sabato 31 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAIl racconto della Passione nel Vangelo.



Il racconto della Passione nel Vangelo.

In che modo Marco riuscirà, presso un tale pubblico, ad illustrare la Passione di Gesù ? Quest'ultima è il centro della religione cristiana; costituisce il centro del Vangelo. Ma quanto giusta appare qui l'espressione di Loisy sulla «povertà originaria» della tradizione evangelica. [84]. Cosa forniscono a Marco gli scritti paolini, ossia i versi 7-8 del capitolo 2 della 1° Epistola ai Corinzi, e anche i passi corrispondenti dell'Ascensione di Isaia? [85] Si può dire, alla lettera, una sola espressione: Gesù Cristo è stato crocifisso. [86]

Ma se a metà del I° secolo, nelle vicine regioni della Giudea, che possiede ancora un'attiva esistenza nazionale, la crocifissione del Figlio di Dio significa l'impiccagione del cadavere dopo la messa a morte, che suscita uno «scandalo» tra gli Israeliti o tra gli ebrei cristiani rispettosi delle prescrizioni della Bibbia e della maledizione del Deuteronomio, quali immagini la parola greca stauros o la parola latina crux possono risvegliare nei lettori o negli ascoltatori di Marco ? [87]

Questa è gente che non ha mai conosciuto le leggi penali religiose della Giudea, — se si tratta di pagani convertiti, — oppure che le ha dimenticate, - se si tratta di antichi Israeliti. La crocifissione per questi uomini, minacciati dalle possibili inchieste della giustizia e della polizia di Roma, è il supplizio romano della morte sulla croce. Per rispondere ai loro pensieri e alle loro aspettative, è necessario che Gesù Cristo, oggetto del culto cristiano, sia ucciso in quella maniera. E la suggestione è tanto più forte dal momento che, come lo ha proclamato l'Epistola ai Filippesi 2:6-8, Gesù Cristo, obbediente a Dio, ha preso la figura non solo di un uomo, ma di uno schiavo, il cui castigo supremo, anche per lui, era la morte sulla croce: [88] concezione del resto, lo si può rimarcare, molto diversa dalla presentazione evangelica, che fa del profeta ebreo Gesù un artigiano, ma un uomo libero.

Così, al fine di rendere l'illustrazione verosimile per un ambiente romano, la morte sulla croce si imponeva, e forse per Marco stesso, ebreo romanizzato, l'immagine era naturale. 

E lo stesso si impone, in una tale atmosfera, la necessità di rendere verosimili le circostanze dell'illustrazione. Non siamo più nei circoli ebraici delle regioni orientali dell'Impero romano, dominati dalla tradizione della Bibbia e dal mito ellenistico, ma in un popolo positivo, intriso di paganesimo e di formazione giuridica, per il quale la credenza religiosa deve materializzarsi.

In queste condizioni, la morte sulla croce di Dio fatto uomo deve corrispondere ad un fatto reale, ordinato da un magistrato romano, e siccome, alla fine del I° secolo, la separazione diventa irrimediabile tra i cristiani e gli ebrei ortodossi, il processo è associato ad un complotto degli ebrei contro Gesù Cristo.

Per il prologo del dramma, l'opera paolina che ispira Marco gli procurerà la sostanza. I versi 14:22-24, che riportano l'ultima cena presa da Gesù con i suoi discepoli ed esprimono la «consacrazione del pane, del calice e dell'alleanza..., riproducono, messo a parte l'ordine di ripetere, tutto l'essenziale della 1° Epistola ai Corinzi 11:23-25, e vi è ogni probabilità che la loro fonte sia Paolo stesso». [89]

Però una parola dell'Epistola è stata senza dubbio l'origine di tutto un nuovo sviluppo; il verso 23 dice: «Nella notte in cui fu consegnato...». Il testo si ispira ad Isaia 53:6-12, e la parola consegnato non comporta, in alcuna maniera, nel libro biblico, l'idea di tradimento; [90] ma di per sé, è una tale idea che suggerisce. Da qui la costruzione da parte di Marco di un complotto della gente del Tempio contro Gesù, favorito dal tradimento di uno degli apostoli, fatti che l'evangelista riporta in tratti sommari, senza spiegazione, in una presentazione che associa la vivida raffigurazione e l'inverosimiglianza e che costituisce la maniera così originale di Marco. [91]

Si ritrova una simile associazione nel racconto del processo. Questo episodio è essenziale, perché situa nel tempo la Passione di Gesù. Costui ha dovuto essere condannato da un magistrato romano: quale? Ricordiamo qui che, in nessuno dei documenti cristiani del I° secolo, anteriori al Vangelo di Marco o contemporanei, abbiamo trovato l'indicazione di un tale processo di Gesù. Ma tra i procuratori della Giudea, il più conosciuto e il cui nome si offriva immediatamente al ricordo era Ponzio Pilato, governatore al tempo dell'imperatore Tiberio. È Pilato che il Vangelo di Marco metterà in scena.

«Egli è presentato da Marco come un personaggio debolissimo e quasi insignificante. Per compiacere i membri del Sinedrio, che, contrariamente ad ogni probabilità, avevano appena tenuto una seduta di notte, nel bel mezzo della festa di Pasqua, si reca presto di buon mattino al suo tribunale e procede all'interrogatorio di Gesù. Vi si reca così presto e procede con una tale rapidità che, già alla terza ora del giorno, l'accusato sarà condotto fuori della città e messo in croce. Eppure riconosce la sua innocenza e vorrebbe liberarlo. Solo che non osa resistere al popolo che domanda la sua morte. Egli spinge la compiacenza nei riguardi della folla al punto da liberare un accusato dal diritto comune, di nome Barabba, arrestato a causa di sedizione. In compenso, egli condanna il Cristo al supplizio più crudele e più infamante. Lo fa perfino flagellare preliminarmente e deridere dai suoi soldati». [92

Dopo aver così riassunto la maniera con cui Marco ha raffigurato Pilato, Alfaric osserva: «Una tale condotta, estremamente improbabile da parte di un governatore romano, contrasta stranamente con la maniera forte di Pilato, nettamente attestata da testimonianze sicurissime. Giuseppe e Filone sono d'accordo nel dirci che egli si lasciava pochissimo imporre dagli ebrei. Il secondo cita persino un testo di Erode Agrippa I, che parla con livore del suo carattere indomito. [93] Marco ci tiene a scusare il rappresentante dell'autorità romana. Solo che lo fa disconoscendo stranamente il suo carattere e il suo modo di agire». [94]

Ma le critiche che abbiamo avuto l'occasione di menzionare nel corso di questo studio sono unanimi nel formulare un giudizio analogo sul ritratto che il Vangelo ha tracciato di Ponzio Pilato. «Quello che sappiamo della sua amministrazione», valuta Goguel, «rende improbabile l'atteggiamento che gli prestano i racconti della passione. [95] La condotta di Pilato al processo, come lo riporta il «racconto marciano», valuta Guignebert, è «una rappresentazione estranea alla storia». [96] I Vangeli hanno «fatto di Pilato un giudice di commedia», conclude Loisy. [97]

È lecito dedurre da queste constatazioni che Marco non sapeva nulla di Ponzio Pilato al di fuori del suo nome — il che è la cosa più probabile — oppure, se ne sapeva qualcosa, che lo ha sistematicamente trascurato. [98] Ma la scelta di questo nome, sconosciuto fino ad allora nei documenti cristiani, e di conseguenza la determinazione dell'epoca del dramma riguardante Gesù, dovevano avere, così come lo vedremo, la massima importanza nei confronti degli ebrei, da cui si separavano ora i cristiani.

Per la morte di Gesù sulla croce, si ha visto più sopra che Marco si è principalmente ispirato al capitolo 53 di Isaia e al Salmo 22. [99] Ma la parola suprema che fa rivolgere da Gesù a Dio deve trattenere l'attenzione. «All'ora nona», dice il verso 34 del capitolo 15 del Vangelo, «Gesù gridò a gran voce: «Eloï, Eloï, lema sabachtani», ovvero, tradotto: [100] «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?»

L'esclamazione di Gesù è la riproduzione esatta dell'inizio del Salmo 22, ma in aramaico, lingua usata dal popolo ebraico al principio dell'era cristiana. Ma si trova in altri manoscritti un'esclamazione in ebraico: «Heli, Heli, lama zaphthani», [101] con la traduzione: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai maledetto?»

Come Couchoud ha fatto osservare, è questo testo che deve essere primitivo, poiché l'appellativo ebraico «Heli, Heli» spiega molto meglio dell'appellativo aramaico: «Eloï, Eloï», il verso successivo (15:35): «E alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia» (il profeta della Bibbia). È comprensibile, ha spiegato Alfaric, che «un copista, sapendo l'aramaico, si sia detto, secondo altri passi di Marco, che Gesù si esprimeva piuttosto in quella lingua». [102]

Ma la seconda versione presenta un'altra differenza con la prima: al posto dell'aramaico «sabachthani», «mi hai abbandonato», essa contiene la parola «zaphthani» (peraltro siriaca, e non ebraica), che vuol dire: «mi hai maledetto». Questo è un secondo argomento per ammettere che «è questo testo a dover essere primitivo».

In effetti, spiega Alfaric, «si spiega benissimo che questo testo sia stato modificato da un copista, che, avendo riconosciuto nelle prime tre parole l'inizio del Salmo 22, avrà creduto che la quarta fosse stata alterata e l'avrebbe riportata secondo il Salmo. Al contrario, non si capirebbe perché qualcuno, di sua spontanea volontà, avrebbe modificato una frase di un Salmo messo in bocca al Cristo». [103]

Tuttavia, se abbiamo così insistito sul valore filologico di quella seconda versione, è a ragione del suo contenuto: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai maledetto?» Si ritrova nel testo di Marco l'influenza delle Epistole paoline; abbiamo spiegato più sopra lo «scandalo della croce», colpito dalla maledizione del Deuteronomio, che comportava a metà del I° secolo la dottrina di Paolo, non solo per gli ebrei, ma anche per i cristiani giudaizzanti. [104] Tuttavia alla fine del I° secolo, in ambiente romano, questo ricordo della sospensione del cadavere del condannato a un palo di legno non è più compreso, nemmeno dagli ebrei; la versione data da alcuni manoscritti di Marco è rapidamente sommersa da quelle che riproducono letteralmente il Salmo 22: eliminazione scritturale che simboleggia la sostituzione di una nuova rappresentazione della morte del Figlio di Dio alla concezione primitiva.

NOTE

[84] Si veda più sopra, pag. 95.

[85] Il cui contenuto sembra essere stato abbastanza diffuso, perfino al di fuori dell'opera che ci è stata conservata.

[86] Si veda più sopra il capitolo 3.

[87] Si veda più sopra, pag. 52-56 e 84.

[88] Si veda più sopra, pag. 63, in particolare nota 46 e 47.

[89] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 547 (si veda più sopra, pag. 97, nota 134). Si sa che Guignebert manteneva l'attribuzione a Paolo dei versi dell'Epistola in questione. — Sui rapporti tra Marco e l'Epistola, si veda ALFARIC, L'évangile selon Marc, op. cit., pag. 75-76, e Pour comprendre la vie de Jésus. Examen critique de l'évangile selon Marc, pag. 159-161, dove egli spiega le modifiche dei dettagli apportati da Marco all'Epistola. 

[90] Si veda più oltre Appendice 2, pag. 272-273.

[91] Sulle improbabilità, in Marco, dell'annuncio del tradimento all'ultimo pasto e del tradimento stesso, si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 528-530 e 549-558.

[92] ALFARIC, L'évangile selon Marc, op. cit., pag. 86.

[93] Si veda più sopra, pag. 35.

[94] ALFARIC, op. cit.,, pag. 86-87.

[95] GOGUEL, Jésus, pag. 434.

[96] GUIGNEBERT, Jésus, pag. 571,

[97] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 105, nota 1.

[98] Si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 521, a proposito della data della morte di Gesù, che «il racconto» dei Vangeli «sinottici suggerisce» di collocare nei «dintorni del 30»: quella data «stessa non è garantita che dal nome di Pilato, che potrebbe non essere altrimenti assicurato. Poiché, in definitiva, questo nome avrebbe potuto imporsi a Marco..., perché era quello di un personaggio conosciuto...» Guignebert mostra (pag. 521-522) che, secondo i diversi autori cristiani, si doveva, quanto alla data della morte di Gesù, arretrarla al 21 oppure avanzarla al 58, al tempo di Nerone, oppure collocarla sotto il regno di Claudio (tra il 41 e il 54).

[99] Si veda più sopra, pag. 22-24.

[100] In greco, nel testo del Vangelo.

[101] Quest'ultima parola era siriaca: si veda di seguito.

[102] ALFARIC, L'évangile selon Marc, traduzione del Vangelo, pag. 198, nota 3.

[103] ALFARIC, ibid.

[104] ALFARIC, ibid., si veda più sopra, pag. 148-152.

venerdì 30 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAPatria e destinatari del Vangelo.




Patria e destinatari del Vangelo.

Altrettanto importante della determinazione dell'epoca del Vangelo è quella della regione dove ha visto la luce. Eusebio riporta, secondo Clemente di Alessandria (fine del II° secolo), che è stato scritto a Roma; [78] ma quella tradizione potrebbe essere considerata legata a quella che fa di Marco un discepolo di Pietro e che non sembra dover essere accettata. [79] Tuttavia tutti i critici concordano oggi nel ritenere probabile la composizione a Roma: il principale argomento è la particolare abbondanza di latinismi nel testo greco di questo Vangelo, argomento confermato dall'antichità della traduzione latina. [80]

Nondimeno vi è motivo di pensare che il Vangelo di Marco sia stato scritto nella stessa lingua degli altri tre e delle Epistole di Paolo; ciò è tanto più naturale in quanto la comunità cristiana a Roma sembra essere stata reclutata in gran parte, non solo nel I° secolo, ma anche nel II° secolo, tra gli stranieri provenienti dalla Siria, dall'Asia Minore e dall'Egitto, che leggevano e scrivevano in greco piuttosto che in latino. È in greco che sono stati scritti i documenti più antichi che la Chiesa romana ci ha lasciato. Se fosse stato scritto in latino, dalla fine del I° secolo, allora il Vangelo di Marco avrebbe costituito un'eccezione. [81]

D'altra parte l'autore sembra essere per l'origine un israelita, e non un pagano. «Conosce l'aramaico, perché impronta ad esso, per autenticare il suo racconto, un buon numero di termini, di cui lui stesso dà la traduzione: dei nomi comuni, come Golgota, «cranio» (15:22); dei soprannomi, come Boanerghes, «figli del tuono» (3:17); dei titoli onorifici, come Rabbì, «maestro» (9:5 ecc.), Abbà, «padre» (15:36); delle espressioni imperative, come talitha koum, «fanciulla, alzati» (5:41)...» Altre volte, Marco impiega delle parole aramaiche senza tradurle: Cafarnao, dato come residenza abituale del Cristo; ma «il nome vuol dire: «villaggio del Consolatore». Gesù risorge la figlia di Giairo e presenta quella resurrezione come una rinascita (5:39); ma Giairo significa giustamente «il risvegliato». Solo un Israelita familiarizzato con le sottigliezze della sua lingua madre può abbandonarsi a tali giochi di parole. [82]

Tuttavia, sebbene gli ebrei fossero molto numerosi nella Chiesa cristiana di Roma e ne abbiano fornito i primi adepti, non è per loro che Marco ha principalmente scritto. Un tale pubblico senza dubbio non avrebbe avuto bisogno che gli si traducesse l'aramaico, che doveva essere la sua lingua corrente. L'evangelista, del resto, gli si sarebbe rivolto in termini ben diversi. Parla degli ebrei come di stranieri, di cui i suoi lettori ignorano i costumi; per esempio, in occasione della discussione di Gesù con i farisei (7:3-4), egli insiste sulle molte abluzioni che fanno gli ebrei. Tali spiegazioni non possono rivolgersi che ai pagani convertiti. [83]

NOTE

[78EUSEBIO, Storia ecclesiastica, 2, 15:1-2.

[79] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 54.

[80] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 45-46 e pag. 55. Si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 39 e LOISY, La naissance du christianisme, pag. 50-52.

[81] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 52-57.

[82] ALFARIC, op. cit., pag. 42-43. Per la frase intera in aramaico che Gesù avrebbe pronunciato sulla croce, si veda più avanti, pag. 206-208.

[83] Si veda ALFARIC, op. cit., pag. 47.

giovedì 29 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAL'unità d'autore e la data della redazione primitiva.



L'unità d'autore e la data della redazione primitiva.

I termini di cui ci serviamo qui non sono affatto di semplice comodità, ma tendono a prendere posizione su una questione molto controversa: quella dell'unità d'autore. Le analisi di Guignebert sembrano condurre al negativo. Loisy rileva la natura  «anonima» dei Vangeli e sottolinea per Marco «le fasi della stesura». [68] Goguel (che fa risalire molto prima, fino al 75 circa, la versione primitiva), [69] sostiene che questa ha avuto un solo autore. Alfaric pensa lo stesso, principalmente a causa dell'unità nel processo e nello stile. [70] Si tratta beninteso della prima versione, che ha potuto subire da allora numerose modifiche, in particolare l'aggiunta finale, capitolo 16, versi 9-20, sulle apparizioni di Gesù: [71] aggiunta designata a mettere Marco in armonia con Matteo e Luca, così come Goguel lo ha finalmente ammesso. [72]

Chi è questo autore? Per varie ragioni, e più o meno chiaramente, Guignebert, Loisy, Goguel e Alfaric respingono l'informazione data da Papia, vescovo di Ierapoli, che si riferiva a sua volta ad un «anziano» di nome Giovanni, che diceva: «Marco, interprete di Pietro, scrisse con esattezza, ma senza ordine, tutto ciò che egli ricordava delle parole e delle azioni del Signore; poiché egli non aveva udito il Signore, né aveva vissuto con Lui, ma, più tardi, come dicevo, era stato compagno di Pietro». [73] Alfaric sostiene in particolare la forte costruzione del Vangelo di Marco e la sua malevolenza nei confronti del personaggio di Pietro. Conclude che «il nome di Marco, che ha tradizionalmente coperto questo vangelo, può essere mantenuto come una semplice e conveniente etichetta». [74

Quanto alla data del Vangelo, sembra interessante far conoscere le ragioni addotte da Alfaric per situarlo «abbastanza a lungo dopo la presa di Gerusalemme... Nel corso» di una «profezia riguardante le prove future della comunità cristiana, Gesù disse ai discepoli... : Vi consegneranno ai tribunali, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti a governatori e re a causa mia (13:9)». Così non saranno solo gli ebrei a perseguitare i cristiani, ma saranno anche le autorità romane. E li perseguiteranno in quanto cristiani, a causa del Cristo stesso. Tale situazione non si è realizzata, dopo la rovina del tempio, se non verso la fine del I° secolo, a partire dall'anno 94. È quindi solo dopo quella data che conviene collocare la composizione del Vangelo. [75]

«Il commentario fatto da Gesù della prima parabola testimonia nello stesso senso. I cristiani «che sono seminati su luoghi pietrosi» (4:16-17) o «nelle spine» (4, 18-19), questi termini indicano i cristiani, che avendo ascoltato la parola di Dio, cedono di fronte alla persecuzione o il cui ideale evangelico è indebolito dalla «seduzione della ricchezza». Quella situazione «si comprende se il libro è stato composto verso la fine del I° secolo o nei primi anni del II°».

D'altra parte, il Vangelo di Luca, che si ispira a quello di Marco per correggerlo e completarlo, [76] pare essere stato in circolazione intorno al 130. In queste condizioni, Alfaric colloca la composizione di Marco intorno all'anno 100, valutazione che Loisy doveva esprimere a sua volta nelle sue ultime opere. [77

NOTE

[69] Si veda più sopra, pag. 16, nota 13.

[70] Si veda ALFARIC, L'évangile selon Marc, pag. 31-35.

[71] Si veda ALFARIC, stessa opera, pag. 57-66.

[72] Si veda GOGUEL, Jésus (1950), pag. 102, nota 2. GUIGNEBERT (Jésus, pag. 615) e LOISY (Histoire et mythe, pag. 169-170) sono ufficialmente dell'opinione che la versione primitiva si arrestasse al verso 8 (fuga delle donne dopo la loro visita al sepolcro).

[73] La testimonianza di Papia è stata conservata da EUSEBIO, Storia ecclesiastica, 3, 39:15-16.

[74] Si veda ALFARIC, L'évangile selon Marc, pag. 35-40.

[75] ALFARIC, stessa opera, pag. 50-51. Il 94 è l'anno in cui l'imperatore Domiziano ha fatto mettere a morte parecchie persone, le cui simpatie per le idee religiose ebraiche o cristiane sono state la causa o il pretesto delle esecuzioni; però gli storici non sono d'accordo nel riconoscere a questi fatti la natura di una persecuzione contro il cristianesimo.

[76] Si veda più sopra, pag. 178 e 197.

[77] ALFARIC, op. cit., (1929), pag. 52; LOISY, Les origines du Nouveau Testament (1936), pag. 74 e 340 (si veda più sopra, pag. 16).

mercoledì 28 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZALe fonti del Vangelo.



Le fonti del Vangelo.

Tuttavia, se si ammette che l'autore del Vangelo di Marco non ha avuto a sua disposizione un resoconto della morte di Gesù, trasmesso per mezzo di ricordi e per mezzo di tradizione orale, quali elementi ha utilizzato?

In effetti, «quale che sia stato il genio creativo che testimonia il contenuto del Vangelo di Marco, «si comprenderebbe difficilmente» perché il suo autore «sarebbe riuscito in un'opera così difficoltosa, o addirittura perché si sarebbe sognato di intraprenderla..., se avesse dovuto cercare lui stesso attraverso tutta la Bibbia ebraica delle testimonianze sparse riguardanti il Messia...» [50]

Ma uno studioso inglese, Rendel Harris, ha mostrato, in uno studio intitolato Testimonia (2 vol., 1916-1920), «che è esistita prima dei Vangeli una raccolta di «Testimonianze» messianiche, ispirate a diversi passi della Bibbia ebraica, dove si aveva creduto di vedere l'annuncio profetico di quel che sarebbe stato, avrebbe detto e avrebbe fatto il Messia. Era la prima stesura di un genere letterario ben conosciuto: quello delle Testimonianze contro gli ebrei di cui abbiamo numerosi esemplari nella letteratura cristiana dei primi secoli, in particolare in Tertulliano (dalla fine del II° secolo alla metà del III°) [51] e in san Cipriano (prima metà del III° secolo). [52]

«La raccolta iniziale, intravista dalla perspicacia di Rendel Harris, comportava sezioni molto distinte, ciascuna di cui stabiliva mediante oracoli, presi da varie parti della Bibbia, che il Cristo si sarebbe riconosciuto con tale e tal segno, avrebbe professato questa o quella dottrina, avrebbe realizzato tale e tal programma. È al titolo di una sezione di questo genere che si riferisce il Vangelo secondo Matteo, quando dice (2:23), a proposito della venuta della Sacra Famiglia a Nazaret: «Questo fu affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti: Egli sarà chiamato Nazareno». Queste ultime parole non si leggono da nessuna parte nella Bibbia. Costituivano forse nella raccolta iniziale un titolo di un capitolo che veniva giustificato da parecchi testi profetici. [53]

In questa fila di oracoli, era di solito Isaia, il primo dei grandi profeti, che apriva la serie. Ma altri la accompagnavano, confondendosi più o meno con lui nella mente dei lettori della raccolta. Da qui si spiega perché il Vangelo secondo Marco, nel suo primo episodio riguardante l'apparizione di Giovanni il Battista al Giordano, comincia per dire che il fatto accadde «secondo quel che è scritto in Isaia il profeta», ma non cita il passo in questione (Isaia 40:3) se non dopo un altro, dove si trovano fuse una frase dell'Esodo (23:20) e un'altra di Malachia (3:1)». [54]

Guignebert ha citato in termini elogiativi lo studio di Rendel Harris, ma questo nell'opera Le Christ, destinata a mostrare la formazione della dottrina cristiana, [55] e non nel suo libro su Jésus, in occasione dell'esame delle fonti dei Vangeli, come l'aveva fatto Alfaric.

Al contrario, Guignebert ha considerato a lungo una raccolta di parole del Signore, che sarebbe stata una fonte comune, anteriore ai quattro Vangeli. Questa è un'opinione generalmente accettata dagli esegeti, che pensano che questa raccolta fosse «incorniciata da brevi racconti», a causa di «notevoli concordanze tra il «primo Vangelo» (Matteo) e il «terzo» (Luca) su dei punti che mancano al secondo (Marco)»: [56] Alfaric ha contestato quella conclusione, ritenendo che Matteo utilizzi Luca. [57]

Cosa significa la testimonianza di Eusebio, che nella sua Storia ecclesiastica, ci racconta che Papia, vescovo di Ierapoli, in Frigia (nel primo terzo del II° secolo) aveva scritto cinque libri intitolati logiôn kuriakôn exègèseis ? [58] Quale era l'oggetto di queste «spiegazioni» (exègèseis) ? La traduzione comune è: le parole logiôn, genitivo plurale) del signore (kuriakô, aggettivo al genitivo plurale). Ma Alfaric  propone la traduzione altrettanto difendibile: gli oracoli concernenti il Signore. [59] Tuttavia, se si ammette la traduzione classica, si deve convenire che il titolo non si riferisce che alle «parole del Signore» e non dà alcuna indicazione sui racconti che le avrebbero incorniciate. 

Tuttavia, c'è ancora da considerare un passo di Giustino, scritto verso la metà del II° secolo: «Il giorno che si nomina giorno del Sole, nelle città e nella campagna, si riuniscono in uno stesso luogo: si leggono le memorie degli Apostoli e gli scritti dei profeti». [60] Gli «scritti dei profeti» sembrano proprio corrispondere alle raccolte primitive di «testimonianze» bibliche; quanto alle «memorie degli Apostoli», Guignebert ne dà il commento seguente: «Queste sono sicuramente le raccolte di atti e detti del Signore, che si chiamano già Vangeli. Lo stesso Giustino lo testimonia esplicitamente». E Guignebert cita, a sostegno, un altro passo di Giustino: «infatti gli apostoli, nelle memorie che hanno lasciato, e che si chiamano vangeli...»; [61] «si tratta della tradizione evangelica relativa all'istituzione dell'Eucarestia». [62

Noi pensiamo, in effetti, che si debbano identificare memorie degli Apostoli, Vangeli e atti e detti del Signore, cancellando tuttavia la parola «atti», ricordando che la parola greca «Vangelo» significa «Buona Novella», e sostituendo al termine francese «memorie» quello di «memorabili», per tradurre la parola greca: «apomnémoneumata». Infatti il termine francese «memorie» risveglia immediatamente l'idea di «ricordi personali» oppure di «autobiografia».  Ma la parola greca «apomnèmoneumata» è il titolo di un'opera di Senofonte, discepolo di Socrate, sui discorsi più notevoli del suo maestro, e la traduzione ammessa in francese è «memorabili».

Tuttavia, di tutti i «memorabili» degli Apostoli, i soli che ci sono stati conservati sono quelli che contengono le lettere di Paolo, espanse da tutte le aggiunte che hanno potuto fare i suoi discepoli, e abbiamo visto, se si adotta l'analisi che ne è stata presentata, che non si tratta di «ricordi» su Gesù, ma di informazioni attribuite sia a Gesù, sia a Paolo, e che si potrebbero chiamare il Vangelo secondo Paolo. [63]

Allo stesso modo, per tornare al Vangelo di Marco, l'influenza dell'opera paolina su quest'ultimo libro è predominante. Ad esempio, Pietro vi «simboleggia una concezione totalmente condannabile, quella dei cristiani venuti dal giudaismo e rimasti ebrei nel profondo del loro cuore, che... guardano senza vedere, ascoltano senza intendere, hanno il cuore indurito e si mostrano sprovvisti di ogni intelligenza». [64] Il «mistero del regno di Dio» (Marco 4:11), [65] che non è rivelato e spiegato da Gesù se non ai discepoli, è da confrontare ai versi 6-7 del capitolo 2 della 1° Epistola ai Corinzi, sulla «sapienza predicata tra i perfetti, la sapienza di Dio, nascosta in un mistero». [66] Infine, se si può trovare nelle Epistole di Paolo un accento esseno, lo si ritrova nei discorsi che Marco mette in bocca a Gesù: distacco dalla famiglia, disprezzo delle ricchezze. [67]

È possibile al presente precisare la personalità dell'evangelista, l'epoca in cui ha scritto, la regione dell'Impero romano dove è nata l'opera, il pubblico al quale si rivolgeva?

NOTE

[50] ALFARIC, L'évangile selon Marc, op. cit., pag. 95.

[51] Contro i Giudei (in latino).

[52] Testimonianze contro i Giudei (in latino).

[53] Si veda in GUIGNEBERT, Jésus, pag. 80-93, l'esposizione della complessa questione dei rapporti tra la città di Nazaret e l'appellativo di Nazaret. Nel campo filologico, la derivazione dell'una dall'altro non va senza difficoltà. Guignebert conclude che Nazareno significa il Santo di Dio e che «in terra greca, lo si ha interpretato, secondo l'usanza greca, riferendosi ad una città». Loisy aveva su questo punto un'opinione analoga (si veda in particolare Histoire et mythe, pag. 164). Si veda più sopra, pag. 13, nota 1, e pag. 126, nota 69. Tuttavia Guignebert non segnala in occasione della citazione del verso di Matteo (in Jésus, pag. 80) che le parole: «Egli sarà chiamato Nazareno» non si trovano da nessuna parte nella Bibbia. — In un recente studio, intitolato Quelques remarques sur les Nazaréens (Bulletin du Cercle Ernest Renan, n° 54, maggio 1958), Stanislas LASSALLE espone un'interpretazione nuova della parola nazareno. Esiste in ebraico la radice n-ts-r, la quale, pronunciata natsor, vuol dire osservatore: gli studiosi danno dunque a nazareno il significato di osservante. Lassalle, riferendosi ad una proposizione del pastore americano A. Powell Davies nel 1956, pronuncia n-ts-r in netser, che significa ramo: i Nazareni sono coloro che attendono il Messia, germoglio di Davide, secondo la profezia di Isaia (11:1). Nazaret è il luogo di raduno dei Nazareni. «Non è Nazareni che viene da Nazaret, ma Nazaret che viene da Nazareni». Si può osservare che con l'interpretazione di Davies e di Lassalle, l'appellativo semitico nazareni e la denominazione greca cristiani non sono più diversi, ma simili.

[54] Esodo 23:20: «Ecco, io mando un Angelo davanti a te per vegliare su di te lungo la via, e per farti entrare nel luogo che ho preparato». Malachia 3:1: «Ecco, io mando il mio messaggero a preparare la via davanti a me». — Isaia 40:3: «La voce di uno grida: Preparate nel deserto la via del Signore, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio». — Marco 1:2: «Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri». — Tutte le spiegazioni che precedono, sullo studio fatto da Rendel Harris, sono citate secondo ALFARIC, Comment expliquer les concordances bibliques des Evangiles, studio postumo, pubblicato dal Bulletin du Cercle Ernest Renan, n° 35, aprile 1956, più sviluppato delle pagine 95-97 del suo lavoro L'Evangile selon Marc, del 1929.

[55] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 21, nota 3 e 4.

[56] Si ricorda che questa numerazione si riferisce all'ordine che i quattro Vangeli occupano nel Canone e non implica la stessa successione nel tempo: Marco è generalmente considerato il più antico.

[57] ALFARIC, L'évangile selon Marc, pag. 70-71. Alfaric adotta così un'analisi di DELAFOSSE (TURMEL), Rapports de Matthieu et de Luc (Revue d'histoire des religions, volume 90, 1924, pag. 1-38). — GOGUEL, Jésus, pag. 104, ritiene che Matteo e Luca siano indipendenti l'uno dall'altro, ma che hanno una fonte comune.

[58] Il titolo dei libri di Papia è dato da EUSEBIO, Storia ecclesiastica 3, 29:1. IRENEO, Contro le eresie 5, 33:1, aveva menzionato i libri di Papia senza indicarne il titolo (il paragrafo di Ireneo è riprodotto da Eusebio). 

[59] ALFARIC, L'Evangile selon Marc, pag. 96-97, e Comment expliquer les concordances bibliques des Evangiles, studio citato.

[60] GIUSTINO, 1° Apologia 67:3.

[61] GIUSTINO, 1° Apologia 66:3.

[62] GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 24-25.

[63] Si veda l'Epistola ai Galati 1:6-9 e 11.

[64] ALFARIC, L'évangile selon Marc, pag. 38. LOISY (La naissance du christianisme, pag. 52) ammette «a mo' di ipotesi probabile che la versione, caratterizzata dalla sua malevolenza nei confronti degli apostoli galilei, sia stata elaborata nei circoli romani devoti alla memoria di Paolo» (si veda più sopra, pag. 95).

[65] Si veda più sopra, pag. 184.

[66] Si veda ALFARIC, L'évangile selon Marc (1929), pag. 104. Si è visto più sopra (pag. 49-50) che Loisy respinge, come Turmel, l'attribuzione di questi versi a Paolo e li considera l'opera di discepoli mistici dell'apostolo. D'altra parte LOISY doveva esporre nel 1936, in Les origines du Nouveau Testament, che questo «mistero del regno di Dio», così insegnato, è «un indizio rivelatore dell'anticipazione generale, nella catechesi evangelica», dell'azione messianica di Gesù risorto, «fase» nell'evoluzione della fede cristiana (pag. 339).

[67] Si veda ALFARIC, Le problème de Jésus (1954), pag. 30-31.

lunedì 26 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZALe preoccupazioni dell'evangelista.



Le preoccupazioni dell'evangelista.

In queste condizioni, si scopre che parabole e miracoli sono illustrazioni destinate a simboleggiare «il mistero del regno di Dio» (4:11). Una volta, con cinque pani e due pesci, Gesù nutre una moltitudine, e si portano via «dodici ceste» dei resti (6:35-44); in un'altra circostanza, egli dà da mangiare, con sette pani e alcuni piccoli pesci, a un'altra folla, e si portano via «sette ceste» dei resti (8:1-9). «Le prime dodici ceste raffigurano apparentemente le dodici tribù di Israele, le ultime sette devono corrispondere allora alle «sette nazioni» (Deuteronomio 7:1). Le due moltiplicazioni dei pani si trovano così a simboleggiare il progresso del cristianesimo nel mondo ebraico e tra i gentili. Questo esempio è tipico», conclude Alfaric. Già prima (nel 1922), come è stato detto (pag. 16-17), Loisy aveva stimato, in merito alla prima miracolosa moltiplicazione dei pani: «Si è qui in pieno mito. È il primo mito di istituzione della cena cristiana».

L'evangelista ha due grandi preoccupazioni. La prima è di «mostrare in Gesù il Messia» (in greco il Cristo) «annunciato attraverso tutta la Bibbia ebraica...». La frase iniziale del racconto «ci dà... la chiave di tutto il libro: «Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Giovanni comparve nel deserto, battezzando e predicando un battesimo di ravvedimento, per il perdono dei peccati» (1:2-4). «È chiaro», spiega Alfaric, «che la fine si spiega dall'inizio, che il racconto procede dagli oracoli citati: tutto ciò che è detto del Battista si trova modellato sui testi profetici in cui si è creduto di vedere l'annuncio della sua missione». [37

Allo stesso modo, quando Gesù, battezzato, esce dall'acqua, «venne dal cielo una voce: «Tu sei il mio amato Figlio nel quale mi sono compiaciuto». (1:11). Queste parole sono ispirate a Isaia (42:1), che fa dire da Dio: «Ecco il mio servo» (in greco, nella traduzione dei Settanta, la parola usata è pais, che significa sia servo che figlio), [38] «in cui la mia anima si compiace...». Marco combina questo testo con quello di un Salmo messianico (2:7), dove Jahvé dichiara al suo Cristo: «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato». Egli è così condotto a presentare la scena come una sorta di conversazione appartata, che si svolge tra il Padre celeste e il suo rappresentante terreno». [39

Questi esempi potrebbero essere moltiplicati: «In tutti gli episodi evangelici, anche in quelli che sembrano i più oggettivi, Marco cerca di mostrare il compimento di antichi oracoli: egli traspone in forma storica dei testi profetici». [40

L'altra preoccupazione dell'evangelista è quella di «presentare Gesù come il grande dottore della Nuova Legge, a cui devono regolarsi tutti i fedeli... Ecco una serie di discussioni ingaggiate contro quest'ultimo dai rappresentanti del giudaismo (2:3-3:5) e visibilmente designate a mostrare in lui il giusto ideale dei Salmi... Su cosa vertono le controversie?» Su delle questioni che sembrano essere sorte solo dopo l'apparizione del cristianesimo: «La remissione dei peccati è assicurata da Gesù? I «santi» hanno il diritto di entrare in contatto con della gente impura? Vanno osservati i digiuni degli ebrei? Ci si deve astenere, i giorni di sabato, da ogni lavoro? Le Epistole paoline sono là ad attestare come, all'origine, questi problemi preoccupavano la coscienza cristiana... In alcun momento invocano a questo proposito una dichiarazione ufficiale del Cristo stesso, che pertanto avrebbe risolto il dibattito... La ragione è apparentemente che il loro autore non conosceva nulla di simile». Ma più tardi, Marco, «con un procedimento familiare ai credenti, attribuisce a Gesù le dottrine professate in suo nome dalla Chiesa» (come i discepoli di Paolo avevano fatto nei confronti del loro maestro).

«In effetti, gli episodi in cui queste questioni vengono poste sembrano proprio essere stati concepiti in vista delle risposte che vi si trovano date...; le reminiscenze bibliche servono da cornice alle istruzioni» date «per la bocca del Cristo». [41]

Per esempio, «per spiegare che i cristiani non devono affatto associarsi ai digiuni degli ebrei, egli nota che i discepoli di Gesù, con grande scandalo dei farisei, non digiunavano affatto (Marco 2:18-21). La ragione è che ha in vista un oracolo di Isaia, dove il «Signore» annuncia che i suoi servi mangeranno e berranno, mentre la massa ribelle avrà fame e sete (Isaia 65:13). [42]

«L'evangelista», conclude su questo punto Alfaric, «pensa molto meno a riportare le parole autentiche del Cristo che a dare», per la sua bocca, «ai cristiani le lezioni appropriate ai loro bisogni presenti». [43]

L'analisi di Alfaric tende a rispondere in negativo alla domanda precedente: Il Vangelo secondo Marco è una biografia di Gesù? La sua risposta si oppone nettamente alla tesi di Goguel: «Nel momento in cui tutti i testimoni della storia evangelica erano scomparsi uno dopo l'altro, non si ha più conosciuto i fatti che erano il fondamento della fede se non per mezzo della tradizione; si ha allora provato il bisogno di dare a quella tradizione più autorità organizzandola e fissandola per iscritto». [44] Quellta spiegazione si lega alla fissazione della prima versione del Vangelo intorno al 75, che sembra troppo remota, [45] e all'affermazione di una tradizione orale, che non avrebbe lasciato alcuna traccia negli scritti cristiani del I° secolo; d'altra parte, non tiene conto dell'ambiente in cui è apparso il Vangelo di Marco, e di cui parleremo più avanti. [46]

Per contro, il giudizio di Alfaric è molto vicino a quello che Loisy ha espresso, nel corso dei suoi studi, con un vigore crescente. Ne Le origines du Nouveau Testament (1936), all'inizio del capitolo dedicato al Vangelo secondo Marco, Loisy definisce «la catechesi che chiamiamo evangelica», ma che, «sebbene si raccomandi ufficialmente a nomi apostolici, non risale, e neanche lontanamente, alla prima età cristiana...: la maggior parte dei critici moderati, nel nostro tempo, continuano a vedervi una raccolta di ricordi, più o meno autentici, relativi alla vita di Gesù. Eppure questo non è altro... che un manuale di iniziazione cristiana, come lo era già la catechesi escatologica, ma con la differenza che questa riguardava il Cristo risorto, glorioso presso Dio e pronto a venire per inaugurare il grande regno, mentre... nella catechesi evangelica, l'epifania del Messia è anticipata... nella carriera terrena di Gesù, terminata con la sua morte e la sua resurrezione, che illustra quella catechesi...». Una tale «anticipazione ha corrisposto a un movimento di credenze, ad un bisogno di apologetica, alla trasformazione del Vangelo primitivo in mistero di salvezza incorporato, per così dire, nella vita presente». [47]

Dal canto suo, Padre Bonsirven, riconosce: «Gli Evangelisti volevano, non comporre una storia rigorosa, come la intendiamo oggi, ma stabilire uno strumento dimostrativo». [48]

Sicuramente Padre Bonsirven continua a ricercare nei Vangeli «gli Insegnamenti di Gesù Cristo», e Loisy stesso, dopo aver subordinato alla «catechesi escatologica» del Messia veniente la «catechesi evangelica» di Gesù venuto, dopo aver negato che questa fosse «una raccolta di ricordi, più o meno autentici», e pur sottolineandovi le reminiscenze delle profezie della Bibbia che devono essere «adempiute», Loisy persiste nel cercarvi la base di una relazione storica con la Passione di Gesù, inevitabilmente ridotta dalla sua stessa critica a ben poca cosa. [49

NOTE

[37] ALFARIC, stessa opera, pag. 88-89. Si veda anche più avanti, pag. 192.

[38] Si veda più sopra, pag. 120-122.

[39] ALFARIC, stessa opera, pag. 92.

[40] ALFARIC, stessa opera, pag. 93.

[41] ALFARIC, stessa opera, pag. 97-99 e pag. 99-100.

[42] ALFARIC, stessa opera, pag. 99; si veda l'analisi della guarigione del paralitico (remissione dei peccati), dell'episodio del Cristo a tavola con un agente del fisco romano, dei discepoli del Cristo che strappano delle spighe un giorno di sabato.

[43] ALFARIC, stessa opera, pag. 101.

[44] GOGUEL, Jésus, pag. 130.

[45] Si veda più sopra, pag. 16, nota 13, e più avanti, pag. 196-199.

[46] Si veda pag. 199-201.

[47] LOISY, Le origines du Nouveau Testament (1936), pag. 82.

[48] Il Padre Joseph BONSIRVEN, Les enseignements de Jésus-Christ (1946), Introduzione, pag. 11.

[49] Si veda LOISY, Les origines du Nouveau Testament, pag. 104-115.

domenica 25 ottobre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAIl Vangelo secondo Marco è una biografia di Gesù?



Il Vangelo secondo Marco è una biografia di Gesù?

Opera possente di istruzione religiosa popolare, tale appare nella sua composizione e nella sua forma il Vangelo di Marco; ma vi si vede la preoccupazione di presentare con esattezza una vita di Gesù?

Il libro comincia con una brusca presentazione di Giovanni, che «si presentò a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (1:4), senza che alcuna indicazione  sia data sulle sue origini. Gesù è poco dopo (1:9) introdotto altrettanto bruscamente: «In quei giorni Gesù venne... e fu battezzato nel Giordano da Giovanni»... In quale stagione, in quale anno Si collocano «quei giorni»? Il contesto ce lo lascia ignorare. Siamo trasportati, per così dire, fuori dal tempo». Con quale intenzione Gesù «si recava da Giovanni? Nessuna allusione è fatta a questo proposito». [20

 Neppure di Gesù, l'evangelista non ci dice nulla, quanto alle sue origini. Non è che ben più tardi, nel seguito, che delle allusioni saranno fatte alla sua famiglia, i cui membri lo dichiarano «fuori di sé» e di cui dice lui stesso: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». [21

Accanto a queste imprecisioni, alcune accuse sono in contraddizione con le informazioni date da altre fonti. Ecco alcuni esempi. Marco dipinge un quadro molto fosco dei farisei: li presenta come ebrei formalisti, che non hanno che una religione tutta esteriore, e li fa recitare il ruolo che alcuni salmi attribuiscono ai malvagi dediti alla morte del giusto. Non erano queste le idee e le tendenze che il gruppo dei farisei affermava nel primo secolo dell'era cristiana, secondo ciò che ce ne dice lo storico ebreo Giuseppe, e meglio ancora secondo le parole dei dotti di quel tempo che ci ha conservato la raccolta israelita denominata il Talmud; e la risposta ad uno scriba sull'amore di Dio e del prossimo che Marco pone nella bocca di Gesù (12:28-34) si trova nella dottrina del celebre dotto fariseo Hillel, morto intorno all'inizio dell'era cristiana. Ma la maniera in cui Marco dipinge i farisei corrisponde al giudizio che portavano su di loro «i circoli cristiani della fine del primo secolo, quando la Chiesa aveva rotto con i capi del giudaismo e si trovava in aperto conflitto con loro». [22]

Analogamente, il modo con cui Marco ci riporta la morte del precursore Giovanni il Battista, ordinata dal «re Erode», è in opposizione al racconto di Giuseppe e «brulica di improbabilità». [23] Sembra emergere dalle Antichità di Giuseppe che Erode Antipa fece decapitare Giovanni il Battista, perché temeva la sua influenza sul popolo. [24] Marco (6:17-29) ci mostra Giovanni imprigionato perché rimproverava al re Erode di aver sposato, contrariamente alla legge ebraica, Erodiade, moglie di uno dei suoi fratelli: [25] dal suo primo marito, Erodiade aveva avuto una figlia, ancora giovane, Salomè, che Marco fa danzare in un grande banchetto, all'occasione del compleanno di Erode. Incantato, il re Erode giura a Salomè di darle quello che gli avrebbe domandato, finanche la metà del suo regno. Su istigazione di sua madre, domanda al re di «darle, su un piatto, la testa di Giovanni il Battista»; malgrado la contrarietà che prova, il re non osa rifiutare, «a causa del giuramento».

Tutto, in questo racconto, è inverosimile. Prima di tutto la danza della giovane Salomè, al banchetto  regale, poiché «l'etichetta delle corti siriane non avrebbe affatto permesso ad una principessa di esibirsi così davanti a un simile pubblico». Poi la promessa del re, che arrivava fino al dono della metà del suo regno, poiché Erode Antipa, tetrarca di Galilea, che non portava il titolo di re, non poteva disporre delle terre che amministrava sotto l'autorità dell'imperatore romano. Il mantenimento «della parola imprudentemente data è un tema che si ritrova in molti racconti popolari», ma che Erode Antipa difficilmente praticava per suo conto, poiché è la sua intenzione di ripudio della sua prima moglie, figlia del re arabo Areta, che provocò con suo suocero una guerra, dove il suo esercito fu messo in rotta. [26] Quella sconfitta, ci dice Giuseppe, fu considerata dal popolo ebraico una punizione di Dio per la decapitazione di Giovanni il Battista. [27

Alfaric fa notare che «da ogni punto di vista, il personaggio di Erode Antipa, come lo si conosce da altre informazioni, risponde molto poco al ritratto che Marco fa di lui». [28] Egli pensa che tutto il racconto dell'evangelista sia stato costruito con i ricordi della Bibbia. Salomè «è una ricomparsa di Ester, la bella ebrea, a cui, in un banchetto, Assuero promette tutto ciò che potrà desiderare, fino a metà del suo regno, e che si accontenta di chiedere, su consiglio che le è stato dato, la morte di Aman. [29] Marco, descrivendo un banchetto simile, lo fa dare da Erode, «per l'anniversario della sua nascita», perché si rappresenta questo re secondo l'antico Faraone, che, in una circostanza simile, offrì a tutti i suoi servi un grande pasto, egualmente terminato con un'esecuzione capitale. [30] Aggiunge lui stesso dei dettagli, che fanno emergere la crudeltà della giovane, ispirata da sua madre. È che vuole mostrare qui fino a che punto si spinge la malvagità dell'ebraismo ribelle al Vangelo». [31]

Un ultimo esempio, riguardante il personaggio di Ponzio Pilato, sarà esaminato più avanti nel racconto della Passione di Gesù, secondo Marco

Oltre alle inesattezze storiche, vanno segnalate delle improbabilità, che vanno al cuore stesso del racconto dato dall'evangelista: esse riguardano l'atteggiamento generale del Cristo, quello dei suoi apostoli, quello della folla. 

Secondo Marco, Gesù parlava agli ebrei in parabole, perché ascoltando, non potessero capire, «affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati» (4:11-12). «Un tale modo di agire», ha scritto Alfaric, «è strano per il Cristo, che dichiara di essere «venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori» (2:17). È d'altra parte «psicologicamente insostenibile: chi potrebbe parlare a lungo, deliberatamente, per non essere affatto compreso? Tale metodo non si concepisce che per un teologo, imbevuto di dottrine» dei discepoli mistici di Paolo sulla «predestinazione divina e la riprovazione di Israele». [32] Tuttavia, osserva dal canto suo Goguel, «quella teoria dell'indurimento provvidenziale disconosce radicalmente ciò che è la parabola, mezzo per esprimere delle idee che, presentate in forma astratta, rischierebbero di non poter essere ben afferrate». [33]

«Non meno inconcepibile è l'atteggiamento attribuito al gruppo degli Apostoli..... Tutte le parabole rivolte alla folla per la loro cecità erano spiegate loro dal Maestro (4:34)». nondimeno Gesù è obbligato a dire loro: «Siete anche voi così privi d'intelligenza?» (7:18). «Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?» (8:18). «Il ritratto che l'evangelista fa di loro non ha niente di umano», ritiene Alfaric, è un semplice schema, un simbolo fittizio del cristianesimo giudaizzante...» [34

«La massa degli ebrei non appariva meno irreale e fantomatica. Essa va e viene, come lo domandano i bisogni del racconto, eclissandosi bruscamente, quando essa non è più utile, per poi apparire improvvisamente ad una chiamata del Maestro... Lo acclama mentre entra a Gerusalemme, per fornire un attestazione ufficiale della sua messianicità; ma, pochi giorni dopo, reclama la sua morte a grandi grida... Anche qui, il racconto evangelico risponde più ad un'idea che ad una tradizione. Offre troppo poco di verosimiglianze per essere vero». [35]

NOTE

[20] ALFARIC, op. cit., pag. 78.

[21] Marco 3:21, 31-35; 6:3. Su quest'ultimo verso, che fa allusione al mestiere di artigiano di Gesù, si veda più sopra, pag. 172, nota 170; sui fratelli di Gesù, si veda più sopra, pag. 17, nota 17, e pag. 64, e più avanti Appendice 2, pag. 262-269, in particolare pag. 269, nota 47. A. RAVELLI pensa che figura forse nella stesura primitiva il verso 6:3, che è senza legame con i versi precedenti e seguenti, e che sarebbe stato inserito «per informare sulla famiglia di Gesù» (si veda l'articolo: Jésus avai-il des frères ? nel Bulletin du Cercle Ernest Renan, gennaio 1956).

[22] ALFARIC, op. cit., pag. 82-83; si veda su Marco 12:28-34, e il confronto con la dottrina di Hillel, ALFARIC, Pour comprendre la vie de Jésus, pag. 137.

[23] GOGUEL, Jésus, pag. 206, nota 1.

[24] GIUSEPPE, Antichità giudaiche, libro 18, capitolo 5, paragrafi 1-2.

[25] E non vedova: il Levitico 20:21, proibisce all'uomo di prendere la donna di suo fratello; il Deuteronomio 25:5-10 ordina all'uomo di sposare la vedova di suo fratello, se costui è morto senza lasciare dei figli. Il senso di questo passo del Vangelo di Marco è certo; ma la realtà è ben più difficile da stabilire (si veda J. KLAUSNER, Jésus de Nazareth, traduzione francese, pag. 241 e 355-358).

[26] Si veda ALFARIC, L'évangile selon Marc, op. cit., pag. 83-86.

[27] Si veda lo studio di Georges ORY, intitolato La Samarie, patrie d'un Messie, Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 11, 1956: la disfatta di Erode Antipa ebbe luogo nel 36 dell'era cristiana, qualche mese prima della morte dell'imperatore Tiberio (marzo del 37); se si ammette che questa disfatta ha seguito di poco la morte di Giovanni il Battista, questa si collocherebbe nel 34-35, ovvero 5 o 7 anni dopo la data assegnata approssimativamente alla morte di Gesù, quando il Vangelo di Marco fa morire Giovanni il Battista prima di Gesù.

[28] ALFARIC, op. cit., pag. 86.

[29] Libro di Ester 4:1-14; 7:1-10.

[30] Libro della Genesi 40:20-22.

[31] ALFARIC, Pour comprendre la vie de Jésus, pag. 63.

[32] ALFARIC, L'Evangile selon Marc, pag. 80.

[33] GOGUEL, Jésus, pag. 106, nota 2.

[34] ALFARIC, L'Evangile selon Marc, pag. 80-81.

[35] ALFARIC, stessa opera, pag. 81.