sabato 11 marzo 2023

Origini Sociali del CristianesimoLa crocifissione e la resurrezione

 (segue da qui)

La crocifissione e la resurrezione 

Con ciò si spiega l'idea della crocifissione di Gesù, che si afferma in vari punti della raccolta paolina come una credenza centrale del cristianesimo. Nulla mostra che sia stata professata da Paolo stesso. I rari passi che si potrebbero invocare in questo senso interrompono spiacevolmente il contesto e sembrano interpolati. Nell'opera stessa dello Pseudo-Paolo, certe parti sembrano ancora ignorarla. La si cerca invano nelle due Epistole ai Tessalonicesi, dove eppure avrebbe il suo posto naturale. L'Epistola ai Romani tratta a lungo della morte del Cristo, che «ha redento gli uomini con il suo sangue». A malapena fa una rapida allusione, in una frase incidentale che ha potuto essere modificata a posteriori, [29] alla sua crocifissione, che escluderebbe piuttosto qualsiasi effusione di sangue. Finanche nella prima Epistola ai Corinzi, dove quella idea si trova al contrario presentata con forza, si parla ancora del Cristo come del nostro «agnello pasquale» che è stato immolato (5:6). Quella concezione rituale della morte del Dio Salvatore è quella degli antichi credenti di Palestina, quella della dissertazione agli «Ebrei», quella dell'Apocalisse giovannea. Ma era troppo fondamentalmente ebraica, troppo impregnata di mosaismo per gli ambienti siriani. In questo mondo antigiudaico si teneva abbastanza poco a comunicare con gli israeliti nella celebrazione della Pasqua, allo stesso modo in cui si doveva gustare moderatamente l'idea del Cristo uscito da Giuda che abbiamo notato nel messaggio agli Ebrei e nella Rivelazione di Giovanni. Il Deutero-Paolo lascia cadere il Cristo giudeo, che sarà sostituito presto, secondo i dati degli «Oracoli del Signore», dal «Galileo» più vicino ai gentili. All'Agnello immolato sostituisce lo stesso, conformemente alla dottrina già delineata in questa stessa raccolta, il Cristo messo in croce: «Io non ho avuto il pensiero», scrive ai Corinzi, «di conoscere tra voi altra cosa che Gesù Cristo e lui crocifisso». [30] Quella affermazione è inserita tra due frasi autentiche di Paolo, di cui la seconda comincia riprendendo in termini identici l'inizio della prima. Abbiamo lì un esempio caratteristico di ciò che si può chiamare un'interpolazione con ripresa. Questa è stata preparata da una lunga invettiva, che mostra a suo modo la novità del tema facendo emergere le opposizioni che solleva. «I Giudei domandano miracoli e i Greci cercano la Sapienza. Noi invece predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per i Gentili. Ma Potenza di Dio e Sapienza di Dio per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci...».

È naturale che l'idea della crocifissione del Dio Salvatore abbia sconvolto nel contempo gli ebrei e i greci. Ma non era di natura tale da dispiacere ai Siriani. Questa gente che celebrava ogni anno la morte drammatica di Adone, di Osiride, di Attis, non poteva scandalizzarsi da quella che era attribuita al Cristo. Dovevano anzi trovarla esemplare. Ogni confronto sollevato a suo proposito deponeva in suo favore. Il Cristo crocifisso, dal corpo dritto e irrigidito, dalle braccia distese sul suo patibolo, appariva grandioso accanto a questi poveri esseri atrocemente mutilati, che non avevano più nulla di virile. È a lui che d'ora in poi doveva rivolgersi la devozione delle masse.

Il tema del Dio morente su una croce fu peraltro corretto, in ciò che poteva avere di sconvolgente, da quello della sua resurrezione. Quell'ultima idea non apparteneva affatto al credo originario. I primi cristiani, eredi della tradizione essena, ritenevano che lo spirito, essendo opposto alla materia, potesse essere unito ad essa solo in seguito ad una decadenza infelice, e non ammettevano quindi che il corpo, per i giusti, fosse chiamato a rivivere. Tale ha dovuto essere la concezione di Paolo, che, non appena ha avuto la rivelazione del Cristo, non ha più ascoltato «né la carne né il sangue». [31] Le parti sicuramente autentiche delle sue Epistole non dicono una parola sulla resurrezione del Cristo né di quella dei cristiani. La prima stesura dell'Epistola agli Ebrei non ne parla neppure. L'Apocalisse giovannea porta il segno della concezione primitiva. Mostra, sotto il trono dell'Altissimo, le «anime» di coloro che «furono immolati per la parola di Dio e per la testimonianza che rendevano» e che reclamano vendetta per il loro sangue. «Questi sono quelli che vengono dalla grande tribolazione... non avranno più fame, non avranno più sete e non saranno oppressi dal sole né da alcun calore. Perché l'Agnello che è in mezzo al trono li nutrirà e li condurrà alle sorgenti delle acque della vita e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi». Noi siamo qui nel dominio fantasmagorico del «Signore degli Spiriti» di cui parlava il libro di Enoc. Più oltre ritroviamo le «anime di coloro che sono stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio». Ci viene detto, questa volta, in previsione degli ultimi tempi: «Divennero vivi e regnarono con il Cristo per mille anni... Questa è la prima resurrezione. Beati e santi coloro che hanno parte a quella prima resurrezione...» [32] La seconda, di cui quest'ultima è il preludio, avrà luogo solo al termine del meraviglioso millennio. È quella dei peccatori, che usciranno allora dalle profondità del mare e della terra per essere giudicati secondo le loro opere. «Codardi, increduli, abominevoli, omicidi, fornicatori, stregoni, idolatri e bugiardi», non essendo scritti nel libro della vita, saranno gettati in uno stagno di fuoco per subirvi una seconda morte, mentre i giusti vivranno eternamente. [33] Ma la resurrezione di cui si tratta è lontana e per di più transitoria. Si presenta come un ritorno sulla terra piuttosto che nel corpo in cui l'anima ha abitato un tempo. Infine, non riguarda il Cristo. 

Ne è del tutto diversamente nell'opera dello Pseudo-Paolo, che riflette le credenze della Chiesa siriana. Una dichiarazione molto netta ci è fornita a questo proposito in un passo celebre della prima Epistola ai Corinzi: «Vi ho insegnato», vi è detto, «come l'avevo anch'io ricevuto, che il Cristo è morto per i nostri peccati, che è stato sepolto e che è risorto il terzo giorno». Il testo ricevuto aggiunge a differenza di vecchie tesi: «secondo le Scritture», segnando così l'origine della credenza. L'autore di queste righe non è il vero Paolo, che non aveva bisogno di far apprendere così ai suoi corrispondenti ciò che aveva già insegnato loro. Questi è uno Pseudo-Paolo, venuto molto più tardi, perché conosceva già diversi racconti evangelici sulle apparizioni del Cristo risorto. Il resto del suo rapporto lo lascia ben intravedere: «Egli è apparso a Cefa, poi ai Dodici, in seguito a più di cinquecento fratelli riuniti di cui la maggior parte sono ancora vivi e di cui alcuni sono morti. In seguito è apparso a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; dopo di loro è apparso anche a me, come all'aborto, perché io sono il più piccolo degli apostoli», «io non sono degno di essere chiamato apostolo» [34] Qui intravediamo due cicli ben distinti, ognuno di cui fa dapprima apparire il Cristo ad un discepolo privilegiato, poi a tutto il gruppo, e di cui uno comincia con Pietro, l'altro con Giacomo. Il secondo si è presentato a noi nel Vangelo dei Nazareni. Il primo comporta un racconto analogo, che fa di Pietro il grande favorito e che gode di un'autorità superiore, poiché la sua menzione viene prima e subordina l'altra. Si pensa naturalmente al Quarto Vangelo. Quanto al dettaglio finale sull'apostolo «aborto», esso non ha nulla di autobiografico. È solo un gioco di parole su Paulus, che vuol dire «piccolo». Il vero Paolo, che si vantava così fieramente, davanti ai Corinzi, di non essere inferiore in nulla ai «superapostoli», si sarebbe ben guardato, rivolgendosi agli stessi corrispondenti, dal definirsi aborto e dal presentarsi come il minimo degli apostoli, come un povero indegno di un tal nome. È un Paolo di convenzione quello che parla così, un teorico tardivo, ansioso di mostrare, in questo caso, che la grazia divina si è affermata in proporzione alla miseria umana.

Al tempo in cui scrive, paolini e anti-paolini sono d'accordo nell'insegnare che il Cristo è risorto: «Che sia io, che siano loro», aggiunge, «ecco ciò che noi predichiamo e questo è ciò che voi avete creduto». Ma c'è, a quanto pare, gente che dice crudamente che questo non è possibile. Per loro «non c'è affatto resurrezione dei morti». Sono vicini a quegli ateniesi che, secondo gli Atti degli Apostoli, avendo sentito Paolo dissertare su questo tema, lo derisero e si allontanarono, dicendo: «Ti ascolteremo su questo un'altra volta». [35]

Il nostro teologo si sforza di convincerli. Ma le ragioni che invoca non sono, insomma, che atti di fede che si basano su un dogma già ben stabilito, più che servire a provarlo. La tradizione che adduce è dello stesso ordine, perché le «visioni» di Cefa e di Giacomo, anche se rafforzate da quelle dei dodici apostoli e dei cinquecento discepoli, sono argomentazioni tardive che si giustificano con la fede collettiva più di quanto possano giustificarla. Si deve dire altrettanto delle «Scritture» la cui testimonianza è dapprima addotta. Il testo classico, in questo caso, è quello in cui si legge che Giona, gettato in mare, fu inghiottito da un grande pesce e che soggiornò «tre giorni e tre notti» nel ventre della bestia. [36] Questo profeta, si spiega, era una figura del Cristo. Come lui, il Figlio di Dio doveva rimanere «tre giorni e tre notti nel cuore della terra». [37] Chi non vede, però, che un tale confronto presuppone anch'esso la fede che si tratta di spiegare? È ben troppo remoto e fantasioso per averla generata.  

NOTE DEL CAPITOLO 5

[29] Romani 3:25 e 6:5.

[30] 1 Corinzi 2:2.

[31] Galati 1:16.

[32] Apocalisse 6:9, 10; 7:14-17; 20:4-6.

[33] Apocalisse 20:7, 15; 21:1, 8.

[34] 1 Corinzi 20:3-9.

[35] 1 Corinzi 15:11-12. Atti 17:32.

[36] Giona 2:1.

[37] Matteo 12:40.

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