mercoledì 30 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La famiglia»

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La famiglia

Gesù è figlio di Giuseppe, perché Zaccaria sembra dire che il Messia sarà della «casa di Giuseppe» (10:6). Egli è «figlio unico» o «primogenito» anche a causa di Zaccaria (12:10). Il Giuseppe dei vangeli, è proprio quello della Bibbia, il figlio di Giacobbe, altrettanto casto come il padre di Gesù: una profezia non assicurava che per mezzo di Giuseppe si sarebbe realizzata «la proclamazione celeste relativo all'Agnello di Dio, salvatore degli uomini»? [10] Questo è il motivo per cui lo pseudo-Matteo dà a Giuseppe un padre di nome Giacobbe. Si tratta quindi di un personaggio simbolico, non di un ricordo reale.

Quanto a Maria, è una sconosciuta. Il nome ebraico Miriam è molto comune (così si chiamava la sorella di Mosè), ma gli ebrei non si interessavano alla filiazione materna.

Per di più, i nostri autori non sanno nulla di questa famiglia, nessuno ci informa ciò che sarebbero divenuti Giuseppe e Maria. Se, al principio, li si invia in Egitto con il bambino, ciò non è a causa di un massacro degli innocenti, sconosciuto a tutti gli storici, ma per soddisfare la predizione di Osea: «Ho chiamato mio figlio dall'Egitto» (11:1). Questa profezia sembra estranea al Messia, ma doveva figurare nella raccolta. È senza dubbio per la stessa ragione che l'Apocalisse invia la Vergine celeste a rifugiarsi nel deserto (12:6), ma senza il bambino, che è stato sollevato al cielo. È impossibile trovare in tutto ciò il minimo fatto autentico.

La leggenda primitiva, in disaccordo con Zaccaria, ha dotato Gesù di alcuni fratelli, che sono divenuti imbarazzanti per il mito della verginità permanente di Maria. Ma questi fratelli di Gesù hanno ancora meno consistenza di lui. Uno solo ha qualche consistenza: Giacomo; ma abbiamo visto che la sua fraternità con Gesù è tutta spirituale. Mi sembra quindi molto audace scrivere, come Guignebert, che Gesù «sarebbe nato in una famiglia di povera gente che contava, accanto a lui, una buona mezza dozzina di figli». [11]

NOTE

[10] Testamento dei dodici patriarchi (opera probabilmente essena). 

[11] «Jésus», pag. 148.

La Favola di Gesù Cristo — «La filiazione»

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La filiazione

Per gli ebrei, il Messia doveva discendere da Davide, ma questo desiderio è scomparso quando, realizzata la separazione tra gli ebrei e i cristiani, si fece di Gesù, in ambiente pagano, un figlio di Dio, poi il figlio di una vergine. Vediamo come tutto ciò si è evoluto nel tempo. 

Matteo stabilisce una prima genealogia per dimostrare che Gesù discendeva da Davide. Lo pseudo-Luca ce ne dà un'altra, ed è impossibile farle concordare: la chiesa ne conviene, ma dichiara irrilevante il problema, poiché oggi Gesù non ha più un «padre» nel senso biologico del termine e quelle genealogie riguardano solo Giuseppe. Ma la questione rimaneva importante per gli ebrei, e ci si è sforzato maldestramente di soddisfarli. 

Lo pseudo-Giovanni ha già respinto quelle preoccupazioni: identificando Gesù con il Logos, non può far discendere il Logos da Davide. Pertanto, nella versione attuale (rimaneggiata), pone l'obiezione sulle labbra degli ebrei, senza neppure degnarsi di rispondervi (7:42).

In nessuno dei nostri vangeli attuali, Gesù stesso non invoca lo status di figlio di Davide. Al posto di dimostrare che era il Messia perché discendente di Davide, tutto avviene come se, dopo aver riconosciuto che era il Messia, si avesse cercato di collegarlo, meglio che si poteva, alla discendenza di Davide. 

Quando Gesù divenne il figlio di Dio, la discendenza da Davide non poteva più avere senso. E se la Chiesa ammette ancora che egli sarebbe disceso simbolicamente da Giuseppe, gli ebrei hanno qualche motivo per trovare un sacrilegio in questo accomodamento della profezia relativa alla stirpe reale. I convertiti dal paganesimo, invece, se ne fregano di Davide e trattengono solo la filiazione divina.

È tra questi ultimi che si sviluppò la leggenda di una nascita verginale, leggenda che oggi dà un sacco di pena agli autori cristiani. Da dove viene quella leggenda? Si possono dare tre spiegazioni, che non sono peraltro inconciliabili: 

1°) Un'analogia con certi miti pagani che, lo vedremo, hanno fortemente influenzato il cristianesimo: Perseo è nato dalla vergine Danae (fecondata da Zeus), Attis è nato dalla vergine Nana (che lo ha concepito mangiando un melograno, versione primitiva della mela di Eva). L'idea di una partenogenesi, così estranea all'ambiente ebraico, è diffusa nell'ambiente greco: Pitagora stesso non è nato da una vergine? E Tertulliano, poco rispettoso, paragona Maria, fecondata da un raggio di sole,... alla vacca madre del dio Api, a sua volta fecondata da un raggio luminoso, secondo Erodoto!

2°) Un errore di traduzione del passo di Isaia (7:14), a cui si fa dire: «La vergine concepirà e partorirà un figlio», mentre il testo ebraico reca solamente una parola che significa «giovane donna». Paolo lo sa bene, poiché dice: «nato da donna» (Galati 4:4), e non da una vergine.

3°) Più probabilmente, un'interpretazione astrologica, di cui ho già parlato a proposito dell'Apocalisse: in quest'opera, è la Vergine celeste (costellazione) che partorisce, perseguitata dal Drago (altra costellazione). Quanto al bambino, doveva essere posto sotto il segno dei Pesci, ed è per questo che il pesce è divenuto il segno di raduno dei primi cristiani.

martedì 29 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il nome»

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Il nome

L'eroe dei vangeli sembra almeno portare un nome: Gesù Cristo. Ma ciò non è che un'apparenza.

Cristo non è un nome proprio, è la traduzione greca di una parola ebraica che voleva dire «unto» (con olio). Non appare alcun olio, ma si ammette che l'unzione (che ricordava quella dei re) era simbolica, e che la parola aveva finito per designare il Messia. Lo vedo bene, ma Cristo deve quindi essere preso come equivalente di Messia: non è un nome, è un titolo, un titolo che è stato preso d'altronde da molti altri, e di cui i cristiani della fine del II° secolo conoscevano il senso, poiché Teofilo di Antiochia scriveva: «Noi siamo chiamati cristiani perché noi siamo unti con l'olio di Dio». [6]  

Gesù soffre di più difficoltà. Traduciamo così, secondo la sua forma greca, un nome ebraico che è più comunemente tradotto con «Giosuè». Gesù e Giosuè sono lo stesso nome. Si comprende che la Chiesa abbia preferito Gesù, che non evoca nessun altro personaggio. Ma questo nome risponde ad un ricordo reale oppure, al contrario, è proprio in relazione col Messia? 

Nell'Antico Testamento, il nome del Messia non è rivelato, perché questo nome ha un potere proprio e temibile: non doveva essere conosciuto che dagli iniziati, ma, non più del vero nome di Dio, non si aveva il diritto di scriverlo. Tuttavia gli ebrei sapevano, come precisava rabbino Eliezer, che «sei personaggi hanno ricevuto il loro nome prima della loro nascita: Isacco, Ismaele, Mosè, Salomone, Giosia e il Messia»

Lo stesso nel libro di Enoc, il Messia non è nominato: lo si chiama soltanto l'«Eletto» (39:6) o il «Figlio dell'uomo» (46:3-4). Ma l'autore, nella sua visione celeste, ha ascoltato pronunciare questo nome terribile, che non ha il diritto di rivelare: egli sa che questo nome gli è stato dato fin dall'origine del mondo: «E, in quell'ora, questo Figlio dell'Uomo fu nominato presso il Signore degli spiriti e il suo nome fu pronunciato al cospetto del Capo dei giorni (Dio). E prima che fosse creato il sole e gli astri, prima che fossero fatte le stelle del cielo, il suo nome fu pronunciato innanzi al Signore degli spiriti» (48:2-3)... «La sapienza del Signore degli spiriti lo rivelò ai santi ed ai giusti... perchè si salvavano nel nome di lui» (48:7). 

Vedremo che lo stesso segreto era custodito dagli Esseni intorno al nome del «Maestro di Giustizia», assimilato al Messia.

Quindi gli iniziati sapevano in anticipo quale sarebbe stato il nome del Messia. E non è difficile ricostruirlo, poiché appare in una sorta di sciarada dello pseudo-Isaia: «Verrà colui che salva» (59:20), detto altrimenti verrà Giosuè, poiché Giosuè significa esattamente «colui che salva». E quale altro nome potrebbe portare se non quello del primo Giosuè, che aveva aperto l'accesso alla terra promessa, colui che aprirà l'ingresso alla nuova Gerusalemme gloriosa?

Non è questo ciò che lasciava già intendere a degli interpreti poco esigenti questo passo dell'Esodo: «Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te... per farti entrare nel luogo che ho preparato... Ascolta la sua voce e non ribellarti a lui;... poiché il mio Nome è in lui» (23:20-21).

Ora, il significato del nome Gesù, che significa «Salvatore», giocherà un grande ruolo nelle origini cristiane: è per esso, lo vedremo, che Gesù Salvatore sarà assimilato agli altri dèi «Salvatori» dell'ellenismo.

Domandiamoci ora se i testi evangelici abbiano dato proprio questo significato al nome Gesù. Fin dall'inizio, lo pseudo-Matteo, che si sforza sempre di collegare il suo Cristo all'Antico Testamento e che conosce questo segreto, ne dà la spiegazione: «tu lo chiamerai Gesù (o Giosuè), perché egli SALVERÀ il suo popolo» (1:21) (l'aggiunta «dai suoi peccati» risulta da una interpolazione tardiva).

Lo pseudo-Luca non riproduce l'espressione, ma conosce bene il significato del nome Gesù, poiché fa dire per scherno ai pretesi testimoni del supplizio: «SALVI se stesso, se è il Cristo, l'Eletto di Dio» (23:35).

Nelle epistole di Paolo, — e nella misura in cui il nome Gesù non è stato aggiunto a una stesura iniziale che non lo portava — il nome Gesù è spesso associato alla nozione di «Salvatore». [7] E  noi vedremo che è uno dei temi essenziali di Paolo, questa assimilazione del suo Cristo agli dèi «Salvatori» del paganesimo. [8]

Ma Paolo sa anche che il nome del Messia ha un potere magico: «Dio l'ha sovranamente esaltato e gli ha dato un Nome al di sopra di ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio» (Filippesi 2:9).

Gesù non è quindi un nome di persona, è un nome di culto, un nome prestabilito fin dall'origine del mondo. Non se ne può ricavare alcuna prova dell'esistenza del personaggio. Guignebert conclude: «L'opinione che sembra ragionevole e probabile, è che i primi seguaci del Cristo, coloro che hanno riconosciuto che era il Messia, lo hanno designato con un nome che lo collocava al di sopra dell'umanità». [9] Questo non è del tutto esatto: essi non lo hanno designato con «un nome», ma con IL NOME scritto in anticipo in Isaia, la cui profezia, noi ora lo sappiamo, era considerata come annunciatrice del Messia almeno dagli Esseni.

Si noterà inoltre che il nome «Gesù» appare tardivamente nei testi, ben dopo il titolo di Cristo, e sempre in greco, mai nella sua forma ebraica. Si può concludere che si è fatto tardivamente applicazione del passo di Isaia, da cui risultava che egli poteva chiamarsi solo Giosuè (Salvatore). In precedenza si doveva oscillare, e lo pseudo-Matteo sembra fare l'eco di queste esitazioni, poiché ricorda che, per alcuni, egli doveva chiamarsi «Emmanuele» (1:23), — il che non è affatto equivalente, checché se ne dica.

Ecco dunque il nostro eroe senza nome personale! Per la comodità della mia esposizione, tuttavia, io continuerò a chiamarlo Gesù, ma io vi chiedo di non dimenticare che quello non è là un nome d'uomo, che quello è l'equivalente del titolo di «Salvatore».

NOTE

[6] Apol. ad Antol. 1:12.

[7] Per esempio: Romani 5:9-10; Efesini 2:5.

[8] Si trova egualmente nell'epistola a Tito l'espressione: «Gesù Cristo nostro Salvatore» (1:4).

[9] GUIGNEBERT: «Jésus», pag. 78.

domenica 27 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'età di Gesù»

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L'età di Gesù

Secondo lo pseudo-Luca, Gesù avrebbe avuto circa trent'anni all'esordio del suo ministero, peraltro di cortissima durata. 

Ma lo pseudo-Giovanni lascia intendere (2:20-21) che avrebbe esordito a 46 anni, poiché sarebbe nato quando Erode il Grande cominciò la ricostruzione del tempio (nel 20 A.E.C.); ciò gli farebbe avere 46 anni nel 26, e dato che il suo ministero sarebbe durato tre anni (secondo lo pseudo-Giovanni), sarebbe morto a 49 anni, il che permette agli ebrei di dirgli, nello stesso vangelo: «Tu non hai ancora cinquant'anni» (8:57).

Trent'anni, o quarantanove anni? Ireneo propendeva per la seconda soluzione, e pretendeva di ricavare dagli Anziani che Gesù aveva circa cinquant'anni alla sua morte. Ancor di più, se si crede a Papia, che diceva che «Il Signore è morto in una vecchiaia avanzata». [5]

La Chiesa, che ne sa molto di più, ha finito per dar ragione a Luca nell'ammettere l'età di trent'anni, e a Giovanni nel prolungare il ministero di Gesù per tre anni, cosa che lo farebbe morire a trentatré anni: noi siamo lontani dai cinquant'anni e dalla vecchiaia avanzata. Bella concordanza di tradizioni, in verità!

Altro dettaglio: il capitolo 3 dello pseudo-Luca indica, tra le sue «precisazioni»: «sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa». Nel dare entrambi i nomi, si ha una chance di dare la data esatta, ma è l'uno o l'altro? Anna fu sommo sacerdote dal 6 al 15, e Caifa dal 18 al 38. Il sommo sacerdote del tempo del supplizio sarebbe dunque Caifa, ed è per questo che qualcuno dei meglio informati ha corretto, nello pseudo-Giovanni, un'espressione che faceva condurre Gesù davanti ad Anna (18:13). Ma si è dimenticato di correggere anche Luca, che presenta Anna e Caifa assieme (3:2), come se potessero esserci due sommi sacerdoti!

Come si vede, la tradizione evangelica si basa su una cronologia molto fantasiosa.

NOTE

[5] Si veda DUCHESNE: Histoire ancienne de l'Eglise.

sabato 26 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La data di nascita»

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La data di nascita

Qui, le contraddizioni sono evidenti e irriducibili. 

Lo pseudo-Matteo, che è ebreo, e che sa che lo scettro non deve uscire dalla casa di Giuda prima della venuta del Messia, fa nascere logicamente Gesù «al tempo del re Erode» (il grande), quindi al più tardi nel 4 A.E.C. (2:1).

Ma il prologo dello pseudo-Luca, per mandare Maria a partorire a Betlemme, invoca lo spostamento causato dal grande censimento del 7 E.C., undici anni dopo la morte di Erode.

Per tentare di levare questa contraddizione, la Chiesa sostiene timidamente che avrebbe potuto esserci un censimento precedente, sotto Erode. È impossibile: Erode non avrebbe lasciato fare un censimento fiscale in un regno ancora libero, Giuseppe ci avrebbe segnalato questa anomalia. Il censimento di Quirino nel 7 E.C. è proprio il primo effettuato in Giudea, dove lasciò d'altronde dei brutti ricordi e provocò una rivolta sanguinosa. Lo pseudo-Luca non ammette neppure incertezza: «Questo PRIMO censimento fu fatto da Quirino, governatore della Siria» (2:2). Il censimento era proprio il primo, e Quirino era legato di Siria proprio nell'anno 7.

È chiaro che il redattore (tardivo e romano) del prologo di Luca non si è curato della cronologia: egli ha associato vagamente la leggenda di Gesù al censimento, perché questa operazione aveva colpito l'animo degli ebrei come il primo segno della servitù. Scrivendo circa 150 anni dopo, egli non doveva più conoscere tanto bene la data del censimento e non aveva probabilmente degli archivi a sua disposizione.

Ma l'autore di Luca ha introdotto così una nuova inconsistenza: facendo nascere Gesù nel 7 E.C., dimentica che, pochi versi prima, lo ha fatto concepire (in virtù dello Spirito Santo) sotto Erode il Grande, soltanto sei mesi dopo Giovanni il Battista. Per cui la gravidanza di Maria avrebbe durato undici anni! Pochissimi commentatori hanno rilevato questa assurdità.

Facendo nascere Gesù nell'anno 7, il prologo non concorda più con il capitolo 3 dello stesso vangelo, che situa la «comparsa» di Gesù nell'anno 15 di Tiberio (quindi nel 29), all'età di trent'anni: se Gesù è nato nel 7, non può avere «circa trent'anni» nel 29. E se ha 30 anni nel 29, non può essere nato, né sotto Erode il Grande, né nell'anno 7. È impossibile far concordare tutte quelle informazioni.

Il capitolo 3, che formava in origine l'esordio autentico dello pseudo-Luca, prima dell'aggiunta del prologo sull'infanzia, fornisce, in apparenza, una notevole precisione: «Nel quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode (Antipa) tetrarca della Galilea...». Dunque nell'anno 29 della nostra era... Sì, ma cosa è successo in quell'anno memorabile? Ci si ricorda che il vangelo di Marcione, che esordiva con quelle parole, faceva scendere allora Gesù dal cielo: era un evento. Lo pseudo-Luca ha conservato (e anche arricchito con l'aiuto di Giuseppe) questa formula storica, ma ora serve solo a introdurre questa frase banale: «La parola di Dio fu diretta a Giovanni nel deserto». Non vale più la pena di invocare così tante concordanze, per condurci nel deserto! Nel passare da Marcione a Luca, la precisione ha perduto tutto il suo significato.

venerdì 25 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il luogo di nascita»

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Il luogo di nascita

Dove sarebbe nato Gesù? Nessuno ne sa nulla, e la prova è che gli stessi evangelisti riportano due tradizioni diverse, nessuna delle quali può essere mantenuta.

Secondo la più antica, Gesù sarebbe nato a Nazaret perché era chiamato il Nazareno. È quello che ammetteva ancora Renan. 

Ma l'esistenza di una città di Nazaret a quell'epoca è molto dubbia. In ogni caso, la traduzione della parola «nazareno» in «di Nazaret» è inesatta e impossibile.

Si pensa piuttosto che si dovrebbe associare Gesù alla setta dei «Nazareni» o «Nazorei», di cui parla Epifanio, e di cui non ne sappiamo nulla. Altri preferiscono assimilare Gesù ai «nazirei», pii personaggi ebrei che facevano voto di celibato e lasciavano crescere i loro capelli: la castità leggendaria di Gesù permette di farne un nazireo? Nulla viene a confermare questa interpretazione. [3

Ma dato che il profeta Michea (5:1) aveva detto che il Messia sarebbe nato a Betlemme, era necessario far coincidere la nascita di Gesù con questa predizione. Ciò non fu facile: il prologo (molto tardivo) dello pseudo-Luca immagina, per fare questo, l'assurdità di un censimento che obbligava tutti gli ebrei (ivi comprese le donne, che non erano sottoposte al censimento) a recarsi al luogo di origine della loro famiglia. Le autorità romane non erano così sciocche da creare una tale causa di disordini, in un paese già abbastanza agitato; i loro censimenti, come il nostro, si facevano nel luogo di residenza. La nascita a Betlemme è quindi una favola successiva: la prova è che lo pseudo-Marco non ne parla, e che lo pseudo-Giovanni non la accetta. 

Concludiamo dunque con Guignebert: «Se è molto certo che Gesù non è affatto nato a Betlemme, come dicono Matteo e Luca, non è provato che sia nato a Nazaret  come pensano Marco e Giovanni». [4

E non è tutto: il vangelo apocrifo di Giacomo faceva nascere Gesù a Gerusalemme. E non dimentichiamo che Marcione, poi gli gnostici, evitavano la difficoltà facendolo discendere direttamente dal cielo, e che quella versione è anteriore ai nostri vangeli. Essa ispira ancora il IV° vangelo, dove è detto che il Figlio dell'uomo è «disceso dal cielo» (3:13).

NOTE

[3] Si potrebbe anche pensare alla Genesi, dove Giuseppe è descritto come «nazireo tra i suoi fratelli» (49:26), se questo testo fosse applicato al Messia. 

[4] GUIGNEBERT: «Jésus», pag. 101.

La Favola di Gesù Cristo — «Contenuto storico dei vangeli»

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CAPITOLO VII

CONTENUTO STORICO DEI VANGELI

«La novità radicale dei Vangeli sarà quella di considerare la morte e la resurrezione di Gesù come un evento umano, che termina nel supplizio e nella gloria un passaggio del Figlio di Dio sulla terra. Questa concezione che gli evangelisti ci hanno imposto così fortemente, nessun profeta o maestro prima di loro la ha avuta. Questa non è una tradizione storica». [1]

Certamente, quella conclusione si impone. Ma, per quanto siano imperfetti, contraddittori e rimaneggiati, i vangeli sembrano contenere dei racconti della vita di Gesù. Importa dunque esaminare questi racconti, per vedere se si può almeno estrarre alcuni fatti incontestabili o soltanto plausibili.

Questo lavoro di dissezione è stato spesso fatto, e non lo ripeterò qui in dettaglio, ma solo nelle sue linee generali. Tutti coloro che vi si sono dedicati, anche se persistevano a credere all'esistenza di un Gesù terreno, hanno dovuto convenire che i vangeli non ci apportano alcuna informazione sul personaggio. Questa è, ad esempio, la conclusione di Loisy: «La leggenda di Gesù, nel suo insieme, non è una scelta di ricordi storici, è come una riduzione del mito cristologico elaborato sui testi dell'Antico Testamento per la soddisfazione della fede in Gesù». [2]

NOTE

[1] COUCHOUD: «Le dieu Jésus» (1951), pag. 180.

[2] «Le problème des origines chrétiennes» (1931), appendice all'opera «Le mandéisme et les origines chrétiennes».

giovedì 24 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Conclusione»

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Conclusione

Il valore storico dei racconti evangelici è nullo: in nessun altro campo uno storico presterebbe la minima attenzione a dei testi composti in tali condizioni. Ma, siccome si tratta di religione, si è molto meno severi, e sembra impossibile respingere di primo acchito i quattro vangeli, senza esaminarne la sostanza.

Apriamo dunque i nostri quattro libri: andiamo ora a scoprirvi che i loro autori non sapevano assolutamente nulla sull'uomo Gesù. Il lettore dovrebbe pur cominciare ad aspettarselo un po', ma è importante dimostrarglielo.

mercoledì 23 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Lo pseudo-Giovanni»

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Lo pseudo-Giovanni

Il quarto vangelo differisce in tutto dai tre precedenti. È sconosciuto a Papia, e questo sarebbe tanto più sorprendente in quanto il suo presunto autore, Giovanni (il Presbitero, e non l'apostolo), che viveva a Efeso, sarebbe stato suo vicino.

L'attribuzione ad un discepolo di Gesù sarebbe resa inverosimile, di per sé, dal contenuto filosofico dell'opera: cosa poteva sapere un ignorante pescatore di Galilea della dottrina neoplatonica del Logos? 

Il vangelo è citato per la prima volta da Ireneo intorno al 180. Deve essere di poco anteriore a quella data, poiché suppone una separazione già compiuta tra gli ebrei e i cristiani, e soprattutto una fusione già realizzata del mito di Gesù con il Logos di Filone e degli gnostici, fusione che non si è realizzata che nella seconda metà del II° secolo.

Il valore storico dell'opera è quindi nullo. Ma è ancora diminuito dalla sua discordanza, su numerosi fatti, con i primi tre vangeli. Infine, contiene numerosi inni liturgici, che presuppongono un'organizzazione del culto.

Tuttavia, un'analisi più approfondita dello pseudo-Giovanni rivela tre strati successivi: [25

a) Un racconto della vita di Gesù, che sarebbe più antico del resto, e forse il più antico di tutti. È, secondo Turmel, questo racconto che va attribuito a Giovanni il Vecchio (o il Presbitero), venerato ad Efeso, dove morì intorno al 135° secolo. In seguito si sarebbe confuso, più o meno volontariamente, questo Giovanni con l'apostolo.

b) Il prologo, che comporta l'identificazione del Cristo con il Logos (Verbo): ovviamente molto posteriore, questo prologo presuppone che la dottrina del Logos sia già passata al cristianesimo, cosa che non avvenne prima di Giustino, intorno al 165 circa.

c) Infine, delle interpolazioni romane, che distorcono il significato di certi passi.

Da notare infine che, secondo il «Canone di Muratori» (200 ?), il IV° vangelo sarebbe un'opera collettiva, scritta da parecchi discepoli ispirati che si sarebbero accordati per mettere tutto sotto il nome di Giovanni.

NOTE

[25] TURMEL: «L'évangile de Jean», Bulletin du Cercle E. Renan, gennaio 1962.

martedì 22 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Lo pseudo-Luca»

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Lo pseudo-Luca

Ancora sconosciuto al tempo di Papia, questo vangelo è citato per la prima volta solo da Ireneo intorno al 180. Ma la cosa più importante è che riproduce (modificandoli) dei brani interi di Marcione, che ha per scopo di confutare e di sostituire: è quindi necessariamente posteriore al 144, data della condanna di Marcione.

L'attribuzione a Luca è ovviamente fantasiosa, a causa della data stessa di composizione. Il nostro pseudo-Luca fu scritto a Roma per soppiantare il vangelo di Marcione.

Beninteso, la Chiesa (invocando l'autorità di Tertulliano, che non ne sapeva nulla) ha tutto l'interesse a sostenere che è stato Marcione ad aver copiato Luca. Ma l'anteriorità di Marcione è stata ben stabilita da Couchoud, [21] e si basa su numerosi argomenti di cui ecco i principali:  

— noi sappiamo che il vangelo di Marcione è anteriore al 140, mentre nel 150 Papia ignora ancora quello di Luca;

— il vangelo di Marcione era di gran lunga più breve dello pseudo-Luca: ma, in questo dominio, non si riduce mai, si aggiunge sempre;

— molti passi di Luca hanno un pronunciato carattere anti-marcionita;

— Loisy, nella sua analisi minuziosa di Luca, è portato a concludere che questo vangelo è stato scritto in due fasi: egli accetta di attribuire a Luca, per tradizione, la stesura iniziale, ma conclude chiaramente l'esistenza di un rimaneggiamento e di aggiunte nel II° secolo. Egli non ha visto che la stesura originale era quella di Marcione, ma ha nondimeno sospettato la verità: «Il rapporto del nostro vangelo con quello di Marcione potrebbe essere meno semplice di quanto si ammette comunemente... Il terzo vangelo e gli Atti... riflettono lo sviluppo anti-gnostico della fede e l'espansione variegata di questa fede tra l'anno 125 e l'anno 150». [22

Couchoud, al contrario, ha ben visto che Luca deriva da Marcione. Per delle analogie e degli accostamenti di stile, ha creduto dapprima di poter affermare [23] che il 3° vangelo fosse stato l'opera di un certo Clemente, che visse a Roma sotto Aniceto (155-166). Clemente è l'autore indiscusso di una celebre epistola ai Corinzi, ma gli sono state attribuite molte altre opere: non si presta che ai ricchi, e nella comunità cristiana di Roma, a quel tempo, egli era probabilmente l'unico capace di comporre un'opera del genere. La Chiesa ne ha d'altronde onorato la memoria facendo di lui, a posteriori, un vescovo della fine del I° secolo: egli figura nella lista fantasiosa dei primi «papi», immaginata intorno al 179 da Egesippo, se si crede a Eusebio..... a meno che non sia stata immaginata da Eusebio stesso. Comunque sia, l'attribuzione dello pseudo-Luca a Clemente non era che un'ipotesi, e nel suo ultimo libro Couchoud la ha attenuata proponendo solamente «un prete di Roma». [24]

Per la data, necessariamente posteriore al 144, si ricorderà ancora che lo pseudo-Luca conosce anche la guerra e la disfatta di Bar-Kokhba nel 135: «Guardate di non farvi sedurre», dice (21:8). Modera la speranza di coloro che credevano che il regno di Dio si sarebbe manifestato presto (19:11). Questo approccio è simile a quello di Clemente, nella sua epistola ai Corinzi: «Udiamo queste cose  già dal tempo dei nostri padri: ma per quanto abbiamo atteso di giorno in giorno, non abbiamo veduto nulla di tutto questo». Siamo dunque in un tempo in cui la disfatta del 135 è stata accettata e meditata.

Tutti quei riferimenti incrociati ci riportano attorno al 150-160: non si potrebbe precisare di più.

NOTE

[21] COUCHOUD: «Jésus, le dieu fait homme», et «Premiers écrits du Christianisme», pag. 7-31.

[22] LOISY: «L'évangile selon Luc», introd., pag. 62.

[23] COUCHOUD: «Jésus, le dieu fait homme», pag. 306.

[24] COUCHOUD: «Le dieu Jésus», pag. 236.

domenica 20 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Lo pseudo-Matteo»

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Lo pseudo-Matteo

Secondo lo stesso vescovo Papia, che scriveva intorno al 150: «Matteo riunì in ebraico i detti del Signore, e ciascuno li tradusse come poteva»

Questa descrizione si applica abbastanza bene al «discorso della montagna»: tutto il racconto biografico, sconosciuto a Papia, è quindi stato aggiunto, dopo il 150, al testo dello pseudo-Matteo.

Se il vangelo di Matteo è stato scritto in ebraico (o più probabilmente in aramaico), questa versione non ci è pervenuta, e non si sa neppure chi avrebbe tradotto l'opera in greco, né se si tratta della stessa opera.

L'identità del nostro Matteo con un originale aramaico è anche molto dubbia, poiché, come gli altri vangeli, egli cita la Bibbia nella versione greca della Settanta, e non secondo il testo ebraico: molti autori cristiani l'hanno notato, da Ireneo e Gerolamo. Come mai un testo ebraico o aramaico avrebbe citato la Bibbia greca?

L'esistenza di un apostolo Matteo è dubbia: la Chiesa lo identifica arbitrariamente con il pubblicano Levi, nominato in Marco e in Luca, che ignorano Matteo. In tutti i casi, Levi non ha potuto scrivere intorno al 150 i detti del Signore, e colui che li ha scritti non è l'autore della biografia che vi fu aggiunta. 

Il vangelo di Matteo è molto più ebraico di quello di Marco; dal Capitolo 1, Gesù vi è detto «figlio di Davide, figlio di Abramo»; l'autore propone una genealogia davidica di Gesù (dal suo padre Giuseppe), e insiste sul compimento delle profezie relative al Messia, che cita abbondantemente (ma a volte in maniera inesatta), ispirandosi alla raccolta di «Testimonianze» di cui si è già parlato. Al contrario di Marcione, di cui capovolge l'espressione (Matteo 5:17), egli proclama che Cristo è venuto per compiere la Legge, e non per abolirla: questa risposta prova una stesura posteriore a Marcione. La natura ebraica dello pseudo Matteo è stata spesso notata. Couchoud lo definiva: «Autentico Pentateuco cristiano, destinato a delle chiese aramaiche... Codice religioso di un cristianesimo a base ebraica». [17

Ma sembra che si possa andare più lontano: un erudito svedese, Stendhal, sembra aver stabilito che il nostro pseudo-Matteo provenisse da una comunità essena diversa da quella di Qumran. [18] Ciò spiegherebbe in particolare la natura chiaramente essena del «discorso della montagna». Ma il nostro testo comporta almeno tre strati successivi: i «detti» dello pseudo-Matteo, noti a Papia, [19] la biografia che vi è stata aggiunta (a suon di citazioni della Bibbia e secondo Marco), e infine le correzioni e aggiunte romane (in particolare l'aggiunta del «Tu es Petrus...»).

Quanto alla data, si ricorderà che Matteo riproduce l'allusione contenuta in Marco agli eventi del 135: «Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo — chi legge comprenda —, allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti» (24:15-16). Matteo precisa che questo abominio deve ergersi «nel luogo santo», e si riferisce a Daniele (9:27), che intende un periodo precedente in cui il sacrificio e l'offerta nel tempio erano cessati, essendo il tempio divenuto un santuario pagano (sotto Antioco IV, dal 168 al 165). Colui che legge deve quindi comprendere; e se l'autore invita gli ebrei a fuggire allora verso i monti, è perché conosce la disfatta di Bar-Kokhba nel 135: egli sa che «quelli che mettono mano alla spada periranno di spada» (26:52), altra allusione alla rivolta duramente repressa. [20]

Si noterà infine che Matteo conosce e utilizza Marco.

NOTE

[17] COUCHOUD: «Jésus, le dieu fait homme», pag. 253.

[18] LASSALLE: «L'école de Qumrân et l'école de saint Matthieu», Bulletin du Cercle E. Renan, aprile 1960.

[19] Secondo Alfaric, questi «detti» si sarebbero confusi con il cosiddetto vangelo degli Ebrei, egualmente attribuito a Matteo.

[20] Quest'espressione figurava già nell'Apocalisse (13:10).

La Favola di Gesù Cristo — «Lo pseudo-Marco»

(segue da qui)

Lo pseudo-Marco

Quasi tutti concordano nell'attribuire al cosiddetto vangelo di Marco la priorità in ordine di tempo, per il motivo che gli altri lo citano o lo copiano. In realtà, tenuto conto dei provvedimenti successivi, questa prova non è decisiva, e la Chiesa forse non ha torto a collocare Matteo in testa. Poco importa, perché la differenza nel tempo è minima. 

Noi non sappiamo nulla del presunto Marco, al quale si attribuisce un vangelo. Per dargli qualche credito, se ne è fatto un compagno di Pietro, ma è improbabile: non solo il suo racconto è piuttosto sfavorevole a Pietro, ma ignora la missione speciale di cui questo apostolo sarebbe stato investito (e che figura solo in Matteo). Sembra certo che l'opera fosse stata scritta a Roma. [14]

Fatte tutte le riserve sulle modifiche che ha subito in seguito, a quando risale lo pseudo-Marco nella sua prima versione? Due elementi ci permettono di datarlo approssimativamente:

a) È certamente posteriore al 135, poiché conosce la disfatta di Bar-Kokhba in quella data. Fa un'allusione, molto chiara per gli iniziati, ad un evento che, non essendo di alcun interesse successivo, certamente non è stato aggiunto al testo originale. La rivolta ebraica di Bar-Kokhba nel 132 è stata provocata dalla decisione dell'imperatore Adriano di edificare proprio sul sito del tempio di Gerusalemme (distrutto nel 70), una statua pagana. Orbene, il nostro vangelo intende chiaramente, anche se in uno stile prudente, quello che gli ebrei hanno allora qualificato «l'abominio della desolazione». Gli iniziati del tempo non potevano sbagliarsi sul significato di questa profezia in ritardo: «Quando vedrete l'abominio della desolazione stare là dove non conviene, — colui che fa la lettura (pubblica) capisca — (vedremo che lo pseudo-Matteo sarà ancora più preciso), allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano ai monti» (13:14).

b) Papia, vescovo di Frigia intorno al 150, scrisse: «Marco, interprete di Pietro, redasse esattamente ma senza ordine ciò che si ricordava dei detti del Signore». Siamo proprio obbligati a concludere che la nostra versione attuale di Marco non corrisponde più a questa descrizione: è quindi successiva a quella che Papia conosceva intorno al 150.

Il nostro testo di Marco è lontano dall'essere «senza ordine», sarebbe piuttosto troppo ordinato: «Nessuno dei vangeli ha un piano più coerente e ragionato di quello di Marco. Le suddivisioni nel suo racconto sono nettamente marcate», constata Goguel. [15] Alfaric ha notato che tutto si presenta in tre o in multipli di tre: l'opera è in tre parti, ciascuna suddivisa in tre sezioni; Gesù è condotto al Calvario prima della 3° ora, oltraggiato prima della 6°, muore prima della 9° ora... Questa composizione è lontana dal disordine conosciuto da Papia, per non parlare delle «strofe» altamente distinguibili. Quindi era necessario che qualcuno rimettesse l'ordine nel testo conosciuto nel 150.

Inoltre, il nostro vangelo contiene ben altra cosa che dei «detti» di Gesù: qualcuno vi ha dunque aggiunto, dopo il 150, una biografia di cui Marco non può essere l'autore. 

Si ricorderà che Marco sarebbe stato il primo redattore di quei «detti» di Gesù, che avrebbero servito alla composizione dei quattro vangeli: pura ipotesi. Resta da vedere se questa raccolta di affermazioni, i «Logia» come la si è chiamata, sia realmente esistita. Alfaric pensa che i «Logia» si sarebbero confusi con una raccolta di «Testimonianze» (messianiche) che raggruppavano i testi della Bibbia che si riferivano al Messia, e che è servita indubbiamente alla composizione della vita di Gesù. [16] È possibile, ma avrebbero potuto esistere due raccolte separate. In ogni caso, l'autore del nostro Marco attuale ha attinto da entrambe le fonti, senza nemmeno verificarle: accade così che, credendo di citare Isaia, cita in realtà altri due profeti (Esodo e Malachia) che in precedenza erano stati raggruppati con Isaia (Marco 1:2-3).

Notiamo che, in Marco, Gesù appare bruscamente all'età adulta: non scende più dal cielo, come in Marcione, ma la leggenda della sua nascita non si è ancora formata.

NOTE

[14] Couchoud pensa addirittura che sarebbe stato scritto dapprima in latino. Si veda infra, II° Parte, Capitolo 9, nota 7.

[15] «Introduction au Nouveau Testament».  

[16] «Aux origines du christianisme», Cahier du Cercle E. Renan, 3° trim. 1961. Alfaric si riferisce ad un'opera inglese: «Testimonies» di RENDEL HARRIS (Cambridge, 1916-20).

venerdì 18 ottobre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Conclusione generale»

(sente da qui)

Conclusione generale

Ho quasi l'impressione di allineare delle banalità, cercando di dimostrare che i vangeli non hanno alcun valore storico, così tanto questo punto di vista è stato sviluppato, non solo dai non credenti, ma anche dagli autori cristiani.

La critica protestante è pienamente d'accordo. Per essa, i vangeli non sono che dei documenti religiosi, che presentano ciò che Gesù era per la fede e la devozione degli ambienti nei quali sono stati composti. Non intendo sostenere nient'altro.

Anche degli autori cattolici devono convenire: gli evangelisti non hanno inteso raccontare una storia, ma «stabilire uno strumento dimostrativo», [12] trasmettere «nella prospettiva della catechesi ecclesiastica.... la conoscenza del Cristo necessario alla salvezza» (Marrou).

Questo, i primi autori cristiani lo sapevano bene, e Origene ce ne avverte, in una frase sulla quale sarò obbligato a tornare: «Innumerevoli sono i passi (dei vangeli) dove si sente, a meno di non essere totalmente ottusi, che molte cose furono scritte come se fossero accadute, ma non sono accadute in senso letterale». [13]

Non insisterò quindi nemmeno sul valore storico dei vangeli in generale. Ma importa ora esaminare il valore di ciascuno dei quattro vangeli in particolare. 

NOTE

[12] BONSIRVEN: «Enseignements de Jésus-Christ», introd.

[13] ORIGENE: «De principiis».