giovedì 21 ottobre 2021

IL DIO GESÙL'onore immeritato

 (segue da qui)

L'ONORE IMMERITATO

Sir James Frazer ha scritto (e si possono leggere nella traduzione francese del Capro Espiatorio, pagina 443) le righe seguenti:

«Ridurre il fondatore del cristianesimo allo stato di mito non presenta minimamente meno assurdità di quanta se ne avrebbe a trattare allo stesso modo Maometto, Lutero e Calvino».

Altrove (Attis e Osiride, pagina 252 della traduzione francese) rinnova i suoi esempi:

«Si è messa in dubbio la realtà storica di Buddha e del Cristo. Sarebbe altrettanto ragionevole contestare l'esistenza storica di Alessandro il Grande e di Carlo Magno a causa delle leggende che si sono raccolte attorno a loro».

Sir James Frazer è pervenuto ad una celebrità che si potrebbe prendere per della gloria; a dire il vero, egli deve molto al maestro che ha quasi rinnegato, Robertson Smith, e al tedesco Mannhardt; ma la sua scienza è considerevole; così amabile peraltro è il suo stile che è un piacere leggere nei suoi libri le migliaia di aneddoti che ha accumulato; e il suo successo lo deve anche a ciò che egli rappresenta, e molto meglio del signor Homais, il razionalismo nel senso peggiorativo del termine. Ma il momento è venuto di precisare ciò che si può intendere con questo termine, così differentemente impiegato, di razionalismo.

Si chiama comunemente razionalista l'uomo che non intende ammettere altre regole di giudizio che quelle della ragione. Più esattamente, dovrebbe essere chiamato razionalista colui che, rendendosi conto dell'esatta natura della ragione e traendone le conseguenze che convengono, riconosca in essa uno degli strumenti della conoscenza. È razionalista, si potrebbe dire ancora, l'uomo che usa razionalmente la ragione.

Si definisce più generalmente razionalista colui, al contrario, che, ignorando la natura tutta sperimentale della ragione, vi vede la facoltà di concepire verità eterne e ne fa conseguentemente la regola unica e infallibile di ogni conoscenza. Questo razionalismo è quello, per esempio, di Platone e di Cartesio; e, se è permesso combatterlo, conviene onorarlo.

Ma un altro tipo esiste di razionalista, che non ha diritto ad alcun rispetto; è quello che, non contento di fare della ragione la regola unica e infallibile della conoscenza, eleva la piccola ragione del suo tempo e del suo ambiente al rango di ragione suprema, e, mentre un Platone e un Cartesio si sforzano magnificamente di far emergere il volto di una grande ragione universale, si soddisfa di erigere in principi assoluti le verità a sua misura.

Un piccolo borghese istruito giudicherà secondo la sua piccola ragione di piccolo borghese istruito, vale a dire secondo la ragione del gruppo di piccoli borghesi istruiti in mezzo ai quali vivrà, i fatti che la lettura dei giornali e, se esercita la professione di studioso, la storia o l'etnografia gli faranno conoscere. Così si spiegherà perché Sir James Frazer definisce «ignobile e imbecille» una pratica religiosa (quella del Capro Espiatorio) che è durata da millenni, ma che non è approvata nell'orizzonte del Trinity College. Un razionalista nel senso nobile del termine, un Durkheim, al contrario, si sforza di comprendere, e, benché ebreo, libero pensatore e affiliato a un partito politico anti-cattolico, sarà senza dubbio il primo studioso che avrà capito la Chiesa. Così ancora, un Loisy uscito dalla Chiesa, un Guignebert che non aveva mai dovuto uscirne, tratteranno con serenità le questioni teologiche fino ad allora riservate agli apologeti e agli avversari della fede. 

Equiparando il caso di Gesù a quello di Maometto, di Lutero e di Calvino, oppure di Alessandro il Grande e di Carlo Magno, Sir James Frazer mostra l'orrenda incapacità materialista di piccoli borghesi istruiti nel far la distinzione tra le cose spirituali e le cose fisiche, tra gli esseri spirituali e gli esseri fisici; e, per restare al punto di vista storico che è quello di questo capitolo, egli dà la misura dell'inutilità a cui può scendere lo spirito piccolo borghese, qualunque possano essere l'erudizione e il talento che gli siano dispensati.

Il signor Couchoud ha già osservato fino a che punto fosse antiscientifico confondere il fondatore di una religione con il dio di quella religione. Con l'islamismo: il fondatore è Maometto; il dio è Allah. Con il protestantesimo: Lutero è un riformatore; Calvino è un riformatore. Il vecchio Jahvé resta il dio del cristianesimo; ma, accanto a lui, Gesù è un secondo dio, come Mitra, come Attis, come Serapide sono secondi dèi; il promotore è, tra molti, San Paolo. La differenza si manifesta nel fatto che quello riceve gli onori divini, mentre questo non ne ha mai ricevuti. L'autore del Ramo d'oro doveva, sembra, alla sua reputazione di studioso di non cadere in una così grossolana confusione, e di non esporsi a sentire l'eco rinviargli, sensibilmente corretta, la sua doppia affermazione:

«Ridurre il dio del cristianesimo alla condizione di un uomo divinizzato non presenta minimamente meno assurdità di quanta se ne avrebbe a trattare allo stesso modo Giove, Osiride e tutti quanti».

Ecco la prima eco. Ed ecco la seconda:

«Si è asserita la realtà storica del Cristo. Sarebbe altrettanto ragionevole asserire la realtà storica di Giove e di Osiride, a causa delle avventure umane che sono state loro attribuite».

Sento che si risponderà: Gesù non è stato che il fondatore del cristianesimo; sono i suoi discepoli che ne hanno fatto un dio; la stessa avventura sarebbe potuta accadere a Maometto o, in un'altra epoca, a Lutero stesso; è accaduta, in ogni caso, se non ai fondatori di religioni, almeno a certi re e imperatori, ai Cesari, ad Alessandro.

La questione è di sapere in quali condizioni si può concepire che un fondatore di religione sia promosso alla divinizzazione.

Ma lo studio che è qui intrapreso può concludersi solo se rifuggiamo dalle opinioni superficiali; così, sin d'ora, sembra indispensabile esaminare ciò che significano le nozioni, innanzitutto, di fondatore di religione, e, in seguito, di uomo divinizzato. 

Nel 1905, nel suo Saggio sul sistema storico di Renan, un uomo che fu un grande pensatore ma che riuscì raramente a liberarsi nell'esposizione delle sue idee, Georges Sorel asseriva (in particolare a pagina 13 del primo volume) «l'impossibilità di far poggiare su Gesù, se è un uomo, l'opera colossale che è la fondazione di una religione che governa l'umanità civilizzata da diciotto secoli e i cui tempi non sono ancora finiti; impossibilità», aggiungeva, «che non capì il protestantesimo liberale, e che Renan cercò di compensare».

Come il cristianesimo è nato, si è imposto? La sociologia risponde che è nato e che si è imposto perché era necessario. Esso non è l'opera di un uomo. L'uomo di genio non è mai più che il portavoce della società, e, se sembra più spesso combatterla, è perché esprimendo l'inconscio dei suoi contemporanei egli si oppone alla loro coscienza. La sociologia, che è (vi ritorneremo) solo una traduzione laica della teologia, riprende la risposta ortodossa: il cristianesimo è l'opera di Dio; è sufficiente intendere per opera di Dio la necessità sociale; il cristianesimo è stato preordinato da tutta l'eternità da Dio, se si vuole dire che è stato un momento necessario dell'evoluzione umana.

Secondo quella dottrina, non ci può essere un fondatore di una religione, nel senso esatto della parola «fondatore». Una religione è, in essenza, ciò che emerge dall'anima collettiva, ciò che sale dal profondo; ed esporremo presto come ci è impossibile concepire la nascita di una religione altrove e diversamente dalle epoche primitive delle civiltà, dalle età quasi preistoriche.

Fondatore deve dunque intendersi non nel senso di creatore, ma nel senso di promotore, o ancora di rinnovatore, o ancora di riformatore. In realtà, gli uomini che si chiamano fondatori di religioni sono quelli che in fondo alle loro anime profonde ritrovano il punto di partenza preistorico; essi non creano; rinnovano. Tale è stata l'opera di Maometto, tale l'opera di Lutero, tale l'opera di San Francesco d'Assisi. Se è impossibile accordare alle individualità ciò che può essere solo l'opera delle collettività, è fin troppo certo che sono esistite personalità abbastanza potenti (come giustamente Maometto, San Francesco d'Assisi, Lutero) da realizzare nell'ordine del rinnovamento le aspirazioni della loro epoca.

Della stessa categoria di queste personalità, ma superandole infinitamente per il successo, tale sarebbe stato Gesù; ma, solo tra tutti, egli sarebbe stato divinizzato.

E questa è la nuova nozione che conviene ora analizzare. Cosa si può intendere per «divinizzazione»?

La parola divinizzazione si presta all'equivoco; può significare: accordare la divinità; può significare: riconoscere la divinità. Quando oggi la Chiesa canonizza un nuovo santo, non pretende di concedergli il suo ingresso in cielo; informa semplicemente i fedeli che è in grado di comunicarglielo. Accordare ad un uomo la divinità è ciò che gli antichi dèi potevano fare, per esempio, quando ammisero Ercole tra loro; è egualmente ciò che avrebbe fatto l'antico dio d'Israele, a detta degli eretici giudeo-cristiani, nel «glorificare» l'uomo Gesù. Ma che degli uomini accordino, di loro autorità, la divinità a uno dei loro, è una nozione inconcepibile, a meno che non si tratti di un inganno a scopo politico o di un'impostura; e non si dovrebbe avere uno studioso o persino un uomo istruito per immaginare che i seguaci di Gesù abbiano potuto promuoverlo, con una decisione ponderata, al rango divino. Quando si parla della divinizzazione di Gesù, non è possibile intendere altro se non che i suoi discepoli hanno riconosciuto che egli fosse dio.

Vi sono, per contro, due modi di «riconoscere» un dio; ed una nuova dissociazione si impone, che permetterà di differenziare sociologicamente i falsi dèi e i veri dèi.

Gesù può essere stato concepito come, dicevamo, un uomo tra gli uomini che, dopo la sua morte, sarebbe stato chiamato dal vecchio Jahvé a sedere al suo fianco. Un tale dio sarebbe un dio che non sarebbe sempre stato un dio; detto altrimenti, un parvenu. Io chiamo falsi dèi questo genere di nuovi ricchi.

Gesù, al contrario, può essere stato concepito come dio da tutta l'eternità; un bel giorno, egli avrebbe assunto forma umana, poi, sarebbe salito lassù a riprendere il suo posto. Autentico dio per sua natura, essenzialmente dio, questo è quello che io chiamo un vero dio. Come Jahvé stesso, Osiride, Giove, Dioniso sono, per loro natura, veri dèi.

I veri dèi essendo capaci, nella fede dei loro credenti, di prendere figura umana, è perfettamente immaginabile che, sotto un'apparenza fisica, i credenti riconoscano una realtà spirituale. Noi abbiamo qui una prima visione di un fatto che sarà il punto centrale della nostra tesi; sotto una realtà fisica qualunque la fede dei credenti ha da sempre riconosciuto la realtà spirituale del suo dio. Sotto l'apparenza dei tre personaggi che vennero a visitarlo, Abramo, a quel che ci racconta il libro della Genesi, riconobbe tre Maleak Jahvé e, sembra, Jahvé stesso. La mitologia è piena di apparizioni di dèi; all'incrocio della strada, c'è un uomo; egli vi parla; scompare, e voi capite, nel sussulto del vostro cuore, che un dio si è manifestato. 

Sembra quindi difficile seguire il signor Couchoud in uno degli argomenti che ha sviluppato, ovvero che, se Gesù fosse stato un uomo tra gli uomini, la sua divinizzazione sarebbe stata impossibile per la mentalità ebraica, e in particolare per quella di San Paolo. Si potrebbe già rispondere al signor Couchoud che là sarebbe stato precisamente lo scandalo capace di sollevare il giudaismo contro i primi cristiani. Forse gli concederemo però che era difficile per una mente ebraica concepire che un uomo tra gli uomini fosse promosso alla divinizzazione; ma tutt'altra cosa è riconoscere sotto un'apparenza umana la manifestazione di un essere soprannaturale. Perché gli ebrei non avrebbero dovuto riconoscere, sotto l'aspetto del profeta galileo, se non Jahvé stesso, almeno un ben-elohim, dal momento che Abramo loro padre aveva riconosciuto la presenza divina nel trio di visitatori che quel giorno pregò a cena?

L'ipotesi evemerista potrebbe quindi ragionevolmente sostenere di due cose l'una: che l'uomo Gesù, dopo la sua morte, era stato riconosciuto come chiamato da Dio padre al rango di Figlio, vale a dire divinizzato; oppure che era stato riconosciuto come avente nascosto, sotto un corpo umano, la presenza del Figlio di Dio preesistente.

È possibile, in modo generale, che un fondatore di religione, nel senso che abbiamo dato alla parola fondatore, sia riconosciuto come chiamato da Dio alla divinizzazione, o come di sua propria natura un essere divino?

Concediamolo.

La cosa, in modo particolare, è possibile quanto al Gesù che suppone il razionalismo evemerista? Ecco ciò che si tratta di esaminare.

Gli studiosi cattolici fanno al razionalismo evemerista una prima obiezione che sembra già difficilmente confutabile. Citerò la Revue Biblique di luglio 1926, pagina 448:

«Il Gesù dell'esegesi ancora dominante... un Gesù che non sospettava la sua propria divinità, che non aveva fatto alcun miracolo, che non era risorto, che non aveva esercitato l'impero, che era addirittura morto sulla croce, questo Gesù non aveva alcuna possibilità di essere adorato come dio, e nemmeno di essere salutato come il Messia d'Israele».

Per quali ragioni, se Gesù è stato un uomo, la fede dei suoi discepoli ha potuto crederlo chiamato da Dio alla divinità, o riconoscerlo come di sua propria natura un essere divino ?

Si è spesso risposto: perché lo credettero risorto; ma è importante non equivocare sul senso della parola resurrezione. Vedremo più tardi che la resurrezione di Gesù non significa il ritorno di un morto alla vita, come è il caso di Lazzaro; significa che è uscito dalla tomba, non per rientrare nella vita umana, ma per entrare (o rientrare) nella vita divina; egli resuscita, non con un corpo terreno, ma con uno celeste; San Paolo e i vangeli su questo sono formali. La sua resurrezione è dunque in realtà la sua divinizzazione, nell'ipotesi che chiamiamo del «falso dio», oppure, nell'ipotesi del «vero dio», il suo ritorno alla divinità. Credere alla sua resurrezione equivalse a credere alla sua deificazione oppure credere alla sua natura divina, e la domanda resta posta: per quali ragioni, se Gesù è stato un uomo, una tale credenza ha potuto nascere nella mente dei suoi seguaci?

Maometto, Lutero, Calvino hanno fatto grandi cose; sono stati, se non dei creatori, almeno dei grandi promotori. Ne è lo stesso del Gesù che immagina il razionalismo evemerista? Non c'è affatto bisogno di ricordare come la scienza razionalista sia arrivata a fare del cristianesimo qualcosa di estraneo al «pensiero» del suo Gesù. Successivamente, il protestantesimo liberale, il messianismo escatologico, il sincretismo si sono sforzati di stabilire, e gli scrittori non specialisti ripetono, che la Chiesa ha distorto la sua opera; la Scuola Formativa, infine, afferma che essa l'ha ignorato. Se Gesù è un fondatore, è dunque il fondatore che ha fondato qualcosa che non gli è sopravvissuto; uno pseudo-fondatore; un prestanome; Gavroche, se fosse evemerista, insinuerebbe: un fondatore da quattro soldi.

Georges Sorel scriveva che era impossibile fare poggiare su Gesù, se è un uomo, l'opera colossale del cristianesimo. Non sarebbe ancora più impossibile se si tratta dell'opera incompresa, dell'opera mascherata di quest'uomo? L'evemerismo costruisce questo incommensurabile edificio su qualcosa che è, a scelta, un malinteso, un escamotage o una falsificazione; e la sociologia vede là un argomento inconfutabile, non contro il razionalismo in sé, ma contro le tesi che regnano da mezzo secolo nel razionalismo.

Un cedro non spunta da una ghianda. Un'aquila non nasce da un pollo. Una religione misterica non proviene da un'agitazione messianica. Il cristianesimo opera distorta di Gesù è, sociologicamente, un'impossibilità.

Ci si stupisce che, con la sua possente intelligenza, il signor Henri Barbusse non abbia capito che la Chiesa non poteva essere venuta dal Gesù che immagina — a meno che, cosa che è più probabile, questo Gesù non sia il poema in cui l'inconscio dello scrittore ha proiettato il suo ideale.

Alla base del cristianesimo vi è Gesù, come alla nascita del fiume vi è la sorgente; ma ciò che sgorga dalla sorgente del fiume d'acqua è dell'acqua, non è della sabbia.

In realtà, che il cristianesimo sia l'opera di Gesù distorta dai suoi, quella concezione risale a Voltaire e alla polemica anticristiana; ma non era allora rivestita di erudizione; ed è necessario considerare a quali stravaganze conduce. 

Le tesi del razionalismo evemerista si riconducono in effetti a di due cose l'una:

o Gesù è stato un uomo di genio ed è un'opera geniale che è stata distorta;

oppure è stato un mediocre e l'opera che è stata distorta è un'opera mediocre (precisiamo: analoga a quelle degli agitatori che abbondavano allora).

Nel primo caso, Gesù avrebbe avuto del mondo e della religione una visione geniale. Che più tardi, il giorno in cui lo si è compreso, se ne abbia fatto un dio, lo vorremmo proprio; ma ecco ciò che ci si richiede di ammettere, è nel momento stesso in cui non lo si comprese che lo si sarebbe riconosciuto per un dio. A titolo di compensazione, forse?

L'altro caso è quello del mediocre, e si cerca, anche questa volta, perché lo si sarebbe riconosciuto per un dio. 

La tesi evemerista si riassume così:

Un uomo che non si è mai considerato come un dio e di conseguenza non si è mai proclamato dio; che non ha operato durante la sua vita nessuno degli atti, miracoli o profezie che avrebbero meravigliato i suoi discepoli; la cui impresa è fallita; che è morto di una morte non solo infame ma pietosa, e non ha potuto ovviamente resuscitare; un uomo infine (perché tutto ciò non è niente ancora) che, di due cose l'una: o è stato un mediocre e non ha compiuto che un'opera infima, oppure è stato un uomo di genio e non è stato compreso, ma la cui opera in tutti i casi è stata distorta, — e che è riconosciuto per un dio nel momento stesso in cui si distorce quell'opera e da parte di quelli stessi che non l'hanno compresa e la distorcono al punto di fare di un profeta ebreo un semidio di un mistero pagano.

La dottrina volterriana dell'impostura era miserabile, ma comprensibile. Il pubblico non specialista sentirà che, sia minimizzando il ruolo di Gesù, sia facendo del cristianesimo una deformazione del suo pensiero, il razionalismo evemerista porta a una concezione che non sa come qualificare.

Tutto altrimenti ne è di Maometto, di San Francesco d'Assisi, di Lutero. Essi hanno compiuto un'opera, e se l'opera dopo di loro si è evoluta, ha seguito la direzione che essi le avevano dato. In altre epoche, è concepibile che fossero stati divinizzati. Maometto, San Francesco, Lutero e Calvino avrebbero avuto diritto, ben più del Gesù razionalista, al fumo dell'incenso. 

In verità, se, contro ogni attesa, dei documenti fossero scoperti che stabilissero un'esistenza umana storica di Gesù, piuttosto che accettare l'improbabilità della spiegazione evemerista, preferirei seguire (benché con sulla fronte qualche rossore) l'esempio di numerosi scrittori le cui eclatanti conversioni hanno alimentato dopo qualche anno la conversazione dei salotti, e aderire con loro alle dottrine esegetiche di San Tommaso d'Aquino.

Un altro argomento può ancora essere invocato, il quale va contro il pregiudizio comune sulla rapidità della diffusione cristiana nel mondo greco-romano.

Ricordiamo alcune date.

Intorno all'anno 27 (o 29): crocifissione di Gesù.

312: riconoscimento del cristianesimo come religione lecita da parte dell'imperatore Costantino.

Sono occorsi al cristianesimo appena tre secoli per ottenere il suo posto al sole.

Entriamo in alcuni dettagli.

Durante gli ottant'anni che hanno seguito la crocifissione non una sola allusione del cristianesimo, non solo tra gli scrittori pagani, ma anche tra gli scrittori ebrei. Il silenzio su Gesù è stato commentato molte volte; si è notato meno che il silenzio è stato lo stesso sui cristiani e sul cristianesimo. La predicazione apostolica passa a questo punto così inosservata che nessuno tra i pagani né tra gli ebrei ne ha testimoniato. 

Ottanta o novanta anni dopo la crocifissione, qualche riga di Svetonio, di Tacito e di Plinio il Giovane, righe che, anche se sono autentiche, hanno assunto importanza solo perché si tratta del cristianesimo.

Si deve arrivare all'epoca di Marcione, metà del secondo secolo, per vedere il cristianesimo sorgere da terra.

Quindi, più di cent'anni di vita sotterranea.

Tra la condanna di Marcione (144) e la fine del secondo secolo, il cristianesimo è visibile, ma come la più umile delle agitazioni. Il capo del protestantesimo liberale, il professor Harnack, e monsignor Batiffol, lo storico cattolico delle prime età cristiane, sono d'accordo che la prima importante ascesa del cristianesimo risale all'imperatore Commodo (180-193) e ai suoi successori.

Questa ascesa divenne considerevole solo il giorno in cui l'imperatore Decio tenta di arrestarla, fine del terzo secolo.

Nel 312, la vittoria.

Riassumiamo.

Sui tre secoli che sono occorsi al cristianesimo per imporsi, contiamo circa cent'anni di vita sotterranea, tre quarti di secolo di vita ancora oscura, un secolo e quarto di battaglia.

Si vuole assimilare Gesù ai riformatori religiosi; si citano Maometto, Lutero; riprendiamo un po' più oltre, limitandoci ad alcuni esempi.

Il manicheismo. — Mani muore torturato nel 278. Vent'anni più tardi, il manicheismo si è abbastanza sviluppato da ispirare inquietudini nel governo imperiale.

L'arianesimo. — Nell'anno 320, Ario è condannato dal concilio di Alessandria; nel 325, all'epoca del Concilio di Nicea, il cristianesimo intero fu vicino a diventare ariano.

Similmente, la maggior parte dei movimenti religiosi promossi dai grandi eresiarchi hanno diffusioni irresistibili. 

L'islamismo. — 622, data dell'Egira, Maometto fuggì dalla Mecca; quando muore, dieci anni più tardi, egli ha conquistato l'Arabia, e non ci volle messo secolo ai suoi successori per arrivare ai confini dell'Occidente.

San Francesco d'Assisi. — In pochi anni il Poverello ha intorno a sé migliaia di discepoli, e il loro numero alla sua morte riempì l'Italia.

Il protestantesimo. — Tutti sanno quale immediato successo ottennero Lutero e Calvino.

Per contro, non meno lenta della penetrazione cristiana è quella delle religioni misteriche sorelle del cristianesimo, Iside, la Grande Madre, Mitra, i Baal siriani, che tutte si infiltrano a poco a poco, sotterraneamente, nel mondo greco-romano.

La religione di Gesù, come quelle di Iside, della Grande Madre, di Mitra, ha messo secoli per diffondersi. Alle religioni di Mani, di Ario, di Maometto, di Lutero, al rinnovamento francescano, pochi anni sono bastati. 

Perché quella differenza ?

Perché a capo di queste vi furono formidabili personalità, uomini di genio.

E perché quelle sono state elaborate nel travaglio collettivo delle comunità, e perché nessuna individualità le ha promosse.

All'origine di queste, vi è un uomo; all'origine di quelle, non vi è che un dio.

Osiride, Attis, Mitra, Gesù non sono uomini divinizzati; sono dèi; avevano per loro l'eternità; ecco perché hanno preso i loro tempi.

Maometto, Lutero, Calvino erano uomini; erano più pressati; sono stati più veloci.

Nessun commento:

Posta un commento