno di nominare, per concludere che i due passi non hanno potuto essere scritti dalla stessa persona.

Ma è necessario precisare l'importanza che doveva prendere la concezione della resurrezione collettiva nella speranza che è stata quella dei primi cristiani, e che la differenzia così formalmente da quella che era corrente tra le altre religioni misteriche. 

Per il fatto stesso che è il giorno in cui tutti i fedeli risorgeranno nello stesso tempo per entrare nell'immortalità, il giorno della resurrezione non è senza una certa analogia con il giorno in cui il popolo ebraico prenderà possesso del suo impero. In realtà, i due eventi non hanno nulla in comune; l'ingresso delle persone morte e risorte nell'aldilà è tutt'altra cosa dalla presa di possesso della terra da parte di un popolo vittorioso; ma entrambi sono gli eventi definitivi dove si regolerà, in un sol colpo, la sorte del mondo, e il giorno della resurrezione sarà il «Gran Giorno», come il giorno dell'evento messianico è il «Gran Giorno». ben più, entrambi si chiameranno similmente il «Giorno del Signore». In verità, la parola «Signore» non designa qui e là la stessa persona; il «Signore» dei tempi messianici è Jahvé, dio d'Israele; il «Signore» della speranza cristiana è Gesù. Ma due eventi che hanno tratti comuni e che portano lo stesso appellativo hanno ben possibilità di essere assimilati quando quell'assimilazione parrà utile.  

Analogia, in ogni caso, non significa dipendenza. Sappiamo a qual punto il pre-cristianesimo, pur conservando la sua originalità fondamentale, è stato influenzato dai libri sacri del giudaismo; non sembra dubbio che abbia preso da questi la denominazione di «Giorno del Signore», facendo subire alla parola «Signore» la trasposizione eretica che, tutto sommato, la de-giudaizzava. Ha preso loro probabilmente nello stesso tempo certi tocchi di colore un po' teatrale di cui si erano serviti per rappresentare l'evento, e che non erano peraltro tutti autoctoni; ma non gli deve la concezione stessa del Gran Giorno. La concezione del Gran Giorno era implicita in quella della resurrezione collettiva e simultanea; essa è giunta alla religione di Gesù dalla sua antica dottrina della resurrezione e del rito dei «tre giorni»; la sua origine è essenzialmente quella di religioni misteriche e, proprio perciò, di religioni primitive.

Le conseguenze dovevano essere di un'importanza decisiva. Nelle religioni misteriche ellenistiche dove l'accesso dei fedeli all'immortalità si opera di pari passo con la morte di ciascuno di loro, le cose avvengono senza che nulla sia cambiato nel corso dell'universo. Un fedele in più nell'aldilà, un fedele in meno sulla terra, e il mondo continua il suo piccolo cammino. Nel cristianesimo, al contrario, tutte le resurrezioni si fondono in una sola resurrezione generale, questa equivarrà presto non solo alla completa scomparsa dei fedeli sul mondo terreno, ma alla scomparsa del mondo terreno stesso; solo sopravvivrà il mondo celeste; non saranno solo i fedeli, ma tutti gli uomini senza eccezione che saranno stati toccati dalla morte e tutte le cose di quaggiù nello stesso tempo. E così si sarà formata una dottrina escatologica (vale a dire dei fini ultimi) che si ricongiunge a certe credenze diffuse nell'antichità e che abbiamo riconosciuto tra i Pitagorici. 


La formula della speranza cristiana primitiva si legge, beninteso, nelle epistole di San Paolo. Lasciando momentaneamente da parte l'interpretazione che dovrà esserne cercata, e attenendoci ai fatti materiali, ci soffermeremo di preferenza al testo, 14-56, del capitolo 15 della prima epistola ai Corinti, brano la cui straordinaria bellezza letteraria e l'alta spiritualità basterebbe ad attestarne l'autenticità, se questa non risultasse anche da criteri filologici e storici. Vi si ritrova, da una parte, la dottrina comune alle religioni misteriche: virtù della morte e della resurrezione del dio, promessa riservata agli adepti, realizzazione dopo la morte, nell'aldilà. Vi si ritrovano, d'altra parte, i dati peculiari alla speranza cristiana: tutte le resurrezioni concentrate in una sola, la quale si effettuerà quando il gran giorno sarà venuto, dopo l'annientamento del mondo terreno.

Nulla, in tutto ciò, che rassomigli da così lontano alla rimessa al popolo ebraico del possesso della terra. 

Dopo gli eventi dell'anno 70, e nella speranza di raccogliere l'eredità del giudaismo, di cui si poteva credere aperta la successione, [2] la Chiesa dovette accingersi a riconciliare la promessa cristiana della salvezza con la promessa messianica facendo della speranza cristiana il sostituto, vale a dire un avatar della speranza ebraica, e riunendo sull'innocente testa dell'antico Gesù i tratti contraddittori del messia ebraico e del dio morto e risorto... E che una tale sintesi abbia potuto operarsi ed essere ammessa, ciò prova abbastanza a qual punto, checché ne pensano gli incolti dell'erudizione, le cose umane e le cose divine siano intessute di antinomie... Ma quella conciliazione, quel riassorbimento del messianismo nel cristianesimo che diciotto secoli di generazioni cristiane hanno accettato, gli ebrei la rifiutarono sempre. Tra la speranza messianica e la speranza cristiana, in effetti, le differenze sono irriducibili. Gli ebrei autentici, gli ebrei alla maniera di Joseph Halévy, non possono e non potevano che gridare alla blasfemia dinanzi a quella promessa di una beatitudine nell'aldilà e dopo la morte, e che viene offerta ai pagani come ai figli d'Israele, dinanzi a quella caricatura del loro messia splendido e vittorioso in un pallido dio a cui è necessario passare attraverso le agonie di una Passione; e invano si farà loro valere tali analogie che  non sono che esteriorità e parole — esteriorità e parole rubate dai loro libri sacri.


Dobbiamo però attenerci a quell'immagine della speranza misterica e della speranza cristiana? 

Abbiamo già notato come le principali tra le tendenze delle religioni misteriche avevano portato a conseguenze del tutto diverse a seconda delle interpretazioni che ne erano date, e come la speranza misterica, come la conoscevano le religioni ellenistiche, era in realtà la fase che superarono immediatamente i primi cristiani. Per quelli, tra loro, che meritano il nome di fondatori del cristianesimo, essa fu la veste della speranza più alta che abbiamo visto spuntare da tutte le parti nelle pagine precedenti e che il momento è venuto di tentare di definire.

NOTE

[1] In particolare, Cumont: Religions orientales; Loisy: Mystères païens; Albert Bayet: le Religions de salut et le christianisme dans l'empire romain, in Alfaric, Couchoud et Bayet: il Problème de Jésus; e, su una materia limitata, Mario Meunier: Mystères d'Eleusis.

[2] Questa è la tesi che abbiamo ricordato sopra, pagina 165, e che è alla base della nostra concezione delle origini del cristianesimo. 

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