martedì 12 gennaio 2021

IL PUZZLE DEI VANGELII miracoli

 (segue da qui)

6° I miracoli

I vangeli sono ripieni di racconti di miracoli attribuiti a Gesù, e non dobbiamo esserne sorpresi: tutti i personaggi divini sono ritenuti fare miracoli, e in genere gli stessi miracoli: è il segno del loro status. Basterà ricordare le grandi rassomiglianze tra i miracoli attribuiti a Gesù e quelli che Filostrato presta ad Apollonio di Tiana, o quelli che il Maestro di Giustizia ricorda di aver fatto nei suoi inni. Sembrano d'altronde esistere dei racconti-tipi, utilizzati o riprodotti dappertutto; ciò aveva colpito Luciano di Samosata, che nel Philopseudes delinea un elenco di queste «menzogne»: il paralitico che porta il suo letto sulle sue spalle, l'esorcismo che costringe i demoni a uscire dal corpo di un posseduto, l'uomo che cammina sulle acque e, beninteso, la resurrezione dei morti.

Ma prima di esaminare i miracoli attribuiti a Gesù, bisogna chiederci quale sia il loro significato generale: perché e come Gesù fa dei miracoli?

Una risposta sembra imporsi innanzitutto: i miracoli sono la prova della natura soprannaturale o divina del personaggio, testimoniano il suo potere. È proprio così, in effetti, che li comprende la Chiesa, e può sostenere quella interpretazione su vari passi molto chiari. Era necessario che Gesù facesse miracoli per provare la sua messianicità, poiché Isaia aveva annunciato: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia». [233] Non si tratta che di guarigioni, ma ciò doveva costituire una prova sufficiente, poiché, quando il Battista dalla sua prigione invia discepoli per assicurarsi se Gesù è davvero il Messia, questi si limita a ricordargli il testo di Isaia, [234] citato peraltro in maniera inesatta.

I miracoli devono talmente servire da prova che le città di Corazin, di Betsaida e di Cafarnao sono votate alla distruzione per non aver tenuto conto del valore di questi segni. [235]

Esistono sfortunatamente altri passi che impongono un'interpretazione diversa, o addirittura esattamente opposta.

Prima di tutto, se Gesù fa più spesso i suoi miracoli consapevolmente, accade che gli si attribuisca una sorta di «forza» interna inconscia, che emana da lui e che può guarire a sua insaputa. È quel che succede quando va dalla figlia di Giairo: una donna tocca il suo mantello da dietro, Gesù sente «che una forza è uscita da lui», [236] ma deve domandare «Chi mi ha toccato?». [237] Altrove Luca ci dice che una folla cercava di toccarlo. [238] Eccoci in piena magia, o più semplicemente in presenza del «flusso» dei guaritori. [239] Questo potere misterioso, d'altronde, non finisce di essere inquietante, poiché nulla prova che provenga da Dio; esistono miracoli demoniaci; e non si manca di porre la domanda a Gesù: non è forse per mezzo di Belzebù, principe dei demoni, che egli caccia i demoni? A cui Gesù risponde che Satana non può essere diviso contro sé stesso, il che equivale a negare l'esistenza dei miracoli del demonio, [240] opinione dichiarata eretica dalla Chiesa.

Ma, se i miracoli sono divini e devono servire da prova, ci si può domandare perché Gesù non faccia di più, poiché la dimostrazione non ha minimamente convinto i contemporanei. Così si vede, nei vangeli, una tesi opposta, secondo la quale la prova tramite il miracolo non sarà data: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione». [241] Matteo e Luca credono di dover precisare «se non il segno di Giona», [242] vale a dire la resurrezione al terzo giorno. 

Infatti, vediamo spesso Gesù, quando ha compiuto una guarigione, raccomandare di non parlarne affatto. Questo è quel che prescrive al lebbroso, [243] dopo la resurrezione della figlia di Giairo, [244] ai due ciechi, che del resto non tengono alcun conto di quella prescrizione, [245] al sordo del mar di Galilea che parlava a malapena, e che, a sua volta, utilizzerà la parola che gli viene appena data per disobbedire a quest'ordine. [246] Se il miracolo deve servire da prova, non si capisce perché bisognerebbe mantenere il segreto; e se il segreto deve essere mantenuto, la maledizione delle città incredule è ingiustificata.

Tutto ciò è quindi incoerente, e prova che gli scrittori dei vangeli non avevano una dottrina sul miracolo, che non sapevano loro stessi quale potesse esserne l'utilità.

Se i miracoli dovevano servire da prova, la principale preoccupazione degli evangelisti dovrebbe essere di stabilirne la realtà. Ma si deve ben constatare che i loro racconti sono vaghi, che non concordano tra loro e che ciascuno si è preso molta libertà con i dati delle sue fonti. «I vangeli trattano la ripartizione cronologica dei miracoli nella carriera di Gesù con la più perfetta noncuranza, non si accordano né sul loro numero né sulle circostanze che li caratterizzano». [247] Si è tentato di sostenere che ciascuno aveva evitato di ripetere ciò che aveva detto l'altro, ma questo è il più delle volte inesatto: essi raccontano più o meno tutti gli stessi miracoli secondari, ma li collocano in circostanze diverse, e ciascuno di loro ignora i miracoli essenziali. Per contro, accade loro di riportare due volte lo stesso, come Matteo per la guarigione dei due ciechi. [248] La Chiesa ha un bel dire che lo stesso fatto ha potuto verificarsi due volte, ma noi vediamo fin troppo il doppio utilizzo di una stessa fonte. 

Allo stesso modo, come abbiamo visto, Marco e Matteo ci raccontano due volte la moltiplicazione dei pani e dei pesci. [249] Vi si trovano senza dubbio alcune variazioni nei dettagli (vi sono a volte 5 pani, a volte 7, e con i resti si riempiono 7 sette ceste o 12 ceste), ma il confronto dei due racconti dimostra la loro identità; del resto Luca e Giovanni non conoscono che un solo miracolo. [250] La ripetizione risulta da un'incoerenza dello scrittore, da una disposizione successiva? È difficile da dire; la mia impressione è che, come per l'inizio della Genesi, si sono utilizzate due versioni diverse elaborate secondo una stessa fonte antica. 

Non parlerò delle numerose varianti negli stessi miracoli, delle espressioni trasposte dall'una all'altra, in particolare sul punto di sapere se si ha il diritto di guarire un giorno di sabato: la domanda è posta così spesso che si crederebbe che Gesù scegliesse volontariamente proprio quel giorno per esercitare i suoi talenti. In realtà, intorno a quella idea di base (reazione contro un formalismo troppo stretto), ciascun autore sceglie indifferentemente i suoi esempi. Tali procedure sono lontane dall'aggiudicarsi la fiducia.

Quanto alla natura dei miracoli, troviamo dapprima le guarigioni, come ne operano tutti i guaritori: «tutti i maghi ambulanti», fanno solitamente altrettanto, dice Celso. [251] Il loro valore probatorio è zero: non soltanto le conoscenze mediche del tempo non permettevano di stabilire una diagnosi valida, ma i sintomi descritti sono così vaghi da non permettere alcun controllo a posteriori. Così la suocera di Simone è a letto con «la febbre»; [252] noi ignoriamo di quale male soffrivano il figlio del centurione [253] di cui Marco non parla nemmeno, o il sordo che parlava con difficoltà (non era dunque muto), viceversa conosciuto solo da Marco [254] se non è lo stesso muto di Matteo e di Luca, [255] o il malato nella piscina di Betzaeta [256] che è forse lo stesso paralitico calato in casa sua [257] poiché entrambi fanno la stessa cosa, portando il loro letto sulle loro spalle, ecc.

È più interessante segnalare la concezione generale della malattia e della guarigione di cui testimoniano i vangeli. Le conoscenze mediche della Grecia non sembrano aver raggiunto questo ambiente, poiché esse rimangono all'idea secondo la quale la malattia è inflitta da un potere esterno, divinità o demone; per guarire, si deve invocare la divinità o cacciare il demone, se necessario con procedure magiche. Il IV° Vangelo ammette una concezione più morale: la malattia è la conseguenza di un peccato; [258]  e siccome non si ignora che essa possa colpire un bambino, lo si attribuisce ad un peccato commesso dai suoi genitori. [259] In tutti i casi, il rimedio è semplice: basta credere, e la fede libera dalla malattia [260] come dal peccato. [261]

Non chiediamo che gli evangelisti conoscessero  l'esistenza dei microbi e dei virus (benché un dio possa difficilmente ignorarla); ma potremmo stupirci che non abbiano sentito parlare di Ippocrate.

In quella concezione primitiva, non vi è differenza essenziale tra la guarigione di un malato e l'espulsione di un demone dal corpo di un posseduto. Così io non insisterò sui casi in cui Gesù caccia i demoni dal corpo di un uomo: nessuno crede più ai casi di possessione.

Se passiamo ai miracoli meno ordinari, vediamo che la maggior parte sono raccontati malissimo, e quasi sempre da un solo autore, gli altri sembrano ignorare la stessa fonte. Cambiare l'acqua in vino a un banchetto di nozze [262] potrebbe passare per un trucco di prestigio, ma non si vede minimamente il carattere educativo. Marco e Matteo ignorano la pesca miracolosa che Luca e Giovanni ci raccontano [263] ma che ha probabilmente solo un significato simbolico. Restano quindi alcuni fatti isolati:

— il miracolo della tempesta sedata, [264] ma è miracoloso che, su un lago, il vento cessi bruscamente? 

— La camminata sull'acqua, molto meno credibile: Marco e Giovanni danno pochi dettagli, [265] solo Matteo [266] ne aggiunge, secondo la sua abitudine, ma lui ricama visibilmente su Marco; Luca non ha inteso parlare di questo fenomeno.

Per di più, tutto ciò è secondario al confronto della resurrezione dei morti. Sfortunatamente, in questo campo, i testi non soddisfano minimamente la nostra curiosità. Se tali fatti si fossero verificati, soprattutto pubblicamente, è probabile che se ne sarebbe parlato, che le autorità si sarebbero commosse, e che non si sarebbe mancato, anche in assenza di giornali a larga diffusione, di andare a «intervistare» i resuscitati. Ma non vediamo nulla di simile.

Per la figlia di Giairo, lei è soltanto sul punto di morire quando si va a cercare Gesù; [267] solo Matteo, che abbellisce alla sua maniera, dice che lei era già morta. [268] In ogni caso, Gesù non lascia entrare nessuno in casa, salvo tre discepoli, [269] e dopo aver risvegliato la bambina, prescrive loro di non dire nulla di ciò che era appena accaduto. [270] Strano modo di fornire una prova!

Il figlio della vedova, pure lui, era morto, poiché lo si è seppellito. È un vero peccato che solo Luca ci racconti l'interruzione di queste esequie, [271] soprattutto quando si sa che fu scritto a Roma più di 120 anni dopo il presunto evento. Come? Una folla numerosa avrebbe assistito alla resurrezione di un morto che si seppelliva, e nessun altro l'avrebbe saputo?

Questi due casi furono senza dubbio giudicati poco dimostrativi, poiché lo scrittore del IV° Vangelo credette di dover esagerare ancora con la resurrezione di Lazzaro: questi era già sepolto, e puzzava, [272] cosa si vuole di più? Ma chi crederà che, se Gesù aveva fatto uscire dalla tomba questo familiare del gruppo dei discepoli, né Marco, né Matteo, né Luca avrebbero sentito parlare di questo miracolo? Come mai questi tre autori avrebbero potuto passare sotto silenzio il fatto che è precisamente a causa di questo «segno» che i Farisei avrebbero deciso la morte di Gesù? [273] E nessuno si sarebbe preoccupato della sorte di Lazzaro dopo la sua resurrezione! Ecco uno che avrebbe dovuto testimoniare in favore di Gesù, servire da prova! Egli scompare senza lasciare traccia, e solo la leggenda si è impadronita di lui. Ma occorreva che fosse così, che la prova fosse inefficace, si vedrà perché.

Ve ne è di molto più grave, in effetti: questi miracoli essenziali, noi sappiamo come sono stati fabbricati, ne conosciamo l'origine. 

La moltiplicazione dei pani? Eliseo, l'uomo di Dio, aveva fatto esattamente la stessa cosa, e basterà ricordare l'episodio biblico perché si possa constatare come quello dei vangeli è stato modellato su di esso: 

«Da Baal-Salisa venne un individuo, che offrì primizie all'uomo di Dio, venti pani d'orzo e farro che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: Dallo da mangiare alla gente. Ma colui che serviva disse: Come posso mettere questo davanti a cento persone?. Quegli replicò: Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: Ne mangeranno e ne avanzerà anche. Lo pose davanti a quelli, che mangiarono, e ne avanzò». [274]

La resurrezione del figlio della vedova? Noi la conosciamo così: Elia aveva lo stesso resuscitato il figlio di una povera vedova, «e lo consegnò alla madre, dicendo: Guarda! Tuo figlio vive». [275] Allo stesso modo, Eliseo aveva resuscitato il figlio della Sunamita, dopo aver impedito ai testimoni di entrare nella stanza. [276] Gesù rifece ciò che avevano fatto i profeti, con gli stessi gesti, le stesse parole: chiaramente i racconti biblici hanno servito da modelli.

Per Lazzaro, è altra cosa. Luca racconta la parabola del ricco malvagio e del povero Lazzaro, [277] ma questa non è che una parabola. Quello che vuole dimostrare ce lo si spiega alla fine: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno resuscitasse dai morti saranno persuasi». Abbiamo là esattamente il quadro che si svilupperà e metterà in azione: si resusciterà Lazzaro senza nemmeno cambiare il suo nome; e questo miracolo non avrà alcuna utilità, non persuaderà nessuno!

In materia di miracoli, come in tutto il resto, gli evangelisti non si adoperano per nulla a riportare fatti precisi, ma soltanto ad edificare: «I nostri vangeli sono i primi pezzi dell'agiografia cristiana». [278]

Un'ultima osservazione ancora: l'attribuzione a Gesù dei vari miracoli dovette essere piuttosto tardiva, poiché essi sono sconosciuti a Paolo. Quando questi volle dimostrare che i corpi devono risorgere, [279] come mai, se li avesse conosciuti, l'apostolo non avrebbe invocato le risurrezioni del figlio della vedova e di Lazzaro? Egli conosce solo quella del Cristo stesso. [280] Si può concluderne che, su questo punto come su molti altri, la leggenda di Gesù si è formata dopo la stesura delle epistole paoline.

NOTE

[233] Isaia 35:5-6.

[234] Matteo 11:4-6, Luca 7:20-23.

[235] Matteo 11:20-24, Luca 10:13-15.

[236] Marco 5:30.

[237] Marco 5:32, Luca 8:46.

[238] Luca 6:19.

[239] Nel vangelo di Pietro quella forza magnetica l'abbandona vergognosamente sulla croce, e le sue ultime parole sono: «Mia forza, mia forza, tu mi hai abbandonato».

[240] Marco 3:22-27, Matteo 12:24-30, Luca 11:15-23.

[241] Marco 8:12.

[242] Matteo 16:4, Luca 11:29.

[243] Marco 1:44, Matteo 8:4, Luca 5:14.

[244] Marco 5:43, Luca 8:56.

[245] Matteo 9:30-31.

[246] Marco 7:36.

[247] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 230.

[248] Matteo 9:27-31 e 20:19-34.

[249] Marco 6:36-44 e 8:1-10; Matteo 14:15-21 e 15:32-39.

[250] Luca 9:12-17, Giovanni 6:2-15.

[251] Discorso vero, § 12.

[252] Marco 1:29-31, Matteo 8:14-15, Luca 4:38-39.

[253] Matteo 8:5-13, Luca 7:2-10.

[254] Marco 7:32-37.

[255] Matteo 9:34 e Luca 11:14.

[256] Giovanni 5:1-18.

[257] Marco 2:3, Matteo 9:2, Luca 5:18.

[258] Si veda Giovanni 5:14.

[259] Giovanni 9:2.

[260] Si veda la guarigione del lebbroso (Marco 1:40-42, Matteo 8:1-3, Luca 5:12-13), del figlio del centurione (Matteo 8:10-13, Luca 7:9), dell'emorroissa (Marco 5:34, Matteo 9:22).

[261] Luca 7:50.

[262] Giovanni 2:1-11.

[263] Luca 5:3-7, Giovanni 21:6-11.

[264] Marco 4:37-41, Matteo 8:24-27, Luca 8:23-25.

[265] Marco 6:47-51, Giovanni 6:17-21.

[266] Matteo 14:26-33.

[267] Marco 5:23, Luca 8:42.

[268] Matteo 9:18.

[269] Matteo 5:37, Luca 8:51.

[270] Luca 8:56, si veda Marco 5:43.

[271] Luca 7:11-17.

[272] Giovanni 11:39.

[273] Giovanni 11:47.

[274] 2 Re 4:42-44. Elia aveva moltiplicato a sua volta la farina e l'olio (1 Re 17:12-16). Giovanni 6:9 ha conservato anche il dettaglio che si tratta di pani d'orzo.

[275] 1 Re 17:17-24.

[276] 2 Re 4:31-37.

[277] Luca 16:19-31.

[278] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 241.

[279] Sotto una forma del resto ben diversa, poiché «la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio» (1 Corinzi 15:50).

[270] 1° ai Corinzi, capitolo 15. 

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