venerdì 31 luglio 2020

Il cratere della comunione



IL CRATERE DELLA COMUNIONE

Questo rito così come il mito da cui è derivato richiederebbe molti commenti, ma dobbiamo saper limitarci. Limitiamoci a ricordare che questa eucarestia comportava necessariamente un calice (o un cratere, o un recipiente) per il miscuglio o la distruzione dell'acqua e del vino oppure per la preparazione del pane. Ma quel calice aveva forse un profondo significato simbolico.

Nell'antichità, il cratere di Dioniso era il calice della Natura, dove il demiurgo del Timeo plasmava l'anima del mondo; era il calice che dà la vita, la fonte dell'anima, calice che era considerato dai fedeli come loro madre. Presso gli Orfici, questo calice era doppio, o meglio, possedeva due aspetti e poteri. Era il calice dionisiaco dove l'anima si inebria, dimentica la sua natura celeste e prende il percorso verso la terra; era anche il calice della sapienza dove l'anima può riprendersi dalla sua prima ebbrezza, dove ritrova la memoria della sua origine e il desiderio di ritornare al cielo. [145]

Non si può allora sostenere che, nei vangeli, Gesù prega suo padre di allontanare da lui il calice delle amarezze terrene e che vi ha bevuto poiché lo si accusava di essere un beone (Matteo 11:19, Luca 7:34) e di essere «fuori di sé» (Marco 3:20-21). Quando compie a Cana il miracolo del vino e quando presiede la Cena, non resta nello stesso dominio simbolico?

Pensiamo che le indicazioni fornite sopra basteranno — anche se brevi e volutamente incomplete — a suggerire che nelle origini cristiane il significato dell'eucarestia ha potuto essere diverso da quello che ha trionfato (l'unico che conosce il fedele di oggi); intravediamo che il dio immolato che dava il suo sangue e il suo corpo era un bambino le cui membra erano smembrate. Il mito di Orfeo (Orfeo fu una figura di Cristo) rassomiglia molto a questo.

NOTE

[145] Platone credeva che Dio avesse dosato nel suo cratere la miscela dell'universo e diviso il tutto in un numero di anime eguale a quello degli uomini. Secondo questo simbolismo, si potrebbe pensare che Gesù ha bevuto dal calice delle amarezze o dell'ebbrezza per discendere dal cielo e che una volta risorto, egli bevve dal calice della Sapienza per ritornare al cielo.

giovedì 30 luglio 2020

Lunga durata di questo mito



LUNGA DURATA DI QUESTO MITO

Se alcuni dettagli del mito potrebbero essere scomparsi, il rito è sempre là, anche se il racconto della sua istituzione è cambiato. Si osserverà, tuttavia, che il ricordo del bambino divino si ritrova in opere scritte dodici secoli dopo i vangeli. Così, tra i romanzi della Tavola rotonda, ce n'è uno, La Ricerca del Santo Graal, che ci dice che l'ostia era «in forma di pane» e che Giuseppe, il primo vescovo dei Cristiani, la prese dal Santo Graal e «appena fece per raccogliere, discese dal cielo una figura in sembianze di bambino, e aveva il viso così rosso e ardente come fuoco. E si divise il pane, e coloro che erano nel palazzo videro chiaramente che il pane aveva la forma di un uomo carnale».

Allo stesso modo, in un altro romanzo, il Perlesvaus, Galvano nel castello del Re Pescatore scorge nel mezzo del Graal la forma di un bambino. In altri scritti si trovano miracoli dello stesso genere. Così, nel convento di Hemmenrode, un giorno in cui il santo monaco Enrico celebrava la messa sull'altare di san Giovanni il Battista, un presente vide nelle mani del monaco il Salvatore sotto forma di un uomo; un'altra volta, in quello stesso convento, mentre don Hermann diceva la messa, il fratello Enrico vide un bambino di una grande bellezza che, dalle mani del sacerdote, sembrava salire fino in cima alla croce, poi il bambino, prendendo l'apparenza del pane, fu l'ostia stessa con cui il sacerdote comunicò. [144]

Questi testi tardivi mostrano la persistenza di riti antichi e li confermano; permettono di considerare che le accuse lanciate contro i primi Cristiani — seppur essendo false — si basavano su un rito di comunione poco conosciuto perché segreto e nel quale il dio era un bambino.

NOTE

[144] Nel medioevo, numerosi racconti mostrano delle ostie che sanguinano e il Cristo bambino che assiste all'eucarestia. Così, la biografia di Basilio di Cesarea di Palestina, scritta intorno all'anno 1000, racconta che un ebreo venuto alla comunione vide, al momento dello spezzare del pane, un bambino smembrato la cui carne sanguinante fu mangiata. Una miniatura di un manoscritto della Biblioteca Nazionale (Emblemata biblica) rappresenta una figura di bambino in seno all'ostia, indicazione fornita da Grimonard de Saint Laurent nel suo Manuel de l'art chrétien, Parigi, 1878. 

mercoledì 29 luglio 2020

Sua eucarestia



SUA EUCARESTIA

Grazie all'Octavius di Minucio Felice, intorno al 200, conosciamo il contenuto di un opuscolo scritto contro i cristiani da Frontone, il maestro di Marco Aurelio: «Il racconto che si fa circa l'iniziazione dei nuovi adepti è così terribile quanto noto. Un bambino viene impiastricciato di farina per ingannare chi non sospetta di nulla ed è posto dinanzi a colui che deve essere iniziato ai misteri. Tratto in inganno dallo strato di pasta che lo copre, facendogli credere che i suoi colpi sono inoffensivi, il neofìta uccide il bambino con delle ferite invisibili e nascoste. Oh sacrilegio! essi leccano avidamente il sangue, se ne disputano a gara le membra, con questa vittima cementificano il patto, con tale complicità nel delitto si impegnano ad un eterno silenzio!» [142]

In realtà, doveva trattarsi di un'eucarestia a base di pane, quest'ultimo che aveva la forma di un bambino e che riceveva dei colpi di coltello prima di essere spezzato e distribuito in frazioni ai partecipanti. 

Verso lo stesso periodo (180-200), Tertulliano scriveva nel suo Apologetico (capitolo 7): «Si dice che nei nostri misteri noi sgozziamo un bambino e che lo mangiamo... qualcuno ha udito le grida di questo bambino che noi immoliamo?». E aggiunge: «I Cristiani si sono proibiti nei loro pasti il sangue degli animali... ed essi si sarebbero compromessi col sangue dei loro simili?». Questa non è una risposta; Tertulliano non nega assolutamente che ci sia un fondamento per quella accusa, ma se non ne dice nulla è perché si tratta di un rito misterico sul quale è obbligato a mantenere il segreto. 

La persistente accusa pagana [143] contro i primi Cristiani di mangiare un bambino nel corso dei loro riti si basava molto probabilmente sull'usanza di mangiare un pane cotto o una brioche infarinata a forma di bambino.

Immagini di pasta, cotte o no, figuravano nei sacrifici dell'antichità; e se rappresentavano un bambino o un adulto e venivano mangiate religiosamente.

Se leggiamo la Città di Dio di Sant'Agostino (Libro 18, Capitolo 53 e 54), apprendiamo dei fatti singolari: «Gli adoratori di molti e falsi dèi... immaginarono allora non saprei quali versi in greco che sarebbero stati fatti udire durante la consultazione di un oracolo... Soggiungono che Pietro ha compiuto atti di stregoneria perché il nome di Cristo fosse venerato per altri trecentosessantacinque anni; quindi, terminato questo numero di anni, il suo culto senza indugio avrebbe avuto fine... Questo è il buon senso dei dotti. Questo è l'ingegno di voi, persone colte, disposte a credere certe cose del Cristo, sebbene non volete credere nel Cristo... Pietro sarebbe stato uno stregone capace di malefici...  Che razza di dèi sono questi che possono prevedere ma non impedire tali fatti perché soggiacciono a uno stregone e al suo misfatto malefico. Con esso, dicono, un bimbo di un anno fu ucciso, squartato e sepolto con un rito infame per permettere che la setta, a loro avversa, potesse essere in vigore per un lungo tempo... e giungere all'annientamento dei loro idoli...».

La stessa accusa era lanciata contro i Montanisti e i Catafrigiani, ma Agostino non doveva difendere quelle sette; tuttavia ne parla (De haeresibus 26:28): «Si dice che abbiano dei sacramenti spaventosi: si racconta infatti che prelevino il sangue a un neonato di un anno mediante piccole punture su tutto il corpo, lo impastino con la farina e ne facciano un pane che utilizzano per celebrare così una sorta di eucarestia. Se poi il bambino muore, viene considerato da loro come un martire; se invece sopravvive, ne fanno un sommo sacerdote».

Qui, Agostino è piuttosto tendenzioso ma la sostanza dell'argomento resta la stessa. 

Prima di Agostino, anche Girolamo aveva fatto allusioni in questo senso ma con più prudenza; scriveva nell'Epistola a Marcella: «Io passo sotto silenzio i terribili misteri che si racconta combinino su un bambino alla mammella che diventa martire se vive. Preferisco non credere a queste infamie; ammettiamo che quella che è accusa sanguinosa sia menzogna».

Alla fine del IV° secolo, Filastro di Brescia dirà a proposito dei Montanisti, riportando un sentito dire, che «al momento della Pasqua fanno un miscuglio per i loro sacrifici con il sangue di un bambino e ne mandano dappertutto ai loro satelliti perniciosi e bugiardi».

Ciò che sembra curioso, secondo una delle citazioni di sant'Agostino, è il fatto che San Pietro sia stato accusato dello stesso crimine di magia di Simone di Samaria, il suo presunto avversario. Ciò prova che, quali che siano le loro origini, i Cristiani erano tutti accusati dello stesso crimine. 

In ogni modo, questo rito di «ricostituzione» del dio-bambino sotto forma di pane, del suo frazionamento e del suo consumo da parte dei fedeli rimane ancora molto vicino a quello dell'eucarestia come viene praticato ai nostri giorni; Gesù è sempre «il pane della vita disceso dal cielo» e questo pane è «il suo corpo».

NOTE

[142] Confrontare con la nostra nota sull'eucarestia sopra, pagine 143-145.

[143] Oltre Minucio Felice e Tertulliano, si vedano Giustino Martire (Apologia 1:26 e 2:12), Eusebio (Storia ecclesiastica 5:1), Atenagora (Apologia 3), Origene (Contro Celso 6:27).

martedì 28 luglio 2020

Il sacrificio del dio bambino



IL SACRIFICIO DEL DIO BAMBINO

Si trovano egualmente nelle scritture cristiane le tracce di un altro mito che ha dovuto essere importante ma che è stato scartato dalla Chiesa e che ora è completamente dimenticato. Non ne rimane che una traccia nei nostri vangeli quando il re Erode vuole far mettere a morte il re bambino appena nato e organizza il massacro degli Innocenti. Il commentario di questo mito richiederebbe lunghi sviluppi che non hanno il loro posto in questo libro, ma sembra nondimeno utile farvi una rapida allusione per meglio comprendere le origini di certi riti. [140]

Sappiamo che Simon Mago e i suoi discepoli erano cristiani, presumibilmente prima dei fedeli della Grande Chiesa; ma leggiamo nelle Omelie Clementine (2:26) che Simone aveva separato l'anima dal corpo di un bambino e ne aveva fatto il suo collaboratore per la produzione di fenomeni straordinari. Simone stesso ammetteva, secondo i Riconoscimenti Clementini (2:13-19), che aveva risorto un bambino morto o creato un uomo nuovo allo stato di infanzia.

D'altra parte, Valentino pretendeva che un bambino appena nato gli fosse apparso e gli avesse insegnato che era il Logos. [141] L'immagine di un bambino innocente si ritrova tra gli Ofiti, e serviva da talismano all'anima umana per la traversata di certe porte dei cieli, in particolare per passare davanti a Iao e davanti a Horos.

NOTE

[140] Si veda Bulletin Renan, n° 37, giugno 1956 : Un rite de Simon le Magicien.

[141] Clemente di Alessandria pensava lo stesso e dava un grande ruolo al Logos bambino.

lunedì 27 luglio 2020

I vangeli hanno cambiato l'ordine delle scene mitiche



I VANGELI HANNO CAMBIATO L'ORDINE DELLE SCENE MITICHE

È così che il R.P. Daniélou [139] segnala un fatto che constata nell'Epistola dei Dodici Apostoli: l'insegnamento di Gesù sulla carità fraterna si trova situata prima dell'Ascensione e non prima della Passione come indica Giovanni; quella constatazione lo induce a pensare che esisteva una tradizione che poneva dopo la Resurrezione i discorsi che Giovanni «per oscure ragioni» ha situato dopo la Cena. Ma non vi è là alcuna oscurità. È il Cristo risorto che insegna ai suoi discepoli negli Inferi o sulla terra.

Bultmann (Théol. du N.T.) ritiene che la trasfigurazione di Gesù sia un racconto posteriore alla crocifissione ma che è stato anticipato nella vita «umana» di Gesù.

Allo stesso modo, Alfred Loisy — che teneva tanto al Cristo umano — ha fatto numerose osservazioni in questo senso. Ecco, per esempio, alcune citazioni dal suo penultimo libro su Les origines du Nouveau Testament:

Sembra infinitamente probabile, se non del tutto certo, che una buona parte delle informazioni che sono state raccolte nei vangeli canonici, anche di quelle che sono state incorporate nella predicazione di Gesù, hanno cominciato coll'essere insegnamenti del Cristo risorto, del Cristo-Spirito, considerati ricevuti in visione dai suoi organi i profeti (pag. 49).

Ciò che rende particolarmente interessante quella compilazione escatologica (l'Apocalisse di Pietro) è che comprende... elementi considerevoli che la catechesi evangelica ha anticipato nella carriera terrena di Gesù (pag. 55). 

L'apostolato è stato inteso dapprima come un'istituzione del Gesù risorto (pag. 84).

È provato in maniera categorica che i profeti cristiani hanno profetizzato a lungo nel nome di Gesù Cristo immortale e senza evocare gli insegnamenti che Gesù avrebbe dato prima della sua morte (pag. 54).

Tutto questo sfoggio di manifestazioni messianiche nella carriera di Gesù appartiene a una fase secondaria della fede cristiana in cui si è introdotta coscientemente nella vita terrena di Gesù una gloria che, di fatto, non era venuta che al risorto (pag. 339).

...da cui risulta il sospetto che i discorsi escatologici dei Sinottici e la parabola del fico sterile in Luca (13:6-9) siano stati concepiti dapprima come insegnamenti del Cristo risorto (pag. 56). ... La scena della Trasfigurazione nei Sinottici è un'anticipazione di quella che era ... l'assunzione di Gesù al cielo davanti ai discepoli sul Monte degli Ulivi... anticipazione fatta deliberatamente per trasporre nella carriera terrena del Cristo una rivelazione passeggera della sua gloria futura (pag. 57). La scena della tentazione nel deserto rappresenta un'altra anticipazione (pag. 127). — Pietro che cammina sulle acque per ricongiungersi al Cristo, tratto meraviglioso che ha dovuto appartenere, come il corpo stesso dell'aneddoto, al ciclo della resurrezione (pag. 141).

La nostra opinione è vicinissima a quella di Loisy, ma noi diamo alla parola risorto un altro significato rispetto a quello che è costantemente accettato. Loisy intende con questa parola un morto che è stato richiamato in vita, cioè un uomo che è realmente vissuto sulla terra e che è stato divinizzato dopo la sua crocifissione.

Noi riteniamo al contrario che risorto significa «risalito al Cielo»; per noi si tratta del dio di apparenza umana che è venuto qualche tempo a mescolarsi agli uomini per affidare loro i segreti della salvezza, poi li ha lasciati, una volta compiuta la sua missione, per ritornare nella sua dimora celeste. Quella ipotesi, basata su un mito, non impedisce peraltro di tener conto delle parole o delle azioni prestate a Gesù, ovvero dei precetti, dei consigli, dei riti messi sotto il suo nome.

Se, come pensiamo, queste indicazioni sono corrette, andrebbe ristabilito l'ordine degli eventi nei vangeli. Si dovrebbe respingere come non primitivi i passi relativi alla nascita di Gesù e, come non storico, il soggiorno del Cristo in Palestina. Il seguito degli episodi primitivi poteva rassomigliare a quanto segue: Gesù, disceso dal cielo, insegna agli uomini (forse per quaranta giorni) che esiste un mondo diverso da quello in cui essi sono rinchiusi; egli è arrestato dalle Potenze del Male, giudicato da esse, condannato, ucciso in simulacro o in effigie (immagine, albero, statua o sostituto animale o umano); al termine dei tre giorni il suo corpo è tolto dalla croce, unto, battezzato, e il dio è risorto. Egli presiede un pasto sacro e ritorna al cielo. I cieli si aprono per accoglierlo e una voce divina lo proclama Figlio di Dio. La sua entrata trionfale nella Gerusalemme di lassù fu anche oggetto di una descrizione. 

A questo primo racconto appartengono necessariamente i miracoli, le predicazioni (ai morti), l'unzione, la Trasfigurazione, ecc.

Più tardi, la Chiesa, avendo avuto bisogno di giustificare la propria esistenza rifacendosi al Cristo stesso, gli fece fare una sosta sulla terra al momento della sua Ascensione perché designasse discepoli e apostoli e li incaricasse di diffondere il suo insegnamento. Essa aggiunse al tema primitivo degli esorcismi, delle parabole, delle prescrizioni sul digiuno, sul divorzio, sul puro e sull'impuro; più tardi ancora inserì nei vangeli i genitori di Gesù, i Farisei, Giovanni il Battista, Erode, Pilato, il Figlio di Davide e il Figlio dell'uomo.

Un testo dell'anno 100 circa ci mostra all'opera gli scribi cristiani. Si tratta dell'Ascensione di Isaia. Questo libro è una raccolta di testi che sono essi stessi pieni di interpolazioni. Il personaggio divino che discende dal cielo era il Figlio o il Signore o il Prediletto; i nomi di Cristo e di Gesù vi furono aggiunti nell'intenzione evidente di identificare il Gesù Cristo cristiano con l'essere celeste gnostico che non aveva nome e che, secondo il testo primitivo, doveva restare sconosciuto ai sette cieli e agli uomini di carne. Questo «eletto» doveva annientare i principi e gli dèi del mondo alla fine dei giorni e risalire al cielo con le anime dei giusti.

In questo libro, l'aggiunta dei testi più eloquente, l'ultima, si colloca da 11:2 a 22; essa ci fornisce il breve racconto della vita terrena di un bambino di cui né il nome né lo status sono divulgati. La Vergine Maria gli dà nascita dopo due mesi di gravidanza e si reca a Nazaret con il bambino e suo marito Giuseppe. Divenuto grande, questo figlio realizzò miracoli ma è consegnato al re da Israele e crocifisso; egli risorge dai morti, dimora qualche tempo sulla terra e risale al cielo.

Questo racconto ci offre uno strato della leggenda cristiana precedente a quello dei vangeli. Esso non menziona né Betlemme, né la fuga in Egitto, né l'insegnamento di Gesù, né il battesimo o l'eucarestia, né Giovanni il Battista o Barabba, né Erode o Ponzio Pilato, né Giuda o i sommi sacerdoti, né il processo, né la sepoltura, né Pietro, Giacomo o Giovanni, né le pie donne. Il dio si incarna in due mesi; invece di essere vittorioso egli è ucciso; la sua crocifissione non è descritta.

Maria resta vergine dopo la nascita del bambino; Giuseppe è dato come discendente di Davide ma rimane un illustre sconosciuto; il bambino, nato miracolosamente come un dio, non ha nome, non più del re che deve ucciderlo e che è probabilmente l'arconte di un cerchio cosmico. L'autore di questo piccolo riassunto non sapeva certamente che i magi e i pastori erano venuti ad adorare il bambino.


Comunque, grazie a questi pochi dati, un embrione di racconto storico sarebbe riuscito a formarsi; l'interpolazione cristiana nell'Ascensione di Isaia costituisce un collegamento tra il mito gnostico della discesa di un Salvatore da una parte, e la leggenda del futuro Gesù Cristo dall'altra parte. Sfortunatamente l'interpolazione, per far posto a sé stessa, ha dovuto espellere dal testo il soggiorno del Signore sulla terra o negli Inferi; non abbiamo niente più che la discesa e l'ascensione, oggi separate da un racconto che ci mostra i timidi inizi della «fabbricazione» del Gesù Cristo evangelico. 

NOTE

[139] Théologie du christianisme, pag. 276-277.

domenica 26 luglio 2020

Conseguenze di questo mito



CONSEGUENZE DI QUESTO MITO

Il mito essendo infinitamente più antico dei vangeli, e costoro avendolo adattato alle loro convenienze, non è impossibile svelare come è stato utilizzato e interpretato.

Originariamente, esso doveva presentarsi come segue:

Al tempo della fine del mondo, il dio Gesù discende dal cielo. Egli prende la forma degli abitanti di ciascun cielo per non essere riconosciuto dagli arconti che reggono le sfere planetarie, la sua ultima forma essendo quella di un uomo. Nonostante la sua apparenza sia umana, il suo corpo non è per nulla fatto di carne e di sangue, ma di una sostanza misteriosa non soggetta alle leggi del mondo materiale. Il suo scopo è di rivelare i misteri della salvezza alle anime dei morti che lo attendono nello Sceol (e che egli libererà) e, forse, anche agli uomini. Quella rivelazione agli uomini è lontana dall'essere assicurata nei testi primitivi, soprattutto se si tratta di dottrine segrete appartenenti ai misteri, ma — alla vigilia della fine del mondo — alcuni iniziati si sono forse creduti autorizzati a svelare una parte di questi misteri agli uomini che ne giudicavano degni.

Gesù, avendo preso la forma di un uomo, è preso per tale; egli è arrestato alla porta stessa dell'Inferno; è in effetti per la Valle del Cedron o Valle di Giosafat o del Giudizio finale che si penetrava nell'Inferno; l'arresto di Gesù in quel luogo era del tutto indicato.

Gesù è giudicato, condannato; il mito non diceva probabilmente come il dio era ucciso, ma doveva mostrarlo crocifisso. Dopo tre giorni, egli riceveva il battesimo di morte ed egli resuscitava grazie alle acque della Vita. Ignoriamo come e da chi egli era battezzato. Giovanni il Battista (morto e disceso agli Inferi prima di Gesù) ha potuto giocare un ruolo in questo episodio. 

Gesù si metteva allora a predicare agli spiriti imprigionati, e poi risaliva al cielo con la sua croce e la sua tunica di luce, accompagnato dalle anime di pochi giusti. [137]

In una seconda versione del mito, quella dei vangeli, l'Ascensione ebbe luogo in due fasi. Si voleva che Gesù abbia avuto il tempo di affidare un messaggio, una dottrina, una missione, agli uomini che lo rivendicavano. Si interruppe dunque la sua Ascensione per farlo soggiornare sulla terra qualche tempo. Una confusione facilitò questa «rettifica» teologica. Quando Gesù era ritornato nella Gerusalemme celeste, si trattenne Gerusalemme semplicemente, vale a dire la città di Giudea. I morti approfittarono di questa sosta sulla terra poiché — e questo è Matteo che lo attesta in 27:53 — in quella occasione, i cadaveri dei santi resuscitarono, uscirono dalle tombe, entrarono nella città santa e apparvero a un gran numero di persone. [138]

Non si potrebbe insistere troppo sull'importanza, estrema e grave, di quella modifica nel mito poiché è essa che permise la trasformazione del dio Gesù in uomo e di un racconto sacro in resoconto storico. Dall'istante in cui la scena si spostava dall'Inferno sulla terra, e il dio cedette il posto ad un uomo, fu necessario trovare da qualche parte gli elementi della biografia di quell'uomo sconosciuto veramente «caduto dal cielo»; si fecero imitazioni un po' dappertutto ma se ne fecero soprattutto dai racconti che si possedeva sull'attività di Gesù agli Inferi.

NOTE

[137] Si veda Cahier du Cercle Ernest-Renan, n° 42; Un Mythe chrétien primitif, 1964.

[138] Ciò poté aver luogo al momento della guerra del 66-70.

sabato 25 luglio 2020

Perennità dei miti



PERENNITÀ DEI MITI

Se la leggenda di Ishtar (come quella di Marduc o quella delle Sacee) è una delle fonti del mito cristiano, ci si può stupire della sua trasmissione e della sua persistenza attraverso un millennio. Tuttavia, quella perennità di miti e di riti era comune nell'antichità; molti esempi potrebbero esserne forniti. Per quanto riguarda la presente ipotesi, possediamo diverse pietre miliari che stabiliscono la lunga durata di certi fatti religiosi.

a) La regina dei cieli babilonesi è stata conosciuta dagli Ebrei seicento anni prima della nostra era. Leggendo Geremia (7:18 e 44:17-25) apprendiamo che nelle città di Giuda e nelle strade di Gerusalemme i bambini raccoglievano la legna, i padri accendevano il fuoco e le donne impastavano la pasta per preparare torte per la Regina del Cielo e offrirle libagioni.

b) Da Epifanio (Haer. 78-23, 79:1, 18) sappiamo che in questi stessi luoghi, e anche a Patros in Egitto, la dea (sotto il nome di Vergine Maria) si vedeva offrire lo stesso culto da alcuni Cristiani, i Colliridiani (originari della Tracia e dell'Arabia), questo nel IV° secolo della nostra era.

c) La setta di Simon Mago, attestata dal Nuovo Testamento, è stata certamente un intermediario tra Ishtar-Iside e il cristianesimo. Simone discese dal cielo a Tiro, patria di Iside, per liberare Elena.

d) Non dimentichiamo che l'evangelion di Marcione cominciava con la frase seguente: «L'anno 15 del regno di Tiberio, Gesù Cristo, figlio di Dio, discese dal cielo...»

e) Esiste un testo babilonese che, almeno ai nostri occhi, riveste un'importanza che non è forse stata menzionata finora; lo si trova nella leggenda di Nergal, il dio della Peste. Ecco il brano: «La riva contro la riva, Elamiti contro Elamiti, Cassiti contro Cassiti, Kutei contro Cutei, nazione contro nazione, casa contro casa, uomo contro uomo, il fratello non farà grazia al fratello, essi si uccideranno a vicenda».

Le regioni citate sono le più vicine a Babilonia, quelle che dovevano essere abbandonate alla guerra e all'anarchia fino al momento «in cui sarebbe venuto l'Accadico a rovesciare tutto e a conquistarle tutte». Si tratta del trionfo di Hammurabi, re di Babilonia, che è predetto in quella parte del poema. 

Ora, di fronte a un testo del genere, si è irresistibilmente costretti a evocare alcuni passi di Marco (13:8, 12): «Si leverà infatti nazione contro nazione, regno contro regno... Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio». Anche se Marco è andato a cercare l'idea in Isaia (19:21), che l'aveva attinta da un testo babilonese, l'influenza di questo testo antico non è meno certa. 

venerdì 24 luglio 2020

Discesa di un essere celeste sulla terra



DISCESA DI UN ESSERE CELESTE SULLA TERRA

È una antichissima concezione religiosa quella della discesa di una divinità nelle profondità del Cosmo per venirvi a liberare dall'Ade alcuni dèi o alcune anime. 

Quella discesa di un dio salvatore sulla terra era perfettamente conosciuta negli ambienti religiosi dei primi due secoli della nostra era. Ireneo ci racconta la storia (Adver. haer.) di Simon Mago (o il Samaritano) che, considerato da alcuni come un uomo, era per altri la Suprema Potenza di Dio conosciuta dagli ebrei come «il Figlio», dai Samaritani come «il Padre», altrove come «lo Spirito Santo». Simone venne sulla terra per liberare la Sapienza (Elena, Ennoia) caduta dal cielo ed incarnata per molti secoli in corpi successivi. In ciascun cielo che doveva attraversare, egli prese una forma diversa (quella degli abitanti e arconti) al fine di rimanere nascosto alle potenze angeliche.

Anche qui, vi si ebbe imitazione da parte di Gesù. La discesa del Cristo negli Inferi fa parte di una antichissima tradizione della Chiesa; è riportata in particolare da Clemente di Alessandria, Tertulliano, Ireneo, sant'Agostino; è conosciuta da Giustino e da Celso. L'Epistola agli Efesini (4:9) sa che «il Cristo è disceso alle regioni inferiori della terra». L'Epistola ai Romani dice: «tra i morti» (10:7). In Atti (2:24) leggiamo che Dio ha risorto il Cristo liberandolo dalle afflizioni dell'«Ade». Molti manoscritti hanno sostituito questa parola con «la morte», ma la parola «Ade» è sopravvissuta in alcuni manoscritti e si ritrova nei versi seguenti degli Atti (27 e 31). Secondo il Vangelo di Pietro e la Epistola di Pietro, Gesù andò a predicare ai morti in prigione; secondo gli Atti di Tommaso, Gesù scosse il potere dei Principati nell'Ade; ancora altri scritti ci fanno assistere alla vittoria di Gesù su Satana e alla liberazione delle anime tenute fino ad allora prigioniere. Secondo il Testamento di Levi (4:1), le rocce si spaccano, il sole si oscura, l'Inferno è svuotato al momento della Passione dell'Altissimo. Alcune di questi tratti sono restati nei nostri vangeli, ma la vittoria cosmica del Cristo è scomparsa.

L'Ascensione di Isaia (9:13-17), che risale al I° e al II° secolo, contiene la predizione seguente: «Egli discenderà nel mondo alla fine dei giorni, il Signore che sarà chiamato Cristo dopo che sarà disceso e che sarà divenuto simile alla vostra forma e che si crederà che è carne e uomo... E il Principe di quel mondo ucciderà il Figlio di Dio  e lo sospenderà all'albero... ed egli ascenderà il terzo giorno con molti giusti». Noi teniamo là — e a quale data! — un puro mito che annuncia la venuta sulla terra al momento della fine del mondo di un dio che sarà preso per un uomo.

Questa stessa opera fornisce (in 10:7-12) forse una versione più antica del mito: «E io udii la voce dell'Altissimo... che diceva al mio Signore il Cristo... Esci e discendi tutti i cieli... e tu ti trasformerai secondo la forma degli angeli... al fine di giudicare e annientare i principi e gli dèi di quel mondo e il mondo dominato da loro... in seguito, dopo che tu sarai morto e risorto, tu ascenderai al tuo posto... nella gloria... alla mia destra e i Principi e le Potenze di quel mondo ti adoreranno».

Un'altra versione del mito rivela che il Cristo è venuto ad insegnare agli uomini la via e i mezzi della salvezza. Ippolito di Roma, nella sua Confutazione delle eresie, ci ha trasmesso il testo di una preghiera gnostica venuta dalla setta dei Naasseni e che recitava Gesù: «Guarda, o Padre, l'anima erra ancora sulla terra lontana dal tuo respiro; cerca di sfuggire al Caos amaro e non vede in che modo salvarsi. Per questa ragione, Padre, mandami! Avendo i sigilli scenderò, tutti gli eoni percorrerò, tutti i misteri rivelerò, le forme degli dèi mostrerò, e i segreti della sacra Via, che chiamerò Gnosi, trasmetterò».

Quando intraprese questo viaggio pericoloso, il Cristo non faceva che seguire l'esempio delle divinità pagane che lo avevano preceduto agli Inferi. Certo, i critici cristiani manifestano molta ingegnosità e insistenza nel segnalare numerose differenze nei dettagli, ma perdono di vista, volontariamente, il tema centrale al fine di sostenere che il cristianesimo è tanto integralmente originale quanto il suo preteso fondatore.

Ma non si può negare che attraverso la diversità delle circostanze e delle interpretazioni, vi sia una permanenza del tema fondamentale.

Citeremo solo l'esempio di Ishtar, divinità babilonese e assira che fu adorata a Canaan, Moab, Arabia del sud, Abissinia. In alcune regioni (Abissinia, Arabia, ecc.) divenne una divinità maschile quando la civiltà passò dal sistema matriarcale al tipo patriarcale. Era la dèa della creazione e dell'amore, dell'acqua e della vegetazione. Dalla sua leggenda dalle numerose avventure, non tratteremo che due racconti riguardanti la sua discesa negli Inferi. 

Secondo il primo, Ishtar vuole andare a piangere nell'Ade sulle anime dei morti e, in particolare, su Tammuz. Non può entrare negli Inferi se non spogliandosi delle sue vesti e ornamenti al passaggio di ciascuna delle sette porte; arriva nuda e disarmata, prigioniera e malata davanti alla regina degli Inferi. È allora che un inviato del dio Ea emerge, esige dell'acqua viva e ne cosparge Ishtar; quest'ultima riprende le forze e ritorna al cielo recuperando a ciascuna porta le sue vesti e i suoi ornamenti. 

Secondo il secondo racconto, Ishtar si precipitava dal cielo e minacciava di rompere (o abbattere) le porte degli Inferi per liberare Tammuz; vi ci riuscì e Tammuz era poi cosparso con l'acqua della vita.

Quella leggenda, che risale forse a sette secoli prima della nostra era, proviene direttamente da un racconto sulla dea Inana che, mille anni prima di Ishtar, era la regina del cielo. Ai dettagli dati su Ishtar, bisogna aggiungere quanto segue: fu processata negli Inferi da sette giudici, condannata, uccisa, appesa al legno per tre giorni e tre notti ma, poiché il dio supremo aveva bisogno di lei, diede l'ordine di versare sul suo corpo del nutrimento e dell'acqua viva; così Inana risorse dai morti e ascese al cielo.

Non si potrebbe contestare che la discesa del Cristo gnostico attraverso i sette cieli corrisponda a quella di Ishtar; anche lui voleva liberare le anime imprigionate nel mondo materiale; egli fu giudicato e appeso al legno; fu battezzato col battesimo di morte e di resurrezione, ovvero cosparso di acqua comune, simbolo di purezza e di vita.

giovedì 23 luglio 2020

Un Cristo femminino



UN CRISTO FEMMININO

La Pistis Sophia fa una chiarissima allusione all'annientamento degli Arconti cosmici da parte di Gesù: «Ed ecco che, quando tutti coloro che si trovavano nei dodici eoni ebbero visto la grande luce che era su di me, essi caddero tutti nell'agitazione gli uni contro gli altri e corsero da tutti i lati nei cieli... e accecati dalla luce non sapevano contro chi lottavano... e mentre lottavano contro la luce ecco che furono tutti assieme spogliati della loro forza e precipitati negli eoni e furono come degli abitanti della terra morti e senza soffio di vita. E io ho tolto da tutti un terzo della loro forza per impedirli di portare a termine le loro malvagie azioni...» (capitoli 14 e 15). 

La rassomiglianza con la favola sopra citata è innegabile. Gesù si sostituisce alla dea-madre (divenuta Vergine di Luce) ma il riso degli dèi è sostituito dalla loro agitazione e la bellezza femminile dalla luce. Pia ma ridicola trasposizione perché gli arconti si svuotano della loro forza non più a causa della bramosia appassionata da cui sono colti per la dea, ma perché Gesù è più luminoso di loro stessi!

È anche attestato dall'esempio seguente che il Cristo ha preso, in certi casi, l'apparenza di una dea. Secondo Epifanio (adv. haeres. capitolo 48), una profetessa montanista Priscilla (o Quintilla) essendosi addormentata a Pepuzza, in Frigia, vide in sogno il Cristo apparirle sotto forma di una donna vestita con un mantello di un bianco abbagliante che le rivelò che la Gerusalemme celeste era discesa in quel luogo. Ciò non dovrebbe sorprenderci, perché abbiamo già visto lo Spirito Santo manifestarsi sotto forma di una gigantessa, che gli angeli erano dei giganti e che, secondo Gesù, erano ermafroditi. [136]

Pensiero strano per i Cristiani del XX° secolo, ma loro dovrebbero sapere che, poco dopo l'anno 400, il vescovo Sinesio compose inni dove, rivolgendosi a Dio, diceva: «Tu sei Padre e tu sei Madre, tu sei maschio e tu sei femmina...».

Questa idea è vicinissima a quella espressa nel vangelo di Tommaso (118) da Simon Pietro: «Maria si allontani di mezzo a noi, perché le donne non sono degne della vita». Gesù disse: «Ecco, io la trarrò a me in modo da fare anche di lei un maschio, affinché anche lei possa diventare uno spirito vivo simile a voi maschi. Perché ogni donna che diventerà maschio entrerà nel Regno dei cieli».

Notiamo infine che, nelle società matriarcali, i bambini non hanno un padre conosciuto, ma un padre adottivo; ma questo è proprio il caso di Gesù, il cui padre — Giuseppe — gioca a malapena un ruolo episodico di comparsa nel Nuovo Testamento.

NOTE

[136] Marco 12:25: «Quando resusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli».

Epistola ai Galati 3:27 : «Battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo... non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».

Genesi 1:27: «Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina».

La questione degli dèi ermafroditi e del simbolo androgino è vastissima; il libriccino di Marie Delcourt: Hermaphrodite edito alle «Presses Universitaires» costituisce un'eccellente introduzione all'esame di questo problema. 

mercoledì 22 luglio 2020

La dea-madre



LA DEA-MADRE

Chi sospetta oggi che Gesù, come altri dèi, si sia impossessato dei miti di una dèa-madre? O, in ogni caso, che sia stato coinvolto molto da vicino in questi miti?

Ricorderemo nelle pagine seguenti il mito della discesa del dio Gesù sulla terra e negli inferi; ora, in questo mito Gesù sostituisce un'antica divinità femminile. 

Secondo la Sophia di Gesù, manoscritto copto di una setta gnostica, il Salvatore avrebbe detto: «Io ho sciolto le catene... Ho infranto le porte degli Impietosi e gli ho umiliati... io vi ho rivelato il nome del Perfetto e tutta la volontà della madre degli angeli». [134]

Nel Libro segreto di Giovanni, la potenza celeste che viene a liberare il primo uomo non è Gesù, ma è la madre celeste. Secondo i Philosophoumena, al momento del battesimo di Gesù, «il Logos della Madre in alto, di Sophia (la Sapienza) discese su di lui sotto forma di una colomba, il corpo psichico lo ricevette e ne fu risvegliato dai morti»

È esistito un mito femminile della creazione del mondo, ma quando il dio maschio divenne il padrone supremo, si impossessò della leggenda femminile e se la applicò, non senza portare a grossolani controsensi che oggi fanno sorridere.

È così che Visnù è rappresentato disteso sul serpente sulla superficie delle acque e che, dal suo ombelico, esce il loto da cui nascono Brahma, gli dèi, gli uomini e gli animali. Questo ritratto fu, indubbiamente, quello di una dèa-madre. Gli ebrei adottarono questo mito nella loro storia dell'albero di Iesse, che esce dal ventre del patriarca Abramo. Così, la dèa-madre primitiva fu trasformata in Dio-Padre o in Patriarca e il suo cordone ombelicale interpretato come un stelo vegetale e, più precisamente, come un loto o un albero.

Cogliamo sul vivo l'adozione da parte di una società patriarcale di un mito proveniente da società ginecocratiche.

Nel sistema simoniano, la caduta di Elena nel cosmo si spiega con il desiderio degli angeli di possederla o con la sua volontà di derubare agli arconti la loro parte di potenza. Rendendoli sensibili alla sua bellezza, lasciandosi desiderare da loro, li indusse ad uccidersi a vicenda e a svuotarsi della loro luce. Ma si può risalire ad un racconto più antico e più realista.  Mani ne ha custodito il ricordo e sant'Agostino ce lo ha trasmesso; grazie a loro, sappiamo che una vergine di luce sta sul sole e sulla luna; di tanto in tanto si mostra senza velo in tutto il fulgore della sua bellezza; gli arconti, afferrati da concupiscenza, si precipitano allora verso di lei ma non possono afferrarla, il vincolo dei loro pensieri si allenta e la vita sfugge al loro organismo corrotto.

Una storia simile ci è stata trasmessa da Epifanio (Panarion 25:2) a proposito di Barbelo, divinità gnostica che non è altro che Elena: «Lei non smise di manifestarsi agli arconti sotto una qualche forma maestosa, e quando ebbero eiaculato, sottrasse il loro sperma, al fine di riconquistare così la sua potenza disseminata nei diversi esseri».

Questo racconto si basa sul tema della grande dea della fertilità che scopre i suoi organi sessuali, tema che si è potuto seguire dall'Egitto fino al Giappone. Originariamente, il rito consisteva in una danza lasciva di una sacerdotessa, danza destinata a provocare il ritorno della dea-madre.

Secondo la leggenda giapponese «Ama-no-Uzume posseduta dallo spirito divino scoprì i suoi seni e si spogliò delle sue vesti fino a scoprire le sue parti sessuali. Allora, le ottocento miriadi di divinità si misero a ridere tutti assieme». [135]

Anche Visnù si è ispirato a questo episodio, ma deformandolo; si trasforma in una abbagliante cortigiana per riprendere agli Asura (Titani) il nettare che avevano rubato. E Gesù, a sua volta, doveva ereditare, in seno alle cerchie cristiane gnostiche, la leggenda della dea madre. 

NOTE

[134] Jean DORESSE, Les livres secrets des Gnostiques d'Egypte, Plon, pag. 218.

[135] N. Matsumoto, Essay sur la mythologie japonaise. Da osservare che gli dèi dell'Olimpo ridono egualmente quando sorprendono Venere e Ares nello stesso letto (Elena è una forma di Venere).

Vi è pure un'analogia straordinaria tra il nome della divinità giapponese e quello dell'aspetto femminino di Tammuz: Ama-Usumgal-ana (madre indiscussa del cielo). L'identità dei due nomi è impressionante e si riporta a Ishtar. 

martedì 21 luglio 2020

Confronti



CONFRONTI

È forse con un certo stupore che si vede il Cristo paragonato a degli animali; ci sarà spiegato che, in molti casi, si tratta di una vittima che rappresenta il dio sacrificato. Non insisteremo, quindi, sull'agnello pasquale che era sgozzato e mangiato dai suoi fedeli, né sulla giovenca rossa decapitata e bruciata sul legno (che Barnaba paragona alla croce), né sul capro espiatorio, nemmeno sull'asino. Osserveremo tuttavia, che i giudeo-cristiani avrebbero potuto attenersi ad uno solo uno di questi sostituti; se hanno applicato a uno stesso soggetto dei simbolismi diversi, è probabilmente perché le interpretazioni variavano da una regione o da una setta all'altra, e perché nessuno sapeva in realtà quale fosse questo dio che, precisamente, era in via di formazione.

Si riscontra Gesù anche nell'Apocalisse sotto la forma di un ariete che trionfa sul Drago, il che contrasta con l'immagine del Messia sofferente o del servo perseguitato. Il Cristo è stato rappresentato anche sotto la forma di un sommo sacerdote celeste, dell'Uomo primordiale, di una roccia, ecc.

Gesù Cristo è spesso Dio lui stesso (il Signore, il Re, il Giudice, l'Alfa e l'Omega), è la sua emanazione (Figlio, Sapienza, Angelo, Mediatore), è il Messia, Davide, il Germoglio, il Consigliere, è persino un essere collettivo: «Tutti i Cristiani insieme formano il corpo del Cristo» (1 Corinzi 12:12-30, Romani 12:4-5).

Tutti questi titoli mostrano che non si tratta di un uomo e che il dio, al contrario, è stato costantemente arricchito da tutto ciò che la fantasia, i sogni e le confusioni degli uomini gli hanno apportato.

Non abbiamo né il tempo, né lo spazio, né la pretesa che sarebbero necessari per scrivere una «Storia del Dio Gesù», o del Cristo celeste, ma ci sembra possibile indicare con alcuni esempi certi aspetti precedenti al dio cristiano che sono stati infine respinti, nascosti o dimenticati nel corso dell'evoluzione delle credenze cristiane. 

Se c'è stato abbandono o modifica di certi riti, ci sono stati anche prestiti da altre religioni. I Padri della Chiesa ci hanno lasciato a questo riguardo confessioni consolatorie che provano che il cristianesimo non è uscito dal nulla e che ha attinto ampiamente dal crogiolo del sincretismo dei primi due o tre secoli.

Nel secondo secolo, Giustino scriveva del tutto naturalmente riflessioni in buona fede che nessun teologo di oggi oserebbe riprendere per suo conto: «Se noi diciamo che il Cristo, Verbo di Dio, è nato da Dio per mezzo di un modo particolare di generazione, questa è una denominazione che gli è comune con Ermes che voi chiamate il Verbo, messaggero di Dio» (Apologia 1, 22:2). «Egli è asceso al cielo? I Dioscuri, figli di Leda, Perseo figlio di Danae, ascesero al cielo, e anche Bellerofonte sul cavallo Pegaso (21:2); egli guariva come Asclepio (22:6 e Dialogo 69:3)».

Il cristianesimo si è ispirato ai riti pagani reinterpretandoli; se non ha adottato questo o quel dio particolare, è perché non ne aveva bisogno; ha mescolato le più diverse pratiche religiose provenienti da diverse divinità misteriche; il suo dio sincretista gli era e ci resta sconosciuto, ma un giorno dovette chiarirlo, definirlo, dargli una storia... 

In questa materia, ignoriamo molte cose, senza dubbio le principali; crediamo di conoscerne altre che ci sembrano significative ma che finora non sono state accolte dalla critica. Non converrebbe nondimeno farne menzione per ingrandire il nostro campo visivo?

lunedì 20 luglio 2020

Il Cristo divino



Alla ricerca del Cristo e di Gesù

Andremo ora a delineare due ricerche indipendenti, adottando successivamente due ipotesi opposte, basate l'una e l'altra sui testi cristiani.

Nella prima, supporremo che il Cristo non è stato un uomo ma un dio e che, di conseguenza, non è il fondatore del cristianesimo. Ciò ci condurrà a porci due domande: Chi è questo dio? Da dove viene?

Secondo la nostra seconda ipotesi, Gesù sarebbe stato un uomo al quale alcuni cristiani avrebbero voluto associarsi. Questa posizione solleva a sua volta due domande: Chi fu quest'uomo? In quale data situarlo nella storia?

In seguito, cercheremo di spiegare come questo dio e quest'uomo hanno potuto riunirsi nei nostri vangeli e dare nascita, confondendosi, ad un uomo-dio.

IL CRISTO DIVINO

Fin dall'inizio del presente studio, abbiamo stabilito che il Cristo era un essere divino, ma quella constatazione non può soddisfare completamente la nostra legittima curiosità. Vorremmo conoscere egualmente che genere di dio era o a quali divinità poteva essere paragonato.

Avvertiamo che questo dio è stato estremamente complesso, che è stato compreso e adorato in diverse maniere, che è stato assimilato ad altri dèi e che, di conseguenza, sarà difficile raggiungerlo. La nostra inchiesta sarà necessariamente parziale e si annuncia deludente, ma questo non è una ragione sufficiente per rinunciarvi.

domenica 19 luglio 2020

Conclusione



CONCLUSIONE

Cosa pensare di tutti questi fatti? Semplicemente che si è avuta, agli inizi del cristianesimo, una proliferazione di sette e di scritture, — che queste sette e i loro capi si sono combattuti in una maniera appassionata che oggi considereremmo sleale ma, all'epoca, non vi era né proprietà letteraria, né rispetto dell'opinione altrui, soprattutto da parte dei cristiani, — che costoro non hanno potuto riuscire a edificare una Chiesa, con il sostegno del braccio secolare, se non dopo aver riunito alcuni dogmi, respinto nell'eresia (inesistente fino ad allora) le sette che rifiutavano l'unità, distrutto o falsificato le loro scritture, imposto il silenzio alle tradizioni di cui esse si avvalevano. Il Nuovo Testamento, i Padri della Chiesa e gli scritti apocrifi ne recano testimonianza.

Nessun valore storico, di conseguenza, può essere accordato ai libri cristiani, in particolare ai vangeli. Si può, tutt'al più confrontandoli tra loro e con altre opere, o anche con alcuni fatti, trarne una o più ipotesi sull'origine e l'evoluzione del dogma, nonché sulla diversità delle cristologie di cui rimangono tracce.

Ma, sfortunatamente, non arriviamo alla realtà di Gesù Cristo. Come scriveva Loisy (Naissance du christianisme), «se tutta la storia del cristianesimo, che ci piaccia o no, rassomiglia più o meno ad un castello traballante la colpa non è necessariamente attribuibile allo storico che si sforza di ricostruirla, ma alle condizioni delle testimonianze sulle quali si è ridotti a edificare quella storia».

sabato 18 luglio 2020

Allegorie e liturgia



ALLEGORIE E LITURGIA

Ci sarebbe voluto qui, per valutare il grado di fiducia da accordare ai vangeli,  ricordare la parte di mitologia che essi contengono. Sono, infatti, distorti da interpolazioni tendenziose, pieni di simbolismi, composti da parabole e da miracoli; i sogni, le visioni, i miti e riti vi si trovano interpretati come una realtà storica.

Un linguaggio ritmico come i recitativi e gli inni vi si riscontra talvolta amalgamato al resto; i giochi di termini geografici complicano ulteriormente una topografia che si rivela così puramente leggendaria.

Non possiamo segnalare questi punti che di sfuggita, anche se li svilupperemo in un altro studio più tardi.

venerdì 17 luglio 2020

Polemiche



POLEMICHE

In queste condizioni, non è sorprendente che i nostri vangeli siano stati smentiti e criticati fin dalla loro apparizione e molto tempo dopo, sia quanto al contenuto, sia quanto alla forma.

Paolo è il primo contestatore; egli non conosceva che un vangelo, quello che lui predicava, e insorgeva nella sua Lettera ai Galati (1:6-9) contro il falso vangelo che si opponeva al suo: «Vi sono alcuni che vogliono sovvertire il vangelo del Cristo... Se un angelo venuto dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!». Ciò non impedì alla Chiesa di confezionare altri quattro vangeli. Questi vangeli riconoscevano d'altronde che una parte della gente e dei Cristiani, perfino gli apostoli o i discepoli, non credevano alle nuove parole prestate a Gesù e che alcuni lo abbandonavano.

Verso il 400, san Girolamo segnala che esistono tante versioni dei vangeli quante di copie, ciascuna che aveva aggiunto o sottratto ciò che le sembrava buono. E ci racconta (Adv. Lucif. 23) una notizia che lo indignava, ma che non ci sorprende: «Quando gli apostoli erano ancora vivi e il sangue del Cristo era ancora fresco in Giudea, si affermava che il corpo del Signore fosse solo un fantasma». [132]

Trifone, nel suo Dialogo, replica a Giustino: «Il Cristo, supponendo che sia nato e che esista da qualche parte, è sconosciuto; non sa di esserlo... È un vano sentito dire che voi avete accettato. Voi vi siete voi stessi fabbricato un Cristo ed è per lui che voi vi perdete ora ciecamente».

Dionigi di Corinto, rendendosi conto che le sue lettere circolavano sotto una forma falsificata, si consolava dicendo che esse non erano più contraffatte delle Scritture (Eusebio S.E. 4:23).

Ireneo ammoniva i copisti «nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo di fare attenzione al testo» e si lamentava di cuore che si credessero più abili degli apostoli (Eusebio S.E. 5:20:2 e Ad. om. Haer. 4:11:1).

Eusebio definiva le «Memorabilia degli Apostoli» delle «sfacciate menzogne fabbricate dai falsari» e, leggendo Papia, riteneva che costui aggiungesse alle parabole del Salvatore «vari racconti interamente favolosi». [133]

Celso, verso il 180, esclama nel suo Discorso vero: «La verità è che tutti questi presunti fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza neppure riuscire a calare un velo di plausibilità sulle vostre menzogne, benché sia di tutta notorietà che parecchi tra voi, come se in seguito all'ubriachezza arrivassero ad azzuffarsi fra loro, riscrivono tre, quattro, tante volte il testo primitivo del vangelo e lo rimaneggiano al fine di poterlo rinnegare di fronte alle confutazioni».

Si trova conferma di questo giudizio di un pagano negli Atti degli Apostoli; quest'opera ci racconta che un giorno di Pentecoste degli anni 30, delle lingue di fuoco caddero sui dodici apostoli e li fecero pronunciare suoni inarticolati che si presero per dei messaggi in lingua straniera; al momento gli spettatori non capirono nulla e si burlarono dei discepoli, dicendo che erano ubriachi. Se il Nuovo Testamento contiene molti di questi messaggi, nessuno può esserne contento, ma il lettore più esigente dovrebbe stare in guardia.

Intorno al 27, Porfirio scriveva: «Gli evangelisti sono gli inventori, non gli storici, delle cose che raccontano su Gesù» (frammento 15); «il vangelo è una teatralità scaltramente escogitata» (frammenti 27 e 55). Mostrando in seguito le contraddizioni dei racconti della Passione, egli concludeva: «È chiaro che la stessa invenzione è discordante; oppure che si riferisce a molti crocifissi, oppure che si riferisce ad un'unica persona morta tra gli spasimi ma che non ha mostrato in modo chiaro ai presenti la sua passione. Se quindi non hanno potuto indicare in modo veritiero il modo della morte di Gesù, essi hanno fatto soltanto una vana cantilena, e non sono stati chiari nemmeno sul resto». Agli occhi del filosofo pagano, il vangelo era una farsa da teatro, un pezzo infelice destinato agli scherni e ai fischi.

Per l'imperatore Giuliano (363), il cristianesimo, «macchinazione dei Galilei», era un'invenzione combinata dalla malvagità degli uomini. Giuliano si prese la briga di scrivere all'eresiarca Fotino, vescovo di Sirmio, per complimentarsi con lui «di restare prossimo alla salvezza, facendo bene a non introdurre affatto nel grembo di una madre quello che ha creduto un dio». A proposito di Gesù scriveva: «Non è da poco più di trecento anni che il suo nome è pronunciato... Se lui e il suo discepolo Paolo sono riusciti sotto i regni di Tiberio e di Claudio a convincere un solo personaggio illustre, dite pure che anche per il resto io sono un mentitore!» E l'imperatore osserva che l'evangelista Giovanni parla a volte di Dio e del Verbo, a volte di Gesù o del Cristo, e che Giovanni cerca di farci credere che l'uno si identifica con l'altro; ma, ci ricorda Giuliano: «ci sono alcuni tra gli empi che pensano che altro è Gesù Cristo ed altro il Verbo predicato da Giovanni».

Questo imperatore, che doveva essere in possesso degli archivi romani, non vi trova nulla su Gesù o sui primi Cristiani. Non invoca alcun documento; tutto ciò che sa, non lo ha appreso che dai Cristiani e dai loro libri; superstizioso come loro, egli non nega l'esistenza del Cristo ma si rifiuta di ammettere che un uomo possa essere un dio. Non conosceva alcun resoconto rivolto a Tiberio su Gesù nonostante Giustino e Tertulliano abbiano creduto all'esistenza di quel pezzo. Non conosceva nemmeno una testimonianza contemporanea degli apostoli.

NOTE

[132] Quel che confermano 1 Giovanni 4:2 e 2 Giovanni 7. Si veda anche Luca 24:39. 

[133] Dopo Ireneo, Clemente di Alessandria intorno al 200 (Stromata 4:6) e l'Ambrosiaster verso il 380 (Comment. in Gal. 2:1) ne dicevano altrettanto.