lunedì 21 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Gesù Dio salvatore (X): ORIGINE DEL CULTO DI GESÙ

(segue da qui)

PARTE TERZA

GESÙ DIO SALVATORE

ORIGINE DEL CULTO DI GESÙ

Di tutte le religioni nazionali tollerate da Roma, la più intrattabile, la più chiusa di tutte era quella degli ebrei, di quegli uomini severi e appassionati, aggrappati ai burroni dell'arida Palestina, o viaggiatori perpetui sulla terra, o stretti nei ghetti di tutte le città dell'Impero. Un solo Dio, un solo Tempio, un solo Popolo. Alla luce della prima luna piena di primavera, l'intero popolo ebraico, in piedi, purificato, riunito per famiglie ad esclusione di ogni straniero, mangia la Pasqua. A Gerusalemme, in un'enorme e compatta confusione di tende e di baracche, consuma l'agnello maschio che è stato immolato, per migliaia, nel recinto del Tempio. Altrove partecipa ad un pasto di pane, di erbe amare, con la coppa di vino che il capofamiglia ha benedetto. Ricorda al Signore la notte quando fu liberato da lui dalla schiavitù in Egitto.
Dall'ingresso di Pompeo a Gerusalemme nel 63 prima della nostra era, il paese di Israele è diventato satellite o soggetto di Roma. Non vi si è rassegnato affatto. Il Signore, che il sommo sacerdote una volta all'anno, nel cubo vuoto del Santo dei Santi, chiama con il suo Nome indicibile Jahvè, l'Eterno è sordo? Perché non mostra il Braccio possente che ha punito l'empio Antioco ai tempi dei sette fratelli Maccabei? Egli non verrà a soccorrerci mentre “siamo massacrati tutto il giorno”? È troppo elevato ormai per occuparsi delle sofferenze dei suoi santi? Un Dio la cui funzione primaria è quella di proteggere l'indipendenza di una nazione è scosso quando quell'indipendenza non esiste più.
I saggi della nazione erano divisi. I più devoti, i farisei, propendevano alle rinunce politiche per aderire all'osservanza esatta della Legge e alla speranza della resurrezione. Hanno mantenuto Israele come popolo in attesa e l'hanno salvato come comunità religiosa. I più impetuosi, gli zeloti hanno brandito di nuovo il martello dei Maccabei, al grido di: Noi non abbiamo padrone se non Dio! Hanno attirato davanti a Gerusalemme le legioni di Tito, poi quelle di Adriano, provocando l'atroce distruzione di Israele come nazione. I più speranzosi, i più ispirati, visionari e profeti, hanno bussato alla porta del Cielo per implorare una via soprannaturale di salvezza. A forza di speranza e di fede hanno fatto sorgere un volto divino, nascosto dal principio nel seno del Dio unico, rivelato improvvisamente nelle trance dei più elevati trasporti spirituali. Hanno dato al mondo un mistero di salvezza universale.
La voce vivente di Jahvè era sospesa in Israele dai tempi lontani di Zaccaria e di Malachia. Zaccaria aveva gettato l'anatema sui profeti futuri. Aveva ordinato, se si fosse presentato uno, che suo padre e sua madre dovessero passarlo a fil di spada. Poco prima dell'anno 30 della nostra era, Giovanni il Battista si presentò. Egli ha l'accento accusatore, la voce brusca e dura in cui si riconosce l'inviato di Dio. Rivestito dal mantello di peli degli antichi profeti, nutrito di locuste, annuncia che il giorno di Jahvè predetto dai profeti è vicino. La Collera è alle porte, sta già brillando. Il Vagliatore ha la pala tra le mani per pulire la sua aia, per raccogliere il suo grano nel granaio, per ardere la pula con fuoco eterno. L'ora è breve per pentirsi prima della catastrofe. La conversione è il solo modo per cambiare il passato, per scongiurare il futuro. Un'attesa angosciosa, ansimante, della fine imminente del mondo, del grande Giudizio imminente, penetra nelle anime. Non le avrebbe più lasciate. Con esasperazioni e rilassamenti, le abbraccerà e scuoterà per un secolo, poi si assopirà, pronta per il risveglio. È il terremoto essenziale, la tragica suspense in cui i cristiani si stanno preparando per la prossima catastrofe, terrena, che stabilirà per sempre il regno di Dio e della loro stessa gloria. In questo orrore, in questa speranza che fa sopportare tutto, la fede cristiana è nata, è perpetuata, è periodicamente rigenerata.
“In quei giorni”, dice Jahvè, “io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo. Diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie, i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”. Chiamati e approvati da questo oracolo di Gioele, i profeti e i visionari riaffiorano. Le grandi effusioni dello Spirito si manifestano. Nel momento in cui il mondo sta per scomparire, i tesori celesti gli sono dati senza misura. I profeti hanno il segreto di Dio: “Jahvè non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo piano ai suoi servitori, i profeti” (Amos). “Lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (Paolo). Dopo il lungo silenzio di Dio, l'ingresso è aperto al mondo invisibile e sacro. Non appena questo mondo misterioso è conosciuto, agisce sugli uomini. Tutto è pronto per una creazione religiosa ad alta temperatura.
Improvvisamente le rivelazioni si trasmettono nel fervore e nell'entusiasmo. Conosciamo solo per una brevissima allusione di Paolo le visioni iniziali: la visione di Pietro, quella dei Dodici, quella di Giacomo, quella di cinquecento fratelli nello stesso tempo (1 Corinzi 15:5) che ha dato la partenza alla nuova fede. Ma abbiamo gli stessi scritti di due dei nuovi profeti, i due più grandi senza dubbio, sicuramente tanto grandi quanto i loro predecessori ebrei. Paolo, per la profondità della visione, la generosità del cuore, il tono appassionato, la presa sull'anima, la via più breve, il sollevamento non è inferiore in nulla ai due Isaia. Giovanni, sublime, abbagliante, apre i cieli con l'autorità di Ezechiele, di cui ha la forza e la luminosità, l'aura luminosa e le ombre, con maggior collera e luminosità. Voci tragiche, voci di speranza che ritrovano i ritmi degli antichi oracoli di Jahvè.

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