martedì 16 aprile 2024

Gli scritti di San Paolo — SECONDA EPISTOLA AI TESSALONICESI (La data dell'avvento del Signore)

 (segue da qui)

SECONDA EPISTOLA AI TESSALONICESI

Quell'epistola tratta: della sorte riservata agli infedeli e della sorte riservata ai cristiani; della data dell'avvento del Signore; del diritto del lavoro; della condotta che i cristiani devono avere. Cominciamo col fare conoscenza con la seconda dissertazione.


1. La data dell'avvento del Signore.

Essa comprende i primi dodici versetti del capitolo 2. Ecco le idee che esprime. 

Ci sono uomini che dicono che l'avvento (la parusia) del Signore è imminente. Non si deve credergli. Non si deve nemmeno prestare fede a una lettera che insegna quella dottrina, e che è ritenuta derivare dall'apostolo Paolo. Prima dell'avvento deve venire l'apostasia, la quale avrà per autore l'uomo dell'empietà, il figlio della perdizione, l'avversario. Egli si eleverà al di sopra di chiunque è chiamato dio, al di sopra di ciò che è augusto, fino a sedersi nel tempio di Dio e a mostrare che lui è dio. Quest'empio è arrestato ora da un ostacolo. Apparirà quando l'ostacolo sarà scomparso e sedurrà con prodigi menzogneri coloro che non hanno amato la verità. A questi Dio invierà un potere di inganno, perché credano alla menzogna. Quanto all'Empio, il Signore Gesù lo distruggerà tramite il soffio della sua bocca, e l'annienterà con l'apparizione del suo avvento. Paolo ha già detto tutto ciò ai Tessalonicesi quando era tra loro. Lo dice loro di nuovo. 

Così è questo brano. Esso subordina dapprima l'avvento alla venuta di un Empio che si porrà al di sopra di chiunque sia chiamato dio; esso subordina in seguito la venuta di quest'Empio alla scomparsa di un ostacolo; conclude che l'avvento non è imminente e che non si deve credere ad una lettera ritenuta scritta da Paolo che dica il contrario. Ma la prima epistola ai Tessalonicesi dice (5:2, 3) che il giorno del Signore verrà all'improvviso, ma (5:4-8) che i destinatari dell'epistola saranno ancora vivi quando questo giorno arriverà. I critici indipendenti ritengono generalmente oggi che l'istruzione 2:1-12 della seconda epistola ai Tessalonicesi sia in opposizione assoluta con la prima. Pensano addirittura che la prima epistola sia proprio la lettera ritenuta derivata da Paolo, contro la quale la seconda epistola mette in guardia i fedeli in 2:1-12. Diciamo con loro che l'istruzione di 2 Tessalonicesi 2:1-12 è l'opera di un falsario che prende indebitamente il nome di Paolo. D'altronde quella conclusione sarà confermata dalle osservazioni che restano da presentare. 

Infatti altre osservazioni si impongono. Ci resta da scoprire chi sia l'empio la cui venuta è annunciata, e quale sia l'ostacolo che ritarda la sua venuta. Prima di tutto, chi è l'Empio? A credere all'opinione comune, abbiamo a che fare qui con un personaggio del futuro, personaggio d'altronde immaginario e creato di sana pianta, sotto l'impulso delle preoccupazioni apocalittiche. L'Empio sembra proprio essere, in effetti, del dominio del futuro, poiché la sua venuta è l'oggetto di una predizione; d'altra parte egli pare essere il frutto di pregiudizi religiosi o politici, perché il versetto 4, che ce lo mostra «elevarsi al di sopra di chiunque sia chiamato dio», è attinto da Daniele 11:36 dove leggiamo che il re Antioco «si eleverà al di sopra di ogni dio»

Ma quando un personaggio immaginario appartiene davvero al futuro — prendiamo, per esempio, l'anticristo della dogmatica romana — i suoi tratti e la sua attività fluttuano nell'imprecisione. Questo non è il caso dell'Empio di cui parla la nostra epistola. Lui deve procedere per via di «defezione» apostasia (3). Finora egli è arrestato da un ostacolo; verrà quando l'ostacolo sarà rimosso, e i destinatari dell'epistola conoscono l'ostacolo che lo arresta (6). Quando sarà venuto, siederà nel tempio, si innalzerà al di sopra di chiunque sia chiamato dio, si farà passare per Dio, farà prodigi menzogneri, e credere in lui sarà credere nella menzogna (11). Nel quadro che ci è tracciato della sua opera nulla è offuscato, tutto è determinato, coordinato. L'Empio della seconda epistola ai Tessalonicesi non è un personaggio immaginario. 

D'altronde, in che modo sarebbe immaginario? Nel momento in cui la nostra epistola è scritta egli esiste, attende il momento di apparire, di «rivelarsi» (8). Appartiene al dominio della realtà; solo la sua apparizione, la sua «rivelazione» è oggetto di profezia e, di conseguenza, è relegata nel futuro. Ma, considerandola da vicino, ci si accorge che quella profezia è una finzione. L'autore dell'epistola non sarebbe così esattamente informato sui fatti e sulle gesta dell'Empio, se costui non fosse già apparso sulla scena e non avesse cominciato, o forse persino completato, la sua opera di «defezione». L'ostacolo, che è ritenuto trattenerlo, è scomparso; e lui si è mostrato, ha operato prodigi menzogneri, si è elevato al di sopra di chiunque sia chiamato dio, al di sopra di ciò che è augusto. Egli si è fatto passare per Dio. Chi è questo Empio?

Coloro che hanno attribuito all'Empio legami storici, hanno identificato questo personaggio o con Caligola o con Nerone. Ma basta un istante di riflessione per vedere che nessun imperatore romano è riuscito a insediarsi nel tempio di Dio, che nessuno ha atteso per manifestarsi ed eseguire i propri piani la rimozione di un ostacolo. Nessun imperatore romano corrisponde alla descrizione dell'Empio. [1]

Bisogna cercare qualcos'altro. 

Intorno all'anno 130, l'imperatore Adriano proibì agli ebrei la circoncisione ed elevò sulle rovine di Gerusalemme una città pagana chiamata Aelia Capitolina. Queste due misure, soprattutto la seconda, suscitarono fra gli ebrei della Palestina un'indignazione, che si tradusse in una rivolta così terribile come quella del 66, ma sulla quale non abbiamo che informazioni sommarie. Quella rivolta, che san Giustino (1 Apologia 31:6) ed Eusebio (Historia ecclesiastica 4:6, 1) chiamano apostasia (lo storico Pausania, 1, 5:5 presenta gli ebrei di quell'epoca come apostantas), ebbe per capo Simone Bar Koseba, meglio conosciuto come Bar-Kokhba o figlio della stella, perché Rabbì Akiva suo seguace gli applicò il testo di Numeri 24:17: «Una stella (kokab) uscirà da Giacobbe». Bar-Kokhba si presentò come il Messia incaricato da Dio di restaurare il regno di Israele. Per sostenere le sue pretese, egli fece prodigi; in particolare si mise in bocca una stoppa fiammeggiante per far credere che stesse vomitando fuoco col suo soffio. 

Adriano passò gli anni 130 e 131 in Siria, in Egitto, poi di nuovo in Siria. Nel 132 si recò ad Atene. Bar-Kokhba non si mosse fintanto che l'imperatore romano fosse nei pressi della Palestina. Il viaggio ad Atene gli parve un'occasione favorevole per agire e chiamò gli ebrei alla guerra santa. Tutti risposero alla sua chiamata e presero le armi. Tutti, tranne però i cristiani. Questi ultimi, che riponevano la loro speranza in Gesù, naturalmente non potevano seguire il preteso Messia del 132 senza tradire la loro fede. Per loro Bar-Kokhba era un falso Messia, un uomo di menzogna, come indicava il suo primo nome (Koseba significa menzogna). I cristiani si rifiutarono quindi di prendere le armi contro Roma. Bar-Kokhba si vendicò mettendoli crudelmente a morte. Ecco cosa disse Giustino: [2] «Nella guerra recente di Giudea Bar-Kokhba, il capo della rivolta, infliggeva ai cristiani, e ai cristiani soli, terribili supplizi, se non acconsentivano a rinnegare e a bestemmiare Gesù Cristo». Dal 70 Gerusalemme fungeva da accampamento per un esercito romano, attorno al quale si era raggruppata una colonia ebraica (l'accesso a Gerusalemme non era ancora interdetto agli ebrei). Bar-Kokhba riesce a scacciare i Romani da Gerusalemme e a stabilirsi al loro posto. Allora fece coniare monete recanti l'effigie del tempio sormontato da una stella, e sulle quali si leggeva l'etichetta «della libertà di Gerusalemme». La stella, che sormontava il tempio, indicava lo stesso Bar-Kokhba; quanto all'effigie del tempio essa rappresentava il modesto santuario che la colonia ebraica raccolta attorno all'accampamento romano aveva costruito prima del 132, ovvero quello che i rivoltosi si affrettarono a innalzare immediatamente dopo la loro vittoria sull'esercito romano. [3]

Inutile proseguire più oltre il racconto di quella guerra che, dopo tre anni e mezzo (132-135), finì con la vittoria di Roma, il massacro di 500.000 ebrei e il divieto agli ebrei, sotto pena di morte, di avvicinarsi a Gerusalemme. Concludiamo. I commentatori non sanno che significato dare alla defezione di cui parla il capitolo 2 della seconda epistola ai Tessalonicesi e che vi è indicata sotto il nome di apostasia. L'ostacolo che impedisce a quella defezione di scoppiare e che deve scomparire perché essa si manifesti è un mistero che si confessano incapaci di penetrare. Non meno misterioso per loro è l'Empio, il figlio della perdizione, l'avversario che deve elevarsi al di sopra di chiunque sia chiamato dio, al di sopra di ciò che è augusto, che deve farsi passare per Dio. Sono anche imbarazzati nel dire cosa viene a fare qui il tempio di Dio nel quale l'Empio deve sedersi. Infine essi rinunciano a spiegare come questo personaggio farà prodigi menzogneri e come i suoi seguaci crederanno alla menzogna. 

Ma la rivolta di Bar-Kokhba è stata indicata dai contemporanei Giustino e Pausania sotto il nome di apostasia. Quella rivolta sarebbe scoppiata già nel 130, se la presenza di Adriano in Siria non l'avesse impedita; essa si dichiarò solo nel 132, perché l'imperatore si allontanò solo in quella data dalla Palestina; essa ha quindi dovuto attendere la scomparsa di un ostacolo per apparire in pieno giorno. [4]

In attesa che quella condizione fosse realizzata, il «mistero d'iniquità» operava, ma operava nella mente degli ebrei, vale a dire nell'ombra. Notiamo anche che gli imperatori romani erano l'oggetto di un culto religioso. Si innalzavano loro altari, si giurava sulla loro divinità. Rivoltandosi contro Adriano, Bar-Kokhba si è quindi posto al di sopra di qualcuno «chiamato dio». Si è posto anche al di sopra di ciò che era augusto, sébasma; infatti l'imperatore era l'augusto, sébastos. «Avversario», «figlio della perdizione», «empio», Bar-Kokha è stato necessariamente tutto ciò per i cristiani, poiché egli pretendeva di costringerli sotto pena di morte a rinnegare Gesù. E poiché, in quell'epoca, i cristiani ritenevano Gesù un dio, l'uomo che si faceva passare per il Messia, che voleva soppiantare Gesù, ha dovuto fare loro l'effetto di qualcuno che rivendica per sé la divinità. 

Si sarebbe più imbarazzati dal testo che mostra l'Empio che si insedia nel tempio, se non fosse per le monete «della libertà di Gerusalemme» sulle quali è inciso il tempio sormontato da una stella. Esse attestano che il tempio — il tempio tanto modesto quanto si vorrà — è stato ricostruito e che «la stella», vale a dire il Messia Bar-Kokhba, ne ha preso possesso, vi si è comportato da padrone. Infine non dimentichiamo che Bar-Kokhba, che pretendeva di essere il Messia e la cui bocca vomitava il fuoco, si chiamava primitivamente Koseba, vale a dire «Menzogna». I cristiani, di cui egli era il carnefice, hanno dovuto utilizzare l'arma che questo nome infausto metteva loro tra le mani. Hanno dovuto trattarlo da mentitore e ripetere che seguendolo si seguiva la menzogna. 

La mia dimostrazione è completata; non resta che raccoglierla in una formula. L'istruzione 2 Tessalonicesi 2:1-12 ha un senso quando se ne chiede la chiave alla rivolta di Bar-Kokhba. Al di fuori di lì essa non è che un insieme di parole incoerenti, un grimorio sprovvisto di qualsiasi specie di senso. Ecco il fatto. Ed ecco la spiegazione di questo fatto: l'istruzione 2 Tessalonicesi 2:1-12 descrive la rivolta ebraica del 132. Ma in quella descrizione c'è un tratto che ho lasciato fin qui nell'ombra e che devo commentare ora. Si tratta del versetto 8 che dice, parlando dell'Empio: «Il Signore Gesù lo distruggerà mediante il soffio della sua bocca e lo annienterà con l'apparizione del suo avvento». Questo oracolo sottomette Bar-Kokhba alla legge del taglione, poiché ce lo mostra distrutto dal soffio del Cristo, proprio lui il cui soffio lanciava fiamme. Esso aggiunge che quella punizione dell'Empio coincide con l'avvento del Cristo. 

Ma Bar-Kokhba non è stato annientato dal soffio del Cristo. In ogni caso «l'avvento» non ha avuto luogo né nel 135 né più tardi. L'istruzione fa qui un errore considerevole che ci permette di datarla. È stato scritta prima della fine della rivolta di Bar-Kokhba, poiché assegna a quella rivolta un esito che non si è realizzato. Descrive fatti già compiuti e, in quella descrizione, è accurata; ma si lancia anche nella divinazione, e allora persegue delle chimere. È stata composta nei primi mesi del 135. 

quella data il programma cristiano non era ancora entrato in contatto con il movimento marcionita; non aveva quindi ancora subìto la trasformazione da cui è emersa la teologia cattolica. La dissertazione 2:1-12 appartiene al periodo pre-cattolico. Si ispira allo spirito primitivo, e il quadro che ci presenta dell'avvento del Signore avrebbe potuto essere tracciato da Paolo. La «potenza dell'errore» che Dio invia agli ebrei è un prodotto dell'Antico Testamento che ci mostra Dio intento ad accecare gli uomini e a indurire il loro cuore. Il «satana» di cui parla 9 appartiene anch'esso alla mentalità ebraica. Se un personaggio sovrumano è nascosto sotto questo termine, si deve, per informarsi sul suo conto, consultare Giobbe 1:7 e Zaccaria 3:1. Ma forse questo «satana» va preso qui nel suo significato ordinario di nemico. [5] In quell'ipotesi occorrerebbe tradurre: «L'avvento di questo nemico potente....»

NOTE

[1] Non mi soffermerei nel confutare la tesi cara ai vecchi protestanti, secondo la quale l'Empio è il papato o l'episcopato.

[2] Apologia 31, 6.

[3] Schuerer, Geschichte des Jüdischen Volkes, 13, 679-701 e 765-772. Vanno corretti da questo autore gli errori di Renan, L'Eglise chrétienne, pag. 193.213 e 541-553.

[4] Dione Cassio 69:12: «Fintantoché Adriano soggiornò in Egitto poi in Siria, essi si tennero tranquilli... ma non appena egli si allontanò, la rivolta scoppiò».

[5] Si veda il Thesaurus di Gesenius e il Dictionnaire biblique di Vigouroux alla voce Satan.

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