venerdì 20 gennaio 2023

Origini Sociali del CristianesimoDottrine religiose

 (segue da qui)

Dottrine religiose.

L'atteggiamento di protesta del gruppo si spiega con le sue dottrine religiose. Questi borghesi laboriosi e ordinati, fedeli alle istruzioni ricevute dai loro padri, erano gli uomini della Legge, di quella sacra «Torà» che era stata data da Dio stesso sul Sinai e che regolava i loro rapporti con lui. La loro attenzione non si concentrava solo o principalmente sui precetti cultuali, che assorbivano la sollecitudine interessata del clan sacerdotale. Si preoccupavano soprattutto delle regole di vita che vi si trovavano aggiunte e che tendevano a fare di Israele un popolo santo. Per assicurarsi di non trascurare nessun dettaglio, raccolsero con cura le tradizioni che gli antichi avevano lasciato in eredità a loro. Le prescrizioni più semplici si sovraccaricavano così di precisazioni molteplici, che ne complicavano singolarmente la pratica.

La Legge ordinava, ad esempio, di non dedicarsi ad alcun lavoro il settimo giorno della settimana, chiamato per questo motivo «sabato» o «riposo». I Farisei si sforzarono di stabilire quali fossero gli atti che rientrassero in questa proibizione e ne stilarono un tale elenco, con tali considerazioni, che l'insieme delle loro opinioni basterebbe a riempire un intero trattato compatto e voluminoso del Talmud. Il Vangelo ce li mostra indignati contro Gesù, che guarisce un malato, e contro gli apostoli, che colgono da un campo alcune spighe di grano, in un giorno di sabato, senza rispetto del riposo legale. [17]

La Legge distingueva tra oggetti impuri, di cui bisognava evitare il contatto per non contaminarsi. I Farisei, basandosi su analogie più o meno sottili, ne accrebbero smisuratamente il numero. Vennero ad un'autentica fobia per le impurità. Certi riti di purificazione erano stati previsti. Essi andarono moltiplicandosi e finirono per divenire usanze comuni, alle quali ogni uomo onesto doveva conformarsi: «I Farisei», dice il Vangelo secondo Marco, «non mangiano senza essersi lavati le mani a fondo, conservando la tradizione degli anziani, e, al ritorno dalla pubblica piazza, non mangiano senza essersi lavati, e osservano molte altre cose per tradizione, lavature di bicchieri, di stoviglie e si oggetti di rame». [18

La legge vietava di avvicinarsi a persone che, quale che fosse la ragione, si trovavano in stato di impurità. È così che proibiva di avvicinarsi a un lebbroso, a una donna che perdeva il suo sangue, a un uomo che aveva toccato un cadavere. I Farisei si spinsero oltre. Non volevano alcun contatto con i Pagani, perché questi ultimi, non avendo alcuna preoccupazione di contaminazioni legali, ne contraevano in qualsiasi momento. [19] Essi evitavano persino di sedersi alla stessa tavola con la gente comune e di frequentarla. È con ciò, in particolare, che si affermò il separatismo altezzoso che li caratterizza e da cui proviene il loro nome. 

Una tale preoccupazione per le prescrizioni legali esigeva uno studio minuzioso dei testi sacri. I Farisei vi si dedicarono con passione, sotto la guida degli «Scribi». Costoro erano primitivamente semplici copisti. Mettevano una applicazione scrupolosa nello trascrivere i libri sacri. Ma la loro importanza era cresciuta con il tempo, come quella delle Scritture, di cui si erano resi i custodi. Erano diventati «Dottori della Legge», le cui decisioni erano autorevoli. Parlando ad uno di loro, si diceva cerimoniosamente: «Mio maestro», «Rabbì», da cui è venuto il nome di «rabbino». Ora la maggior parte di loro apparteneva al gruppo dei Farisei, che era il più numeroso ed il più influente, il più esclusivamente dedito allo studio del Codice mosaico. Erano l'anima del partito. La loro azione si esercitava soprattutto nella sinagoga, come quella del sacerdozio nel tempio. Ogni sabato, ovunque si trovasse un oratorio che potesse ricevere un pubblico ebraico, un testo della Legge era letto all'assemblea, e qualche dottore si trovava lì per spiegarlo conformemente alla tradizione degli Antichi. È così che i Farisei erano arrivati a soppiantare i sacerdoti agli occhi della massa.

Per quanto fossero legati al Codice mosaico, non avevano le stesse ragioni dei Sadducei nel farne la loro unica guida. Più interessati alle regole di vita che alle osservanze cultuali, trovavano in altri testi un nutrimento morale più appropriato ai loro bisogni. Uomini di tradizione, davano la loro preferenza ai più antichi, a quelli soprattutto che si appellavano ai più grandi nomi. Così si era costituita a loro uso una biblioteca sacra, che doveva divenire la Bibbia ebraica e di cui Giuseppe ci dà una breve descrizione. [20] Ai cinque libri della Legge, considerati l'opera di Mosè, se ne aggiungevano altri tredici attribuiti ai «Profeti» e che comprendevano, oltre ai testi propriamente profetici, i racconti storici che servivano loro da prologo e da epilogo. Alla fine venivano quattro raccolte di «inni»  e di «massime», di cui facevano parte i Salmi e i Proverbi. Il totale di queste Scritture corrispondeva a quello delle ventidue lettere dell'alfabeto ebraico.

I Farisei si basavano su alcuni passi dei libri in questione, interpretati in funzione delle tendenze del gruppo, per sostenere come rivelata da Dio una dottrina dei fini ultimi che i Sadducei respingevano come estranea alla tradizione mosaica: «Per loro», ci è detto, «ogni anima è imperitura, ma solo quella dei buoni passa in un altro corpo». [21] Allusione manifesta al dogma della resurrezione, presentato in modo abbastanza impreciso, per il lettore non iniziato, come una variante della metempsicosi. «Credono», ci è ancora spiegato, «in ricompense e pene assegnate sotto terra a coloro che, durante la loro vita, hanno praticato la virtù o il vizio, questi ultimi essendo condannati alla prigione eterna, mentre i primi hanno la facoltà di resuscitare».

Questi borghesi palestinesi ragionano qui come contabili molto rigorosi. Stilano il bilancio delle loro buone azioni, che contrappongono a quello delle negligenze della massa. Per quanto la gente del loro tipo debba essere ricompensata, altrettanto conviene che gli altri siano puniti. Siccome la retribuzione divina resta precaria e imperfetta nel corso di questa vita, la giustizia esige che essa si eserciti in modo migliore e permanente nel corso di una esistenza nuova, dove la sorte di ciascuno sarà fissata per sempre. Siccome, d'altra parte, l'anima è fatta per vivere con il corpo e non può che soffrire di esserne separata, il beneficio della resurrezione sarà negato ai peccatori. Esso è l'appannaggio dei giusti. 

Un ultimo tratto completa questo quadro. «I Farisei», dice Giuseppe, «credono che tutte le cose avvengano per ordine del Destino. Non privano però la volontà umana di ogni azione su di loro, perché pensano che Dio abbia temperato la decisione del Destino con la volontà dell'uomo, in modo che questi di orienti verso la virtù o verso il vizio». [22] Diciamo più chiaramente, in linguaggio cristiano, che Dio predestina i giusti a una beatitudine senza fine e i peccatori alle pene eterne, ma che dipende da noi essere tra i primi o con i secondi, che noi siamo, in altri termini, gli arbitri del nostro destino. Dottrina naturale per pii borghesi, che devono la loro posizione sociale solo al loro lavoro e che hanno coscienza della loro forza.  

NOTE DEL CAPITOLO 3

[17] Marco 2:23-28; 3:1-5. 

[18] Marco 7:3-4.

[19] Levitico 11-15. Numeri 5:1-4. GIUSEPPE, Guerra Giudaica 2:18, 7. Contro Apione 2:28.

[20] Contro Apione 1:8.

[21] Guerra Giudaica 2:8, 14.

[22] Antichità giudaiche 18:1, 3.

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