martedì 30 giugno 2020

Resurrezione del corpo




RESURREZIONE DEL CORPO

Intorno all'anno 155, la credenza nella resurrezione dei morti aveva guadagnato terreno, ma non era generale. Giustino scrisse allora (Dialogo con Trifone 80:4): «Se dunque incontrate dei Cristiani che tali sono chiamati ma affermano che non c’è resurrezione dei morti, ma che al momento della morte le loro anime vengono assunte in cielo, non dovete considerarli Cristiani». Giustino condannava così, senza nemmeno saperlo, Gesù, san Paolo e tutti i Cristiani che avevano conservato la fede primitiva. [121

Quando, dopo Giustino, la credenza nella risurrezione dei corpi si diffuse, fu necessario inserirla nei vangeli per convincere tutti i fedeli, per mostrare loro che Gesù ne aveva parlato, ma una difficoltà insormontabile si presentò. Molti sapevano che gli apostoli non avevano predicato quella nuova fede. Per spiegare il loro silenzio si aggiunse allora nei vangeli che essi non avevano capito nulla di quanto Gesù aveva loro affidato. Così, in Marco 9:9-10, quando il Cristo annuncia che «il Figlio dell'Uomo risorgerà dai morti», gli apostoli si chiedono cosa significhi quell'espressione. E, in questo stesso vangelo (9:31-32), quando Gesù annuncia loro che la resurrezione avrà luogo «tre giorni dopo» la sua morte, essi non capiscono ciò che dice.

NOTE

[121] Si veda la pagina precedente. Da nessuna parte Gesù si riferisce ad una resurrezione generale. In Matteo 25:31-46 l'allusione dipende dal Figlio dell'Uomo. Per Paolo, «il corpo seminato naturale resuscita spirituale» (1 Corinzi 15:44). 

lunedì 29 giugno 2020

Resurrezione dello spirito



La Resurrezione

La parola «resurrezione» riveste diversi significati; si distingue in effetti la resurrezione spirituale dalla resurrezione corporale e vi è anche una resurrezione simbolica che consiste nel passare dall'errore alla verità. Si trovano le tre resurrezioni nel Nuovo Testamento, ma quella predominante è la resurrezione dei morti intesa come la rivivificazione dei cadaveri. Ma i primi Cristiani hanno considerato quella resurrezione in modo diverso.


RESURREZIONE DELLO SPIRITO

Per san Paolo, era necessario morire per rinascere, era necessario che il corpo, prigione dell'anima, fosse distrutto perché il suo prigioniero potesse fuggire. Era l'anima immortale, o lo spirito, che liberata dai lacci della materia prendeva il suo volo verso il cielo da dove era caduta; l'idea è ellenica.

Paolo scriveva: «Come resuscitano i morti?... si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale... La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità. I morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. È necessario che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1 Corinzi 15:35-53). «Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove» (2 Corinzi 5).

Per Paolo, la resurrezione era puramente spirituale e i suoi discepoli non credevano che i cadaveri potessero riprendere vita; aspettavano un nuovo corpo, un corpo spirituale.

Neanche Gesù credeva alla resurrezione dei corpi. Secondo Luca (23:43) egli avrebbe detto al buon ladrone sulla sua croce: «Oggi tu sarai con me in paradiso»; egli contava così di andare in cielo nelle ore che seguivano e di andarci direttamente; non aveva l'intenzione di apparire agli apostoli per completare l'insegnamento che aveva dato loro e di ritardare il suo ritorno presso Dio. In ogni caso, è il suo «spirito», non il suo corpo, che rimetteva morendo «nelle mani» di suo Padre; è il suo Spirito che saliva al cielo.

I nostri più antichi manoscritti di Marco, il primo in ordine di tempo dei nostri vangeli, ignorano il racconto della Resurrezione; se i nostri testi attuali ne contengono un breve racconto, è perché il vangelo di Marco è stato completato in questo senso; d'altronde, Luca è l'unico a fare una breve allusione all'Ascensione. E questa non si comprende se non come la fine di un racconto che aveva cominciato con la discesa celeste di Gesù; vi si era avuta discesa, soggiorno e ritorno. Questo ciclo era divino e gnostico.

domenica 28 giugno 2020

Fossa comune o tomba di omaggio ?



FOSSA COMUNE O TOMBA DI OMAGGIO ?

La critica letteraria di alcuni passi conferma quella supposizione. Matteo chiama taphos la tomba di Gesù (27:61, 64, 66), questo termine che significa fossa, grotta, caverna. La versione dei Settanta rende con taphos le tombe comuni o pubbliche che l'Antico Testamento chiama «sepolcri dei figli del popolo». Gli altri evangelisti dicono mnêma o mnêmeion per indicare la tomba di Gesù (Marco 15:46, 16:2, 3, 5, 8; Luca 23:53, 55; 24:1, 2, 9, 12, 22, 24; Giovanni 19:41, 42; 20:1-4, 6, 8, 11; Atti 13:29). Questa parola evoca il ricordo del defunto; essa era sempre impiegata per indicare le tombe che i grandi personaggi o le persone ricche facevano erigere per la loro famiglia o per sé stessi.

Una volta fatta questa distinzione, si può constatare che Matteo parla eccezionalmente di un mnêmeion in 27:60, ma questo passo, unico nel suo genere, fa parte di un'interpolazione. Giuseppe di Arimatea e la sua sepoltura in suo onore sono stati introdotti in una storia che non conosceva che la comune sepoltura.

La tomba era scavata in una parete rocciosa o nella terra? Nel primo caso, si poteva scorgere con qualche difficoltà quel che succedeva oltre l'ingresso verticale, ma nel secondo caso, questo era impossibile; si doveva recarsi fino al bordo della fossa e chinarsi. Ma Luca (24:5-12) e Giovanni (20:5) ci dicono che Pietro, l'altro discepolo, e le donne dovevano chinarsi per vedere; la tomba era dunque una fossa.

Matteo è l'unico a parlare della guardia collocata presso la tomba (27:64-66); questo episodio gli è stato aggiunto. In ogni caso, se si può concepire che dei soldati fossero stati incaricati di sorvegliare una tomba pubblica, accessibile e violabile, coperta o chiusa orizzontalmente da una pietra, è meno facile immaginare una simile iniziativa nel caso si trattasse di un sepolcro privato, situato in un recinto e chiuso da una solida porta. La pietra e la porta sono incompatibili. L'episodio della guardia, sebbene aggiunto al testo primitivo, è precedente alla inumazione da parte di Giuseppe, la quale fu immaginata solo dopo una certa evoluzione della tradizione. I vangeli ci hanno conservato la traccia di due cicli di racconti: quello del minêméion, della porta, di Giuseppe è successivo a quello del taphos, della pietra, delle donne e delle guardie. [120]

NOTE

[120] Secondo Isaia che parlava del servo di Jahvé, figura del Cristo, si è messo il suo sepolcro tra gli empi (53:9), ma con il ricco, ed egli è stato messo nel numero dei malfattori (53:12). 

sabato 27 giugno 2020

Lacune del racconto



LACUNE DEL RACCONTO

Quanti dettagli sono assenti dai nostri vangeli! Il cadavere di Gesù fu lavato come era allora il costume (Atti 9:37)? Qualcuno poté chiudergli gli occhi e dargli un bacio? Gli aromi furono bruciati in parte? Del cibo fu collocato sulla tomba? Non era un segno di maledizione essere sepolti ad opera di estranei e altrove anziché nella tomba della propria famiglia (Atti 5:6, 9, 10)? I ricchi collocavano le loro tombe presso il luogo dove venivano uccisi i criminali (Giovanni 19:42)?

Gli evangelisti non fanno confusione tra due luoghi di sepoltura, da una parte una tomba privata, dall'altra parte la fossa comune? Esistevano, in effetti (Misnà, Sanhédrin) due cimiteri dei torturati, uno per coloro che erano stati lapidati o bruciati, l'altro per coloro che erano stati decapitati o strangolati.


Ora le donne che in piedi guardavano da lontano ciò che si andò a fare di Gesù ancora sulla sua croce (Matteo 27:55, Marco 15:40, Luca 23:49) si ritrovano inaspettatamente sedute di fronte alla tomba di Giuseppe, quando nessuno degli evangelisti menziona che si siano spostate (Matteo 27:61, Marco 15:47, Luca 23:55); sarebbero quindi rimaste nei pressi del cimitero dei condannati. Certo, una piccola frase di Luca ci informa che «le donne seguirono Giuseppe» ma quella indicazione (che si trova solo in Luca) non è che un tentativo successivo di conciliazione. Perfino in quella ipotesi, perché le donne rimangono fuori dal sepolcro invece di entrarvi con Giuseppe e aiutarlo a rendere al corpo gli ultimi doveri? Perché, ci viene detto, cercano semplicemente di vedere come Gesù è sepolto. Ma questo è improbabile, perché loro se ne vanno a preparare gli aromi quando Giuseppe, e soprattutto Nicodemo, che aveva portato una grande quantità di aromi, avevano già preso cura del cadavere. Ciò significa — o che le donne non hanno visto nulla perché non erano là, — oppure che Giuseppe e Nicodemo non hanno fatto nulla di quanto ci viene riferito, — oppure che due tradizioni diverse sono state amalgamate nei nostri testi tramite interpolazione del ruolo di Giuseppe d'Arimatea.

venerdì 26 giugno 2020

Unzione e banchetto preliminari



UNZIONE E BANCHETTO PRELIMINARI

D'altra parte, quella unzione del cadavere di Gesù sembra duplicare un'altra che ci riportano egualmente i quattro vangeli (Matteo 26; Marco 14; Luca 7; Giovanni 12).

A Betania, due o sei giorni prima della Pasqua, si offrì a Gesù un pasto. Maria unse la testa di Gesù (secondo Marco e Matteo), i piedi (secondo Giovanni) con un costosissimo profumo di nardo. Luca è l'unico a dire che lei pianse. Ai suoi discepoli Gesù spiegò: «È per la mia sepoltura che lei ha versato questo profumo...Lei ha fatto una buona azione verso di me... versando quest'olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura».

Non può trattarsi qui che di un banchetto divino. Gesù presiede alla Cena. Allo stesso modo in cui dava la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere, egli si lascia ungere il giorno della sua sepoltura. Il rito dell'unzione si compie in sua presenza come il rito dell'eucarestia; in entrambi i casi, tutto avviene come se il doppio del dio morto o il suo sostituto (sacerdote, statua) dovesse parlare al posto del dio morto come (l'abbiamo visto) parlava la croce. [119]

NOTE

[119] È nel 692, al Concilio di Costantinopoli, che si poté proibire (83° canone) di dare l'eucarestia ai morti «perché essi non possono mangiarla»; il significato primitivo del sacramento era dimenticato o respinto.

giovedì 25 giugno 2020

L'inumazione



L'INUMAZIONE

Se si seguono i sinottici, Giuseppe avrebbe deposto il corpo in una tomba scavata nella roccia e che non aveva servito fino ad allora; Matteo precisa che era quella di Giuseppe. Luca ignora che costui fece rotolare una grossa pietra contro l'entrata della tomba, mentre Matteo e Marco lo affermano. Giovanni è solo a precisare che questa tomba era in un giardino poco distante e non conosce la chiusura con la grande pietra.

Secondo Luca, le sante donne guardano quello che succede e ritornano dopo il sabato; secondo Marco e Luca, portano aromi, il che prova che esse non sanno che Nicodemo ha già fatto il necessario. Di conseguenza, o non hanno assistito alla inumazione come ci è stato detto, oppure il IV° vangelo era sconosciuto agli scrittori sinottici, oppure presentava un'opinione che gli altri respingevano.

mercoledì 24 giugno 2020

Discesa dalla croce



DISCESA DALLA CROCE

Da chi Gesù fu disceso dalla croce prima di essere traportato da Giuseppe d'Arimatea? I vangeli non lo dicono, ma gli Atti (13:30) menzionano che sono gli ebrei a far discendere Gesù dalla sua croce e a deporlo nella tomba. 

I quattro vangeli pretendono al contrario che Giuseppe d'Arimatea,  uomo ricco, giusto e buono, discepolo in segreto di Gesù che attendeva il Regno di Dio, venne a reclamare da Pilato il corpo del crocifisso.

Il fatto è sorprendente poiché, secondo il costume romano, il cadavere sarebbe dovuto rimanere sospeso alla croce fino a quando gli uccelli carnivori e la putrefazione non l'avessero fatto sparire. Sappiamo che gli ebrei, al contrario, non lasciavano un corpo in croce fino alla fine del giorno e che lo seppellivano nella fossa comune dei suppliziati. 

Chi era questo Giuseppe di cui alcun testo ne parlava fino ad allora? Per giustificare l'apparizione di questo sconosciuto, Giovanni precisa che egli era stato discepolo in segreto, il che conferma che nessuno, tra i Cristiani, lo conosceva. 

Se, per Matteo, è Giuseppe a prendere il corpo e ad avvolgerlo in un sudario, per Giovanni sono gli ebrei che hanno portato via il cadavere e sono più persone ad avvolgerlo in bende con gli aromi portati da Nicodemo.

martedì 23 giugno 2020

Il sangue versato



IL SANGUE VERSATO

Tra gli elementi significativi del sacrificio cristiano, vi è il sangue versato, ma non si scorge quando e come Cristo avrebbe dato il suo sangue. Quando farà lui stesso allusione al suo sangue non si paragonerà all'agnello innocente, ma si identificherà con il succo della vite (Matteo 26:28), che nel dominio religioso ci trasporta in un altro mondo di credenze.

Abbiamo visto che la crocifissione non dava luogo ad alcuna effusione di sangue; i nostri testi parlano di sospensione piuttosto che di inchiodamento. Il vangelo di Giovanni (19:34-36) è l'unico a dire che un soldato venne a trafiggere il costato di Gesù già morto, il che stabilisce che il sangue non poteva colare. Ma Giovanni ci assicura che «ne uscì sangue e acqua»; ha voluto creare così una spiegazione simbolica dell'eucarestia? In ogni caso essa è falsa e lui ammette che «questo avvenne perché si adempisse la Scrittura». Arriva persino a pretendere che egli ha assistito alla scena! Chi vuole troppo provare non prova nulla. 

Al contrario, se si ricorda che la folla reclama «che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» si deve concludere che essa ha in mente un'esecuzione sanguinosa, probabilmente una decapitazione che poteva paragonarsi allo sgozzamento del toro di Mitra il cui sangue serviva a cospargere i fedeli di questo dio. In queste condizioni, non sarebbe impossibile che Gesù, se la sua crocifissione fosse l'esposizione del suo cadavere, sia stato decapitato come lo fu Giovanni il Battista.

lunedì 22 giugno 2020

Data e ora



DATA E ORA

Non sappiamo in quale momento del giorno avrebbe avuto luogo la crocifissione. — Marco indica la terza ora, ossia le 9 del mattino. — Giovanni fa terminare il processo davanti a Pilato verso la sesta ora, cioè a mezzogiorno, ossia tre ore dopo Marco. — Secondo i Sinottici, le tenebre regnarono dalla sesta ora, mezzogiorno, fino alla nona (alle 3 del pomeriggio) momento della morte del Cristo. [118]

In realtà, questi falsi dettagli non hanno alcun interesse storico; riguardano l'agnello pasquale che era immolato nel tempio dalla 9° alla 11° ora, ossia tra le 3 e le 5 del pomeriggio. Anche questo non è certo. Per Filone, il sacrificio dell'agnello cominciava verso mezzogiorno e durava fino a sera. Secondo l'Esodo (12:6) l'immolazione aveva luogo tra «i due vespri».

Perché, d'altra parte, questa associazione tra la Pasqua (l'agnello ucciso) e la morte del Cristo? Forse occorre pensare, ancora una volta, ad un errore di interpretazione. Certo, si pretende generalmente che Pascha venga da una parola ebraica che significa «passaggio», ma Tertulliano (adv. Jud. 10) e un buon numero di altri autori ecclesiastici hanno confrontato la parola al verbo greco Paschein che significa «soffrire», identificando così la Pasqua e la Passione.

NOTE

[118] Secondo il Testamento di Levi (4:1a) «Le pietre si spaccheranno, il sole si spegnerà, le acque si prosciugheranno, gli spiriti invisibili saranno annientati, l'Ade sarà spogliato delle sue armi alla Passione dell'Altissimo». Quella passione è dunque quella di un dio. 

domenica 21 giugno 2020

Le ultime parole



LE ULTIME PAROLE

Gesù ha pronunciato sulla croce le parole che gli sono prestate? È concepibile che abbia parlato?

— Secondo Luca (23:24), Gesù avrebbe detto, già alla sua messa in croce, «Padre mio, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Ma queste parole sono sconosciute agli altri vangeli e non compaiono nel manoscritto del Vaticano e nel Codice D (Bezae).

Per contro, secondo Eusebio (H.E. 2:23), Egesippo rappresentava Giacomo lapidato che gridava al momento di morire: «O Signore Dio (Padre) io ti prego di perdonare loro perché non sanno quello che fanno».

Sembrerebbe che le parole di Giacomo siano state attribuite a Gesù: [116

— Secondo Matteo e Marco, egli avrebbe detto in aramaico: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» Poi sarebbe morto emettendo un grido. Una variante di Marco (15:34) gli fa dire: «Dio mio, perché mi hai maledetto?»

— Secondo Luca, egli avrebbe detto a uno dei due ladroni: «Oggi sarai con me in Paradiso»; a suo Padre: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno» e poi, «Nelle tue mani rimetto il mio spirito».

— Secondo Giovanni, egli avrebbe detto a sua madre: «Donna, Ecco tuo figlio!» e al discepolo: «Ecco tua madre», poi «Ho sete», ed «è compiuto».

Gli evangelisti non disponevano di alcuna tradizione su questo argomento; hanno fatto dire a Gesù quello che essi avrebbero detto al suo posto.

L'autore dell'Epistola agli Ebrei (5:7) seguiva una tradizione sconosciuta ai vangeli: «Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito a causa la sua pietà». Esaudito? Dunque salvato dalla morte. [117] I commentari più ingegnosi dovrebbero essere disarmati qui.

NOTE

[116] Ma Giacomo era considerato un grande personaggio poiché Origene, in tre punti della sua opera, esprime l'opinione che la presa di Gerusalemme nel 70 fu il castigo della morte di Giacomo.

[117] Cosa che non dovrebbe essere confusa con «morto e risorto».

sabato 20 giugno 2020

La veste brillante



LA VESTE BRILLANTE

Ci sarebbe anche un problema di abbigliamento da risolvere. Secondo Giovanni 19:2, i soldati avvolgono Gesù con un mantello di porpora prima della sua consegna definitiva da parte di Pilato; in seguito, dopo il suo processo e la sua esecuzione, essi si spartiscono le sue vesti in quattro parti e tirano a sorte la sua tunica senza cuciture di cui non si sapeva nulla fino a quel momento. Si apprende in questa occasione che i soldati realizzano così (senza volerlo probabilmente) quel che era scritto nel Salmo 22 (verso 19): «Hanno spartito fra loro le mie vesti, e hanno tirato a sorte la mia tunica».

Secondo Luca 23:11, Erode fa rivestire Gesù di un mantello splendido ma sono le sue vesti che si spartiscono i soldati.

Secondo Marco 17:20 e Matteo 27:28-35, è in seguito alla consegna di Gesù da parte di Pilato che i soldati rivestono il Cristo con una clamide di porpora, non senza averlo prima spogliato; poi gli tolgono quella veste e lo rivestono per condurlo al supplizio; infine, dopo averlo crocifisso, si spartiscono le sue vesti tirandole a sorte, il che prova che gliele avevano tolte prima della sua messa in croce.

I nostri evangelisti non sono quindi in accordo tra loro sui dettagli della scena e raccontano una storia inverosimile. Perché aver messo su Gesù l'abito o mantello scarlatto se era per toglierglielo quasi immediatamente; era necessario per collocare nel racconto la scena della derisione? Questo episodio è sconosciuto a Luca. Perché anche abbigliare Gesù con una tunica o con vesti se egli doveva essere esposto nudo? La clamide brillante e senza cuciture non si sovrappone alle vesti e proviene da una stessa tradizione?

Vale la pena ricordare ciò che scriveva Giustino a questo riguardo. Nella sua Apologia (35), dopo aver parlato della spartizione della veste, egli precisa: «Che tutto questo sia veramente accaduto, potete apprenderlo dagli Atti di Ponzio Pilato»; non è dai vangeli, quindi, che ricava la sua documentazione. Non ci si può sorprendere quando parla dell'inchiodatura delle mani e dei piedi del crocifisso, inchiodatura che i vangeli non menzionano. D'altra parte, nel suo Dialogo con Trifone (104), Giustino aggiunge che «tutto ciò è avvenuto come è scritto nelle Memorie degli Apostoli»; ma questi scritti non sono certamente i nostri vangeli, ma ne sono stati forse una fonte parziale.

I nostri evangelisti sembrano aver trasposto, in quel che concerne la veste senza cuciture, senza comprenderlo, il mito gnostico della veste di luce con cui l'anima di Gesù si è avvolta per ritornare al cielo. La spartizione delle vesti è stata immaginata secondo il Salmo 22; questo salmo, applicato a torto a Gesù, ci insegna inoltre quanto segue: «mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi», che la Vulgata (intorno all'anno 400) traduce con: «hanno trafitto» confermando così un credo che non era quello dei primi Cristiani, ma che proveniva da una errata interpretazione di un salmo considerato come riflesso della parola divina. Secondo le Costituzioni apostoliche (5:14) è il Signore della Gloria che era «inchiodato al legno».

Gli evangelisti menzionano semplicemente che Gesù fu messo in croce; non è che in un passo discutibile di Giovanni (20:24-29) che viene fatta allusione da Gesù alle sue mani trafitte dai chiodi e non ai suoi piedi. Questo passo aveva per scopo di provare la resurrezione del corpo di Gesù. Grazie a Giustino e a Tertulliano, questo credo si diffuse e si affermò nell'arte cristiana. Tuttavia, l'Epistola ai Galati (3:13), gli Atti (5:30, 10:39, 13:29), la 1° Epistola di Pietro (2:24) conservano il ricordo — secondo il Deuteronomio (21:23) — di un'impiccagione, non di un'inchiodatura.

venerdì 19 giugno 2020

La crocifissione



LA CROCIFISSIONE

Dopo quella digressione su Pilato, ritorniamo a Gesù. Eccolo consegnato agli ebrei da Pilato per essere crocifisso senza essere stato condannato esplicitamente. Di quale crocifissione si tratta, romana o ebraica? È un Gesù vivo che Pilato abbandona perché sia ucciso dagli ebrei ed esposto in seguito sulla croce? È un Gesù morto che dovranno solo collocare su un patibolo e rimuoverlo prima del tramonto del sole?

Mentre il IV° vangelo fa portare la croce da Gesù ancora vivo, i tre sinottici ci dicono che è Simone di Cirene che ne fu incaricato. Ma di quale croce si parla? Di quella che Gesù invitava i suoi fedeli a portare quotidianamente, cioè del suo simbolo, oppure della croce di supplizio? Ma questa non era troppo pesante per un uomo? Nondimeno, se il Cireneo è richiesto per portarla, non sarebbe proprio perché Gesù, già morto, non ne è capace? E se, secondo Luca, le donne in lutto seguono gemendo Gesù e la sua croce (Luca 23:27), non è forse perché egli non è più in vita? Le donne in lutto non si sono certamente lamentate prima della morte.

Marco sembra confermare che Gesù non era più in vita quando scrisse (in 15:22): «E lo portarono al Golgota». Fu lo stesso coi due «ladri» se si crede al vangelo di Pietro (10): «E portarono due malfattori e crocifissero il Signore in mezzo a loro». Ci si trova di fronte ad una tripla esposizione di cadaveri su una croce o su dei pali.

Altre domande si pongono. Perché, quando vi era una folla attorno a Gesù, essere andati a cercare questo Simone di Cirene che, invece, ritornava dai campi? Non avremmo là una traccia del racconto gnostico che riportava Basilide secondo Ireneo (1:24)? Secondo questo racconto, Gesù avrebbe preso la forma di Simone e avrebbe dato la sua a costui che, per questo fatto, sarebbe stato messo in croce al suo posto. I sinottici furono senza dubbio obbligati a conservare la traccia di questo Simone che era troppo conosciuto perché si potesse farla sparire, ma essi corressero l'evento; lasciarono Simone a portare la croce, ma è Gesù che fecero morire; così la dottrina perniciosa di Basilide si trovava confutata.

La riserva della Chiesa nei confronti di questo Simone suggerisce che l'episodio in questione nasconde una grossa difficoltà teologica. Infatti l'onore di aver portato la croce di Cristo avrebbe dovuto valere a Simone il titolo di santo. Se non fu così, è senza dubbio perché Simone era uno Gnostico e fu considerato più tardi un «eretico» ante litteram.

giovedì 18 giugno 2020

Pilato e il Credo cristiano



PILATO E IL CREDO CRISTIANO

Il nostro procuratore non ha sempre figurato nel Credo; quella professione di fede ha rivestito nel secondo secolo una forma che costituì la cornice del Simbolo degli Apostoli, ma che è difficile da ritrovare nei vari testi che l'arricchirono di molti dettagli aggiuntivi.

Con tutte le riserve, si può affermare che l'antico credo romano esprimeva la fede in Gesù Cristo, figlio unico del Padre, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, crocifisso, risorto il terzo giorno, e asceso al cielo da dove sarebbe tornato per giudicare i vivi e i morti.

Ireneo, nel suo riassunto della fede cristiana (C. Haer. 1:10:1) fa allusione alla Passione, alla Resurrezione e all'Ascensione senza menzionare Ponzio Pilato.

Intorno al 200, Tertulliano (De Virg. vel. 1) citava il nome di Ponzio Pilato: precisava che il Padre era il creatore del mondo e che (De praescr. 13) la resurrezione era quella della carne. Criticando Prassea, Tertulliano lo rimproverava di «crocifiggere il Padre».

Nel terzo secolo, il credo di Antiochia si esprimeva altrimenti; Gesù Cristo era non soltanto figlio unico, ma primogenito di tutta la creazione, generato prima dei secoli, disceso dal cielo e nato dalla Vergine Maria, crocifisso sotto Ponzio Pilato e risorto il terzo giorno secondo le Scritture.

Il credo di Eusebio diceva che il Signore soffrì e resuscitò, ma non menzionava il nome di Ponzio Pilato.

Il credo del Concilio di Nicea, pur completando quello di Eusebio, mantiene egualmente il silenzio sul procuratore romano.

Ancora nel IV° secolo, il Credo di Gerusalemme omette il nome di Ponzio Pilato mentre il credo di Epifanio lo menziona. 

In sintesi, il dogma si è diversificato e si è evoluto molto tempo prima di fissarsi. Oggi Ponzio Pilato è al centro del nostro Credo, ma è certo che non vi ha sempre figurato, e quella constatazione è deludente per tutti coloro che cercano prove storiche della crocifissione.

mercoledì 17 giugno 2020

Confusione di città ?



CONFUSIONE DI CITTÀ ?

Si ha l’impressione che, per drammatizzare gli eventi pur semplificandoli, i vangeli li abbiano centrati su Gerusalemme. Ma il processo di Gesù non ha avuto luogo in aramaico; Pilato siede al suo tribunale (Matteo 27:19), quindi probabilmente a Cesarea. La folla non è là per caso; è stata convocata dal procuratore (Luca 23:13); è alla folla che egli dà soddisfazione e consegna il condannato (Marco 15:14), quest'usanza è romana. È per «acclamazione» del popolo che Gesù è stato condotto al supplizio e questa non è sicuramente la stessa folla che lo aveva accolto in trionfo a Gerusalemme.

Diverse città hanno portato il nome di Cesarea di cui due sono collocate in Palestina e citate nel Nuovo Testamento. È probabile che questa omonimia abbia provocato confusioni.

Cesarea sul mare era la capitale civile e militare della Giudea, la residenza del procuratore romano; gli ebrei vi si recavano quando avevano una richiesta o una denuncia da presentare alle autorità. È il diacono Filippo che evangelizzò la città; è là che Pietro battezzò il centurione Cornelio e la sua famiglia, e dove Erode Agrippa fu colpito a morte dall'«angelo del Signore»; è da Cesarea che Paolo fu diretto verso Tarso, è in questo luogo dove sbarcò al suo ritorno dalla Grecia; vi dimorò presso il diacono Filippo; è da lì che partì quando lo si condusse a Roma.

La Cesarea-Paneas (consacrata al dio Pan) o di Filippo è il luogo verso il quale si diresse Gesù quando lasciò Cafarnao; è nelle vicinanze che Pietro avrebbe pronunciato il suo famoso «Tu es Christus» che gli valse in ricompensa il «Tu es Petrus». È la che Tito costrinse i prigionieri ebrei a scendere nell'arena. È là — se si deve credere a Eusebio (H.E. 7:18) — che l'emorroissa avrebbe eretto su una colonna di pietra una statua di bronzo commemorante la sua guarigione.

martedì 16 giugno 2020

Sdoppiamento del processo primitivo



SDOPPIAMENTO DEL PROCESSO PRIMITIVO

Riteniamo, con alcuni critici, che il racconto del doppio processo di Gesù davanti alle autorità romane ed ebraiche sia un'illusione e che in realtà il racconto primitivo dell'evento si riferisse ad una procedura esclusivamente romana.

Ciò che ci sembra decisivo in questo senso è l'intervento della folla nel processo, è l'accettazione da parte del governatore romano del ruolo della folla, la sua adesione alla decisione popolare.

I fatti sono indiscutibili. Il governatore interroga l'accusato e poi si rivolge verso il popolo che interroga, e ciò in più occasioni. La folla gli grida: «A morte!», «Crocifiggilo», «Se tu rilasci quest'uomo tu non sei l'amico di Cesare», «Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!».

Ora, [115] nelle città libere d'Oriente, la condanna al supplizio avveniva spesso per acclamazione popolare. Nelle città dell'Oriente greco-romano che possedevano l'autonomia in materia di giustizia criminale, quella vox populi poteva infliggere la pena di morte senza appello. Il clamore del popolo costituiva allora un incontestato valore giuridico. Ricordiamoci dei combattimenti di gladiatori dove la sorte degli sconfitti dipendeva dal capriccio degli spettatori. L'acclamazione era già un'antica usanza; era per acclamazione che gli efori erano eletti a Sparta. A Roma, sotto l'impero, si acclamava l'imperatore e la sua famiglia quando penetravano nel circo o nell'anfiteatro, ma questo cerimoniale non era spontaneo; esso era regolato. Non tutti i membri della famiglia imperiale avevano diritto alle stesse grida.

Nei nostri vangeli, il dialogo di Pilato, che non sapeva l'aramaico, è inverosimile con una folla ebraica; per contro, è del tutto naturale con una folla che parlava il greco, vale a dire in una città libera, e in maggioranza pagana.

Allo stesso modo, la scena è impossibile a Gerusalemme nell'anno 30; la città non era e non fu mai una città libera; ogni privilegio di giurisdizione le era negato.

Si dovrebbe anche portare la nostra attenzione per un momento sul concetto di «sangue versato». Alcune esecuzioni o combattimenti del circo avevano un aspetto religioso e magico; si credeva che il sangue versato servisse a risparmiare il sangue dell'imperatore e a garantire la salvezza o il riscatto dei morti e dei vivi. «Il sangue che scorreva nell'arena era raccolto da una fossa ricoperta da grandi pietre» e «sotto terra era celato un Kronos, con la grande bocca spalancata, che riceveva il sangue dei morenti attraverso i fori delle pietre». [115] Al momento di quelle manifestazioni, le vittime erano consegnate agli organizzatori dei giochi dai «lanistae» (che addestravano i gladiatori) dietro pagamento, beninteso.

In presenza di questi fatti, ci si domanda se il racconto della Passione del Cristo, scritto lontano da Gerusalemme, non sarebbe stato ispirato ad un resoconto di un'esecuzione di questo tipo che aveva avuto luogo, per esempio, in Asia Minore o a Cartagine nel secondo secolo.

NOTE

[115] Si veda Jean Colin. L'empire des Antonins et les martyrs gaulois de 177. 1964. Rudolf Habelt Verlag. Si veda anche dello stesso autore, Les villes libres de l'Orient gréco-latin, 1965. Ed. Latomus, Bruxelles. Si riveda il passo di Paolo in 1 Corinzi 4:9.

lunedì 15 giugno 2020

Arresto e processo



ARRESTO E PROCESSO

Secondo Luca, si vede arrivare una folla preceduta da Giuda. Marco aggiunge che quella folla è armata di spade e di bastoni e che proviene dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dai Farisei. Matteo non menziona gli scribi, Luca aggiunge i capi delle guardie del Tempio. Giovanni dimentica gli scribi e gli Anziani, ma aggiunge i Farisei, le guardie e, soprattutto, la coorte con il suo tribuno. Tutto non può essere vero nello stesso tempo. 

Quando, per esempio, dicendo soltanto: «sono io», Gesù fa cadere tutti a terra, si può ben immaginare che l'autore di una tale baraonda non sia un uomo ma un dio. D'altra parte, se una coorte romana è venuta per garantire l'ordine o procedere ad un arresto, è probabile che non abbia accettato l'appoggio di un gruppo di persone armate di bastoni. E se questa folla è armata di spade, è una truppa ausiliaria ebraica. Si tratta allora di uno scontro tra forze militari, non di una semplice operazione di polizia; Gesù sarebbe qui un capo di guerra.

La procedura immaginata contro Gesù doveva svolgersi originariamente davanti ad un sommo sacerdote il cui nome non era conosciuto. A leggere Matteo (26) e Marco (14) si vede che le scene hanno luogo davanti al sommo sacerdote e ai sommi sacerdoti anonimi che rassomigliano molto a  personaggi convenzionali. Gli evangelisti avrebbero dovuto scrivere «i precedenti sommi sacerdoti» poiché non c'erano più sommi sacerdoti in esercizio nello stesso tempo. Luca ignorava questo fatto poiché dichiarava (3:2) che Giovanni il Battista apparve sotto il pontificato di Anna e Caifa; egli credeva che questi due uomini avessero esercitato congiuntamente il pontificato supremo; ma sappiamo che il primo fu sommo sacerdote dal 6 al 15 e il secondo dal 18 al 36.

Marco Luca danno il nome di Caifa nel loro racconto della Passione; Matteo lo cita due volte (26:3, 57); Giovanni crede di dover precisare che Caifa era sommo sacerdote proprio quell'anno come se il titolo fosse annuale; ma, almeno in linea di principio, quel titolo era dato a vita e Caifa l'esercitò per diciotto anni. In queste condizioni, perché Gesù sarebbe stato condotto davanti al sommo sacerdote Anna? Perché, ci dice Giovanni, Anna era il suocero di Caifa. Singolare ragione e singolare procedura!

Gli evangelisti sapevano da chi Gesù sarebbe stato giudicato ? 

— Secondo Marco e Luca, Gesù fu portato presso il sommo sacerdote, ma non danno il nome di quest'ultimo.

— Secondo Matteo, egli è condotto da Caifa, il sommo sacerdote.

— Secondo Giovanni, dapprima presso il precedente sommo sacerdote Anna.

— Tutto ciò, senza dimenticare il Sinedrio e Pilato.

Si sono conosciute veramente le accuse di cui Gesù sarebbe stato l'oggetto ? 

— Secondo Marco e Matteo si domanda a Gesù se ha annunciato che egli avrebbe distrutto il Tempio e se egli è il Cristo.

Alla sua risposta affermativa, il sommo sacerdote si strappa le vesti e il pubblico proclama che Gesù merita la morte. Ma non si sa se si tratta di grida ostili della folla o di una condanna pronunciata dai giudici.

— Secondo Luca, Gesù si sarebbe dichiarato Figlio di Dio [112] e sarebbe stato rinviato davanti a Pilato senza condanna.

— Secondo Giovanni, Anna interroga Gesù sui suoi discepoli e sulla sua dottrina, poi lo manda a Caifa che non lo interroga e lo rimanda davanti a Pilato.

Così, dal lato ebraico, le accuse sono molto diverse e nessuna condanna viene formalmente pronunciata.

Di fronte a Pilato le accuse saranno ancora diverse da quelle precedenti:

— Secondo Giovanni, Gesù è considerato un malfattore;

— Secondo Luca, Gesù aizza alla rivolta, impedisce di pagare i tributi a Cesare, si pretende Cristo-re (pretesa che si ritrova negli altri sinottici).

Ci viene detto che, se Gesù fu condotto davanti a Pilato, è perché gli ebrei non avevano il diritto di uccidere qualcuno (Giovanni 18:31). Flavio Giuseppe (Antichità 20:9:1) conferma che il sinedrio non aveva il diritto di riunirsi senza l'autorizzazione del procuratore, né di procedere ad una condanna e, a maggior ragione, ad una esecuzione capitale. [113

Quando Gesù ebbe risposto a Pilato che il suo «Regno» non era «di questo mondo», il Procuratore decise che non c'era motivo per una condanna.

A quel punto del processo — e sebbene avesse giudicato innocente Gesù — Pilato lo avrebbe rimandato a Erode sotto pretesto che era Galileo. Ma, curiosa coincidenza, Erode si trovava occasionalmente a Gerusalemme; si osserverà inoltre che egli non aveva alcun diritto di giurisdizione in Giudea e che era «in inimicizia» con Pilato. Anche questa incredibile storia è inutile, perché, di fronte al silenzio di Gesù, Erode lo avrebbe rimandato a Pilato che, allora, si sarebbe riconciliato con Erode. Luca è l'unico a raccontare questo episodio aberrante.

Il processo ritorna dunque davanti a Pilato; [114] costui vuole liberare il «re dei Giudei», cosa che sembra stupefacente, ma cede alle istanze della folla e consegna Gesù ai Giudei pur dichiarandosi «innocente del sangue di questo giusto», affermazione tanto più falsa in quanto Gesù non sarebbe stato «crocifisso» se Pilato non l'avesse consegnato sapendo benissimo cosa sarebbe successo. 

Questo racconto fu immaginato da scrittori che non avevano alcuna idea della legge romana o delle usanze ebraiche. Certi dettagli fanno sorridere: si può immaginare Pilato che giudica Gesù nel suo pretorio e che esce quattro volte all'aperto per discutere con la folla ? Che proclama dapprima l'innocenza dell'accusato, che vuole liberarlo, che decide comunque di farlo flagellare, che aggiunge (senza condanna formale) la morte a quella prima punizione ingiustificata, che consegna Gesù in balia dei Giudei, che si «lava le mani» di ciò che stava per accadere, che tollera che i suoi stessi soldati procedessero all'esecuzione? Chi poteva credere, d'altra parte, che un procuratore romano avrebbe liberato Gesù Barabba, famoso brigante, assassino e, soprattutto, capo di una sedizione?

Parallelamente, vorremmo proprio sapere perché una folla armata è stata necessaria per arrestare Gesù, perché uno dei suoi discepoli portava una spada e se ne servì, perché Gesù fu crocifisso tra due briganti.

NOTE

[112] La risposta di Gesù è ambigua ma il titolo di Figlio di Dio è attestato molte volte nel Nuovo Testamento.

[113] La questione è controversa.

[114] Perché questi tre processi o questi tre personaggi che giudicano ? Anna o Caifa, Pilato, Erode ? Non si può evocare qui il ricordo del triplice processo dell'anima nuda da parte di Eaco, Minosse e Radamanto, immaginato da Platone ? Secondo la Ginza dei Mandei, il dio Anosh-Uthrà è venuto negli anni di Paltos il «re del mondo» il quale si chiama altrove «l'imperatore Pilato». In una recensione della cosmologia mandea, il demiurgo si chiama Ptahil; la confusione era possibile tra questi nomi dalle stesse consonanti. Un trattato ebraico (Sahnédrin 106) chiama Pilato: Pinhas. Queste variazioni del nome sono curiose.

domenica 14 giugno 2020

Il tradimento di Giuda



IL TRADIMENTO DI GIUDA

Questo tradimento non appartiene al testo primitivo dei vangeli; al di fuori dei vangeli e degli Atti non se ne parla. Paolo, che sembra parlare di tradimento, o piuttosto di una «consegna» (1 Corinzi 11:23) non dice nulla del traditore.

Gesù era così lontano dal prevedere un tale tradimento da parte di uno dei Dodici che aveva preso Giuda come apostolo, poi come tesoriere della sua comunità. È con piena conoscenza che ha scelto i suoi apostoli (Giovanni 15:16) anche se ha saputo in anticipo che uno di loro «era un demone» (6:70, 71). Poco tempo prima della sua Passione Gesù promise ai Dodici, Giuda compreso, che si sarebbero assisi su dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele. Secondo san Paolo, Gesù apparve ai Dodici dopo la sua resurrezione, ai Dodici, dunque a Giuda come agli altri (1 Corinzi 15:5). E il vangelo di Pietro dichiara: «Noi, i Dodici discepoli del Signore, piangevamo e ci rattristavamo»; il suo autore non conosceva il tradimento di Giuda.

Non si percepisce l'interesse che avrebbe avuto Giuda a tradire il suo maestro; non aveva per nulla bisogno di trenta sicli di argento, poiché era il tesoriere della comunità. Matteo è andato a cercare questi trenta pezzi in un passo di Zaccaria (11:12) cosa che permette agli Atti di vedere in questo episodio un nuovo compimento delle Scritture (1:16). Allo stesso modo, i Salmi 40:10 e 54:12 parlavano di un tradimento, ma questo non aveva nulla a che vedere con Giuda.

Secondo Giovanni (14:30), non è Giuda ma «il Principe di questo mondo» che viene a cercare Gesù per consegnarlo alla morte; si tratta dunque del diavolo il quale «era entrato in Giuda» (Giovanni 13:27) alla mensa del Signore con il boccone di pane che gli offrì Gesù, il che può sembrare stupefacente.

Scelto da Gesù, posseduto dal diavolo con il consenso di Gesù che sapeva cosa stava per accadere, Giuda — supponendo che l'episodio del tradimento corrisponda a qualcosa di reale — fu colpevole? Giuda intendeva dire a Gesù che il suo arresto era necessario e che il suo Signore doveva morire per rinascere e assicurare la salvezza degli uomini. Perché si sarebbe rifiutato di essere lo strumento della Provvidenza? Perché biasimarlo, visto che ha contribuito alla realizzazione del piano divino? Se Gesù non fosse morto, oggi forse non vi sarebbero i Cristiani, oppure essi non si sarebbero assicurati la loro salvezza.

All'origine di queste contraddizioni e incomprensioni su Giuda, vi è forse una storia sacra che non conosceremo mai. Così, Epifanio (38:3) ha scritto: «Alcuni Cainiti dicono che Giuda ha tradito Gesù perché lo considerava malvagio e voleva distruggere la buona Legge; altri tra loro non parlano così, ma pretendono che Gesù era buono e che Giuda lo consegnò a causa della Gnosi celeste». [110] Infatti i «capi» (arconti?) sapevano che se il Cristo fosse stato consegnato alla croce la loro fragile potenza si sarebbe ridotta a nulla e Giuda, conoscendo ciò, si affrettò e fece tutto il possibile per consegnarlo, facendo una buona opera per la nostra salvezza. Noi dobbiamo lodarlo e concedergli elogi, perché per mezzo di lui è stata preparata la salvezza della croce e la rivelazione delle cose dall'alto...».

Da un altro punto di vista, si può ritenere che il famoso «bacio di Giuda» sia stato interpretato anch'esso da persone che non ne conoscevano il senso. Era inutile perché Gesù, come lo dice lui stesso (Matteo 26:55, Marco 14:48-49, Luca 22:53) era conosciuto e insegnava ogni giorno nel Tempio. Giuda avrebbe potuto indicarlo col dito da lontano senza baciarlo. Infine, secondo il IV° vangelo (18:1-8) Gesù si consegna lui stesso senza l'intervento di Giuda, il cui nome è assente dal racconto.

Originariamente, questo bacio ha potuto essere un bacio d'addio. Sappiamo, in effetti, che ad un'epoca antica il sacrificio del capro espiatorio si realizzava in un modo che non può lasciarci indifferenti. Gli anziani del Sinedrio consegnavano il sommo sacerdote o il suo sostituto (il Sagan) agli anziani che lo scortavano fino alla camera superiore della casa di Abtinas, famiglia che preparava l'incenso sacro; gli si faceva prestare giuramento e poi, al momento della separazione, tutti piangevano. [111] Confrontata a questo testo, la frase di Caifa: «È meglio che sia un uomo solo a morire per il popolo» (Giovanni 18:14) assume tutto il suo senso.

NOTE

[110] Ciò che permette di pensare che la Passione sia stata un mito gnostico.

[111] Si veda Pagan Christs di J.M. Robertson, Londra 1911, pag. 59 che dà i riferimenti.

sabato 13 giugno 2020

Danzare prima di morire



DANZARE PRIMA DI MORIRE

Matteo (11:17) e Luca (7:32) ci hanno conservato, incorporato nel loro testo, una reliquia gnostica di cui ecco i versi: 
Noi vi abbiamo suonato il flauto
e voi non avete danzato!
Noi abbiamo cantato dei lamenti
e voi non avete pianto!
Di cosa si tratta? Cos'è questa danza di cui gli Atti di Giovanni dicevano: «la Grazia conduce la danza» ?

Forse è Clemente di Alessandria che ce lo spiega (Protrettico 12:120:1): «Vieni, o insano... torna in senno: ti mostrerò il Logos e i misteri del Logos... le figlie di Dio, le belle agnelle, che celebrano i venerandi riti del Logos, riunendo un coro sobrio. Il coro è formato dai giusti, e il loro canto è un inno al re dell'universo. Toccano le cetre le fanciulle, cantano a gloria gli angeli, parlano i profeti, si leva un suono di musica; seguono di corsa il tiaso... Alla luce delle fiaccole contemplo i cieli e Dio, divengo santo per mezzo della iniziazione... Questi sono i baccanali dei miei misteri! Se vuoi, anche tu fatti iniziato, e danzerai insieme con gli angeli intorno all'ingenerato e imperituro e solo veramente Dio, cantando l'inno insieme con noi il Logos di Dio».

Una testimonianza ancora più chiara ci è fornita dagli Atti di Giovanni (94). «Prima che fosse preso dai Giudei... ci convocò insieme e disse: Prima che io sia abbandonato a loro, cantiamo un inno al Padre e poi proseguiamo verso quanto ci aspetta. Ci ordinò così di fare un cerchio tenendoci l'un l'altro per mano. Egli stando nel mezzo, ci disse: «Rispondetemi Amen». Poi prese a cantare un inno, dicendo: «Gloria a te, Padre!» Noi che lo circondavamo, gli rispondemmo: «Amen». Gloria a te, Logos! Gloria a te, Grazia! Amen... Tutto ciò che è in alto partecipa alla nostra danza. Colui che non danza ignora ciò che è accaduto. Amen». Dopo l'inno, il Cristo dice: «Rispondi ora alla mia danza, vedi te stesso in me che parlo e vedendo ciò che faccio, taci sui miei misteri. Tu che danzi, comprendi ciò che io faccio, giacché è tua questa sofferenza dell'uomo che io sopporterò: tu, infatti, non potresti assolutamente comprendere ciò che sopporti, se, come Logos, non fossi stato mandato a te dal Padre... Ciò che ora io sembro, non lo sono...».

Per alcuni Cristiani, il Cristo era un dio che danzava; la sua danza univa al dio il mondo e i credenti. Nel mezzo della danza Gesù svolgeva il ruolo di corifeo e cantava per i suoi discepoli che rispondevano: «Amen». Si credeva che avesse istituito quella danza la vigilia della sua morte. La danza è qui l'equivalente della cena eucaristica.

Questo Cristo non era quello che sarebbe stato giudicato da Ponzio Pilato; egli è del tutto diverso, e la sua danza era ancora praticata nel IV° secolo dai Priscillianisti, dai Manichei, dai Messaliani, dai Meliciani. Ricordiamo anche Ermas (Sim. 9:11) che danzava la notte con le vergini che simboleggiavano le virtù cristiane.