giovedì 16 ottobre 2025

Gerard Bolland: IL VANGELO — Un ‘rinnovato’ tentativo di indicare l’origine del cristianesimo 1:8

 (segue da qui)


Si noti che lo scritto, che in Aristide è chiamato “il Vangelo”, non raccontava ancora di un traditore; e si tenga d’ora in poi presente che, secondo il quarto dei nostri Vangeli, dello stesso Gesù, che porta a compimento l’alleanza oltre quella mosaica, fu Mosè stesso a testimoniare. È una falsificazione scritturistica quando i nostri traduttori sinodali del 1866, in Atti 7:45 ed Ebrei 4:8, rendono “Giosuè”, come se il Giosuè dell’Antica Alleanza nella versione alessandrina e il Gesù della Nuova Alleanza nel testo ellenistico avessero portato nomi differenti; questa falsificazione scritturistica si lega ancora all’offuscamento generale dello sfondo ellenistico del cristianesimo operato dalla Riforma, la quale ha riportato in primo piano il testo originale delle scritture della Sinagoga e così ha fatto sorgere la luce della vera storia sul giudaismo precristiano in terra giudaica e sulle sue origini, ma nello stesso tempo ha distolto così fortemente lo sguardo dalla traduzione alessandrina in particolare e dall’ebraismo ellenistico precristiano in generale, che i predicatori formati nelle nostre facoltà teologiche — ai quali peraltro non preme spesso la verità — comprendono meglio le scritture della Sinagoga che quelle della Chiesa, e in generale il giusto senso riguardo all’origine del cristianesimo deve ancora oggi, per così dire, destarsi per la prima volta. Il nome Gesù è il nome Iēsoûs, e il nome Iēsoûs è il nome Giosuè, così come anzitutto gli stessi traduttori alessandrini delle scritture giudaiche lo avevano usato; inoltre, che anche il Giosuè evangelico abbia a che fare in qualche modo con l’Egitto in generale e con Alessandria in particolare, si può dedurre da Matteo 2:15 e da Atti 18:25, per esempio: due dati, di cui i traduttori della Statenbijbel oscurano il secondo, traducendo non “le cose riguardanti Gesù” ma “le cose del Signore”. Nella “Revue d’histoire et de littérature religieuses” del 1907 (12:2, p. 172) Alfred Loisy scrive: “Bisogna ammettere che il caso di Apollo, il quale era ‘istruito nella via del Signore’ e insegnava esattamente ‘le cose di Gesù’ pur ‘conoscendo soltanto il battesimo di Giovanni’, è quantomeno singolare. Le spiegazioni dei commentatori sono poco soddisfacenti. L’ipotesi di un’alterazione del testo è troppo comoda e può sembrare inverosimile. Resta dunque da supporre che le condizioni e le forme della evangelizzazione primitiva siano state più complesse e più varie di quanto comunemente si ammetta”. — Nient'altro? Vi è implicito sin dall’inizio che un giudeo o proselita alessandrino, come figura della fantasia, in cui il puro Mosaismo non bastava più, abbia avuto il suo Gesù “pre-evangelico”! Occorre ben ricordare, qui, che — nonostante Matteo 1:23 e Luca 2:25 — il Redentore evangelico non si chiama “Emmanuele” né Manaem (cfr. Lamentazioni 1:16), cioè Consolatore, come esigeva la tradizione palestinese, ma reca invece il nome che, secondo il Vangelo stesso (Matteo 1:21), corrisponde alla spiegazione etimologica; spiegazione che (in modo non del tutto puro) era già stata applicata dall’alessandrino Filone a un successore di Mosè, che già presso di lui si chiamava Gesù!