mercoledì 30 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAGesù, successore di Melchisedec.



Gesù, successore di Melchisedec.

Nel capitolo 7, l'Epistola dichiara Gesù prefigurato da Melchisedec, personaggio del Libro della Genesi (14:18-20), qualificato come sacerdote del Dio Altissimo Dio, bruscamente introdotto nel racconto delle gesta di Abramo, a cui offre del pane e del vino, che egli benedice, e a cui gli dà la decima del bottino, senza che  alcuna informazione sia fornita su di lui. L'Epistola spiega che «questo Melchisedec, re di giustizia e re di pace — che è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, — ma che è fatto simile al Figlio di Dio, — questo Melchisedec rimane sacerdote in eterno...» (7:2-3).

D'altra parte, l'Epistola precisa che Gesù, il nuovo «sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec» (si veda 5:6), andrà a sostituirsi ai figli di Levi, che esercitano il sacerdozio, secondo l'ordine di Aronne, e questo cambiamento di sacerdozio corrisponde ad un cambiamento della legge. «Infatti è noto che il nostro Signore si è levato da Giuda, in riferimento a cui Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio» (7:12-14).

In che modo Loisy ha interpretato questo confronto di Gesù con il personaggio biblico di Melchisedec? In Histoire et mythe (1938), egli dichiarava: «È sfuggito a Couchoud che il tipo di Melchisedec è ricco di indicazioni in rapporto alla concezione del Cristo che si è formata l'autore dell'Epistola e che Gesù, nella sua esistenza terrena, è ritenuto aver realizzata: vale a dire essere stato «senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita» in questo mondo, ma con una vita reale e umana, tra quel principio eterno e quel coronamento senza fine della sua esistenza... Gli è sfuggito che se il Cristo è detto «essersi levato da Giuda», è perché è apparso in Giudea, senza essere realmente uscito da Giuda». [113]

Tuttavia, in un libro precedente, Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament (1935), Loisy si esprimeva in tutt'altra maniera: «È soprattutto come re di giustizia e come re di pace che Melchisedec prefigura il Cristo. E lo prefigura proprio così negli altri aspetti che ci sono indicati, anche i quali, bisogna ammetterlo, non hanno il loro pieno significato che nel Cristo.... Egli è «senza padre, senza madre, senza genealogia», — da cui consegue che le genealogie di Matteo e di Luca sono ignorate o trascurate, — «senza principio di giorni», — leggiamo: senza nascita terrena, — «senza fine di vita», — perché la sua morte non è stata che il suo ingresso nell'immortalità, fatto che esclude il soggiorno nella Tomba e la resurrezione corporale. Ecco quel che dice il nostro testo, e la gnosi [114] che esprime non è certo meno sprovvista di originalità né di audacia: il Cristo è apparso sulla terra senza esservi nato, e non vi è morto che per entrare nell'eternità. Il «velo» della «sua carne» (10:20) non si è rotto che per aprirgli l'accesso del cielo. E dunque «egli non ha avuto fine di vita». [115]

Riguardo all'espressione particolare: «Nostro Signore si è levato da Giuda», Loisy spiegava: «egli si è levato come un astro, e questa è un'allusione alla stella di cui parlava» il profeta Balaam nel Libro dei Numeri (24:17). [116] Da parte sua, un altro critico, Alfaric, ha soprattutto trattenuto, nello stesso passo dell'Epistola agli Ebrei, la provenienza da Giuda e vi ha visto un'allusione ad un altro verso della Bibbia, «la famosa profezia di Giacobbe» [117] nella Genesi (49:10): [118] «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli». [119] In ogni caso, si può pensare che il Loisy del 1933-1935 e l'Alfaric del 1954, in disaccordo sulla realtà di una carriera terrena di Gesù, erano d'accordo nel vedere nel verso di Ebrei la costruzione di una figura mitica, sulla base di testi della Bibbia.

NOTE

[113] LOISY, Histoire et mythe, pag. 103-104.

[114] Si veda più avanti Appendice 2, pag. 253.

[115] LOISY, Remarques (1935), pag. 109.

[116] LOISY, Remarques, pag. 109; stessa interpretazione nel suo libro precedente, La naissance du christianismme (1933), pag. 30, nota 1. La stessa reminiscenza si troverebbe nell'Apocalisse 22:16: si veda più avanti Appendice 3, pag. 293.

[117] ALFARIC, Le probléme de Jésus (1954), pag. 24.

[118] Riproduciamo di seguito la traduzione di Edouard DHORME, La Bible, volume 1, L'Ancien Testament, primo volume (Bibliothèque de la Pleiade), 1956, pag. 169.

[119] Il grande professore di storia religiosa del popolo ebraico, Edouard DHORME, vede in questo verso della Genesi una «allusione tardiva alla regalità ebraica, che deve durare fino ai tempi messianici» (nota, pag. 169 del volume menzionato sopra). D'altra parte molte traduzioni della Bibbia recitano: «finchè venga Sciloh», riproducendo semplicemente la parola ebraica, di cui si riconosce che non è comprensibile. Su questo punto, Edouard Dhorme si spiega così: «L'enigmatico shîlôh, che interpretiamo con shé-lô, «a cui appartiene», è stato considerato un riferimento al Messia. La Vulgata «(edizione latina della Bibbia ad opera di san Girolamo, nel IV° secolo)» ricorre al verbo shâla «inviare» e traduce: qui mittendus est; lo scettro appartiene a colui che deve venire» (stessa nota della pag. 169).

martedì 29 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAIII. L'Epistola agli Ebrei. Natura e periodo della composizione.



III. — L'Epistola agli Ebrei

Natura e periodo della composizione.

L'ultima grande opera cristiana che dobbiamo considerare è di tutt'altra natura rispetto all'Apocalisse: denominata l'Epistola agli Ebrei, «istruzione dottrinale e morale, trattato piuttosto che lettera», ha scritto Loisy. [101] Tuttavia, nei fatti, il suo destino, come libro sacro nella cristianità, è stato legato a quello dell'Apocalisse. Abbiamo visto che l'ammissione di quest'ultima al canone del Nuovo Testamento, respinta da alcune Chiese cristiane d'Oriente, era stata dovuta all'insistenza di quelle d'Occidente. [102] All'opposto, e sembra lecito dire in cambio, le Chiese d'Oriente ottennero da quelle d'Occidente, grazie al sostegno che vi diedero presso queste ultime Agostino e Girolamo, l'accettazione dell'Epistola agli Ebrei. [103]

Le ragioni negative delle Chiese d'Occidente erano serie: esse pensavano che l'attribuzione di quella epistola a Paolo, che sembravano sostenere quelle dell'Oriente, fosse infondata, e perfino che questo scritto non risalisse all'epoca degli apostoli contemporanei di Paolo. [104] Ma alla fine l'Epistola fu accettata con il titolo: agli Ebrei, «che non è che una congettura antica, legata forse originariamente all'attribuzione» che ne era stata fatta a Paolo. [105]

Però le critiche moderne sono in disaccordo sul periodo della composizione. Si sono osservati dei tratti comuni all'Epistola agli Ebrei, di autore indeterminato, e all'Epistola ai Corinzi di Clemente di Roma. Loisy ritiene che sia l'Epistola agli Ebrei ad aver ispirato l'Epistola ai Corinzi: «L'autore di Ebrei è un pensatore originale, che, in un certo senso, non dipende da nessuno, avendo costruito lui stesso un sistema dottrinale che non manca né di ricchezza né di grandezza. Clemente è un predicatore che attinge da tutte le fonti e che si alimenta di citazioni». [106] Ma a quando risale l'Epistola di Clemente? «Se si mantiene, ha scritto Loisy, la data comunemente accettata, il 95 circa, l'Epistola agli Ebrei non potrà essere successiva all'anno 80; [107] Ma se si abbassa il periodo dell'Epistola di Clemente alla metà del II° secolo e se si identifica questo Clemente con colui che è nominato in una delle opere dello scrittore cristiano Ermas e che sembra essere stato suo contemporaneo, allora l'Epistola di Clemente deve essere collocata tra il 130 e il 150, e l'Epistola agli Ebrei, tra il 110 e il 130. [108]

Senza dubbio le argomentazioni di Loisy sembrano convincenti nel fissare la data più recente dopo la quale non si deve collocare la pubblicazione dell'Epistola agli Ebrei, cioè il 130; ma egli conclude che essa deve situarsi negli anni che precedono immediatamente quella data, senza presentare per quella conclusione alcuna ragione precisa. Tuttavia l'Epistola agli Ebrei è un'opera abbastanza significativa perché sia possibile che Clemente di Roma vi si sia ispirato molto tempo dopo.

Ma alcuni critici pensano che l'Epistola agli Ebrei, come le altre grandi opere cristiane di quell'epoca, sia una compilazione. «Questa era in origine», ha scritto Alfaric, «un piccolo trattato di teologia, paragonabile a quelli di Filone d'Alessandria, che avrebbe potuto essere l'opera del missionario alessandrino Apollo, [109] e che ha preso più tardi a Roma, a seguito di ampie interpolazioni, la forma di una lettera analoga a quelle di Paolo. Lo scritto iniziale (capitoli 1 per intero; 2 per intero; 5:1-10; 7:1-10:18) è stato scritto prima della rovina del Tempio di Gerusalemme, poiché parla delle cerimonie che vi si praticavano comunemente (9:6; 10:3; 10:11). Può perfino essere anteriore alle Epistole autenticamente paoline, poiché espone una teologia di una natura più arcaica, che ignora quelle più recenti». [110]

Si parla di questo Apollo in diversi passi della 1° Epistola paolina ai Corinzi e degli Atti degli Apostoli. [111] In particolare, gli Atti 18:27-28 dicono di lui: «Egli fu di grande aiuto a quelli che avevano creduto mediante la grazia di Dio, perché con gran vigore confutava pubblicamente i Giudei, dimostrando con le Scritture che Gesù è il Cristo». Se una tale pratica è stata comune nel II° secolo, era senza dubbio molto più significativa a metà del I°, ed è ampiamente applicata nella Epistola agli Ebrei. Senza dubbio l'attribuzione ad Apollo di Alessandria è ipotetica, ma si può ritenere solida l'argomentazione di Alfaric, relativa alle cerimonie del Tempio, che sono presentate nell'opera come ancora celebrate; darebbe retroattivamente in parte ragione alle Chiese cristiane d'Oriente, che consideravano l'Epistola agli Ebrei risalente all'età degli Apostoli.

Notiamo anche infine che Léon Herrmann, professore all'Università di Bruxelles, pensa che l'Epistola agli Ebrei potrebbe essere «un'opera di san Paolo, almeno parzialmente o originariamente»; è possibile, secondo lui, che sia una delle epistole della prigionia di Paolo a Roma. [112]

I lettori troveranno nell'Appendice 4 l'esame di diverse allusioni alla carriera terrena di Gesù che si è creduto di poter rilevare nella Epistola agli Ebrei. Noi non considereremo qui che due problemi, uno riguardante la maniera con cui l'opera presenta la figura di Gesù, l'altro relativo alla crocifissione.

NOTE

[101] LOISY, La naissance du christianisme (1933), pag. 29.

[102] Si veda più sopra, pag. 74-75.

[103] Si veda GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 31.

[104] GUIGNEBERT, ibid. In senso opposto, quanto all'epoca, si veda di seguito, pag. 87-89.

[105] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 29.

[106] LOISY, Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament (1935), pag. 147. Questo argomento di Loisy pare solido. TURMEL (sotto lo pseudonimo di DELAFOSSE) aveva sostenuto l'opinione contraria, ossia l'attribuzione della paternità dell'Epistola di Clemente all'autore dell'Epistola agli Ebrei, che si proponeva soprattutto di combattere la dottrina di Marcione. Ma i due confronti dei testi istituiti da Turmel sembrano da sé invitare a concludere alla priorità nel tempo dell'Epistola agli Ebrei, corretta da Clemente di Roma, piuttosto che a quella dell'Epistola di Clemente, alterata dall'autore dell'Epistola agli Ebrei (si veda l'edizione de l'Epître aux Hébreux di DELAFOSSE, nell'opera intitolata l'Epître aux Philippiens (1928), pag. 113 e 123-127).

[107] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 29. 

[108] Si veda DELAFOSSE (TURMEL), L'Epître aux Hebreux, op. cit., pag. 123-127, e LOISY, La naissance du christianisme (1933), pag. 29, 33, 43-44, Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament (1935), pag. 147-150, Les Origines du Nouveau Testament (1936), pag. 46. Loisy cita (ne La naissance du christianisme, pag. 33) ERMAS, Pastore, Libro 1, Visioni, 2° Visione, paragrafo 4 («Tu invierai una delle copie del libro a Clemente»).

[109] Loisy ritiene che l'Epistola agli Ebrei «è probabilmente di origine alessandrina» ( si veda La naissance du christianisme, pag. 30).

[110] ALFARIC, Le problème de Jésus, pag. 21.

[111] ALFARIC (ibid.), cita Atti 18:24-28; 19:1; 1° Epistola ai Corinzi 1:12; 3:4, 6, 22; 4:6. Su Apollo di Alessandria, che sembra essere stato in relazioni con Paolo, si veda l'«excursus» che gli ha consacrato GUIGNEBERT in Le Christ, pag. 290-293.

[112] Léon HERRMANN, Autour de saint Paul, Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 17, 1° trimestre 1958, pag. 6, e Le treizième apôtre (san Paolo), Bruxelles, 1946, pag. 70-71 e 76. Sull'opinione di Herrmann a proposito delle intenzioni politiche di Paolo, si veda più avanti, pag. 165, nota 153.

lunedì 28 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAL'allusione alla crocifissione.



L'allusione alla crocifissione.

Una allusione precisa alla Passione di Gesù sarebbe fatta, nel capitolo 11, in occasione del racconto della morte dei «due testimoni» che saranno vinti e uccisi dalla bestia che salirà dall'abisso: «i loro cadaveri giaceranno sulla piazza della grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore è stato crocifisso» (11:8). Come spiegare queste ultime parole?

Una prima spiegazione è quella dei critici che negano la realtà di una carriera terrena di Gesù al tempo di Tiberio. Essi considerano quelle parole interpolate, per le seguenti ragioni: una tale allusione non occuperebbe che un frammento di un verso sui 405 versi che comprendono l'Apocalisse; e sarebbe strano se una «nozione così fondamentale» come quella della crocifissione di Gesù fosse introdotta per un episodio accidentale in un'opera così estesa e dove un posto così grande è occupato dall'Agnello immolato per la redenzione degli uomini. [87] Alfaric pensava addirittura che quelle parole «siano in profondo disaccordo con la prospettiva generale del libro, dove il Cristo appare sotto la figura di un «Agnello» sgozzato ritualmente, il cui sangue scorre per purificarci, piuttosto che sotto quello di un crocifisso, che può morire senza versare una goccia di sangue». [88

Una seconda spiegazione è data dai critici che vi vedono un'allusione alla crocifissione di Gesù. [89] Senza dubbio Loisy, in La naissance du christianisme, dopo aver riconosciuto che «l'Apocalisse ha poca attenzione per la tradizione evangelica», [90] si era limitato ad aggiungere che «accidentalmente ci dice che il Cristo è stato crocifisso a Gerusalemme». Ma, in Historie et mythe, dove si tratta di confutare i «miticisti», egli preciserà l'allusione che vi scorge. [91] «Non si tratta in alcun modo», scrive, di una spiegazione interpolata nel testo, ma «del richiamo» di un fatto ben noto. Poi Loisy viene ai due testimoni uccisi, esposti per tre giorni e mezzo nella piazza della grande città e resuscitati, mentre il testo si limita d'altra parte a menzionare che in quella stessa città «il loro Signore è stato crocifisso». Chi sono quei due testimoni? Loisy ci ricorda che gli storici vedono nell'uno il profeta Elia, nell'altro Mosè o Enoc. Poi commenta: «La singolarità del loro caso, concepito indipendentemente da ogni rapporto con quello di Gesù, è certamente significativa; [92] ma per questo stesso motivo, una correzione dell'autore cristiano era necessaria. Questa correzione, la abbiamo nella minuscola riga che concerne la crocifissione di Gesù; è un complemento redazionale, non è un'interpolazione tardiva».

Una volta di più, Loisy spiega come il testo possa conciliarsi con la Passione di Gesù, ammessa come un fatto storico, allorché si tratta di esaminare se il testo concorra a stabilirne la realtà. [93]

Ma quand'anche si ammetta che il testo faccia allusione alla crocifissione di Gesù, esso non dà alcuna indicazione sul tempo e sulle circostanze dove essa è stata compiuta. 

Ma l'esattezza stessa di una tale allusione è stata recentemente messa in discussione da uno studio, dove un'altra spiegazione è proposta. In un articolo riguardante La vie et la mort du Maître de Justice, — ispiratore, lo si ricordi, della setta ebraica degli Esseni, da cui derivano i Manoscritti del Mar Morto, [94] — A. Ragot ha visto nell'Apocalisse, dove si riconosce generalmente una forte influenza ebraica, delle numerose allusioni agli Esseni e al Maestro di Giustizia. [95] Egli interpreta così il capitolo 11:

«Essi (i pagani) calpesteranno la santa città per quarantadue mesi...» (Apocalisse 11:2). Quella indicazione... si riferisce... all'invasione della Palestina da parte di Pompeo nel 63 prima dell'era cristiana. Infatti, si parla subito dopo dei due «testimoni» dell'Agnello: «Quando avranno compiuto la loro testimonianza, la Bestia che sale dall'abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà; i loro cadaveri giaceranno sulla piazza della grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il nostro Signore è stato crocifisso» (Apocalisse 11:7-8). La città è proprio Gerusalemme e la Bestia è molto probabilmente Roma. L'immagine è analoga a quella del Commentario di Abacuc [96] ... Non si possono considerare... quelle dichiarazioni un'evocazione della morte di Gesù, secondo i Vangeli, seguita circa quarant'anni dopo dalla presa di Gerusalemme (da parte di Tito), nel 70. I due crimini sembrano più vicini l'uno all'altro. Non si vede chi avrebbero potuto essere quei due testimoni che erano anche dei profeti (Apocalisse 11:3). Né Stefano, né Giacomo si sono mai passati per tali, e sono gli ebrei, non i Romani, che li hanno messi a morte. [97] Pietro e Paolo non sono stati uccisi a Gerusalemme. [98] L'allusione si riferisce piuttosto alla Passione del Maestro di Giustizia..., poco prima dell'arrivo di Pompeo. Questo unto sarebbe quindi stato crocifisso, o perlomeno sospeso all'albero, con o senza lapidazione preliminare. Resterebbe da ammettere che due capi dell'Alleanza (essena) sconvolta sarebbero stati uccisi, dopo una breve resistenza, dai legionari che entravano nella Città Santa... Si sarebbero «alzati in piedi» tre giorni e mezzo dopo la loro morte e sarebbero allora saliti al cielo (Apocalisse 11:11-12), come si cominciava, senza dubbio, a raccontare del loro maestro».

La «supposizione» di A. Ragot, che identifica il «Signore dei due testimoni» dell'Apocalisse con il Maestro di Giustizia dell'Alleanza essena, dovrà essere apprezzata dagli specialisti. [99] Stando ad essa, l'Apocalisse avrebbe precisato, negli ultimi trent'anni del I° secolo dell'era cristiana, che, intorno al 63 prima di quest'era, il Maestro di Giustizia sarebbe stato «crocifisso», — al di là se quella precisazione sia peraltro il risultato di una tradizione o di una fantasia; ma va ricordato che la legislazione penale ebraica non prevedeva la crocifissione del condannato vivo secondo la prassi romana; si sospendeva ad un palo di legno il cadavere del condannato precedentemente messo a morte (in generale per lapidazione per i crimini religiosi); e la parola greca stauros, così come la parola latina crux, si applicavano ai supplizi di ogni genere inflitti su un palo di legno. Quel significato molteplice può aiutare alla comprensione dell'Apocalisse, come dei Vangeli. [100

A conclusione di questo esame, sembra lecito dire che l'Apocalisse, importante opera cristiana, di ispirazione così anti-romana, non ci apporta alcuna testimonianza sulla carriera terrena e sul supplizio di Gesù, ordinato da Ponzio Pilato. 

NOTE

[87] Si veda COUCHOUD, Jésus, Dieu fait homme, pag. 127 nota 3; ALFARIC, Le problème de Jésus, pag. 19.

[88] ALFARIC, Le Problème de Jésus, pag. 19. Osservazione analoga in uno studio di G. ORY, Jésus a-t-il été crucifié ? (Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 6, secondo trimestre 1955, pag. 11). «L'usanza più comune era di fissare il condannato alla croce con delle corde», ha scritto GOGUEL, Jésus, pag. 445, nota 2 (si veda più oltre, Appendice 3, pag. 292). Si veda più oltre lo stesso problema a proposito dell'Epistola agli Ebrei, pag. 93.

[89] Si tratterà di seguito unicamente l'opinione di Loisy. GOGUEL ha menzionato (Jésus, pag. 95) il verso 8 del capitolo 11 come facente allusione ad una «storia umana», ma non ne ha dato alcun commentario.

[90] Si veda più oltre, Appendice 3, pag. 298-299.

[91] LOISY, Histoire et mythe, pag. 90-91.

[92] Sottolineato da Loisy.

[93] Loisy ha creduto di trovare un'altra allusione alla Passione di Gesù nelle parole del verso 7 del capitolo 1, relativo al Cristo in gloria: «Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà, anche quelli che lo trafissero». Il valore di questo passo sarà esaminato nell'Appendice 3, pag. 291-293.

[94] Si veda più sopra, pag. 24-26.

[95] A. RAGOT, La vie et la mort du Maître de Justice, Bulletin du Cercle Ernest Renan, n° 39, novembre 1956.

[96] Commentario di Abacuc, colonna 3:9-11, uno dei manoscritti del Mar Morto, di cui DUPONT-SOMMER ha dato la traduzione, con delle note, nella Revue de l'histoire des religions, aprile-giugno 1950, pag. 132-133 e pag. 154-155.

[97] Secondo la tradizione evangelica, vi sarebbero stati a Gerusalemme due cristiani prominenti, dal nome di Giacomo. Uno era Giacomo, figlio di Zebedeo, come Giovanni (sotto il nome del quale è stata collocata l'Apocalisse), e, come lui, discepolo diretto di Gesù; gli Atti degli Apostoli (12:1) lo fanno mettere a morte dal re Erode Agrippa I; gli storici, in generale, collocano questa morte nel 44 e ammettono che Giovanni sia morto nello stesso tempo di suo fratello (si veda più sopra, pag. 75). L'altro Giacomo è presentato dalla tradizione evangelica come il fratello di Gesù; la testimonianza dello storico ebreo Giuseppe permette di collocare la sua morte nel 62, per ordine del sommo sacerdote Anania (si veda più sopra, pag. 38-39, e più oltre, pag. 127-129 e Appendice 2, pag. 265). Ragot ha senza dubbio in vista il secondo Giacomo. Su Stefano, si veda più oltre, pag. 100-1001, 104-108, 126-127.

[98] Paolo, certamente no, e Pietro non più di lui, secondo la tradizione. Tuttavia Loisy ha avanzato l'ipotesi che Pietro fosse morto a Gerusalemme nella persecuzione ordinata da Agrippa I nel 44 (si veda più oltre, pag. 147); ma, in questo caso, egli non sarebbe stato vittima dei Romani.

[99] A. RAGOT presenta un argomento aggiuntivo, che si basa sull'identificazione del Maestro di Giustizia con Onia, di cui parla Giuseppe, ricordando che il potere di comandare alla pioggia e agli elementi, attribuito dall'Apocalisse (11:6) ai due testimoni, era riconosciuto ad Onia, così come lo riporta GIUSEPPE, Antichità giudaiche (14:2:1). Quella identificazione è stata proposta da R. Goossens (si veda DUPONT-SOMMER, Aperçus préliminaires sur les manuscrits de la Mer Morte (1950), pag. 47, nota 22); Millar BURROWS la mette in dubbio ne Les manuscrits de la Mer Morte, 1955, traduzione francese, 1957, pag. 210; all'occasione di una conferenza che ha fatto nel dicembre 1957 al Cercle Ernet Renan, Dupont-Sommer ha dichiarato che la tesi di Goossens era molto suggestiva, ma non era ancora stabilita in maniera certa (si veda Bulletin du Cercle, n° 51, febbraio 1958). Sul Maestro di Giustizia, si veda più sopra, pag. 25, e più avanti, pag. 119-120.

[100] Si veda più sopra, pag. 53, nota 23 e 24, e pag. 55-56, e più oltre, pag. 201-203.

domenica 27 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAIl bambino divino.



Il bambino divino.

Ma quella carriera sembra arrestarsi alla sua nascita: nel capitolo 12, il bambino nasce nel cielo da una donna celeste, e, perché sia salvato dal drago che lo insidia, è subito sollevato verso il trono di Dio.  Senza dubbio Goguel vi vede «l'adattamento di un frammento apocalittico ebraico più antico», poiché «è impossibile ammettere che alla fine del I° secolo, un cristiano si sia rappresentato il Messia sollevato al cielo subito dopo la sua nascita»; resta comunque il fatto che un cristiano, alla fine del I° secolo, lo abbia rappresentato così: cosa diviene allora della Passione, elemento fondamentale del credo cristiano?

sabato 26 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAIl Cristo uomo.



Il Cristo uomo.

Il Cristo appare sotto due figure umane nell'Apocalisse: all'inizio e alla fine dell'opera, come un «figlio d'uomo», che detta al veggente ciò che deve scrivere alle sette Chiese dell'Asia; e nel capitolo 19, come guerriero che un giorno vincerà la Bestia: non si tratta là della carriera di Gesù già compiuta. 

venerdì 25 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAL'Agnello.



L'Agnello.

La prima raffigurazione è quella dell'«Agnello immolato», che occupa un posto considerevole nell'Apocalisse. Se il punto di partenza del credo cristiano fosse stato l'atroce supplizio di un uomo sulla croce romana, si ha difficoltà a credere che, già dal primo secolo, gli fosse stata sostituita la figura simbolica di un animale. 

E il caso dell'autore dell'Apocalisse non è isolato. Nella cosiddetta Epistola di Barnaba, che sembra essere stata composta ad Alessandria, secondo alcuni critici, nel primo terzo del II° secolo, [84] secondo altri, più probabilmente dopo il 135 che prima, [85] si legge nel capitolo 8, versi 1, 2 e 5: «1. Quale figura pensate che si rappresenti, quando ad Israele fu ordinato che gli uomini imputabili di colpe gravissime offrissero una giovenca, la sgozzassero e la bruciassero... ? 2. La giovenca rappresenta Gesù; i peccatori che la offrono sono coloro che lo condussero al sacrificio... 5. Perché la lana sul legno? Perché il regno di Gesù è sul legno e chi spera in lui vivrà in eterno».

L'autore dell'Epistola ricercava nella Bibbia ciò che poteva prefigurare la passione di Gesù. Allude nel passo citato al verso 19 di Numeri, dove è prescritto, per il riscatto delle colpe, di sacrificare una giovenca rossa, che è sgozzata e bruciata; si può credere, dall'allusione dell'Epistola, che si spargessero le ceneri con un legno ricoperto di lana: per l'autore dell'Epistola, «la giovenca rappresenta Gesù», il legno d'aspersione è una figura della croce. [86] Senza dubbio, non si tratta che di ricercare nella Bibbia la prefigurazione della Passione di Gesù, e non una raffigurazione della Passione realizzata, ma, ancora una volta, se l'origine del credo cristiano è stata un dramma umano, i commentari dell'Epistola di Barnaba sembrano di una imbarazzante indifferenza. 

NOTE

[84] LOISY, La naissance du christianisme (1933), pag. 32.

[85] Marcel SIMON, Verus Israel (1948), pag. 91, nota 3: Simon data l'Epistola di Barnaba alla fine del regno dell'imperatore Adriano, morto nel 138. — Essa non figura nella raccolta canonica del Nuovo Testamento.

[86] Si veda su questi passi dell'Epistola di Barnaba, COUCHOUD, Jésus, le Dieu fait homme, pag. 145-146, e G. ORY, Jésus a-t-il été crucifié ? Cahiers du Cercle Ernest Renan, n° 7, 3° trimestre 1955, pag. 34-35.

giovedì 24 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZALe diverse concezioni di Gesù Cristo nell'Apocalisse.



Le diverse concezioni di Gesù Cristo nell'Apocalisse.

I lettori troveranno nell'Appendice III una breve analisi dell'insieme dell'Apocalisse, dove si è principalmente esaminato ciò che concerne Gesù Cristo, così come le valutazioni di Loisy, di Goguel e di Guignebert su certe allusioni alla carriera di Gesù che potrebbe contenere. Tenteremo qui di far emergere le diverse rappresentazioni di Gesù Cristo che appaiono nell'Apocalisse e l'allusione che si è creduto di vedervi alla crocifissione del profeta Gesù.

Queste raffigurazioni sembrano essere in numero di tre, e questo solo fatto è di per sé significativo: fa pensare che non vi è stata una carriera recente di un uomo, la cui memoria, fatta eccezione per i dettagli, si sarebbe imposta a tutti gli autori cristiani, ma una concezione religiosa di un essere divino, ancora imprecisata, che lascia libero gioco, nell'ordine spirituale, alle iniziative individuali.

mercoledì 23 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAPeriodo della composizione.



Periodo della composizione.

Quella «rivelazione», [77] straordinariamente densa, dalle raffigurazioni talvolta grandiose, era qualificata, nel III° secolo, come «incomprensibile e incoerente», dal vescovo Dionigi di Alessandria; ma le Chiese d'Occidente la ammirarono, forse proprio a causa delle sue oscurità, e la loro tenacia ha finalmente fatto ammettere l'Apocalisse nella raccolta ufficiale o canone del Nuovo Testamento. Essa vi è collocata alla fine, come nella maggior parte degli elenchi di scritti religiosi stabiliti allora dalle Chiese. [78] Eppure, almeno per alcune delle sue parti, è ben lontana dal figurare tra le opere più recenti.

Come molti scritti contemporanei, l'Apocalisse sarebbe una compilazione, e questo potrebbe essere una delle ragioni della sua «incoerenza»; ma la determinazione dei periodi in cui sarebbero state composte le varie parti resta molto incerta. Si scarta oggi generalmente l'attribuzione a Giovanni, figlio di Zebedeo, dato come discepolo di Gesù dalla tradizione evangelica; sarebbe stato messo a morte nel 44, al momento della persecuzione diretta contro la Chiesa cristiana di Gerusalemme da Erode Agrippa I. [79] Ireneo, morto all'inizio del III° secolo, collocava la stesura dell'Apocalisse verso la fine del regno dell'imperatore Domiziano, cioè poco prima del 96; tuttavia alcune parti potrebbero essere state composte poco dopo la caduta di Gerusalemme nel 70; [80] al contrario, potrebbe essere che «le ultime modifiche del libro non siano state di gran lunga anteriori al 140». [81]  D'altra parte i critici hanno ritenuto che in diversi passi erano state adattate delle scritture ebraiche precedenti; [82] per Loisy, l'autore della maggior parte dell'opera «era probabilmente un giudeo-cristiano che era fuggito dalla Palestina al tempo della guerra di Giudea». [83

NOTE

[77] Significato della parola greca che designa l'opera.

[78] Si veda GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 30-31.

[79] Si veda GOGUEL, La naissance du christianisme (1955), pag. 35, 126, 638-639. Si veda più avanti, pag. 102, nota 6.

[80] «La maggior parte», ha scritto Alfaric, Le problème de Jésus (1954), pag. 17; stessa opinione ancor più accentuata, presentata da Emile MIREAUX, La reine Bérénice (1951), pag. 174-177, e Appendice 2, La data dell'Apocalisse di san Giovanni, pag. 241-245.

[81] Secondo LOISY, Les origines du Nouveau Testament (1936), pag. 325. Il 140 è il periodo in cui Marcione è entrato in conflitto con la Chiesa romana.

[82] Osservazione di GOGUEL, relativa al capitolo 12, in Jésus, pag. 96-97; si veda più oltre, Appendice 2, pag. 303-304.

[83] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 37.

martedì 22 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAII. L'Apocalisse



II. — L'Apocalisse

Accanto alle Epistole paoline, troviamo, nell'epoca in cui si scrivevano i Vangeli o nel periodo precedente, un'altra grande opera cristiana, dove si parla della carriera di Gesù: è l'Apocalisse.

lunedì 21 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZALe altre allusioni alla carriera di Gesù nelle Epistole paoline.



Le altre allusioni alla carriera di Gesù nelle Epistole paoline.

Abbiamo appena considerato i due passi delle Epistole paoline (e altri testi correlati) che ci sembrano apportare delle prove positive del fatto che la Passione di Gesù non corrisponde ad un fatto storico che si colloca durante il regno dell'imperatore Tiberio. Restano da esaminare i vari passi di queste Epistole — peraltro relativamente pochi in numero — dove si è creduto di vedere delle allusioni a episodi della carriera dolorosa del profeta ebreo Gesù. Se ne troverà lo studio nell'Appendice 2, dove, — dopo aver riassunto la critica generale al testo delle Epistole paoline, come l'hanno stabilita Turmel e Loisy, — abbiamo raggruppato queste allusioni sotto i seguenti titoli: l'appartenenza ebraica di Gesù e il problema dell'incarnazione; i fratelli di Gesù; i credi ebraici di Gesù; l'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli; varie allusioni alla Passione. Cercheremo di dimostrare che il significato storico ne è dubbio o negativo. Però i versi 3-11 del capitolo 15 della 1° Epistola ai Corinzi, — che menzionano la morte, la sepoltura e la resurrezione del Cristo al terzo giorno, così come le sue apparizioni ai primi cristiani e a Paolo, — saranno esaminati nel capitolo 4: «Gli inizi delle Chiese cristiane», dove esporremo i rapporti tra Paolo e la Chiesa di Gerusalemme.   

domenica 20 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAL'assegnazione del nome di Gesù negli Atti degli Apostoli.



L'assegnazione del nome di Gesù negli Atti degli Apostoli. 

Ancor più dell'intervento del principe di questo mondo nella morte del Figlio di Dio e della impiccagione del suo cadavere, l'assegnazione del nome di Gesù dopo il suo ritorno al cielo scompare dalla letteratura cristiana del II° secolo, in seguito all'adozione generale del racconto presentato dai Vangeli sinottici. Però lo stesso passo degli Atti degli Apostoli (5:30-31), citato più sopra, [75] sembra aver conservato anche a quest'ultimo riguardo la traccia della concezione primitiva: «Il Dio dei nostri padri ha resuscitato Gesù che voi avete fatto morire appendendolo al patibolo. Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo Capo e Salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati»

Così, secondo questo passo degli Atti, è Dio che ha reso Gesù Capo e Salvatore dopo il compimento della sua missione terrena; ora queste due nozioni di autorità e di salvezza sono contenute nel nome di Gesù. [76] Il verso degli Atti in questione deve essere confrontato ai versi dell'Epistola ai Filippesi e dei capitoli dell'Ascensione di Isaia che sono stati menzionati in precedenza. 

***
NOTE

[75] Pag. 58-59.

[76] «Il tetragramma ineffabile, Jahvé, ha per traduzione regolare nella Bibbia greca dei Settanta: Kyrios (Signore)», ha osservato COUCHOUD, Le mystère de Jésus, op. cit., pag. 81. Gli Atti impiegano i termini archègos (5:31), o archôn (7:35), il cui significato è apparente: capo, principe, re. Una nota della Sacra Bibbia, pubblicata sotto la direzione della Scuola biblica di Gerusalemme, segnala che l'espressione: «Capo e Salvatore» (Atti 5:31) «corrisponde a «Capo e Redentore», detto di Mosè come Figura di Cristo in Atti 7:35».

sabato 19 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAIl nome di Gesù nell'Ascensione di Isaia.



Il nome di Gesù nell'Ascensione di Isaia.

Anche a questo riguardo, l'Ascensione di Isaia è preziosa.

Quando Isaia, pervenuto nella sua visione, al sesto cielo, aveva desiderato salire fino al settimo, un angelo, posto alla testa degli angeli del sesto cielo, volle proibirgli l'accesso al cielo superiore; ma una voce si fece sentire, che permise al santo Isaia di salire.

L'angelo che lo accompagna gli spiega: «Colui che ti ha autorizzato», è «il Figlio di Dio»,  [65] «il tuo Signore, ma il suo nome [66] tu non puoi udire, finché non ti sarai spogliato di questa carne» (capitolo 9, verso 5). [67] Così, fin dall'inizio, l'autore dà al Figlio di Dio il titolo di Signore, e questo non è affatto il nome che Isaia non ha diritto di sentire.

Isaia sale un po' più in alto, ancora rivestito della sua carne, e l'angelo, suo compagno, gli dice, nel verso 13 dello stesso capitolo: «In verità, egli discenderà nel mondo alla fine dei giorni, il Signore che sarà chiamato Cristo [68] dopo che sarà disceso e che sarà divenuto simile alla vostra forma e che si crederà che è carne e uomo». [69] Così è rivelato ad Isaia l'appellativo di Cristo che il suo Signore, il Figlio di Dio, riceverà dopo la sua discesa nel mondo, ma non ancora il suo nome sacro.

Nel verso 30, Isaia è «trasfigurato e diviene come un angelo», e su ordine dell'angelo che lo accompagna, egli adora il Signore, Figlio di Dio, che aveva visto poco prima. 

Tuttavia «gli occhi del suo spirito essendo aperti», egli vede una «grande gloria», che il suo Signore stesso adora.

È il Padre del Signore, e nei versi 7 e seguenti del capitolo 10, Isaia racconta: «E udii la voce dell'Altissimo, il Padre del mio Signore, dire al mio Signore il Cristo, che sarà chiamato Gesù: «Esci e discendi tutti i cieli...». Dio traccia a suo figlio la missione che deve realizzare: discendere, trasformandosi, fino al mondo terreno, discendere fino alla dimora dei morti, [70] annientare i principi, gli angeli e il dio di questo mondo, che hanno rinnegato l'Altissimo, [71] risalire nella gloria al settimo cielo e assidersi alla destra di Dio.

La fine del capitolo 10 ripercorre la visione della discesa del Figlio di Dio, di cielo in cielo, fino alla terra; il capitolo 11 è dedicato alla vita terrena del Figlio di Dio: Isaia vede la sua crocifissione, la sua discesa verso l'angelo della dimora dei morti, la sua resurrezione, la sua risalita al settimo cielo e la sua glorificazione.

Non una sola volta, nel corso del soggiorno terreno del Figlio di Dio, il nome di Gesù è pronunciato; se si descrive la sua nascita soprannaturale, non è detto quale nome gli danno Giuseppe e Maria. [72] Questo nome è quindi menzionato, nel corso di tutta l'Ascensione di Isaia propriamente detta, in un solo verso, giusto poco prima che l'Altissimo enuncia la missione di suo figlio «il Signore Cristo, che sarà chiamato Gesù». [73]

Così, nell'Ascensione di Isaia, il titolo di Signore è dato fin dall'inizio al Figlio di Dio; l'appellativo di Cristo è legato al suo soggiorno in forma umana sulla terra; l'appellativo di Gesù, alla sua missione divina. Le indicazioni dell'Ascensione di Isaia convergono con quelle dell'Epistola paolina ai Filippesi. [74]

NOTE

[65] Le parole: «il Figlio di Dio» sono state tratte dal testo latino.

[66] Il testo latino reca: «nomen».

[67] Sul testo del verso, si veda più oltre Appendice 1, pag. 250.

[68] Si ricorderà che il Cristo è l'equivalente greco dell'ebraico il Messia, vale a dire l'Unto (del Signore). — Non si ha per questa frase che il testo etiope.

[69] Per il confronto di questo verso con un passo dell'Epistola ai Romani, si veda più oltre Appendice 2, pag. 259.

[70] Dove egli spoglierà l'angelo della morte, dopo l'annuncio fatto precedentemente dall'angelo, compagno di Isaia (capitolo 9, verso 16).

[71] Si veda più oltre, pag. 57-58: Il Principe di questo mondo nel Vangelo di Giovanni.

[72] Questa nascita è raccontata peraltro in termini tali che si potrebbe pensare che l'autore cristiano di questa parte dell'Ascensione di Isaia credeva che il Figlio di Dio non avesse rivestito che un'apparenza di uomo; è quel che osserva TISSERANT stesso, editore cattolico dell'opera (nota a 11:8-10), «nondimeno», aggiunge, «mi sembra che il racconto è solamente ispirato dal desiderio di esprimere nella maniera più categorica possibile la nascita verginale». — GOGUEL stima in Jésus de Nazareth, op. cit., pag. 116, nota 1, che il racconto della «nascita soprannaturale costituisce una chiara aggiunta e... è apparentato alle leggende... recenti», non raccolte nel Nuovo Testamento canonico, cioè ufficiale della Chiesa cattolica. Quel che ne sia a questo riguardo, ciò che importa qui, è che non è detto quale nome danno al neonato Giuseppe e Maria, punto che Goguel non ha rilevato. — Per l'apparenza di uomo rivestita dal Figlio di Dio, si veda sopra, pag. 69-70, e più oltre Appendice 2, pag. 259.

[73] Per l'esame dettagliato, a questo riguardo, del testo dell'Ascensione di Isaia, si veda l'Appendice 1.

[74] Non più che per l'interpretazione della crocifissione nell'Ascensione di Isaia, noi non possiamo indicare alcun riferimento (si veda pag. 54, nota 27), perché a nostra conoscenza, gli appellativi del Figlio di Dio nell'Ascensione non sembrano mai essere stati rilevati, almeno in Francia. GOGUEL, nella sua opera già citata, Jésus de Nazareth, pag. 117, constata «l'affinità tra il mito», che si trova «dietro l'interpretazione cristiana», dato dall'Ascensione di Isaia, «e l'Epistola ai Filippesi», seppure percependo tra loro delle differenze. Noi utilizzeremo più avanti (si veda pag. 124, nota 63) alcune delle osservazioni di Goguel.

giovedì 17 settembre 2020

LA PASSIONE DI GESÙ: FATTO DI STORIA O OGGETTO DI CREDENZAL'assegnazione del nome di Gesù nell'Epistola ai Filippesi.



L'assegnazione del nome di Gesù nell'Epistola ai Filippesi.

Il secondo passo paolino che andremo ora a considerare è tratto dal capitolo 2 dell'Epistola ai Filippesi: è costituito da versi di una grande bellezza sull'abbassamento volontario e l'esaltazione di Gesù Cristo.

«6. Lui che esisteva in forma di Dio, non ha considerato un tesoro geloso l'essere uguale a Dio.

7. Ma ha spogliato sé stesso, prendendo forma di schiavo, divenuto in sembianza d'uomo. E dall'apparenza, trovato come un uomo,

8. ha abbassato sé stesso, divenuto obbediente fino alla morte (la morte della croce). [46]

9. Per questo Dio lo ha esaltato, e gli ha donato il nome al di sopra di ogni nome,

10. affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, degli esseri celesti, terreni e infernali,

11. e ogni lingua confessi: Gesù Cristo è Signore, alla gloria di Dio Padre». [47]

Rileggiamo il passo essenziale per il nostro oggetto: «Per questo Dio lo ha esaltato, e gli ha donato il nome al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi...».

Quale è il nome con cui è esaltato? Per la posizione delle parole, non può essere che il nome di Gesù. Come può essere «al di sopra di ogni nome»? La ragione è che in ebraico Gesù [48] significa: «Jahvé che salva», Jahvé essendo esso stesso il nome sacro per indicare Dio, che un ebreo non aveva il diritto di pronunciare. Il nome di Gesù contiene quindi il nome che è al di sopra di ogni nome. [49]  Il suo prestigio, il suo stesso potere magico sono attestati da molti scritti del Nuovo Testamento. [50]

Senza dubbio, nel Vangelo di Matteo (capitolo 1, versi 20-21) l'angelo dice a Giuseppe: «Maria, tua moglie, ... partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché salverà il suo popolo dai suoi peccati». Ma se nei Vangeli, il primogenito dei figli di Maria riceve il nome di Gesù, come i suoi fratelli ricevono quelli di Giacomo, Iose, Giuda e Simone (secondo il Vangelo di Marco 6:3), nella Epistola ai Filippesi, è un essere derivante da Dio che, dopo aver preso sembianza di uomo e aver subito la morte, risorge e riceve da Dio, per ricompensare la sua obbedienza, il nome di Gesù. Ne consegue che Gesù è un nome di culto, che Gesù Cristo è una concezione religiosa, non un uomo storico. [51]

Loisy ha compreso così bene l'importanza dell'argomento che si è sforzato di confutarlo. Il testo, ha scritto, significa: «che ogni lingua confessa che Gesù Cristo è Signore, cioè colui che è chiamato Gesù e Cristo dai suoi fedeli è ora acclamato... come Signore, questo nome, ben compreso, essendo il solo al di sopra di ogni nome, poiché è il nome del culto di Dio, quello che rappresenta nella lettura dell'Antico Testamento il nome ineffabile (Jahvè), che nessuno deve pronunciare...». [52]

Così Loisy dichiara che il nome con cui Dio onora colui che gli ha obbedito fino alla morte non è «Gesù», che è menzionato subito dopo (e di cui Loisy omette di dire che contiene il nome di Jahvé), ma «Signore», che si trova molto più oltre. Loisy considera come un nome quello che, nel testo, non è che un titolo. Egli riconosce che «degli esegeti [53] che non sono miticisti hanno rilevato... la virtù magica del nome di Gesù o hanno addirittura ammesso che il nome di Gesù non sarebbe stato attribuito che al Cristo risorto. A mio umile avviso», dichiara, «vi è là un grave errore e che è di conseguenza...» [54]

Questi termini si riferiscono in particolare a Guignebert, la cui opinione è oscillata molto a riguardo del significato del nome di Gesù. Nel 1923, al Congresso Internazionale di Storia delle Religioni, analizzando i versi 9-11 del capitolo 2 della Epistola ai Filippesi, egli non rileva il significato in ebraico del nome di Gesù e afferma che il nome onnipotente è il nome di Signore, concesso da Dio a Gesù Cristo obbediente: «esso è portato alla fine di tutto il periodo», come «una conclusione di una storia». [55] Nel 1925, rendendo conto del primo libro di Couchoud, Le mystère de Jésus, egli non menziona i versi dell'Epistola ai Filippesi. [56] Nel 1933, nella sua opera Jésus, egli afferma chiaramente che il nome accordato in quella Epistola è il nome di Gesù. [57] «I miticisti», scrive in seguito, «hanno naturalmente cercato il loro vantaggio nelle considerazioni che ho appena riassunto e hanno tentato di basare su di esse una delle loro affermazioni relative alla natura mitica del Cristo Gesù. La loro conclusione va al di là dei testi, e non è per nulla necessario pensare che la sostituzione di un nome sacro ad un nome d'uomo smentisca l'esistenza di Gesù. Io non vado fino ad affermare che quella sostituzione si sia fatta, ma la credo probabile... Fin dalla costituzione della più antica tradizione, essa ha preparato la dimenticanza della vita di Gesù precedente alla sua resurrezione». [58] Ci si può, pertanto, domandarsi se sia «probabile» che quella «tradizione» abbia provocato la «dimenticanza» totale del «nome d'uomo» di Gesù.

Nel 1937, appare il secondo libro di Couchoud, Jésus le Dieu fait homme, al quale Guignebert disdegna di rispondere. [59] Egli prepara il seguito di Jésus, le Christ; in quest'ultima opera, alla traduzione del verso 10, «Affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi», Guignebert aggiunge tra parentesi: «cioè al nome che ha ricevuto Gesù da Dio», ossia, come si legge qualche riga più oltre nel commentario, «il nome di Signore». [60] Guignebert ritornava così alla sua interpretazione del 1923, senza dare alcuna spiegazione per il suo ripensamento. [61]

Conviene, d'altra parte, far conoscere a chi i vari critici attribuiscono i versi da 6 a 11 del capitolo 2 della Epistola ai Filippesi. Guignebert non mette in discussione la sua attribuzione a Paolo. [62] Turmel ritiene che i versi da 6 a 8 siano dovuti, intorno al 140, alla scuola dell'eretico Marcione, ma che un editore cattolico, venuto una ventina d'anni più tardi, vi abbia apportato alcune correzioni e vi abbia aggiunto i versi da 9 a 11. [63] Il protestante liberale E. Lohmeyer vede nell'insieme dei versi una sorta di poema mistico, inserito nel mezzo di una epistola primitiva dell'apostolo Paolo, e Loisy, che si schiera con questa opinione, pensa che l'inserzione sia stata fatta dai discepoli paolini della fine del I° secolo o dell'inizio del II°. [64] Ma, — come per il passo della 1° Epistola ai Corinzi, esaminata più sopra, — l'attribuzione classica all'apostolo Paolo dell'inno mistico dell'Epistola ai Filippesi non cambierebbe affatto il significato sopra descritto e lo rafforzerebbe perfino.

NOTE

[46] Si veda la nota seguente.

[47] Traduzione di LOISY, in Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament, pag. 91-92. Loisy adottava l'opinione del critico tedesco E. Lohmeyer (protestante liberale), che, «basandosi sulla corrispondenza ritmica delle due strofe (che costituiscono i versi 6-8 e 9-11), considera aggiunte, a mo' di spiegazione (alla fine del verso 8), le parole: «la morte della croce» (si veda LOISY, Histoire et mythe..., op. cit., pag. 76, nota 1).

[48] In greco Ièsous, in ebraico Jeschuah (si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 78).

[49] Siccome contiene anche il nome di «Salvatore», che è spesso dato a Gesù; si veda di seguito la citazione del Vangelo di Matteo.

[50] Si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 77, Le Christ, pag. 84 (si veda GOGUEL, Jésus, pag. 135). — Sul significato di «Nuovo Testamento», si veda GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 19-20: «Si chiama Nuovo Testamento una raccolta di ventisette scritti, reputati ispirati... La parola Testamento... significa, nella lingua ellenistica, innanzitutto alleanza, poi patto o trattato, e per estensione, disposizione divina o legge. È probabilmente quest'ultimo significato che ha nelle due espressioni parallele: l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento, che costituiscono le due parti della Bibbia cristiana.

[51] Ciò che doveva facilitare, in seguito, la confusione, è che da una parte, onoma in greco, come nomen in latino, è una parola che nel contempo indica un uomo ed esprime il suo stesso essere, e che d'altra parte, Gesù era all'inizio dell'era cristiana un nome molto comune tra gli ebrei (si veda GUIGNEBERT, Jésus, pag. 78, e la sua comunicazione del 1923 al Congresso Internazionale di Storia delle Religioni, citato più oltre, pag. 66, nota 55).

[52] LOISY, Histoire et mythe..., pag. 78, si veda la stessa opera, pag. 27.

[53] «È la critica, destinata a mettere a punto per la storia questi racconti oscuri e confusi, che si chiama propriamente l'esegesi (dalla parola greca exègèsis, che significa spiegazione)», ha scritto GUIGNEBERT, alla fine del paragrafo Les sources de l'histoire chrétienne primitive nel suo libro Le Christ, op. cit., pag. 39.

[54] LOISY, Histoire et mythe, pag. 27.

[55] Actes du Congrès (ottobre 1923), volume 2, pag. 296-297 e 315 (comunicazione riprodotta nella Revue d'histoire et de philosophie religieuse, 1923, si veda pag. 512-517 e pag. 532).

[56] COUCHOUD li aveva citati (pag. 120-122), ma non ne aveva rilevato l'importanza, riguardante la non-storicità di Gesù, con la stessa forza con cui doveva farlo nel 1937 nella sua opera Jésus, le Dieu fait homme, pag. 87-88, e il 1° settembre 1939 nella sua replica al libro di LOISY, Jésus, Dieu ou homme? (Nouvelle Revue Française, pag. 405). — GUIGNEBERT ha reso conto del libro Le mystère de Jésus nella Revue de l'Histoire des Religions, luglio-dicembre 1926, 47° anno, volume 94, pag. 215-247. 

[57] Jésus, pag. 77.

[58] Jésus, pag. 79-80.

[59] Si veda COUCHOUD, Le Dieu Jésus (Parigi, Gallimard, 1951), pag. 89. — Si veda sopra, pag. 66, nota 56.

[60] Si veda GUIGNEBERT, Le Christ, pag. 195-196.

[61] Questa interpretazione si ritrova alla pag. 350 del Christ di GUIGNEBERT. Ma quella pagina fa parte di una conferenza del 1933 (l'anno stesso della pubblicazione di Jésus), inserita alla fine dell'opera Le Christ, che era incompiuta alla morte dell'autore. — GOGUEL non pare aver discusso il problema del nome posto dall'Epistola ai Filippesi, né in Jésus de Nazareth (1925, si veda pag. 112-118), destinato a confutare il primo libro di Couchoud, né in La naissance du christianisme (1955), dove è semplicemente scritto che, nell'Epistola ai Filippesi, «il Cristo ha ricevuto il titolo di Signore».

[62] Non più di Goguel.

[63] Si veda l'Epistola ai Filippesi, edita nel 1928 da TURMEL, sotto il nome di DELAFOSSE, pag. 17-19, 29, 30.

[64] LOISY, La naissance du christianisme, pag. 27-28, e 335-336, Remarques..., op. cit., pag. 91-94, Histoire et mythe..., op. cit., pag. 75-79. È l'attribuzione fatta da Lohmeyer e Loisy che ci sembra la più probabile. Segnaliamo d'altra parte che, in un articolo della Revue de l'Histoire des Religions di marzo-giugno 1927, intitolato: «Le Jésus de Paul», ALFARIC aveva valutato che il testo dell'Epistola ai Filippesi (2:5-11) «combinava l'oracolo di Daniele (7:13-14) e quello del secondo Isaia (52:13; 53:12)» (si vedano gli estratti riprodotti nel Bulletin du Centre Ernest Renan, n° 52, marzo 1958).