lunedì 16 maggio 2022

LA PRIMA GENERAZIONE CRISTIANALA BUONA NOVELLA

 (segue da qui)

LA BUONA NOVELLA

Abbiamo riassunto sopra, in un modo schematico, [1] gli eventi che si erano svolti a Gerusalemme all'indomani dell'Apparizione e in qual modo i nostri Galilei vi avessero «convertito» un certo numero di ebrei ellenisti i quali, dopo la persecuzione in cui perì Santo Stefano, portarono il loro messaggio nella Diaspora. Riferendoci ad alcune proposizioni nelle quali abbiamo enunciato la nostra tesi, tenteremo di vedere più da vicino e di comprendere i fatti, che riprendiamo al ritorno dei Galilei a Gerusalemme.

Il subbuglio regna nel gruppo. Gli uomini che hanno appena avuto la visione del loro dio risorto non riprendono semplicemente da un giorno all'altro la routine della loro vita ordinaria di pescivendoli, di guaritori, di piccoli artigiani. Scartiamo, d'altra parte, l'idea che abbiano predicato, come racconta il libro degli Atti, la loro fede attorno a loro e convertito senza colpo ferire migliaia di ebrei. Ritorneremo sull'impossibilità di attribuire loro una reale attività propagandistica in un capitolo successivo. Essi sono una setta proibita a cui un uso immemore ha insegnato la prudenza. Se se ne fossero dipartiti, hanno a loro disposizione solo un aramaico dialettale di cui si fanno beffa gli ebrei gerosolomitani; per essere informati su questo argomento, è sufficiente sapere che era proibito ai Galilei pregare ad alta voce nelle sinagoghe, «dato che la loro pronuncia difettosa suscitava il riso» [2] ... Ma se non predicano, parlano, oh! a bassa voce, oh! come possono; e, quando sentono che si aprono orecchie comprensive, raccontano, a poco a poco, la miracolosa avventura...

Orecchie comprensive... quali?

Gli studiosi cattolici e altrettanto bene gli studiosi razionalisti ripetono, con il libro degli Atti, che catechizzarono ebrei di passaggio o abitanti a Gerusalemme, si precisa oggi: ebrei ellenisti.

Se si fosse trattato, come vuole la tesi evemerista, di insegnare agli ebrei ortodossi che il giustiziato messo in croce per ordine del procuratore era il messia promesso a Israele, come si sarebbe soltanto lasciata proferire una tale bestemmia? E l'impossibilità sarebbe stata minore se si fosse trattato, conformemente alla tesi mitica, di annunciare loro la resurrezione di un figlio di Dio di cui non avrebbero mai sentito parlare?

In realtà, questi ebrei ellenisti, di passaggio o stabilitisi a Gerusalemme e aventi la loro propria sinagoga, di lingua greca ma che comprendevano e parlavano l'aramaico come tutti gli ebrei che vivevano in Giudea, erano essi stessi pre-cristiani. Il culto di Gesù che essi praticavano era evidentemente un po' diverso da quello che praticavano i Galilei; avevano avuto d'altronde con loro dei rapporti fino al giorno in cui avevano abbandonato il loro lago; ma le relazioni non erano mancate di stabilirsi allorché si erano stabiliti a Gerusalemme, e tali furono i confidenti a cui San Pietro e i suoi compagni raccontarono, al ritorno dal loro pellegrinaggio, come il Signore fosse apparso loro... Ma importa precisare il significato che comportava la novella.

La fede nella risurrezione, lo sappiamo, era inclusa nella nozione del sacrificio; ma già per i Galilei ciò era stato un tutt'altro affare credere in abstracto che il dio fosse risorto e aver contemplato con i propri occhi il risorto; così, per un ritorno d'urto decisivo, se la fede nella resurrezione aveva prodotto l'Apparizione, quest'ultima aveva conferito alla resurrezione stessa un'intensità sovrabbondante di realtà, direi di realtà vissuta. A maggior ragione, per i precristiani che non avevano partecipato al dramma sacro, la resurrezione del dio era fino ad allora una cosa lontana, vaga, implicitamente data, certo, ma che mal realizzarono; annunciare loro che il dio, dopo la cerimonia della messa a morte e della sepoltura, si era manifestato risorto, equivaleva a fare di quella resurrezione, anche per loro, un evento reale, un evento realizzato. Ed è così che la notizia poté presto essere chiamata la Buona Novella, il che, ognuno lo sa, è il significato esatto del termine greco εὐαγγέλιον, il vangelo.

Il cristianesimo è nato perché in quell'epoca vi furono, attraverso l'Impero, anime con aspirazioni inespresse, cuori avidi di rinnovamento, capaci della «grande fede». Di fronte all'immenso trio che ci piace immaginare nelle persone di San Pietro, San Giovanni e San Giacomo, la storia delle religioni colloca alcuni nomi, minori senza dubbio, tra i quali conserveremo quelli di Santo Stefano, «il primo martire», di San Filippo l'Evangelista che ebbe la fortuna di procreare quattro figlie le quali profetizzarono fino all'età più avanzata, infine di un proselito di Antiochia, Nicola, che sembra essere stato il primo dei cristiani nati al di fuori del giudaismo e a cui due righe feroci dell'Apocalisse fecero perdere il nimbo che avrebbe dovuto adornargli il capo, a lui come ai compagni.

Con questi uomini, l'eccitazione crebbe rapidamente. 

Gli Ellenisti non avevano le tradizioni di prudenza dei Galilei; non erano svantaggiati da un cattivo dialetto; parlavano nelle sinagoghe ortodosse... Subito si verificò l'evento che si ripeterà ogni volta che un ebreo che professi il cristianesimo vorrà portare agli ebrei ortodossi il messaggio cristiano. Resistenza ostinata degli ortodossi; condanna dell'innovatore. Nella Diaspora, tutto si consumerà più spesso in dispute e in abusi più o meno gravi; a Gerusalemme, gli ortodossi hanno la forza pubblica dalla loro; abbiamo spiegato tutto ciò. Santo Stefano fu arrestato e messo a morte in virtù di una sentenza del sinedrio, o forse semplicemente linciato.

Né i Galilei né gli Ellenisti sono abituati all'idea di lottare contro i poteri stabiliti; quale che sia la loro fede, sono gente che non è affatto preparata alla persecuzione. 

I più compromessi, gli uomini della Diaspora fuggirono; quelli tra loro che erano di passaggio a Gerusalemme tornarono a casa; quelli che vi erano rimasti cercarono asilo nelle città della Diaspora dove sapevano di trovare amici.

I Galilei hanno giocato un ruolo più discreto; restano, ma si nascondono in un silenzio che li fa dimenticare. Una cosa in tutti i casi è certa: una volta terminato il tafferuglio, i cristiani rimasti a Gerusalemme non sono disturbati.

Gli studiosi cattolici, seguiti in ciò dagli studiosi razionalisti, raccontano che i sopravvissuti alla persecuzione andarono a diffondere la nuova fede nelle città dove si rifugiarono, vale a dire vi portarono il cristianesimo... Sì, ma a condizione di precisare che le città dove si rifugiarono possedevano esse stesse centri precristiani in cui essi trovarono asilo e portarono il messaggio che avevano ricevuto dai Galilei, e che gli ebrei e i giudaizzanti della Diaspora a cui gli Ellenisti di Gerusalemme avrebbero portato dopo la morte di Stefano il nome di Gesù, erano essi stessi precristiani a cui costoro portarono il messaggio galileo.

Ma l'abbiamo spiegato nel capitolo precedente, tutti i centri precristiani che esistevano in quell'epoca attraverso l'immenso Impero non furono toccati allo stesso modo. Negli uni, tale certamente Antiochia, il messaggio fu portato e fu accolto; è ciò che gli Atti degli Apostoli esprimono (11:21, prima redazione) scrivendo che «la mano del Signore era con loro, e un gran numero, avendo creduto, si convertì al Signore». In altri, per esempio in alcune città d'Asia Minore, di Macedonia, di Corinto, a Roma, abbiamo spiegato che esso fu portato un po' più tardi. In altri, esso non fu portato, o non fu accolto, oppure fu portato e accolto solo molto più tardi. 

NOTE

[1] Primo capitolo di quella terza parte, pagine 133 e seguenti.

[2] Graetz, Histoire des Juifs, 1, 575. Domando ai miei lettori di ricordare questo tratto quando sentiranno parlare della predicazione degli Apostoli in paese ebraico. 

Nessun commento:

Posta un commento