mercoledì 23 dicembre 2020

IL PUZZLE DEI VANGELIPapia, Giustino, Ireneo

 (segue da qui)

3 — Papia, Giustino, Ireneo

Ho esplorato invano la letteratura cristiana prima del 150, senza trovarvi la minima allusione ai vangeli scritti. A dire il vero, esiste un'eccezione, di cui parlerò: quella di Papia, ma si vedrà perché l'ho temporaneamente accantonata. 

Dopo il 150, al contrario, troveremo in Giustino (morto intorno al 165) i primi riferimenti, ancora molto incerti, alle fonti dei sinottici. Infine, intorno al 190 Ireneo menzionerà i quattro vangeli canonici.

Ma quella data del 150 non è stata scelta arbitrariamente: essa corrisponde, con qualche anno di differenza, ad una grandissima svolta realizzata nella Chiesa, e che renderà necessario la stesura dei vangeli. Ma prima di esporre in cosa consiste quella novità, importava dimostrare che nulla prima di allora si opponesse a quella spiegazione. Nulla, salvo Papia: sbarazziamoci dunque di lui.

PAPIA — Di questo personaggio, che fu vescovo di Ierapoli in Frigia intorno al 135, e che avrebbe scritto cinque libri di esegesi sui «logia» del Signore, non ci resta nulla. Ireneo assicura che avrebbe beneficiato di una tradizione apostolica indiretta mediante le sue relazioni con il vecchio Policarpo e un «Giovanni il presbitero». L'importanza di Papia nella nostra materia si deve esclusivamente ad alcune frasi che gli presta Eusebio [40], che però non lo tiene in alta stima.

Dal presbitero, Papia avrebbe saputo che Marco, compagno di Pietro, aveva «scritto con esattezza, ma senza ordine, tutto ciò che egli ricordava di ciò che è stato detto o fatto dal Signore», e che Matteo «riunì in lingua ebraica i logia, e ciascuno poi li interpretava come poteva». Abbiamo là una prima allusione a qualcosa che si collega ai nostri vangeli, ma che ne differisce ancora in maniera sostanziale. 

L'opera in lingua ebraica che Papia presta a Matteo non ci è pervenuta, e non si è nemmeno sicuri della sua esistenza. Quel che è certo è che non si trattava ancora del nostro Matteo, che è tutt'altra cosa rispetto ad una raccolta di «logia». La Chiesa sostiene che si trattava di una prima versione, perduta, di Matteo, scritta in aramaico; ma né Papia né Eusebio potevano confondere l'ebraico con l'aramaico. Siccome nessuno scriveva più in ebraico, l'espressione di Papia non può applicarsi che ad una raccolta di testi ricavati dalla Bibbia. Vedremo che una tale raccolta, formata da profezie apparentemente riferentesi al Messia, è certamente stata utilizzata dai nostri evangelisti, ma doveva essere in greco. Non è impossibile che una raccolta in lingua ebraica abbia preceduto la traduzione della Septuaginta (soprattutto se questa sia più tardiva di quanto si credesse). Tutto ciò si basa esclusivamente su una frase di Papia, riportata o corretta da Eusebio.

L'opera attribuita a Marco sembra avvicinarsi di più al Vangelo che porta lo stesso nome. Ma se Papia ha conosciuto un racconto «senza ordine», si deve credere che in seguito qualcuno l'abbia rimesso in ordine, perché il nostro Marco è molto ordinato. Non solo lo schema è chiaro, il racconto coerente, [41] ma Alfaric ha notato che tutto vi sta simbolicamente per tre o multipli di tre: l'opera è in 3 parti, divisa ciascuna in 3 sezioni, i miracoli e le parabole sono raggruppati per 3, Gesù è condotto al Calvario alla 3° ora, oltraggiato alla 6°, spira prima della 9°, ecc. Infine, come l'ho segnalato, vi si rilevano passi in prosa ritmica, strofe destinate alla recitazione. Siamo quindi lontanissimi dal racconto «senza ordine» al quale Papia fa allusione. Bisognerebbe quindi ammettere che quest'ultimo ha conosciuto un'opera attribuita a Marco e che sarebbe in seguito servita alla composizione del nostro vangelo, questo «proto-Marco» di cui numerosi esegeti hanno riconosciuto la necessità.

La testimonianza di Papia (secondo Eusebio) si riduce quindi all'affermazione dell'esistenza intorno al 135 di due elementi primitivi che sono, o potrebbero essere, alle fonti dei nostri vangeli, — ma non dell'esistenza a quella data di Marco e Matteo così come ci sono pervenuti. La citazione di Papia è interessante per le fonti dei primi due vangeli; essa conferma, per contro, che questi ultimi, come li leggiamo, non esistevano ancora ai tempi di Papia. «Giovanni l'Anziano e Papia hanno quindi conosciuto solo due delle fonti dei nostri sinottici, e non i nostri sinottici stessi... Papia non ha conosciuto nessuno dei nostri quattro vangeli». [42]

Si sarà notata l'ignoranza di Papia a riguardo di Luca e di Giovanni. La prima può spiegarsi, poiché Luca fu scritto in ambiente romano; la seconda è inconcepibile, perché la tradizione fa scrivere il nostro Giovanni in Asia Minore, nella stessa regione della sede episcopale di Papia. Ora, osserva Loisy, [43] Ireneo, che veniva anch'egli dalla stessa regione, «non ricava dalla sua origine asiatica, dai suoi rapporti con Policarpo e dai cristiani dell'Asia Minore, alcuna informazione particolare sul vangelo giovanneo». È quindi certo che né Papia, né Policarpo hanno conosciuto il Vangelo che si collocherà sotto il nome di Giovanni.

GIUSTINO — Non sappiamo granché di questo Giustino, che si definisce filosofo, e che avrebbe subito il martirio in Oriente intorno al 165. Ma possediamo tre opere che si concorda nell'attribuirgli: due apologie del cristianesimo, di cui la seconda è insignificante, ma di cui la prima, più importante, è dedicata all'imperatore Antonino il pio (essa è dunque precedente al 161), e un lungo dialogo con Trifone, dove, dopo un prologo molto platonico (che trovo difficile poter attribuire allo stesso autore) Giustino si sforza di dimostrare agli ebrei che Gesù era il Messia. È la prima Apologia che ci interessa di più.

Risale al 155 circa. È quindi importante sapere se, a quella data, l'autore conoscesse i vangeli, o alcuni di essi. Una prima constatazione ci colpisce: benché si sforzi di dimostrare la verità del cristianesimo, mai l'autore si riferisce espressamente ai vangeli, ignora i nomi di Marco, Matteo, Luca e Giovanni.

Tuttavia, siccome si sostiene spesso che Giustino farebbe almeno delle citazioni dai vangeli senza nominarli, è importante analizzare la sua opera da questo punto di vista. Ma risulta da quella analisi che Giustino non conosce ancora nessuno dei vangeli canonici.

A — Giustino conosce numerosi «detti» o sentenze del Signore, che egli descrive come «brevi e concisi, egli infatti non era un sofista». [44] Egli sembra quindi ignorare i lunghi discorsi che gli si prestano nei canonici. Egli cita molte di queste sentenze, che ritroviamo in maggioranza nel nostro Matteo, nel discorso della montagna, ma anche verso la fine del vangelo. È quindi almeno certo che Giustino avesse in mano una raccolta di «logia», probabilmente la stessa di quella che ha utilizzato il compositore di Matteo. Ma Giustino li cita in un ordine diversissimo, [45] e soprattutto, se il significato rimane lo stesso, la forma differisce quasi sempre. Giustino non ha dunque attinto queste sentenze dal nostro Matteo, ma da una raccolta che Matteo utilizzerà diversamente, raggruppandoli in maniera diversa. Inoltre, come nella raccolta menzionata da Papia, Giustino non conosce che una collezione di «logia» (sentenze o detti), svincolati da ogni circostanza temporale, da ogni racconto. Non solo Matteo non è nominato, ma niente, assolutamente niente, ci induce a pensare che Giustino ne avesse conoscenza, non vi fa alcuna citazione che non sia un «detto».

B — Giustino sa anche che tutto ciò che il Cristo ha realizzato è stato predetto dai profeti ebrei. Per dimostrare la verità del cristianesimo, egli intraprende una lunga rassegna di queste profezie, di cui la maggior parte saranno anche invocate da Matteo, ma di cui altre non figurano nei vangeli. Appare dunque probabilissimo che Giustino disponesse di una raccolta di «profezie» riguardanti il Messia e ricavate dall'Antico Testamento, raccolta la cui esistenza sembra logicamente necessaria alle fonti dei vangeli.

Giustino fa un uso abbondante di queste citazioni bibliche, [46] ed è esclusivamente con l'aiuto di queste citazioni che egli racconta la vita e la morte di Gesù. Non una sola volta gli viene in mente di precisare che la realizzazione di queste profezie sarebbe stata constatata dai testimoni, consegnata negli scritti: non una volta invoca la prova ricavata dai vangeli: tutto è dimostrato per mezzo di testi biblici, dove si noterà l'uso abbondante di Isaia. 

A chi si farà credere che, se Giustino avesse letto il nostro Marco o il nostro Matteo, non avrebbe attinto da queste testimonianze recenti delle prove così utili alla sua dimostrazione? Come ammettere che per due volte invoca i libri di Istaspe (sconosciuti) e la Sibilla, [47] e mai i racconti evangelici? Per di più, non sa nulla se non ciò che è stato predetto, non invoca nessuno dei miracoli di Gesù, nessuna delle resurrezioni riportate nei vangeli. Istaspe e la Sibilla hanno potuto annunciare che questo mondo corruttibile sarebbe perito per il fuoco, ma Giustino ignora il lungo discorso escatologico che i sinottici presteranno a Gesù. Sa soltanto che il Cristo è stato condannato da Pilato, [48] ma non dice perché, e ignora tutti i dettagli del processo. Non nomina né Pietro, né alcuno dei dodici. Per stabilire che Gesù sarebbe nato a Betlemme, cita la profezia di Michea e rinvia per il resto al «registro del censimento di Cirenio», [49] come se quella verifica fosse possibile, [50] ma ignora i prologhi di Matteo e di Luca. Per il processo, si limita a rinviare agli «Atti di Pilato», [51] ha forse conosciuto uno dei falsi che circolavano sotto questo nome, [52] ma non invoca ancora le testimonianze evangeliche. Si deve ben constatare la sua ignoranza totale di ciò che non è contenuto in una o più raccolte di sentenze e nelle profezie ricavate dalla Bibbia.

C — Giustino conosce l'esistenza di altre sette, quelle di Simone il Samaritano, di Menandro, e anche di «Marcione del Ponto, che insegna ancora oggi». [53] Benché queste sette siano state suscitate dai demoni, nondimeno «tutti i settari di quella scuola sono chiamati cristiani», [54] e Giustino non dice da nessuna parte che la setta «ortodossa» ha il minimo documento da opporre loro. Sembra persino ignorare l'Evangelion, poiché dice di Marcione: «Molti, prestandogli fede, come se fosse il solo a sapere la verità, si burlano di noi pur non avendo alcuna prova delle loro affermazioni». [55] Sembra che l'occasione fosse buona per opporre loro i testi della Chiesa, ma Giustino non lo fa. 

D — La questione appare più complessa per il Dialogo con Trifone, che è posteriore all'Apologia. Certo, in quella interminabile discussione, Giustino non invoca ancora da nessuna parte espressamente la testimonianza dei vangeli da nessuna parte; egli si limita ancora a citare al suo avversario numerose profezie ricavate della Bibbia. Tuttavia certi passi potrebbero costituire riferimenti impliciti, se non ai vangeli, almeno a Matteo: ad esempio, la maledizione degli scribi e dei farisei, definiti «sepolcri imbiancati»; [56] la messa in guardia contro i falsi profeti — che, per Giustino, sono Marcione, Valentino e Basilide —, [57] in termini abbastanza simili a quelli di Matteo; [58] l'affermazione che Giovanni il Battista è Elia reincarnato. [59]

Ci si potrebbe quindi chiedere se, tra l'Apologia e il Dialogo, Giustino non avesse avuto conoscenza almeno di una versione primitiva di Matteo, come il Vangelo degli Ebrei. Ma in questo caso, perché non ne ricava qualcos'altro rispetto a queste allusioni secondarie? 

È ancora più curioso rilevare in bocca all'ebreo Trifone quella dichiarazione: «So piuttosto che i vostri precetti, contenuti in quello che chiamate vangelo (al singolare), sono così grandi e mirabili da far pensare che nessuno sia in grado di osservarli (mi sono infatti dato cura di leggerli)». [60] Dopodiché, non si parla più di questo vangelo! Trifone conosce quindi, sotto questo nome, una raccolta di «precetti», di detti o sentenze, e l'avversario cristiano non ne approfitta nemmeno per parlargli di Gesù!

Quanto a Giustino stesso, invoca sempre i profeti, con qualche allusione agli elementi passati in Matteo. Ma sappiamo per il seguito che egli conosce il vangelo di Pietro; [61] non abbiamo più questo documento apocrifo per intero, ma sappiamo che è stato utilizzato dal nostro Matteo; [62] è forse dunque là l'unica fonte di Giustino?

Sembra quindi certo che, se Giustino conosceva nel 160 circa degli elementi che saranno ripresi nei sinottici, egli non ne conosceva ancora la stesura. Tutt'al più si può sostenere che avrebbe disposto di una versione primitiva di Matteo, alla quale non riconosce peraltro alcuna autorità, poiché non la invoca espressamente e ne ne cita che dettagli senza importanza.

E — Non resta che esaminare due frasi dell'Apologia, molto sorprendenti rispetto a ciò che ci ha rivelato l'analisi complessiva. La prima riguarda l'annunciazione, dove le parole dell'angelo che figurano in Matteo sono accompagnate da questo commento: «Così ci insegnarono coloro che hanno raccontato la vita del nostro Signore Gesù Cristo». [63] La seconda riguarda l'istituzione dell'eucarestia, e comincia con queste parole: «Gli apostoli ci riportano, nei libri che ci hanno lasciato e che si chiamano vangeli, che Gesù aveva raccomandato loro... ecc.». [64] Questi due riferimenti ai vangeli sarebbero molto importanti, se fossero autentici; ma la loro stessa contraddizione con l'insieme dell'opera ci permette di sospettare la loro interpolazione successiva.

Questo è proprio, in effetti, ciò che risulta da una analisi profonda dell'Apologia, sulla quale non posso insistere qui. [65] Quella analisi permette di scoprire nell'Apologia tre strati successivi:

— il testo iniziale di Giustino, di ispirazione gnostica, e che non conosce che «il Figlio che è venuto dal cielo»; [66] ignora ancora, non soltanto i vangeli, ma l'annunciazione, l'incarnazione e l'eucarestia; proclama la superiorità del Padre sul Figlio: «La prima potenza, dopo Dio, Padre e signore di ogni cosa, è il Figlio...»; [67

— importanti aggiunte, risalenti all'inizio del III° secolo, e che comprendono in particolare i due riferimenti ai vangeli degli apostoli, ma anche l'incarnazione e la nascita verginale, la descrizione del battesimo e la versione breve della descrizione di una «assemblea» cristiana, dove l'eucaristia non ha ancora che il significato di una «azione di grazia»; [68

— Infine le interpolazioni successive che, verso la metà del III° secolo, faranno sostenere da Giustino l'istituzione sacramentale dell'eucarestia e il dogma trinitario; è in quella occasione che si aggiungerà una seconda descrizione, più lunga, dell'assemblea dei fedeli. [69]

È il secondo interpolatore che ha introdotto nell'Apologia l'espressione «Gesù Cristo», che costituisce un modo facile per identificare diverse delle sue aggiunte. Ma siccome, al momento di queste modifiche, non si è osato sopprimere i passi contrari del Giustino primitivo, ne consegue che l'Apologia sembra contenere tesi opposte.

F — Anche supponendo che le due menzioni dei «vangeli» nell'Apologia possano essere attribuite a Giustino stesso, non ne risulterebbe che i vangeli riferiti siano proprio i nostri canonici. Poiché vediamo, al contrario, nel Dialogo (scritto nel 160 circa) che, non appena dà dei dettagli, Giustino fa menzione di «tradizioni» diverse: per lui, è Maria che discende da Davide, e non Giuseppe; sa che la natività ha avuto luogo in una «grotta», ma ignora l'annuncio ai pastori; del battesimo di Giovanni dà una versione piuttosto sorprendente: un fuoco si accende nel Giordano. Sa che Gesù sarebbe stato «inchiodato» sulla croce, che non figura nei sinottici, ma nel vangelo di Pietro. Ora, tutti questi dettagli non sono sconosciuti: sono assenti dai canonici, ma figurano nei cosiddetti vangeli apocrifi, e precisamente in quelli che si ha ragione di ritenere anteriori ai canonici. È quindi lecito pensare che Giustino conoscesse alcuni di questi scritti, diversi da quelli che la Chiesa ha conservato, e che erano considerati ortodossi alle origini. L'importanza di quella constatazione non era sfuggita a Voltaire: [70] «Barnaba, Clemente, Ignazio, ebbene tutti, fino a Giustino, citano solo questi vangeli apocrifi... Questi scritti dovevano quindi essere considerati autentici e sacri»

Una sola volta Giustino sembra dare un dettaglio concordante con Luca: la sudorazione del sangue nel giardino degli Ulivi; ma lo giustifica solo per il Salmo 22, dove anche Luca andrà a cercarne il fondamento. [71]

Se Giustino avesse disposto di testi autorevoli, come spiegare che non li abbia mai riferiti espressamente, che non ne abbia ricavato argomento? E come mai non li avrebbe preferiti a quelli a cui si ispira?

Ciò che risulta quindi con certezza da un'analisi dell'opera di Giustino è che egli non conosceva nessuno dei 4 canonici quando scrisse la sua Apologia. Egli conosceva per contro le raccolte di «logia», che ritroveremo alle fonti dei vangeli, e probabilmente uno o due apocrifi, tra cui il vangelo di Pietro. Questo è tutto.

L'ignoranza di Giustino a riguardo dei nostri canonici è un fatto importantissimo per la loro datazione: arriviamo così al 160 circa, senza aver trovato alcun riferimento esplicito ad uno qualunque di questi scritti, — nemmeno al nostro Marco, che sarebbe il primo tra loro: ricorderò questo silenzio di Giustino quando si tratterà di stabilire la data di redazione di Marco.

IRENEO — Questo personaggio orientale, che fu forse vescovo di Lione [72] e che scrisse intorno al 190 una confutazione delle «eresie» gnostiche, è il primo autore che menziona espressamente i quattro vangeli, contrapponendoli agli altri scritti conosciuti del suo tempo. Se sono autentici, i riferimenti di Ireneo ci conducono a fissare prima del 190 la stesura dei canonici: quella datazione sembra molto accettabile.

Così non insisterei qui sulla precarietà della testimonianza di Ireneo, la cui opera originale è in gran parte perduta e non ci è pervenuta che in una traduzione latina, molto successiva e fortemente interpolata. [73

Cosa curiosa, questo Ireneo, che leggeva i nostri sinottici, respinge la loro versione secondo la quale Gesù non avrebbe predicato che un solo anno e sarebbe morto quando aveva circa 30 anni. Per lui, i presbiteri hanno insegnato che Gesù aveva predicato quando aveva almeno 50 anni; ciò corrisponde alla versione di Giovanni e la conferma: «Tu non hai ancora cinquanta anni», [74] ma prova che, almeno su questo punto, i sinottici conosciuti da Ireneo differivano da quelli che ci sono pervenuti.

Nonostante queste differenze, ammetto che Ireneo ha potuto conoscere quattro opere che costituiscono l'essenza dei nostri vangeli, fatte salve le modifiche che vi saranno ancora introdotte nel secolo successivo.

Che i vangeli siano stati scritti prima del 190 è ciò che resta da esporre ora, spiegando perché e come furono scritti. Lascerò però da parte il IV° Vangelo che, nella misura in cui differisce dagli altri tre, pone problemi particolari, per attenermi ai sinottici.

NOTE

[40] Eusebio di Cesarea, storico della Chiesa all'inizio del IV° secolo, ha ampiamente contribuito a falsificare la storia del cristianesimo primitivo.

[41] «Nessuno dei vangeli ha un piano più coerente e ragionato di quello di Marco. Le divisioni di questo racconto sono nettamente marcate» (GOGUEL, Introduction au Nouveau Testament).

[42] J. TORRIS, Papias et l'authenticité des Evangiles, Bulletin du Cercle E. Renan, gennaio 1968.

[43] LOISY, Le IV° Evangile, introduzione, pag. 26.

[44] 1 Apologia 14:5.

[45] Egli divide in particolare e disperde i detti raggruppati nel discorso della montagna, come se ignorasse quella composizione.

[46] Limitandomi ai capitoli 32-52 dell'Apologia, ho conteggiato 46 citazioni dell'Antico Testamento, di cui 27 ricavati dal solo Isaia.

[47] 1 Apologia §§ 20 e 44:12.

[48] Ancora il nome di Pilato figura in un passo molto probabilmente interpolato.

[49] § 34:2.

[50] Nel suo Dialogo, Giustino limita peraltro il censimento al solo villaggio di Betlemme!

[51] § 35:9.

[52] Forse il vangelo di Nicodemo, egualmente conosciuto sotto quell'appellativo.

[53] § 26:2-5.

[54] § 26:6.

[55] 58:2.

[56] § 17:4, riferimento a Matteo 23:23-27.

[57] § 35:6.

[58] § 35:3, riferimento a Matteo 7:15 e 24:11.

[59] § 49:3, riferimento a Matteo 17:11-13.

[60] § 10:2.

[61] 103:22.

[62] Loisy ha egualmente visto un riferimento al vangelo di Pietro nell'Apologia (§ 35, riferimento al vangelo di Pietro, 6-7). È possibile, ma non evidente (si veda LOISY, Le IV° Evangile, pag. 15).

[63] 33:5.

[64] § 66:3.

[65] Si veda A. BRISSET, Signification historique de la 1° Apologie de Justin, in De l'Ancien au Nouveau Testament, Cahier du Cercle E. Renan, aprile 1966.

[66] § 6:2.

[67] § 32:10.

[68] § 65:3.

[69] § 67 intero.

[70] Essai sur les moeurs, I, capitolo 9.

[71] Dialogo, 103:8. Si veda Luca 22:44.

[72] O dei Galati di Asia Minore? È possibilissimo che Eusebio abbia confuso, Galli e Galati essendo indicati con lo stesso termine in latino. Ireneo resta un personaggio orientale, solo Eusebio lo fa venire a Lione.

[73] Si veda G. Fau, Irénée, Bulletin du Cercle E. Renan, dicembre 1965.

[74] Giovanni 8:57.

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