domenica 31 maggio 2020

Lo «scandalo» della croce



LO «SCANDALO» DELLA CROCE

Si può presentarci la seguente obiezione: «Se Gesù Cristo non fu un uomo crocifisso, perché ci viene detto (e da Paolo il primo) dello scandalo della croce? Questo scandalo non sarebbe consistito nel farlo morire, o nel trasformarlo in seguito in dio, o nel prendere la sua croce d'ignominia per una croce di vittoria? In tutti i casi, questo «scandalo» avrebbe potuto essere espresso se non avesse avuto una base storica?»

Posta così, questa obiezione merita che vi si soffermi un attimo.

Anzitutto, chi provoca lo scandalo e di che si tratta? 

Se si deve credergli, Paolo è nemico di ogni scandalo, sia contro i Giudei e i Greci che contro la Chiesa, i fratelli, la dottrina (Romani 9:33, 16:17; 1 Corinzi 10:32; 2 Corinzi 6:3).

Tuttavia, leggiamo altrove che Paolo, opponendo la Fede alla Legge, pone «in Sion una pietra d'inciampo, una pietra di scandalo» (Romani 9:33). Egli non ammette per nulla che egli sia responsabile delle conseguenze dell'ostacolo che ha così eretto contro gli ebrei; questi sono coloro che, non accettandolo, creano lo scandalo poiché questa pietra «non delude colui che ripone la sua fede in lei».

L'apostolo ci spiega la situazione: il Cristo lo ha mandato «per annunciare il vangelo senza ricorrere alla sapienza della parola perché la croce di Cristo non venga resa vana. Poiché la parola della croce è in effetti una follia per quelli che si perdono, ma per noi che siamo salvati, è una potenza di Dio» (1 Corinzi 1:17-18).

«Poiché il mondo con la sua sapienza non ha riconosciuto Dio nella sapienza di Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la follia della sua predicazione (...) Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i Pagani, Potenza di Dio e Sapienza di Dio per gli Eletti» (1:21) «... affinché» (2:5) «la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza degli uomini, ma sulla Potenza di Dio». L'autore di questo passo mostra bene che il significato della croce non era lo stesso per tutti, e Paolo si adira contro certi folli che trasformano la Gloria celeste in immagini mortali (Romani 1:22-23). 

Apprendiamo che l'evangelizzazione cristiana si scontra contro l'incomprensione degli ambienti ebraici e greci. Paolo ironizza sulla falsa sapienza umana che rifiuta la sua verità religiosa; quando egli impiega il vocabolario e la sintassi degli uomini, vale a dire la loro «sapienza» linguistica, essi comprendono le parole nel modo sbagliato; essi non accedono al vero significato della croce e della crocifissione; il dramma teologico dei Cristiani non li raggiunge, resta lettera morta, inutile e vana. Ebrei e cristiani vedono un'esecuzione capitale dove si tratta di un rito di salvezza, e trattano da follia o da scandalo la predicazione della croce che, per Paolo e i credenti, è un messaggio divino pieno di potenza salvifica e di speranza. 

Ma per Paolo, [103] quel che è follia degli uomini è in realtà Sapienza di Dio; lo scandalo della croce non è altro ai suoi occhi che la volgarizzazione in vicende umane del mistero della croce. L'apostolo si indigna della fragilità dei Galati; scrive loro: «Chi vi ha ammaliati? Eppure [Gesù] Cristo è stato ritratto ai vostri occhi come crocifisso tra voi» (3:1) e al verso 3 esclama: «Siete così limitati che vorreste finire nella carne dopo aver cominciato con lo spirito?» Così, non soltanto i Galati hanno visto una rappresentazione della crocifissione, ma il suo significato è stato loro fornito. Non si trattava allora di uno spettacolo lamentevole poiché Paolo (6:14) si gloria della croce del Cristo, per mezzo di cui il mondo è crocifisso per lui (Paolo) e lui per il mondo; il mondo in questione essendo il mondo materiale. 

Paolo, infatti, dichiara che egli è «crocifisso con il Cristo» (2,19b) e precisa che «coloro che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (5:24). Siamo lontani da un supplizio infamante; la croce qui è gloriosa, spirituale, non è un patibolo.

Nell'Epistola ai Filippesi (3:18-19) si legge: «Perché ce ne sono molti, ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo, che si comportano da nemici della croce del Cristo (...) Essi ripongono la loro gloria in ciò che torna a loro vergogna e non pensano che alle cose della terra», il che sottintende che essi si sbagliano sulla croce, che materializzano una rappresentazione simbolica o mitica destinata a suggerire loro — come nei misteri — un insegnamento che il linguaggio ordinario è incapace di esprimere loro. Ancora è necessario aver ricevuto la grazia e avere un orecchio acuto per accedere a quella sapienza degli eletti. Se avessero conosciuto quella sapienza nascosta, gli stessi Principi di questo mondo (spiriti del Male) non avrebbero «crocifisso il Signore della gloria». (1 Corinzi 2:7-8), il quale Signore non era un uomo. 

In ogni caso, il Cristo di Paolo esisteva prima dell'universo (Colossesi 1:17); alcune espressioni che fanno allusione alla sua «riconciliazione con l'universo per mezzo del sangue della sua croce» (1:20), o «nel suo corpo di carne» (22) sono da comprendere in un senso spirituale. Constateremo presto che il «sangue della croce» suggerisce un rito sacrificale rassomigliante a quello della «morte» del dio Attis. Inoltre, è abbastanza certo che se il Cristo ha inchiodato la Legge ebraica alla croce (Colossesi 2:14), ciò non è di certo facendosi inchiodare lui stesso.

A seguito di queste diverse osservazioni, sembra fuori discussione che lo «scandalo della croce» possa servire a provare la crocifissione storica di un uomo Gesù; è del tutto semplicemente la conseguenza di una falsa interpretazione di un mito o di un rito da parte degli ebrei o dei Pagani che si trovavano davanti al suo aspetto esteriore senza interessarsi delle sue origini e senza conoscere o accettare il suo significato profondo.

Lo scandalo ebbe luogo tra loro e i Cristiani di Paolo, questi e quelli accusando di follia il credo dei loro avversari e trattando da sapienza il loro proprio. Quanto alla sostanza, è dubbio che questo scandalo, almeno ai suoi inizi, sia stato così generale e violento come ci appare.

Si può ritenere relativo e secondario quando si legge in Galati (5:11 e 6:12-13) che bastava aderire alla circoncisione per evitare ogni persecuzione per la croce del Cristo. Non si vede benissimo oggi in che modo il rito ebraico potesse far scomparire lo scontro sul significato della croce, ma la conclusione che richiedono questi passi della lettera ai Galati è netta: il dibattito si sarebbe spento se i Cristiani avessero accettato il rito mosaico; non fu così, ma, pur rifiutando la circoncisione, i Cristiani finirono per dimenticare essi stessi l'insegnamento di Paolo e per ammettere l'errore storico dello «scandalo della croce» derivato dalla polemica intrapresa da alcuni ebrei.

NOTE

[103] O per i suoi successori, infatti la data della crocifissione (nel caso in cui questa corrisponderebbe ad un fatto storico) sembra più tardiva di quanto si creda comunemente.

sabato 30 maggio 2020

La croce celeste



LA CROCE CELESTE

Esaminiamo ora i passi che sembrano sostenere la tesi opposta; sono ben più numerosi e convincenti.

Paolo intendeva la croce in un altro senso rispetto a quello adottato da certi uomini «folli che hanno cambiato la gloria del dio incorruttibile con una immagine di uomini corruttibili e di animali» (Romani 1:33). Egli sa che «i principi di questo mondo non hanno conosciuto la sapienza di Dio», ed è a causa di questa ignoranza che essi hanno crocifisso il Signore della Gloria, cosa che — l'abbiamo visto — ci trasporta negli spazi celesti. L'errore di questi Principati e Potenze provocò la loro disfatta e il Cristo, dopo averli spogliati, li diede in spettacolo al cospetto del mondo trascinandoli dietro il suo carro trionfale, la croce (Colossesi 2:15).

Chi oserebbe sostenere che si tratta del patibolo di un Cristo sconfitto, oppure di Ponzio Pilato e di Erode o di una scena storica? L'immagine è quella del Cristo che conduce il carro del sole e governa il mondo dopo aver domato le Potenze del Male. L'idea è molto simile a quella (che abbiamo già incontrato) di un Gesù che obbliga gli arconti cosmici a far girare il mondo verso la destra sotto l'impulso della sua croce-timone. 

Paolo non manca mai di glorificarsi e di «crocifiggere» sé stesso con il mondo, in quella croce cosmica di cui loda «la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità» (Efesini 3:18), qualità che non sono quelle di una croce di supplizio ma che appartengono alla croce di luce e di amore che gli ebrei e i giudeo-cristiani non hanno capito.

venerdì 29 maggio 2020

Croce di supplizio ?



CROCE DI SUPPLIZIO ?

Così, in 1 Corinzi 2:2, Paolo dichiara di non voler conoscere che il Cristo crocifisso. Cosa intende dire con questo? Lo spiega nel verso 8; si tratta del «Signore della Gloria» (ossia di Dio) crocifisso dai «Principi di questo mondo», vale a dire dai demoni planetari. Gli uomini non potevano crocifiggere Dio ma gli «arconti» celesti erano capaci di opporsi a lui, anche solo per errore. Questi esseri soprannaturali e dell'aria, che avevano per capo il «Principe dell'aria» (Efesini 2:2) e che dimoravano negli spazi celesti (Efesini 6:12), Paolo li conosceva e contava di sconfiggerli per andare incontro al Signore «nell'aria» (1 Tessalonicesi 4:16-17). [101] L'allusione riguarda quindi una crocifissione divina e cosmica che non aveva luogo sulla terra.

Nell'Epistola ai Galati, in 3:13, si legge: «Il Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto sia chiunque è appeso al legno». [102] Ma non si riscatta nessuno da una maledizione incorrendo a propria volta in una maledizione diversa. D'altra parte, da quale maledizione il Cristo ha riscattato gli uomini? Proprio da quella che colpiva coloro che praticavano la Legge (3:10); è dunque la Legge stessa che è maledetta. Paolo si erge contro la Legge ebraica e non ha mai preteso che coloro che la praticavano fossero salvati dal Cristo, proprio il contrario. «Il giusto vivrà per la fede» non per la Legge, e il Cristo non ha salvato la discendenza di Mosè (3:19). Né è detto nemmeno che Gesù sia stato crocifisso realmente; l'allusione si riferisce alla sospensione su un patibolo, non alla crocifissione romana. L'intero brano è assolutamente contrario alla teologia paolina della croce e lo si può ritenere un'interpolazione ebraica effettuata da un correttore che non aveva le idee ben chiare. In ogni modo, questo verso 13 è lontanissimo dall'avere il senso che gli si vuole dare.

Nell'Epistola ai Filippesi, si trova in 2:7-8 che il Cristo Gesù «avendo preso figura di uomo si è reso obbediente fino alla morte e fino alla morte sulla croce».

Ci si domanda ancora una volta di quale croce si parla. Ma non si trova da nessuna parte del Nuovo Testamento una riga che riporta che Dio avrebbe dato a suo Figlio l'ordine di morire per un motivo qualunque. Siamo posti qui di fronte ad un mistero liturgico che è diventato incompreso. Si è ipotizzato che l'espressione «la morte sulla croce» fosse stata inserita nel testo a fini teologici; ciò è del tutto possibile, ma quel che si può affermare è che i versi 7 e 8 fanno parte di un inno che è stato introdotto nell'epistola e che va dal verso 6 al verso 11 incluso; questo inno, ben ritmato, è di ispirazione giudeo-cristiana. Si è scoperto, inoltre, che l'epistola era composta da tre lettere originariamente separate e di cui si distinguono i profili: la prima comprendeva i versi 4:10-20 o 23, la seconda andava da 1:1 a 3:1 con alcuni versi del capitolo 4, la terza da 3:2 a 4:9. Non dobbiamo quindi stupirci se la nostra epistola contiene contraddizioni e se le sue allusioni mistiche non sono di natura storica. 

I tre testi che abbiamo appena analizzato si mostrano, in definitiva, incapaci di stabilire che Paolo ha creduto alla crocifissione romana di un uomo Gesù.

NOTE

[101] Allo stesso modo, Apuleio di Madaura, intorno al 170, parla nel suo De Deo Socratis di demoni dell'aria, intermediari tra gli dèi e gli uomini.

[102] Quell'interpolazione nel testo paolino voleva forse provare che Gesù era un uomo ma che era stato maledetto per mezzo della sua impiccagione e che di conseguenza non si poteva prenderlo per il Messia.

giovedì 28 maggio 2020

La croce di san Paolo



LA CROCE DI SAN PAOLO

Quando si leggono le epistole di Paolo, ci si rende conto che la parola «croce» può rivestirvi significati diversi, il che non è sorprendente perché questa parola (in greco stauros) aveva al contempo il significato di palo, di patibolo per l'impiccagione o l'esposizione dei corpi, di croce di supplizio romano, di croce cosmica o solare e che Paolo la impiegava per designare la Potenza di Dio.

Tuttavia, nella quasi totalità dei casi dove la parola «croce» è impiegata da Paolo, non è la croce di supplizio che è intesa. Possono a volte esserci dubbi sul pensiero dello scrittore, ma un attento esame del contesto dove si trova la parola «croce» (o il verbo «crocifiggere») permette di comprendere di cosa si tratta.

mercoledì 27 maggio 2020

La croce degli gnostici



LA CROCE DEGLI GNOSTICI

Un confronto importante — per non dire serissimo — si impone tra quell'anima del mondo e il Gesù salvatore degli Gnostici. Secondo la Pistis Sophia (Cap. 14 e 15) Gesù parlava così: «...quanto alla heimarméne (il Destino) e alla sfera sulla quale essa regna, io la voltai e feci in modo che per sei mesi si muovessero ed esercitassero il loro influsso a sinistra e che, per altri sei mesi, guardassero ed esercitassero il loro influsso a destra. Ma, per ordine del primo comandamento e per quello del primo mistero, Jeu, il guardiano della luce, le aveva disposte in modo che in ogni tempo esse non guardassero e non esercitassero la loro influenza che a sinistra». [100] Apprendiamo così che Gesù agiva sull'asse del mondo, sulla croce celeste; egli teneva il timone; era una specie di gigante che metteva in moto il mondo, era il demiurgo di Platone cristianizzato. Infatti il dualismo di Platone non faceva che opporre il mondo della materia al mondo vivente; esso non comportava due divinità antagoniste. Il cosmo era animato da un movimento naturalmente disordinato, ma Dio vegliava su di esso e correggeva la sua marcia grazie al demiurgo o dio pilota.

Secondo il sistema gnostico della Pistis Sophia, il mondo seguiva la via di sinistra, ma Gesù decise che, per la metà dei cicli, il Cosmo avrebbe preso la via di destra. La durata del mondo si divideva tra il Bene e il Male (o l'assenza di Bene). Tutto era rimesso in discussione dopo ciascun periodo di seimila anni.

La Pistis Sophia indicava anche che il reggente del dominio «della mano destra» era Jeu; senza dilungarci in questo campo, specifichiamo semplicemente che questo Jeu era l'angelo della luce, il primo Presbitero, l'Uomo primordiale; egli era il padre di Sabaoth da cui derivava il Cristo, il quale considerava Jeu il padre di suo padre. Esisteva un Libro di Jeu attribuito ad Enoc e contenente i misteri che gli erano stati rivelati sotto l'albero della Conoscenza e l'albero della vita, il che probabilmente spiega l'allusione al fico fatto da Gesù davanti a Nataniele (Giovanni 1:48-50) che del resto, secondo il  vangelo di Bartolomeo, era un angelo. 

Terminata questa digressione, resta indiscutibile il fatto che alcune sette cristiane conoscevano la croce cosmica, timone o carro glorioso di Gesù. Quella croce di vittoria, di luce, di salvezza era famosa; è essa che si riscontrava nelle Catacombe e che cantavano i Padri della Chiesa.

NOTE

[100] La Pistis Sophia aggiunge che Gesù, avendo detto ciò, «avvicinò i suoi discepoli, si voltò ai quattro angoli del mondo (il che ricorda la croce), pronunciò sul loro capo il grande nome, li benedisse, e soffiò sui loro occhi». Non è trascurabile confrontare con questo passo il verso di Giovanni (20:22) secondo il quale il Cristo risorto alitò sui suoi discepoli.

martedì 26 maggio 2020

La croce di Platone



LA CROCE DI PLATONE

Nel Timeo Platone presenta l'anima universale, mediatrice tra il dio e il mondo, sotto la forma di una croce inclinata che si estende dal cielo alla terra. [98]

Quella croce è simile alla lettera greca Chi, cioè ad una X; le due assi di quella lettera poste sulla sfera del mondo si curvano prolungandosi e si ricongiungono in un punto opposto alla loro prima intersezione, formando così due cerchi che, ruotando come l'armatura di un giocattolo, disegnano la doppia sfera celeste o anima del mondo (Timeo 36:b). Quell'anima del mondo, generata da Dio, è suo figlio; preesistente al mondo, è il Modello Vivente, l'eterno Vivente, di cui l'uomo con le braccia distese non è che un'immagine insufficiente.

La X cosmica è costituita dall'incrocio sull'eclittica della sfera dei pianeti con la sfera delle stelle fisse; quella croce segna il limite tra il mondo planetario e il cielo delle stelle.

Giustino lo sapeva; secondo la sua Apologia, il Chi o X significava il Primo Principio o il Figlio di Dio, seconda persona della santa Trinità. Secondo Porfirio, Proclo attestava (in Timaeum 3:216) che i neoplatonici rappresentavano l'anima del mondo con una croce greca inscritta in un cerchio, il cerchio che rappresenta il cosmo e la croce la diffusione dell'anima del mondo nei quattro angoli del cielo o nei quattro elementi; per Proclo, l'uomo era un'anima che si serve di un corpo.

Giustino scriveva: «Platone... là dove dice del Figlio di Dio: Lo dispone a X nell'universo... senza capire esattamente e por mente che si trattava di una forma di croce, supponendo invece che fosse un incrocio a X, espresse la teoria che la seconda virtù, dopo Dio come principio, fosse disposta a X nell'universo». Poco ci importa che Giustino e altri Cristiani abbiano commentato male Platone; ciò che importa è veder riconoscere da loro che il Figlio di Dio era una figura cosmica e che Platone l'aveva affermato. 

Per Platone, il mondo è un essere vivente fatto di un'anima e di un corpo. L'anima sola può mettere in moto la materia, ma questa, sebbene sorda e cieca, le oppone una resistenza. Teofrasto (Metafisica 8:33) dice perché: «Neppure Dio è in grado di ricondurre tutte le cose all’ottimo... e forse egli non potrebbe neppure decidere in tal modo, altrimenti si verificherebbe la distruzione dell’intera realtà, poiché essa è formata da elementi contrari e si fonda sui contrari»

In effetti, Platone ce lo spiega nel Politico (269 d...): «A volte è Dio stesso ad accompagnare con la sua guida il cammino di questo nostro universo... a volte invece lo lascia libero, quando le rotazioni hanno ormai raggiunto la misura di tempo che gli spetta, allora esso si mette a ruotare autonomamente in senso opposto, perché è un essere vivente e ha ricevuto intelligenza... non è lecito affermare che il mondo sia sempre fatto girare da Dio... in due rotazioni tra loro opposte, né ancora che a farlo nuotare siano due dèi che la pensano in modo opposto l'uno all'altro... il mondo una volta è accompagnato dalla guida di una causa diversa e divina, e così riacquista la vita e riceve dal demiurgo un'immortalità restaurata, mentre la volta successiva, quando è lasciato libero, procede autonomamente...». Così, quando il dio-pilota lascia il timone e si ritira nel suo posto di osservazione (272:5 e Timeo 42:5) il mondo è abbandonato alla fatalità e al suo impulso naturale, da cui i suoi disordini; ma poi Dio riprende la direzione del mondo per impedirne la dissoluzione totale.

La durata di ciascuna rotazione è qui di sei mesi; essa corrisponde alle sei fasi del tempo di Clemente di Alessandria, ai due periodi di seimila anni degli Etruschi, di Cicerone, dello Zohar, al grande anno di seicento anni degli Indiani e dei Bramini. Per i maghi occidentali, la durata del mondo era di dodicimila anni. [99]

NOTE

[98] Fin dalla più remota antichità, la croce rappresentava l'universo, i punti cardinali, il cielo, il sole; era un simbolo di sette religiose e ispirava agli uomini certe attitudini e certi miti.

[99] Tocchiamo là un argomento che non rientra nei limiti del presente libro: la teoria dei cicli, dell'eterno ritorno delle cose alla fine di certi periodi. Nel II° secolo prima della nostra era, la Sibilla conosceva un Grande Anno di dieci grandi mesi, ciascuno della durata di un secolo.

Arthur Drews ha potuto scrivere (Il mito di Gesù): «L'ordine di successione dei racconti evangelici è copiato dalla volta stellata, o meglio da una sfera armillare che fornisce al vangelo la classificazione dei racconti isolati che circolavano su Gesù. La marcia del sole intorno allo zodiaco (in ebraico galil) gli dà l'itinerario delle peregrinazioni di Gesù attraverso la Galilea con il suo soggiorno a Gerusalemme, e gli atti e le parole di Gesù sono classificati secondo i soggetti forniti dai dodici segni dello zodiaco e dalle costellazioni corrispondenti al di sopra e al di sotto dell'eclittica, che si levano, si stendono e culminano con questi segni. Questo è lo stesso principio di mitologia astrale che è all'origine dei miti di numerosi altri dèi ed eroi antichi, soprattutto dei Salvatori divini morenti e risorgenti, come abbiamo già visto con Gesù-Giosuè che rappresentava originariamente il sole nel trionfo e nella morte della sua rivoluzione annuale. Il sole muore alla croce autunnale (punto di intersezione dell'eclittica con l'equatore celeste) nel segno della Bilancia (del giudizio), come condannato a morte all'equinozio d'autunno, e risorge all'equinozio vernale (segno dell'Ariete o dell'Agnello), «elevato» sulla croce vernale: è dalla combinazione di questi due eventi annuali che è derivata tutta la storia della crocifissione e della resurrezione del Salvatore cristiano, tutta la mistica della croce, senza che sia necessario cercare la croce in non importa quale fatto storico».

lunedì 25 maggio 2020

La croce di Costantino



LA CROCE DI COSTANTINO

La storia edificante del famoso labaro di Costantino non è in realtà che una leggenda cristiana. Costantino era vicino più agli  ermetisti che ai cristiani; nella preghiera che scrisse nel 313, Dio è il Padre dell'Universo, il cielo è il dio visibile, il sole è il demiurgo inferiore al Padre. Se preferì ai culti antichi quello del sole, è perché nella primavera del 310, quando visitò un tempio di Apollo, questo dio gli apparve e gli offrì due corone di alloro ornate con un segno misterioso che fu interpretato come la promessa di trent'anni di regno.

Quale era questo segno che poteva rappresentare «tria decennia» tre decine? Questo segno era simile all'emblema che aveva potuto vedere in Gallia su un altare degli Edui? Un martello circondato da una corona non poteva significare una T, iniziale del numero tre? Le monete successive all'anno 310 rappresentano spesso, sullo sfondo di un altare, una corona che circonda la croce in forma di tau (T), o la croce dai rami uguali (+) oppure una stella con otto rami (una X e una + sovrapposte).

Non si potrebbe dubitare in ogni caso del fatto che questo segno si basa su una tau (T) e una X, due forme di croce sovrapposte, segno che era l'emblema del sole. L'imperatore considerava infatti il sole il fondatore della dinastia claudiana alla quale egli si collegava e faceva figurare nelle sue monete il suo profilo su quello del sole. Quando entrò in guerra contro Massenzio nel 312, egli non era per nulla il protettore dei Cristiani; oppose al suo avversario che praticava la magia un segno magico che doveva assicurargli la vittoria. 

L'immagine del labaro non apparve che dopo il 326, il che può far dubitare della sua creazione durante la battaglia o poco dopo. Tanto per cominciare, Eusebio e Lattanzio descrivevano questo simbolo come un «segno inaudito», ma presto gli sarebbe stato dato un significato cristiano. Noi non ricaveremo da questo episodio che due grandi probabilità: 

1) il labaro era un segno solare di vittoria;

2) la conversione di Costantino fu più tardiva di quanto pretende la leggenda cristiana, senza dubbio si può situarla verso il 326 o più tardi; se, secondo la sua leggenda, egli fu battezzato, questo fu alla sua morte.

domenica 24 maggio 2020

Apparizione tardiva del crocifisso



APPARIZIONE TARDIVA DEL CROCIFISSO

Ora, molti testi cristiani lo provano, [97] per lungo tempo la croce greca (dai quattro rami uguali), emblema del trionfo e della luce, fu l'unica rappresentata. La croce latina (asse orizzontale più corto del ramo verticale) apparve nelle Catacombe solo nel IV° secolo. Sembrerebbe che il cristianesimo abbia adattato alle sue credenze un culto pagano della croce; tale culto aveva raggiunto una tale diffusione che una legge di Teodosio e di Valentiniano III (Cod. Giust. 1:1, Tit. 7) proibì, con le pene più severe, di dipingere, scolpire o incidere la croce sul pavimento dei templi.

Questo divieto fu confermato dal Concilio di Costantinopoli del 692 al fine di evitare che «i piedi dei passanti profanino il trofeo della nostra vittoria» (73° canone). Così, alla fine del VII° secolo, la croce non era ancora la rappresentazione di un supplizio; tuttavia, questo stesso Concilio raccomandava, nel suo 82° canone, di rappresentare il Cristo non più sotto la forma dell'agnello ma «sotto la forma umana».

Il crocifisso non appare nell'arte prima della fine del VI° secolo. Non si tratta ancora di un torturato. Il Cristo è raffigurato vivo, con gli occhi spalancati; «non solo è vivo, ma trionfante; al posto della corona di spine, reca sulla sua fronte il diadema regale... si erge sul legno dell'infamia con la stessa maestà con cui si sarebbe assiso su un trono» (Louis Réau, Iconographie de l'art chrétien).

È solo a partire dall'XI° secolo che il Cristo sarà rappresentato morto e solo nel XII° secolo il Cristo in croce si mostrerà sul portale di una chiesa.

Si è avanzata, per spiegare questa apparizione tardiva della croce di supplizio nell'arte cristiana, la repulsione che avrebbero provato i fedeli di fronte alla rappresentazione della morte del loro dio; ciò non è impossibile da parte di alcuni, ma è inconcepibile da parte delle folle cristiane se si considera la moda del crocifisso e delle «crocifissioni» degli ultimi dodici secoli e se si ricordano la nascita e la diffusione del culto del cuore di Gesù e il successo delle immagini che rappresentano questo cuore sanguinante.

NOTE

[97] È Cirillo di Gerusalemme che avrebbe scritto il primo (nelle sue Catechesi) nel 347, su «questo legno sacro della croce che si vede fino a questo giorno in mezzo a noi e i cui frammenti sono sparsi in tutto l'universo» ma il fatto è sorprendente. Eusebio, morto nel 338, e che ha fatto lunghe descrizioni delle basiliche di Costantino e del santo Sepolcro, non parla della croce. Verso il 385 la pellegrina Silvia parla della scoperta della croce; negli anni che seguono, questo ritrovamento è attribuito all'imperatrice Elena che si era recata nei luoghi santi alla fine del 326. Nel 496 il papa Gelasio inserì il racconto de «L'Invenzione della Croce» da parte di sant'Elena nel suo Index dei libri proibiti ma questa lettura non era proibita che in pubblico. 

sabato 23 maggio 2020

Il segno della croce



IL SEGNO DELLA CROCE

A detta di Tertulliano (De corona milit. 13) i Cristiani facevano il segno della croce in tutte le circostanze della vita, anche le meno importanti: appena giù dal letto, quando cominciavano a vestirsi, uscendo dalla casa o entrandovi, facendo il bagno o sedendosi a tavola, ecc. Lo facevano anche sul cibo, sulla bocca quando starnutivano e persino sui loro animali domestici.

Risulta chiaro da questi esempi che questo segno non ricordava per nulla la crocifissione di Gesù Cristo, ma che era un gesto magico destinato a scongiurare la sorte.

In una recensione del dicembre 1957 (La Table Ronde) il signor Adolphe Dupront, professore alla Sorbona, ha scritto: «è certo che se la croce della passione è quella dei nostri lamenti moderni, nei secoli antichi la croce era soprattutto la croce di gloria. L'infamia del patibolo su di essa è una evoluzione della consuetudine o come un masochismo di ritorno...».

Affermazione che il rev. p. Daniélou confermava nella stessa recensione: «Può essere ritenuto certo che il segno della croce con cui erano segnati i primi Cristiani indicasse per loro il nome del Signore, ovvero il Verbo, e significava che gli erano consacrati... Il segno della croce è apparso in origine non come un'allusione alla Passione del Cristo, ma come una designazione della sua gloria divina... Le quattro braccia della croce appariranno come il simbolo cosmico di questa azione salvifica».

Ritornando ulteriormente su questo argomento (Théol. du jud.-Christ.) padre Daniélou precisava ancora: «Diventa evidente che la croce di cui si tratta non è l'immagine del Cristo sofferente ma la croce gloriosa che precederà il Cristo alla Parusia. Sarà la successiva ascesi cristiana che ne modificherà il significato vedendovi un memoriale della Passione e non una profezia della Parusia».

Quanti Cristiani credono ancora che la croce del Cristo sia una testimonianza della sua crocifissione! Quanti ammetterebbero che essa la nega?

venerdì 22 maggio 2020

La croce amuleto



LA CROCE AMULETO

Parallelamente, i vangeli hanno conservato la traccia di un'altra croce rispetto al patibolo. Secondo Matteo (10:38, 16:24) e Marco (8:34), Gesù disse ai suoi seguaci: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me», idea che Luca (9:33) riprende sotto la forma seguente: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».

Questi passi attestano che la croce in questione esisteva prima della morte di Gesù, che essa era il suo emblema, il segno di raduno dei suoi adepti, il simbolo che essi dovevano portare tutti i giorni; quella croce non era quella della sua morte ma della sua vita, e nessuno di questi portatori di croci «quotidiane» era un vero crocifisso.

Portavano dunque su di loro una croce; era una piccola croce di legno, o un gioiello di quella forma, oppure un anello inciso, o un tatuaggio? Si è ridotti alle supposizioni, perché le testimonianze mancano prima del terzo secolo, probabilmente perché la croce era nascosta agli sguardi profani. Eppure, i pagani finirono per accorgersene e accusarono i Cristiani di idolatria; costoro risposero in una maniera che non ci sembra molto convincente. Così, Minucio Felice scriveva nel suo Octavius: «Noi non adoriamo la croce ma... voi che consacrate degli dèi di legno, forse potreste adorare anche voi delle croci di legno come parte dei vostri dèi?» E Tertulliano (Apologetico 16): «Coloro che ci credono adoratori di una croce, non sono forse nostri correligionari quando provano a rendersi propizio qualche pezzo di legno? Che importa la forma, quando proprio lo stesso legno è il corpo di un dio!... I vostri modellatori non abbozzano forse le vostre divinità su una croce?»

Queste croci, oggetti di adorazione, non rappresentavano evidentemente né per i Cristiani, né per i Pagani, uno strumento di supplizio; esse onoravano una divinità e costituivano un pegno di immortalità, un talismano.

giovedì 21 maggio 2020

La croce in senso metaforico



LA CROCE IN SENSO METAFORICO

Croce e crocifissione erano luoghi comuni di conversazione, termini di paragone. È così che Seneca scriveva: «Sostenete che nessuno di loro fa quello che dice e non vive in conformità con le sue parole. Non è strano: le loro sono parole eroiche grandiose e superiori a tutte le tempeste umane. Anche se non riescono a staccarsi dalle croci su cui ognuno di voi conficca i suoi chiodi, tuttavia, quando sono condotti al supplizio, pendono ciascuno da un solo palo. Invece questi che badano soltanto a se stessi, hanno una croce per ogni passione. Ma i maldicenti si fanno belli a offendere gli altri. Potrei credere che non abbiano questo difetto se non ci fosse chi sputa sul pubblico anche dalla forca» (Vita beata). Indubbiamente questo brano è metaforico, e nessuno si è mai sognato di vedervi allusioni ad eventi reali.

Allo stesso modo, quando Paolo, ancora vivo, afferma: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Galati 2:15), non vuol dire che è stato veramente crocifisso su una croce di legno con il Cristo; la sua crocifissione è spirituale. È in questo senso che lui può arrivare a parlare della crocifissione del mondo: «Io mi vanto della croce del nostro Signore Gesù Cristo, per cui il mondo è crocifisso per me come io lo sono per il mondo» (Galati 6:14). Dice anche: «Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui» (Romani 6:6) o ancora: «Quelli che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Galati 5:24). Paolo parla lo stesso linguaggio di Seneca, ma va oltre; il mondo intero è crocifisso. La sua croce non è dunque quella di un supplizio reale; non è neppure un patibolo, ma una croce di gloria con la quale faremo presto conoscenza.

Paolo non fa alcuna allusione ad un processo e ad un supplizio; non conosce nessuno dei personaggi della Passione, e nella corrispondenza apocrifa con Seneca, non se ne parla nemmeno; era tuttavia un bell'argomento su cui meditare tra loro. [96]

NOTE

[96] L'inventore di quella corrispondenza non si è neppure sognato di far discutere Seneca e Paolo al riguardo.

mercoledì 20 maggio 2020

Croci e crocifissioni diverse



Eventi o Miti?

Non si potrebbe analizzare ciascuna delle azioni o delle parole prestate a Gesù Cristo dai vangeli. Il compito sarebbe troppo lungo. Pensiamo sia preferibile isolare l'elemento fondamentale della storia cristiana: la «Passione», e cercare di scoprire se i suoi vari episodi possano corrispondere ad una qualsiasi realtà.

In materia religiosa, più che in qualsiasi altro dominio, la critica deve non soltanto esaminare i testi e cercare di comprendere i loro diversi significati, ma anche cercare le intenzioni dei loro autori. Un racconto dal fascino storico, ad esempio, può rivelarsi alla fine dell'analisi una raccolta letteraria di miti diversi, una trasposizione di più leggende o il compimento di una semplice citazione biblica.

Quanti autori, quanti popoli, non hanno preso «la pagliuzza delle parole per il filo delle cose» e costruito con l'aiuto di questo fragile materiale storie alle quali il mondo del XX° secolo crede ancora! Sfidiamo i luoghi comuni che ci sono propinati ogni giorno, le parole storiche che non sono mai state pronunciate, gli eroi che non sono mai esistiti!

Quanti esempi dovremmo fornire! Guglielmo Tell, la papessa Giovanna, mago Merlino, Rolando, Re Artù, Romolo e Remo, Ester e Mordecai, Omero... Belle favole ma gravi errori. Ecco perché sorge il problema storico dell'esistenza del Cristo. Si tratta di un'immensa questione che ha occupato molte generazioni di critici, ma che ridurremo all'essenziale limitandoci alla Passione di Gesù, un argomento che non è peraltro così semplice come appare a prima vista.

Quella Passione comprende l'arresto, il giudizio, la condanna del Cristo, la sua morte per crocifissione, il suo soggiorno agli inferi, la sua resurrezione, le sue apparizioni, la sua ascensione. Si potrebbe ritenere a priori che se il viaggio infernale di Gesù e la sua resurrezione riguardano un dio, il suo processo e la sua esecuzione non possono essere attribuiti che ad un uomo. Sarebbe meglio, però, riservare ogni opinione su questo argomento fino alla fine della nostra esposizione e scartare, almeno per il momento, il pregiudizio secondo il quale noi possederemmo, con la narrazione della Passione, quella di un'avventura unica, originale, che non può essere compresa se non grazie ai commentari di cui la Chiesa l'ha ricolmata.

La croce

Per liberare il problema dal suo ambiente affettivo, andremo prima di tutto a collocarlo nel clima filosofico e religioso dell'epoca; soltanto in seguito esamineremo i principali dettagli della Passione.

CROCI E CROCIFISSIONI DIVERSE

Chi sospetta oggi che la parola «croce» o «crocifissione» potesse evocare idee diverse all'inizio della nostra era? Alcuni non pensavano che alla crocifissione romana, altri si ricordavano della crocifissione ebraica, per altri infine queste parole evocavano un sacrificio divino o un mito celeste. 

Non esisteva allora una parola speciale per indicare la croce considerata come strumento di tortura. La parola greca «stauros» poteva significare sia un palo, sia una croce, sia il luogo del sacrificio. Luciano si serve di questa parola parlando di Prometeo inchiodato sul Caucaso. 

Gli ebrei non avevano che la parola «legno» per indicare la croce; la parola «crux» si applicava tanto al legno dell'impalamento quanto alla forca dove venivano appesi i condannati; un poeta latino chiama «crux» la roccia alla quale era attaccata Andromeda. 

Nulla ci permette dunque di affermare a priori che Gesù fosse stato appeso, inchiodato o esposto su una croce nel senso che diamo a questa parola.

La croce era inoltre un emblema religioso, un oggetto e un segno simbolico ben prima dell'apparizione del cristianesimo.

martedì 19 maggio 2020

Contraddizioni dei nostri testi



CONTRADDIZIONI DEI NOSTRI TESTI

Nella progressiva creazione dell'eucarestia, vi sono state molte esitazioni e contraddizioni a proposito degli alimenti da utilizzare. A volte c'era solo il pane; a volte era accompagnato da vino, altre volte quest'ultimo era sostituito dall'acqua; si specificava anche che era necessario del vino nuovo, o del vecchio, del vino fermentato o no. Se il Cristo non mangiava che del pane comune, i giudeo-cristiani, sostenitori del pasto pasquale, mangiavano pane azzimo. E si dimenticherebbe volentieri che Gesù ha egualmente praticato (almeno secondo alcuni Cristiani) una comunione a base di pane e di pesci, l'unica che si trova rappresentata nelle Catacombe (Giovanni 21:9, 13; Matteo 7:10).

Sappiamo anche che Paolo offriva del latte ai neofiti (1 Corinzi 3:2, 9:7; Ebrei 5:12, 13; 1 Pietro 2:2), e che Luca (11:11) ha persino sentito parlare di un uovo. 

Un'altra contraddizione, abbastanza grave poiché verte sul rito stesso, è quella del numero dei calici. Il nostro attuale Luca ne presenta due, mentre gli altri due sinottici ne conoscevano solo uno. Il Codice Bezae (D) occidentale dà, nel passo di Luca sull'eucarestia, solo i versi 22:16, 19a, 17, 18, ovvero un solo calice; i nostri cinque principali tipi di manoscritti riducono i due calici menzionati da Luca ad uno solo. [95]

In conclusione, da questi indizi, sembra che Gesù non abbia istituito né il battesimo, né l'eucarestia e che questi sacramenti non abbiano avuto, in origine, il significato che la Chiesa ha dato loro in seguito.

NOTE

[95] Si veda egualmente infra pagina 240.

lunedì 18 maggio 2020

L'evoluzione di questo sacramento



L'EVOLUZIONE DI QUESTO SACRAMENTO

Quando gli Atti fanno allusione alla frazione del pane e alle preghiere, il pane non è messo in relazione con Gesù e né il calice né il vino sono menzionati. Il vino non apparirà che più tardi, in 1 Corinzi 10:16 e 11:26, quando sarà posta l'equazione: Pane + Vino = Corpo e Sangue del Signore, alla quale si legherà «la nuova alleanza nel sangue», espressione che rimane inspiegabile se Gesù è stato crocifisso, cioè se non ha versato il suo sangue.

Giustino (nella sua Apologia 66:3 e nel suo Dialogo 70) faceva allusione ad una Cena senza vino, simile a quella che conoscevano Marcione, Taziano e gli Encratiti, e alla quale un'allusione è fatta in Romani 14:21, Efesini 5:18, 1 Timoteo 3:3, Tito 1:7.

Se ci si riporta alla Didachè, si trova nel capitolo 9 il calice e la frazione del pane senza commemorazione della morte del Cristo e senza comunione con lui; nel capitolo 14 si spezza il pane semplicemente senza fare allusione al calice. 

In Luca (22:15) il pasto è paragonato alla «Pasqua» di un dio sofferente e i discepoli sono invitati a ripetere la Cena, ripetizione che costituirà il memoriale della morte del Cristo. Non si tratta ancora di un sacramento, ma Matteo (22) aggiungerà che il sangue dell'alleanza assicurerà la remissione dei peccati.

Questa eucarestia-sacramento non è ciò che ha conosciuto Paolo; ne è molto distante. Per l'apostolo, la mensa e il calice del Signore si oppongono alla mensa e al calice dei demoni; egli sa che per mezzo degli alimenti si entra in comunione con gli dèi buoni o malvagi; li si sceglie secondo la religione alla quale si appartiene, secondo la tavola o il banchetto al quale si partecipa.

La comunione nel corpo e nel sangue del Signore non viene da Israele, ma dalle religioni misteriche. Cicerone scriveva a questo proposito (Della natura degli dèi 3:16): «Quando chiamiamo Cerere le messi e Libero il vino usiamo un modo di dire: pensi davvero che ci possa essere qualcuno tanto pazzo di ritenere che sia un dio ciò che egli mangia?» Cicerone era troppo ragionevole e aveva torto poiché il paradosso del dio che dava lui stesso da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue si è prodotto in Egitto dove si vedeva il vino diventare il sangue di Osiride e questo dio offrire questo sangue simbolico da bere a Iside e a Horus. Nei riti riguardanti il dio Tammuz, questi era assimilato al grano e sua sorella era «il vino del cielo», così come Gesù si dichiarò «il pane del cielo» o «la vera vite» e assicurò che il vino era il suo sangue.

Un papiro contiene la seguente formula: «Possa questo vino divenire il sangue di Osiride», e un altro mostra Osiride, sotto forma di un calice di vino, mentre dà il suo sangue da bere a Iside e a Horus. Ora, le Odi di Salomone (19) hanno paragonato il Figlio di Dio al calice. Secondo un altro papiro, il vino non è vino, ma la testa di Atena o le viscere di Osiride e di Iao (si veda Guignebert, Le Christ, pag. 373).

Giustino, Cipriano, Firmico Materno riconobbero la rassomiglianza che esisteva tra il pasto del Signore e i banchetti cultuali dei Misteri, e Giuseppe ci dice addirittura (Antichità 18:3:4) che si poteva essere invitati nel tempio di Iside al pasto di Anubi.

Inoltre, A. Moret segnala (Rois et dieux d'Egypte, pag. 183) secondo Apuleio (Metamorfosi 11) che, nella processione isiatica, si portava per ultima «l'urna d'oro dall'ansa formata da un ureo e contenente dell'acqua santa, sostanza e simbolo del dio egiziano». 

Se si confronta questo passo con un episodio evangelico piuttosto misterioso, si ottiene forse di quest'ultimo una spiegazione soddisfacente.

Leggiamo infatti in Marco 14:12 che i discepoli domandarono a Gesù dove andare per fare i preparativi della Cena. Rispose loro di andare in città: «incontrerete un uomo, che porta una brocca piena d'acqua; seguitelo. E là dove entrerà, domandate dov'è la mia stanza ed egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i cuscini, già pronta».

Non si può pensare che per trovare a colpo sicuro uno sconosciuto così raffigurato, il modo migliore consisteva nel guardar passare un corteo sacro e nel seguire il portatore della coppa rituale ? E che nessuno poteva sorprendersi, visto che la sala dei banchetti non solo era stata preparata, ma anche prenotata in anticipo? Probabilmente in un tempio?

La storia finisce bruscamente: «I discepoli trovarono come egli aveva loro detto; e apparecchiarono la Pasqua». Ma nulla è detto di quei preparativi che avrebbero dovuto essere importanti e degni di essere ricordati se si fosse trattato veramente della Pasqua: i discepoli avrebbero dovuto sacrificare e arrostire l'agnello, procurarsi pane azzimo, vino, acqua, erbe amare, salsa e lampade. Ma noi sappiamo che il suddetto pasto contiene solo due di questi elementi. Inoltre, se a Pasqua si mangiava in piedi, i cuscini erano inutili.

domenica 17 maggio 2020

L'eucarestia non è un pasto pasquale



L'eucarestia

L'EUCARESTIA NON È UN PASTO PASQUALE

Ognuno sa e, generalmente, ognuno crede che l'istituzione del rito dell'Eucarestia ebbe luogo al momento dell'ultimo pasto di Gesù, cioè al momento della famosa Cena che tanti pittori hanno illustrato attraverso i secoli. Questo è vero per i tre vangeli sinottici, ma il IV° vangelo, quello di Giovanni, la ignora; per esso, il pasto più significativo fu quello in cui Gesù lavò i piedi dei suoi discepoli, e la più sensazionale distribuzione di pane fu quella che permise il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Nonostante l'insistenza che ci misero i correttori giudeo-cristiani nel trasformare quella Cena in pasto pasquale, si può affermare che essa non lo è. [94]

Se Gesù lava i piedi dei suoi discepoli, se viene arrestato, giudicato, ucciso, se tutti sono per strada, se Simone ritorna dal lavoro, se porta la croce di Gesù — quando gli era proibito lavorare o uscire da casa sua fino al mattino — è perché tutti questi fatti non accadono al momento della Pasqua. 

D'altra parte, l'agnello pasquale doveva essere servito con erbe amare e pane azzimo, e ogni partecipante beveva quattro calici. Ora, nella Cena cristiana, non vi è né agnello né erbe, non vi è che un calice soltanto, non è affatto del pane azzimo, ma un pane comune che viene spezzato.

Si è voluto far dire a Paolo (1 Corinzi 5:7) che «Cristo nostra Pasqua è stato immolato» ma l'autore del testo ha commesso un errore. Infatti la Pasqua ebraica era essenzialmente la festa del pane senza lievito, mentre la Cena del Signore cristiano utilizzava del pane lievitato e il vangelo affermava che il lievito era il Cristo; di conseguenza, essa non poteva essere «la Pasqua», ma piuttosto vi si opponeva. D'altra parte, se Gesù era il «pane di vita» non poteva essere l'agnello di cui si mangiava la carne.

Limitandoci a ricordare che vi sono gravi contraddizioni tra i testi riguardanti l'eucarestia, indicheremo alcuni aspetti che mostrano che questo sacramento cristiano ha dietro di sé una lunga evoluzione.

NOTE

[94] Clemente di Alessandria (Stromata 6:145:5) ha scritto: «È in questo giorno (l'8° = domenica) che noi dobbiamo celebrare il banchetto divino secondo la gnosi che ci è data dal Logos». Quella cena non ha alcun rapporto con il corpo di Gesù.

sabato 16 maggio 2020

Un battesimo gnostico



UN BATTESIMO GNOSTICO

Al tempo di Ireneo, la setta di Marco distingueva due battesimi, il battesimo di pentimento di Gesù e il battesimo di redenzione amministrato nel nome del Cristo disceso in Gesù; il primo era psichico, il secondo spirituale.

Per alcuni Marcosiani, la cerimonia del battesimo doveva essere importante poiché rappresentava un matrimonio spirituale, l'unione di una coppia di eoni nel Pleroma. Si disponeva a questo scopo di una camera nuziale dove doveva essere amministrato un battesimo nel nome del Padre, della Verità e del Cristo disceso in Gesù. L'iniziato rispondeva: «Io sono confermato e redento, e io redimo la mia anima da questo eone e da tutto ciò che ne deriva, nel nome di Iao, che ha redento la sua anima per la redenzione del Cristo Vivente». Egli riceveva allora l'unzione che gli ricordava «il buon odore sparso sul Tutto».

Abbiamo sottolineato le parole che richiedono le nostre osservazioni. Constatiamo che il riscatto dell'anima dipendeva dalla sua liberazione dalle cose materiali e dalla sua unione con un'altra anima celeste, che questa redenzione imitava quella di Iao che citiamo altrove (si veda l'Indice), che il Gesù evangelico era chiamato lo sposo e che partecipò alle nozze di Cana, che Paolo disse infine ai suoi fedeli che essi erano «il buon odore di Cristo» (2 Corinzi 2:15) che, sappiamo, era stato unto con un profumo molto prezioso.

Nella tradizione gnostica, non c'è traccia del peccato originale; il male da cui bisogna liberarsi è il corpo che imprigiona l'anima, è il mondo materiale in cui l'uomo vive da straniero; la redenzione è il ritorno al cielo della scintilla divina che ogni uomo porta in sé e la sua unione con lo sposo celeste che lo attende oltre la portata di questo mondo sensibile, è una salvezza di ordine cosmico. 

Al seguito di queste varie considerazioni, si può ritenere che il racconto evangelico del battesimo cristiano — così come lo leggiamo oggi — non è altro che una raccolta di vestigia religiose provenienti da diverse fonti che possedevano significati che la Chiesa ha scartato. Tra tutti questi elementi, furono conservati solo quelli che potevano partecipare alla stesura del racconto solenne dell'istituzione del battesimo cristiano più tardivo.

venerdì 15 maggio 2020

Il segno di Giona



IL SEGNO DI GIONA

Alcuni ebrei secondo Luca (11:16), i Farisei secondo Marco (8,11), gli Scribi, i Farisei e i Sadducei secondo Matteo (12:38 e 16:1) sollecitano da Gesù un segno dal cielo. Ma se, secondo Marco, Gesù si rifiuta di far dare un segno a questa generazione, secondo Matteo e Luca, essa ne riceverà uno, ma uno solo: il segno di Giona. Ciò non impedirà ai nostri evangelisti di indicare alcuni altri segni, in particolare l'abominio della desolazione (Marco 13:4-14), la resurrezione (Giovanni 2:18-22), il pane di vita (Giovanni 6:30); nonostante queste contraddizioni dei nostri testi, cerchiamo quale può essere il significato del segno di Giona.

***

Il libro biblico di Giona, scritto probabilmente intorno al 300 prima della nostra era, sembra darci non il racconto primitivo dell'avventura sopraggiunta a Giona, ma due o tre parti prese da due diverse versioni della storia; secondo l'una, Ninive era distrutta, secondo l'altra, essa era salvata.

Sia come sia, ricorderemo (riclassificandoli secondo questa ipotesi) i seguenti fatti:

Il Signore ordina a Giona di recarsi a Ninive e di gridare contro di lei. Giona vi si reca e grida: «Entro quaranta giorni, Ninive sarà distrutta». Poi Giona prende la fuga a bordo di una barca; è gettato in mare e inghiottito da un grande pesce; una volta nel ventre della «balena», Giona prega Dio per tre giorni e tre notti.

Isoliamo dalla sua preghiera alcune frasi: «Tu mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare... Le acque mi hanno sommerso fino alla gola... Ma tu mi hai fatto risalire dalla fossa...». Alla fine dei tre giorni, il pesce (per ordine del Signore) vomita Giona sulla terra.

Alcune analogie si impongono, in particolare con la storia di Noè nell'arca. Il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e decise di sterminare tutto ciò che viveva. Solo Noè trovò grazia ai suoi occhi. Lo rinchiuse con la sua famiglia nell'arca; il diluvio si scatenò per quaranta giorni, il mondo vivente fu distrutto, ma Noè, i suoi e gli animali rinchiusi nell'arca furono salvati (Genesi, cap. 7 e 8).

In entrambi i casi, assistiamo alla fine di un ciclo, alla distruzione del mondo per mezzo dell'acqua, ma ogni volta, Dio risparmia un giusto. Nonostante le differenze dei personaggi e delle espressioni, l'essenza del mito è preservato e resta riconoscibile. Questo mito era universalmente conosciuto e lo si ritrova, per esempio, in India. [93]

Ora, questo segno «di Giona» annunciato in due vangeli non vi si trova realizzato; se mai vi figurò, ne è scomparso. Ha tuttavia lasciato tracce nei nostri testi?

NOTE

[93] Si veda Bulletin E. Renan n° 37 (giugno 1956); si veda nell'articolo «Sur un rite magique de Simon le Magicien» i passi riguardanti «il dio-bambino dell'India». Segnaliamo inoltre che Gesù è restato quaranta giorni in un deserto che era la residenza del diavolo e delle bestie selvagge (Marco 1:12, Matteo 4:1-2, Luca 4:1). Ma, tra i diversi significati del termine «deserto», vi è l'idea della morte, della desolazione, del luogo dove dimorano gli spiriti malvagi (Matteo 12:43, Luca 11:24), del caos, dell'Inferno. È probabilmente là che si reca Gesù piuttosto che in un deserto vero e proprio.