domenica 28 aprile 2019

Marc Stéphane: Gesù è un personaggio mitologico?

VLADIMIRO: Come?
ESTRAGONE: Perché?
(Samuel Beckett, Aspettando Godot)


Il Signore gli disse: «Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono».
(Ezechiele 9:4)

Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?

(Kent Murphy)

L'idea secondo cui le credenze religiose sarebbero in perpetua evoluzione è un luogo comune di cui raramente cogliamo le implicazioni più profonde. Di solito non si pensa, per esempio, al fatto che la concezione di un arcangelo celeste muta la sua forma se gli si inventa a tavolino un'intera vita sulla Terra, come gliela procurò “Marco” (autore) a Gesù, né ci sfiora l'idea che l'evoluzione di un tale personaggio mitico, da arcangelo a uomo cosiddetto “storico”, possa aver avuto luogo nel giro di qualche mese o anno, anche se questo è proprio ciò che avvenne.

In genere, non concepiamo le origini del cristianesimo primitivo come lo scenario di una continua e sofisticata concorrenza spietata tra Gesù e Cristi rivali, in cui alcune sette sfornavano di continuo vangeli, lettere e apocalissi per reagire all'attacco di altri vangeli, lettere e apocalissi fabbricate da altre sette, le quali, a loro volta, sviluppavano nuove forme di propaganda, sempre più tendenziose e sempre più polemiche, quando non corrompevano invece la stessa letteratura rivale.

Tuttavia, è proprio quello che si verificò.

Se cogliamo la vera essenza delle Origini cristiane — se fossimo in grado di comprendere il vero significato dell'evoluzione applicata alla storia delle credenze religiose — ci renderemo conto del fatto che la nostra tanto decantata religione cristiana è semplicemente, per dirla con Hitchens,
....il plagio di un plagio di una diceria di una diceria, dell'illusione di un'illusione che riporta sempre e comunque all'artificio di alcuni non-eventi.
(Christopher Hitchens, Dio non è grande: come la religione avvelena ogni cosa, pag. 267)
Intere sette cristiane si sono sviluppate, e poi declinarono, si trasformarono. Questo incessante e perpetuo mutare — inesorabile e inarrestabile quanto i moti ondosi e le maree — implica un mercato religioso in cui qualsiasi santa favola inventata per l'occasione produce effetti necessariamente imprevedibili, andando a intaccare dogmi della medesima religione che fino ad allora sembravano immuni al cambiamento.

Tutto questo sincretismo religioso, che chiamiamo in maniera minimalista “Origini cristiane”, è così complicato da impedirci di ricavare nel dettaglio le conseguenze della stesura di una semplice quanto innocua santa favola, quale fu il Più Antico Vangelo, del quale tutti gli altri furono le mere versioni goffamente “rivedute” e “corrette” secondo i capricci, i bisogni e i dettami di questa o quella setta rivale.

È per questo che anche i più illuminati tentativi del passato di ricostruire le Origini cristiane hanno prodotto risultati indesiderabili, specie se usavano leggere le epistole paoline o l'Apocalisse o l'epistola agli Ebrei con le classiche lenti “colorate di vangelo”, storpiandone il senso e il significato a causa di una carente chiave ermeneutica, quale è e sempre sarà la chimera di carta nota come “Gesù storico”, decisamente il punto più inappropriato dal quale far partire le vere Origini del cristianesimo, e semmai il punto finale, anziché di partenza, dell'intero processo.

I vangeli sono documenti tardivi, scritti probabilmente nella prima metà del secondo secolo, quasi 100 anni dopo gli eventi che pretendono di narrare. Dobbiamo concentrarci piuttosto sul fatto che qualcosa ha commosso Paolo l'apostolo così potentemente e cercare di capire di cosa si trattava. Situare Paolo in un preciso contesto storico potrebbe essere utile per cercare di capire che cosa stava dicendo in realtà. E quello che stava dicendo potrebbe essere di fondamentale importanza per cristiani e non cristiani. 

Ricordati: i vangeli non sono affatto dei documento storici, ma le lettere autentiche di Paolo lo sono. Tuttavia, anche la loro lettura genuina — e non fuorviata da tendenziose interpretazioni successive — può essere problematica, dal momento che i conflitti tra cristiani rivali hanno spesso portato a guerre di parole, in particolare parole scritte.

Da questa prospettiva, la ricostruzione delle Origini cristiane è scoraggiante quantomeno nella fase preliminare e pur tuttavia necessaria, mi riferisco a quella in cui bisogna imparare a riconoscere e a distinguere veri storici da quelli che sono spudorati teologi cristiani, filo-cristiani ed ex-cristiani, infiltratisi nell'accademia sotto mentite spoglie di storici, gente affettata di ipocrisia dalla testa ai piedi e del tutto incurabile e refrattaria all'ascolto della ragione e del buon senso.

La stragrande maggioranza degli studiosi biblici sono credenti cristiani o cripto-cristiani che pretendono assurdamente di analizzare e tentare di comprendere la loro teologia cretina, mentre la maggior parte dei loro sforzi in realtà mira allo sviluppo, all'apologetica e alla propaganda della loro fede schifosa. Questo è vero non solo per gli studiosi che sono ecclesiastici, ma anche per la maggior parte degli studiosi biblici che sono membri di facoltà di teologia presso le università. Quella gente tende a dimenticare che i fatti cosiddetti storici su Gesù di Nazaret sono inesistenti, in termini di Storia scientifica propriamente detta, e che le loro opinioni, consolidate da norme culturali in cui sono nati e allevati, non sono nemmeno abbastanza forti da essere considerate ipotesi. Per dirla tutta, le loro opinioni sono emerite stronzate.

Una delle stronzate più eclatanti da rinfacciare a questi finti accademici “esperti del Gesù storico” è quella di ricavare ipotetici testi precedenti da quelli successivi, e quindi trattare questi documenti immaginari come se fossero fonti autentiche. L'approccio corretto dovrebbe invece cominciare con le  fonti che sono provate anteriori ai vangeli. Costruire un'ipotetica “tradizione orale iniziale” basata su testi successivi, o peggio, una fantasiosa “fonte Q”, è semplicemente un ragionamento circolare. Constato con estremo disincanto che molti finti “esperti” si abbandonano a questo tipo di ragionamento errato perché loro semplicemente non possono accettare che non ci sia niente “dietro” Paolo a sostegno dei loro stupidi vangeli e dei loro ridicoli Atti degli Apostoli.

Per questo sedicente “consenso” di questi sedicenti “esperti”, non sia mai che uno di questi finti “esperti” se ne esca un bel giorno dicendo che l'esistenza di un profeta itinerante chiamato Gesù, della cui realtà storica non esiste uno straccio di prove, è un'ipotesi meno plausibile di un mitico oggetto di culto creato da mere esigenze umane sulla base di vari individui più o meno storici o più o meno mitici.

 Da una prospettiva strettamente metodologica, è un fatto che il campo dei cosiddetti “Studi del Nuovo Testamento” non soddisfa le norme minime dello studio storico. In effetti, esiste un'astratta possibilità logica che un Gesù di Nazaret fosse reale e visse e morì nel luogo e nel tempo indicato dai vangeli, ma un esame serio e attento delle prove — di tutte le prove — in nostro possesso, non concede a quella possibilità la minima probabilità di essere vera. Tutto ciò, naturalmente, non significa che non ci fosse stato qualcuno in prossimità dei luoghi e tempi suddetti, ad aver fatto qualcosa di abbastanza significativo da meritare, agli occhi degli inventori, il prestito di qualche tassello personale al Gesù di carta (o meglio, di papiro) in fase di costruzione.

Chiunque sostenga, per esempio, che le opinioni dei miticisti sarebbero “non solo infondate, ma anzi totalmente infondate” (come questo falso “accademico”), ignora il fatto che la negazione del Gesù storico è stata portata avanti con un metodo e una ricerca improntati a criteri assolutamente scientifici e razionali, del tutto avulsi da fantomatiche agende anti-cristiane o da chissà quale complottismo di maniera. In realtà, sia che a disprezzare i miticisti siano dementi apologeti cristiani di bassa lega apologetica, sia che a farlo sia il cripto-cristiano Pesce di turno (qualcuno, si badi bene, che non ha mai negato di essere cristiano), in entrambi i casi si osserva chiaramente il segno inconfondibile dell'ostinato dogmatismo di fondo che caratterizza questi sedicenti “esperti”, in realtà gli ultimi nauseabondi residui medievali di un mondo cristiano giunto di buon'ora all'estremo stadio avanzato di putrefazione.

Se i moderni folli apologeti cristiani fossero sensibili al drammatico Silenzio intorno alla loro prediletta creatura in tutta la letteratura cristiana del 1° secolo Era Comune, nella stessa misura in cui sono così ipocritamente sensibili al silenzio dei media e degli spazi di discussione pubblica intorno a tutto ciò che riguarda da vicino la loro ridicola religione, a cominciare dai loro cosiddetti “martiri”, ebbene, solo allora comincerebbero a ragionare sul serio. Ma si sa: loro si rifiutano di ragionare. Mi sembra proprio che essere un “accademico del Nuovo Testamento” dovrebbe essere un elemento di accusa, e non a favore, della sua pretesa di imparzialità. Se sotto sotto un Pesce crede in ciò che sta studiando, se ammira l'etica del Gesù di carta al punto da raccomandarla agli altri (!), ha già perso in partenza ogni pretesa di oggettività scientifica.

Uno dei problemi della ricerca e dell'esegesi biblica cosiddetta “laica” (ma in realtà clericale fino al midollo) è che i testi antichi non sono disposti in ordine cronologico. Se i primi testi cristiani fossero disposti tutti quanti nell'ordine corretto, sarebbe possibile per la gente comune leggerli più criticamente di quanto già fanno senza il racconto fin troppo tardivo e tendenziosamente completo di Matteo al primo posto, seguito dal primo dei vangeli canonici, Marco, come una copia maldestra fatta piuttosto goffamente. Se le lettere paoline fossero collocate dove dovrebbero essere, cioè al primo posto, sarebbe ipso facto facile constatare come l'idea di un salvatore crocifisso sia stata dapprima appannaggio di Paolo, e poi come altri scritti svilupparono gradualmente quest'idea, espandendola e ampliandola col passare del tempo fino a dare l'impressione di un'autentica “biografia”.

 Se capissimo fin dall'inizio che le lettere di Paolo sono prove primarie, mentre i testi successivi — in primis i vangeli — sono prove secondarie o addirittura tutt'altro che “prove” di qualcosa, allora avremmo buone ragioni per notare che Paolo stesso non menziona mai Pilato. Il nome “Pilato” si presenta solo in 1 Timoteo 6:13, una “lettera” riconosciuta falsa da tutti e scritta nel secondo secolo.
 
Se Paolo si convertì solo pochi anni dopo l'esecuzione di Gesù, allora certamente deve aver vissuto durante il periodo di Pilato, ma lui non fa assolutamente nessun riferimento a Pilato. Come può essere possibile? Pilato e le sue azioni erano così antipatiche che persino Filone, in Egitto, uno dei vicini  contemporanei di Paolo, scriveva di lui! Perfino Filone non fa riferimento alla crocifissione di un pretendente messianico sotto Pilato nelle sue opere superstiti, anche se menziona un sacco di esecuzioni romane. 

Il fatto che l'ampia fetta di mondo dominata dalla religione — in particolare da quella cristiana, e nel caso specifico da quella cristiana cattolica — risponda in modi imprevedibili allo sforzo di illuminare il mondo con la luce della ragione non significa che si debba rinunciare ad agire. È, però, un forte incentivo alla prudenza e all'adozione di un approccio sperimentale per quel che riguarda le nostre convinzioni e le iniziative che intraprendiamo. In qualche modo, si tratta semplicemente di rendersi conto che dei falsi esperti ci stanno nascondendo la verità e ci stanno impedendo la ricerca seria e approfondita della stessa in un solo campo dell'intero scibile umano: unicamente per quanto riguarda le Origini cristiane. Semplicemente, ci hanno detto la verità su qualsiasi cosa, su ogni aspetto di terra, di mare o di cielo, in ogni settore delle materie scientifiche o umanistiche. Su ogni “mistero” cosiddetto della Storia passata o recente. Ma ci hanno mentito — e continueranno a farlo — per quanto riguarda la vera nascita del cristianesimo.

Siamo — e siamo sempre stati — convinti di sapere quel che sappiamo. E, a quanto pare, non siamo capaci di riconoscere di aver sbagliato né di poter nuovamente sbagliare. Siamo una delle sole parti di mondo che si possono considerare liberate dall'influenza nefasta della religione, ma nel nostro caso, nel caso specifico dell'Occidente (o di quel che ne rimane), una caratteristica ben più significativa potrebbe essere la capacità di illudersi sull'esistenza storica — come lo chiamano sfacciatamente i teologi travestiti da storici — dell'“uomo Gesù”.

Ad un certo punto, nel corso degli ultimi due secoli, la nostra sconsiderata tendenza all'illusione chimerica di un “Gesù storico” finirà per scontrarsi con il nostro parimenti crescente e irresistibile potere del Dubbio. Il campo preciso in cui si verificherà la collisione definitiva tra la Fede e la Ragione si situa all'incrocio tra le due ere, al riconoscimento finale che non fu un uomo a spezzare la Storia in due tronconi, ma un puro Mito.

I dettagli “biografici” dei vangeli intorno al loro Gesù di carta sembrano molto simili a finzioni proiettate nel passato, basate fin troppo liberamente su indizi attinti a volontà dalla vita e dalle parole di Paolo, dalle cronache storiche di Flavio Giuseppe, dalla Didachè, dall'epistola di Barnaba, da scritture e profezie essene raccolte dalle varie comunità sparse per l'Impero, e tenendo ben in vista un sacco di famigerati “lupi” — cristiani rivali — come malcelato obiettivo polemico.

Da alcuni anni il miticismo è divenuto ormai un fenomeno popolare, grazie a internet. Il mio solo blog, da solo, riceve migliaia di visualizzazioni al mese. Le recenti notizie secondo cui ben il 40% dei britannici non crede in un Gesù storico — a dispetto delle esortazioni disperate al contrario avanzate dai folli apologeti cristiani e dalle loro marionette accademiche — sono soltanto l'inizio di quello che potrebbe rivelarsi un lungo e avvincente cammino, corollario estremo di quella possente scristianizzazione del continente all'insegna della pura e semplice verità storica: che l'uomo Gesù non è mai esistito nel passato reale.

La pubblicazione del libro di Richard Carrier, On the Historicity of Jesus, nel 2014, ha indotto molti persino a riconsiderare le convinzioni precedenti. La verità sulle Origini cristiane — una verità su Gesù che fa male ai cristiani — è per molti aspetti la più gravida di conseguenze in quanto costituisce un cambio di paradigma, una Rivoluzione nell'approccio comune alle Origini cristiane:

In breve, di quale concezione errata la gente comune, complice il solito “consenso” di sedicenti “esperti”, è rimasta vittima fino ad ora? Della concezione secondo la quale i ricordi del Gesù storico, crocifisso sotto Pilato, diedero origine a tradizioni orali tra i suoi seguaci, e queste tradizioni furono infine scritte e infine incorporate nei vangeli verso la fine del primo secolo dell'Era Comune. Ora, se viene rimossa l'ipotesi di un Gesù storico crocifisso sotto Pilato, questa costruzione è lasciata senza fondamenta. Un simile capovolgimento della concezione ricevuta è equivalente ad un cambio di paradigma negli studi del Nuovo Testamento.

Si tratta, quindi, di prendere assai sul serio in cosa consiste esattamente questo cambio di paradigma:

Il Gesù dei vangeli è essenzialmente un mito. I vangeli sono storielle, non Storia. Furono scritti ad inizio del secondo secolo per dare concretezza e sostanza al Gesù che, come il Messia, era apparso a Paolo e ai suoi compagni apostoli nel corso di sogni, visioni e rivelazioni estatiche. Tutto cominciò quando un intenso apocalitticismo messianico si concentrò sui versi di Isaia che proclamavano che un “servo di Jahvè” era stato castigato, aveva sofferto, era morto — ed era stato resuscitato (Isaia 53). Se il massimo delitto possibile mai concepito da mente umana avrebbe dovuto segnare davvero l'incombente fine di questo eone, allora la “visione” di questo certissimo “segno della fine” avrebbe galvanizzato ancor di più gli apocalittici, oltre ogni misura e senso razionale del limite. Il battesimo avrebbe fatto partecipare dei benefici espiatori di questa morte. Il servo di Dio di Isaia diventò così il Signore “Gesù Cristo”— non un personaggio storico —, il quale, nello stato di tensione estrema in cui versarono le anime in quel preciso momento storico, apparve a Pietro, a Giacomo, a Giovanni, in seguito a interi gruppi. A quel punto sopraggiunse Paolo, che associò ai versi di Isaia il Salmo 22, dove è descritta la crocifissione di un “giusto”, e creò così Gesù crocifisso. Ma nell'immaginazione di Paolo, un supplizio simile era stato inflitto, non sulla terra e da parte di uomini, ma da qualche parte in cielo ad opera di demoni — da “arconti invisibili”. Ora, un giorno, un proconsole romano, Tacito, mentre interrogava dei cristiani, e non comprendendo nulla di questa crocifissione celeste, immaginò che questi uomini adorassero un certo “Cresto”, messo a morte sotto Tiberio da Ponzio Pilato. Questa trasposizione del dramma dal cielo sulla terra fu effettuata deliberatamente da “Marco” (autore), inventore a tavolino di un'esistenza terrena di Gesù che precedeva la sua morte sulla croce. Il contesto dei vangeli era costruito. Il dio dei cristiani si era fatto uomo. “Marco” fece ammettere la sua santa favola per “verità” senza altra raccomandazione che la sua. 

Al tempo in cui vescovi come Marcione o Policarpo nutrivano ambizioni imperiali, il Messia spirituale di Paolo non era abbastanza per consolidare il controllo della chiesa nascente. Era necessaria una figura chiara e il primo evangelista, “Marco”, creò una narrazione attingendo a piene mani dalla letteratura sacra precedente, dalle lettere di Paolo e da Flavio Giuseppe. Gli altri evangelisti ne seguirono l'esempio, ciascuno dei quali soddisfacendo il più possibile i propri programmi teologici.

Quanto al tempo in cui piazzare la morte del Gesù di carta, il punto di partenza era una data abbastanza precisa: il tempo in cui Paolo e i suoi compagni apostoli avevano ricevuto le loro visioni. In preda alle loro allucinazioni, avevano “visto” Gesù assiso nei cieli intorno all'anno 30 Era Comune. Era quindi naturalissimo immaginare, alla Evemero maniera e proprio come aveva fatto Tacito, che il Gesù dei cristiani fosse stato crocifisso e risorto appena prima di quel tempo. Ora, intorno all'anno 115 Era Comune, più di mezzo secolo dopo e per giunta in una Giudea devastata dalla guerra, nessuno poteva o avrebbe potuto smentire quell'idea introdotta dal Più Antico Vangelo. Di conseguenza, coloro che per allora tentarono di costruire a tavolino una vita di Gesù potevano tranquillamente collocare la crocifissione al tempo del famigerato governatore romano Ponzio Pilato.

Anche nella più ottimistica (o inquietante) delle ipotesi, la diffusione capillare del miticismo richiederà probabilmente ancora alcuni decenni.

Possiamo solo sperare che per quell'epoca il cristianesimo sarà riuscito già per suo conto a tirare le cuoia, senza scomodare i miticisti a farlo. Quella religione è troppo, troppo ricolma di superstizione per sussistere ancora in una società moderna.

Possiamo sperare che la fine del cristianesimo sia più vicina e più reale di quanto si possa immaginare: abbiamo già imparato a trattare i preti pedofili con una severità che solo venti anni fa era impossibile. Abbiamo imparato a dissacrare ogni simbolo religioso, a mettere alla berlina i crimini passati e presenti della setta in questione, il suo irrinunciabile e grottesco vittimismo, il suo malcelato desiderio di martirio... 

Ci siamo perfino divertiti nell'assistere alle dimissioni o abdicazioni di un demente pontefice. In breve, abbiamo imparato a disprezzare di cuore la religione cristiana e i suoi improbabili rappresentanti. E a relegarli nella zona grigia dell'ignominia e dell'indifferenza.

E i folli apologeti cristiani sotto mentite spoglie di storici li raggiungeranno molto presto.


Gesù è un personaggio mitologico?

Marc Stéphane
[Articolo del miticista Marc Stéphane apparso in lingua originale col titolo “Jésus est-il un personnage mythologique?”, nella rivista Janus #1, aprile 1964, traduzione di Giuseppe Ferri]


Critica della presentazione storicista delle origini cristiane

L'interpretazione mitica delle origini del cristianesimo, come la si può attualmente esporre in Francia, ha avuto per punto di partenza l'insufficienza di risultati degli studi perseguiti dagli studiosi Loisy e Guignebert durante i primi quaranta anni del XX° secolo. Utilizzando il lavoro dei protestanti liberali tedeschi e inglesi, essi avevano spinto molto lontano la critica dei vangeli. Mostrarono l'opposizione su dei punti importanti tra i primi tre Vangeli, quelli di Matteo, di Marco e di Luca, e il quarto, quello di Giovanni. Facevano sottolineare che le concordanze numerose tra i primi tre provenivano essenzialmente dal fatto che uno di loro, quello di Marco, aveva preceduto gli altri due ed era stato utilizzato da loro. Soprattutto stabilirono che i vangeli avevano avuto per principale preoccupazione di mostrare che le Scritture, vale a dire, le profezie dell'Antico Testamento, erano state realizzate da Gesù: il Gesù sofferente ha per così dire il capitolo 53 del libro di Isaia davanti agli occhi, lo vide e lo realizzò punto per punto. [1

Infine, dopo aver esaminato ciò che i vangeli ci raccontano degli atti e delle parole di Gesù, Loisy e Guignebert ne hanno lasciato sussistere solo pochissimo. Tutta questa parte critica del loro lavoro può essere considerata definitivamente stabilita.

D'altra parte, Loisy, e Guignebert ancora più vigorosamente, ritenevano che gli autori romani ed ebrei del I° secolo e dell'inizio del II°secolo dell'era cristiana hanno ignorato la carriera di Gesù o non ne fornirono alcuna testimonianza certa. Eppure Loisy e Guignebert non ne hanno concluso l'inesistenza storica di Gesù. “Nulla nei racconti evangelici”, ha scritto Loisy, “ha una consistenza fattuale, se non la crocifissione di Gesù, per ordine di Ponzio Pilato, a causa di agitazione messianica... Il movimento cristiano diviene incomprensibile dalla soppressione di questo inizio, che nessun argomento coerente permette di eliminare, che nulla può sostituire”. [2]

La teoria “storicista” ritiene quindi che Gesù sia stato un oscuro profeta; è l'attaccamento dei suoi discepoli alla sua memoria che costituirebbe l'origine del cristianesimo, e questa teoria è quella più generalmente adottata oggi nell'Università francese.

Così Loisy e Guignehert sostituiscono il problema dei discepoli con il problema del maestro; hanno purtroppo a loro disposizione per risolverlo, solo un'opera il cui valore giudicano molto mediocre, come documento storico, gli Atti degli Apostoli.

L'immagine che tracciano delle origini del cristianesimo solleva parecchie difficoltà, riportate, ai loro tempi, da Couchoud e Alfaric. Uno di questi è la conversione dell'apostolo Paolo, che si sarebbe realizzata circa diciotto mesi dopo la morte di Gesù, cioè verso la fine del 29. Secondo Guignehert, Paolo è colui che avrebbe per prima interpretato la passione di Gesù nella linea dei misteri delle varie religioni orientali; ma un israelita fariseo di Siria, come sarebbe stato Paolo — per il quale vi era una distanza infinita tra l'uomo e Dio — come avrebbe potuto vedere in un uomo della Palestina, artigiano come lui, un'emanazione di Dio? Quanto a Loisy, egli pensa che, per i primi ebrei cristiani, Gesù era un figlio di Israele, morto crocifisso e che Dio aveva resuscitato; ma nelle Epistole di Paolo, Gesù appare, non come un uomo, ma come il Figlio di Dio, inviato sulla terra per salvare gli uomini; Loisy non spiega affatto come si sarebbe realizzato il passaggio da una nozione all'altra.

Un'altra obiezione alla teoria storicista. Il punto di partenza sarebbe stata la fedeltà dei discepoli alla persona umana del maestro Gesù. Ora non solo nelle Epistole paoline, come abbiamo appena visto, ma in altre opere primitive, come l'Epistola agli Ebrei o l'Apocalisse, la cui sostanza sembra risalire intorno al 70 — data della distruzione del Tempio da parte dell'esercito di Tito, — Gesù Cristo è presentato come una figura grandiosa e sovrumana. Loisy ha notato quanto queste tre opere siano indipendenti “rispetto a quella che viene comunemente chiamata tradizione evangelica”. È solo nel vangelo di Marco che la figura di Gesù ridiventa umana. Strana appare un'evoluzione così irregolare del cristianesimo del primo secolo.

Definizione della teoria mitica

In opposizione alla presentazione storicista, la teoria mitica estende alla religione cristiana la spiegazione che uno studioso cattolico, padre M.-J. Lagrange, aveva dato della religione pagana. In un libro sull'Orphisme (193, pag. 71), ha criticato la maniera in cui un cristiano dell'Antichità, Firmico Materno, ha presentato il racconto dell'assassinio di Zagreo da parte dei Titani: aveva pensato che si trattasse di un essere umano divinizzato dall'ammirazione degli uomini ed egli ha “riprodotto sotto forma di una Storia vera il mito che aveva sentito raccontare come la causa di un rito”  religioso, “sotto parvenza di spiegazione”... “Sta a noi”, ha concluso padre Lagrange, “riportare questa storia alla forma del mito, e questo mito al rito di cui Materno ha preteso di rendere ragione...”.

La teoria mitica mette in opera un tale metodo nei confronti della religione cristiana; mette in dubbio le basi di partenza adottate da Loisy e Guignebert: secondo questa teoria, Gesù è stato dall'origine del cristianesimo un Dio, e non un uomo, e questa concezione è nata, non in Palestina, ma negli ambienti israeliti ellenizzati della Siria. Prende per oggetto della sua dimostrazione la passione di Gesù, doloroso episodio essenziale della sua carriera terrena, presentando specialmente due argomenti, fondati esclusivamente su dei testi cristiani.

L'invenzione del nome di Gesù

Un passo dall'Epistola ai Filippesi (11:6-14), che sia dovuto a Paolo stesso oppure a uno dei suoi discepoli mistici, ci mostra Gesù Cristo che prende la figura di uomo e obbedisce a Dio fino alla morte : “Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi... e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.

Il nome di Gesù, concesso così dopo il ritorno al cielo, è al di sopra di ogni nome, perché in ebraico Gesù significa Jahvè che salva, e quindi contiene il nome sacro che designa Dio. Ne consegue che Gesù è un nome di culto, che Gesù Cristo è una concezione religiosa, non un uomo storico.

Un poema cristiano, l'Ascensione di Isaia, i cui passi più antichi sembrano risalire al primo secolo, corrobora questi indizi dell'Epistola ai Filippesi. Presenta il  profeta Isaia che sale al settimo cielo, a cui un angelo rivela solo i seguenti nomi del Figlio di Dio: Signore e Cristo; è solamente più tardi che, trasfigurato in angelo, Isaia sente l'Altissimo descrivere la missione che deve far compiere sulla terra a suo figlio, “che sarà chiamato Gesù”. Questo è l'unico passo, in questa parte del poema, dove è citato il nome di Gesù, sotto forma di un appellativo futuro. Nel capitolo successivo, dove Isaia vede svolgersi la missione sulla terra del Figlio di Dio, nemmeno una volta il nome di Gesù è pronunciato; se il poema descrive la sua nascita soprannaturale, non è mai detto quale nome gli diedero Giuseppe e Maria.

Si può inoltre confrontare col passo dell'Epistola ai Filippesi il verso seguente degli Atti degli Apostoli (5:31): “Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo Capo e Salvatore”, dove si ritrovano esposte le due nozioni di autorità e di salvezza.

La Passione dapprima concepita spiritualmente

La prima Epistola di Paolo ai Corinzi contiene (2:7-8) i versi seguenti: “Noi predichiamo la sapienza di Dio, nascosta nel mistero, che Dio, prima dei secoli, aveva destinato per  nostra gloria, che nessuno dei principi di questo eone ha conosciuto, perché, se la avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria”.

Inoltre, di nuovo, l'Ascensione di Isaia corrobora un testo paolino. L'angelo che accompagna il profeta gli annuncia in questi termini il destino del Figlio di Dio (9:14): “E il principe di questo mondo stenderà la sua mano sul Figlio di Dio, e lo ucciderà, e lo sospenderà al legno, e lo ucciderà, non conoscendo chi egli è”. Nessuna “partecipazione secondaria di autorità politiche”.

Tuttavia, se si guarda più da vicino il testo, si osserva che il principe di questo mondo dapprima uccide il Figlio di Dio, poi lo sospende al legno. Ma una tale esecuzione non è affatto l'atroce supplizio romano, dove il condannato agonizzava lentamente sulla croce di legno: un tale supplizio era assente dalla legislazione penale del popolo ebraico. Dopo la messa a morte (tramite lapidazione per reati religiosi), il cadavere era  appeso a un palo di legno, al fine di impressionare gli spettatori: aggravamento infamante della pena, menzionato dal libro biblico del Deuteronomio. Così il passo considerato dell'Ascensione di Isaia si situa nel mito, vale a dire, non nel dominio della storia politica romana, ma in quello della leggenda religiosa ebraica.

Questa concezione della morte del Figlio di Dio si oppone a quella dei vangeli e non può essere che anteriore. Se il punto di partenza della religione cristiana fosse stata una crocifissione ordinata dal rappresentante dell'odiata autorità romana, non si sarebbe visto affatto, pochi anni dopo, questo dramma umano trasformato in mito da un giudeo-cristiano e il supplizio romano sostituito dalla pratica ebraica.

L'evoluzione dal mito primitivo al racconto evangelico

Resta da mostrare come ha avuto luogo il passaggio dal mito primitivo al racconto evangelico.

La prima fase della concezione cristiana della passione è quella presentata nel passo citato dall'Ascensione di Isaia. Ma è anche quella trovata nella Prima Epistola ai Corinzi: vi è effettivamente la parola “crocifiggere”; ma è la traduzione francese del verbo greco staurô; ora questo termine si applica sia al costume ebraico (si veda Ester nella traduzione greca dei Settanta) che alla pratica romana, e possiede il primo significato nella Epistola ai Corinzi, dove Dio è il Dio di Israele.

Aggiungiamo che si ritrova la concezione originale nel vangelo di Giovanni (16:30), allorchè Gesù disse ai suoi discepoli: “Io non parlerò più con voi per molto, perché viene il principe di questo mondo”.

La seconda fase, di transizione, è costituita dal racconto contenuto nel capitolo dell'Ascensione di Isaia, dove è raccontata, in tratti estremamente sommari, la carriera del Figlio di Dio sulla terra. I figli di Israele, che non sapevano affatto chi fosse, eccitati da Satana, lo consegnarono al re; i termini crocifiggere e sospendere al legno sono impiegati successivamente come sinonimi (11:18-21). Si è ancora nel dominio della leggenda ebraica: vi è un intervento umano, ma da parte dei soli figli di Israele.

La terza fase è quella del vangelo di Marco, riconosciuto oggi come il più antico dei quattro vangeli del Nuovo Testamento: gli ebrei consegnano Gesù all'autorità, come nella seconda fase; ma l'autorità è ora il procuratore romano, che condanna Gesù al supplizio romano della crocifissione.

Com'è avvenuto il passaggio dalla seconda fase alla terza? Oggi, non solo i critici protestanti o non-cristiani, ma certi autori cattolici, ammettono che i vangeli non sono affatto delle biografie, ma delle illustrazioni della dottrina cristiana.

Cosa trovò l'autore del vangelo di Marco negli scritti cristiani anteriori sulla morte di Gesù? La semplice menzione: Gesù è stato crocifisso, di cui si è appena visto il significato. Ma nell'ambiente pagano di Roma, a cui questo vangelo sembra essersi rivolto, il costume ebraico era sconosciuto. La parola crocifissione, per i cristiani, minacciati dalle possibili indagini della giustizia e della polizia di Roma, suggeriva il supplizio romano della morte sulla croce: al significato ebraico della parola crocifissione si sostituisce il significato romano. Per rispondere al pensiero degli ascoltatori, è necessario che Gesù Cristo, oggetto del culto cristiano, sia perito in questa maniera. Ma inoltre si ha a che fare con un popolo positivo e impregnato di spirito giuridico: la morte sulla croce di Dio fatto uomo deve essere stata ordinata da un magistrato romano. Quale ?

La religione cristiana è nata in terra greca

Il primo nome che venne in mente era quello di Pilato, il più noto di tutti, che aveva governato la Giudea sotto l'imperatore Tiberio. Così, come ha ammesso Guignebert, poteva essere stata fissata dal vangelo di Marco l'epoca della morte di Gesù — all'età di trent'anni, doveva precisare più tardi il vangelo di Luca. Tuttavia, si trovano altre date menzionate dagli autori cristiani. In particolare il vangelo di Giovanni fa morire Gesù a cinquant'anni (8:57), il che, secondo l'accusa di Ireneo, padre della Chiesa (nella Dimostrazione della predicazione apostolica, paragrafo 74), pone la passione di Gesù sotto l'imperatore Claudio.

Tale potrebbe essere stata la genesi del vangelo di Marco, destinato a illustrare per l'ambiente romano la nuova credenza di una setta ebraica; ma il genio drammatico di Marco ha fatto prendere, dopo di lui, un processo letterario per un racconto di Storia reale, un fenomeno di cui si potrebbero citare altri esempi.

Si può così dimostrare sulla base dei testi che all'inizio dell'era cristiana Gesù appare come il Figlio di Dio e che egli si è gradualmente umanizzato. Guignebert ha ammesso che, se l'origine della religione cristiana era un evento che aveva avuto luogo in Palestina, la concezione si era formata nelle comunità ebraiche ellenizzate, da un'associazione tra delle idee ebraiche e i miti pagani degli dèi che muoiono e risorgono.

Ma si può andare più oltre in questa direzione. Conviene rilevare la forma greca del nome di Ièsous: è quella che si trova perfino nei testi del Talmud, e mai nella forma ebraica: Iéoshoua. Si può osservare anche che gli Atti degli Apostoli attribuiscono un ruolo importante, nella nascita del cristianesimo, agli “ellenisti” e alla Chiesa cristiana di Antiochia. Di conseguenza, sembra ragionevole pensare che il mito si sia interamente costituito nelle comunità ebraiche ellenizzate, forse quelle della Siria, senza l'intervento di un fatto storico palestinese.

Risposta ad alcune obiezioni 

Non abbiamo mai incontrato una confutazione diretta dei tre argomenti presentati qui sopra. Vorremmo rispondere ad alcune obiezioni, tutte di natura indiretta.

In primo luogo, l'atteggiamento degli israeliti nel II° secolo. Nelle loro controversie con i cristiani in quell'epoca, come ce le riportano gli scritti cristiani, non avrebbero mai detto: Gesù non è mai esistito. Ma la ricerca scientifica dell'accuratezza dei fatti è una nozione moderna, specialmente in materia religiosa, estranea alle preoccupazioni delle persone dell'Antichità, e in particolare dei dotti ebrei. Questi, considerando che, tra i tanti uomini, vittime di Pilato, i cristiani ne avevano scelto uno per farne un dio, non pensavano affatto di dire: egli non è mai esistito, ma: egli non presenta per nulla i tratti che permettono di considerarlo il Figlio di Dio o il Messia. Questo è ciò che esprime il discorso attribuito all'ebreo Trifone dal cristiano Giustino: “Voi avete creato per voi stessi un certo Cristo” (Dialogo 8:4).

In secondo luogo, vi è l'obiezione della tradizione orale, di cui la presentazione mitica non terrebbe affatto conto. Noi non pensiamo affatto di negare l'esistenza di una tradizione orale. Ma la questione riguarda il suo contenuto: si tratta della tradizione di una credenza oppure di un fatto? La tradizione orale può essere legittimamente invocata soltanto per legare un dato di fatto che sarebbe certo: la passione di Gesù, ad uno scritto, composta più tardi, dove sarebbe stata riportata. Tuttavia, la tradizione orale è solo un'ipotesi esplicativa: invocarla contro i testi, equivale a far uso di una petizione di principio.

In terzo luogo, vi è la frequente obiezione relativa alla necessità di un fondatore della religione cristiana. La domanda presuppone la risposta ad un'altra domanda: Gesù appare, all'inizio dell'era cristiana, come un uomo o come un Dio? I testi sopra citati consentono di rispondere a questa domanda preliminare. Prendendo un esempio nella religione musulmana, Couchoud ha scritto: “la controparte” di Gesù non è affatto Maometto, è Allah.

Sviluppo futuro della teoria mitica

La teoria mitica, come è stata esposta più sopra, ha un doppio portato, negativo e positivo. Noi pensiamo che il suo significato negativo sia fermamente stabilito e che un giorno il mondo erudito lo ammetterà in generale. Al contrario, l'aspetto positivo della sua presentazione non ha che un valore parziale. Sicuramente risulta dai testi, e l'evoluzione della concezione che i cristiani si sono fatti della passione di Gesù deve, a nostro avviso, restare valida. Ma si tratta solo di un elemento della dottrina cristiana.

Infatti, il lavoro svolto per più di dieci anni dai membri della cerchia di studi Ernest-Renan, fondata da Alfaric nel 1951, mostra la molteplicità dei contributi che hanno costituito la religione cristiana e la complessità dell'evoluzione che ha portato nella seconda metà del II° secolo al Gesù dei vangeli. Pensiamo che sia per questa via che le ricerche dovranno essere perseguite. 

NOTE

[1] Si veda Guignebert, Jésus (1933), pag. 503, nota 1.

[2] Loisy, La Passion de Marduk, revue d'histoire et de littérature religieuse, 1922, p. 297, e La Naissance du christianisme (1933), pag. 7.

lunedì 22 aprile 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsAppendice.




Indice:

LE TESTIMONIANZE EBRAICHE
LE TESTIMONIANZE ROMANE
2. Tacito.
LA TESTIMONIANZA DI PAOLO
LA TESTIMONIANZA DEI VANGELI
Appendice



APPENDICE

Nel corso dell'opera abbiamo più volte richiamato l'attenzione ai dettagli rimarchevoli che il Salmo 22 fornisce in connessione con la crocifissione di Gesù. Il salmo è uno di quelli che hanno presentato grandissime difficoltà agli interpreti. È ovvio che tratta del lamento di chi è in gravi difficoltà. Hitzig collega il salmo con Geremia 37:11-21, e la storia ivi narrata della prigionia del profeta. [1] Secondo Olshausen, la situazione descritta si adatta meglio al periodo maccabeo, e raffigura le preghiere e i lamenti dei sofferenti secondo l'esperienza del poeta e degli altri fedeli. [2] Gli studiosi più recenti disperano di determinare l'età, e vedrebbero nelle parole del salmo solo le sofferenze e i lamenti generali della grande massa dei disprezzati e maltrattati “pii o miti della terra”.

Qualunque cosa si possa pensare, l'enumerazione degli animali che circondano il sofferente è in ogni caso sorprendente e curiosa. La composizione e la scelta particolare delle circostanze per il maltrattato, e la descrizione minuziosa delle sue sofferenze e le minacce che gli sono state rivolte, suggeriscono che qui abbiamo un caso davvero insolito. Il testo originale  ebraico sembra non dire niente delle catene sul sofferente. Nel verso 14, tuttavia, è detto: “Tutte le mie ossa sono slogate”; e il verso 16 è tradotto nella Septuaginta: “Hanno trafitto le mie mani e i miei piedi”; e i primi cristiani, che applicavano il salmo al loro salvatore, avevano in mente una crocifissione e, come Giustino e Tertulliano, vedevano nelle “corna degli unicorni [bufali](verso 21) le braccia del palo del martire.

Se ora dessimo uno sguardo al mondo dei cieli, nel punto in cui si trova Orione, vedremmo da subito che tutti i dettagli del salmo concordano e sono comprensibili, se vi si applica un'interpretazione astrale. 

Sull'“albero del mondo”, la Via Lattea, che recita la parte di un albero altrove nel mito astrale, pende Orione con le braccia e le gambe protese nella forma di una croce. [3] Sopra la sua testa è minacciato dal Toro con le fauci spalancate, mentre le Iadi si trovano nell'angolo alla sua sinistra; potremmo anche ricordare le fauci del leone nella costellazione del Leone, che è distante novanta gradi dalle Iadi, ed è perciò correlato in maniera astrale con loro. Dietro Orione ci sono i “bufali”, il branco di re'em, che sulla volta celeste assumono la forma dell'Unicorno, il quale sembra sul punto di trafiggere la figura appesa con il suo corno. In armonia con questa sono le parole del salmo: “Grossi tori mi hanno circondato; potenti tori di Basan m'hanno attorniato” (verso 12).

“Io sono come acqua che si sparge”, dice il sofferente. Il fiume Eridano non scorre forse sotto i piedi di Orione? Sembra fluire dal suo piede sinistro sollevato; e la Via Lattea potrebbe anche esser presa per acqua. Si veda anche il Salmo 69:2 e 15.

“Cani mi hanno circondato” (Sirio e Procione).

“Una folla di malfattori mi ha attorniato” — i Tori, i Cani, la Lepre, i Gemelli Celesti, che sono descritti come “malfattori” (criminali, ladri) nel mito astrale. (Si veda Genesi 49, dove sono imparentati con i gemelli Simeone e Levi e sono chiamati “uccisori di tori”, perché guidano il toro zodiacale davanti a loro e lo spingono fuori dai cieli).

“Come un leone sono alle mie mani e ai miei piedi”, continua il testo originale ebraico del verso 16. La frase ha finora eluso ogni spiegazione. Potrebbe significare che i “malfattori” circondano le mani e i piedi del sofferente alla maniera del leone (sicut leo), come è generalmente inteso dagli interpreti. Ma le parole possono forse contenere un riferimento criptico alla costellazione del Leone: sia perché le stelle principali di quella costellazione sono distribuite come in Orione, e rappresentano un Orione bugiardo, oppure a causa della relazione astrale di Orione con il Leone che abbiamo menzionato in precedenza, oppure con riferimento alla pelle di leone che Orione porta sul braccio sinistro e che ricorda la pelle di leone di Ercole. La Septuaginta ha sostituito le parole: “Hanno trafitto le mie mani e i miei piedi”. Ora la mano di Orione che porta la pelle di leone va con la freccia di uno dei Gemelli (Castore), che trafigge la mano; e nel periodo del Toro la costellazione della Freccia è in opposizione alla freccia di Castore, la freccia che si innalza ad oriente quando la prima si adagia ad occidente.

La spada nel verso 20 è la spada di Orione, che è brandita contro il suo corpo. I cani sono di nuovo Sirio e Procione. La bocca del leone (verso 21) si riferisce nuovamente alle Iadi o alla costellazione del Leone, che sembra provenire da lontano, mentre i “bufali” indicano il branco dei re'em [4].

Potremmo anche andare oltre, e spiegare altri dettagli del salmo in riferimento alla sua natura fondamentalmente astrale. Quindi, quando leggiamo nel verso 17, “Posso contare tutte le mie ossa”, ricordiamo che nessun'altra costellazione mostra altrettanto chiaramente come Orione, a causa del numero e della distribuzione delle sue stelle, la forma di un essere umano con gli arti estesi. Allo stesso tempo la forma può essere considerata un calice, con le tre stelle della cintura come dadi ivi collocati. In questo senso possiamo leggere il verso 18: “Spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica”. Il rivestimento di Orione sono i cieli, che sono spesso concepiti come un “manto stellato”, e sembrano essere divisi tra le varie costellazioni. Oppure possiamo prendere la Via Lattea come sua veste, la “tunica priva di cuciture”, perché corre continuamente attraverso il cielo, che è diviso in corrispondenza dei Gemelli in due metà per il passaggio del sole. 

Ora siamo nella posizione di comprendere il vero significato del salmo. La costellazione di Orione è nella mitologia astrale un rappresentante astrale di entrambi il sole e la luna. [5] In essa il loro fato è simboleggiato o rappresentato indirettamente. Orione, dice Fuhrmann, possiede molti nomi nella mitologia astrale. Come la luna, egli è il “multiforme” (Proteo), dando a tutti gli dèi la loro particolare forma armonica, e l'astrologia vede le forme più diverse del mito nella costellazione di Orione. Così vi abbiamo già riconosciuto Giovanni il Battista presso il Giordano, attorno al quale si raduna  il “popolo” (pagina 192), e la ruota ad acqua (pagina 211). È Noè che esce con i suoi animali dall'arca (Argo) e tende le sue mani verso il cielo con gratitudine, mentre la Via Lattea (arcobaleno) si inarca sulla terra come un segno della nuova alleanza (anno). È Fetonte che annega con le braccia sollevate nelle acque di Eridano, le Iadi e le Pleiadi che si affrettano in fuga alla sua caduta, e  lamentano la sua morte, mentre il suo “carro” corre, senza ruote e incontrollato, attorno al polo dei cieli. È Giasone che sbarca nella Colchide con la nave Argo, combattendo i tori di bronzo di Eete e correndo verso l'Ariete (“vello d'oro” = il sole al punto vernale). È Prometeo incatenato a forma di croce alle rocce. È anche Mitra che combatte il Toro, che lo Scorpione rende innocuo pungendo i suoi organi generativi, appena il Toro scompare quando il sole entra nel segno dello Scorpione.

In quei casi c'è un'allusione al sole e alla luna quando sono angosciati e hanno bisogno di aiuto; cioè vale a dire, alla minima altezza del sole durante l'anno, o della luna prima della sua scomparsa temporanea.

Il sole è lontano; è nella metà invernale dell'eclittica. Orione sembra gridare aiuto con le braccia alzate: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito! Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte, senza interruzione. Eppure tu sei il Santo, siedi circondato dalle lodi d'Israele. I nostri padri confidarono in te; confidarono e tu li liberasti. Gridarono a te, e furono salvati; confidarono in te, e non furono delusi. Ma io sono un verme e non un uomo”. Orione, l'aspetto dalle sembianze più umane tra tutte le costellazioni, è il sole, che nel periodo invernale, pallido e disprezzato, si insinua sulla terra come un verme. [6] “Il vituperio degli uomini e disprezzato dal popolo. Tutti quelli che mi vedono si fanno beffe di me, allungano il labbro e scuotono il capo, dicendo: Egli si è affidato all'Eterno; lo liberi dunque, lo soccorra, poiché lo gradisce”. Così anche è detto dei beffardi “malfattori”: “L'infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo. Chiunque mi vede si fa beffe di me; allunga il labbro, scuote il capo, dicendo: Egli si affida al Signore; lo liberi dunque; lo salvi, poiché lo gradisce”. In effetti, guardano dall'alto Orione dal punto più alto dell'eclittica. [7]

Perché i Gemelli nel punto più alto dell'eclittica non dovrebbero “deridere” il sole, come si muove pesantemente e lentamente sul tratto più basso del suo percorso annuale? Confronta anche il Salmo 69:7-16. [8] Ora attraversa l'equatore, e sale sempre più in alto. La situazione cambia. Dio ha udito il grido dell'abbandonato. Inizia la stagione migliore: “Gli umili mangeranno e saranno saziati”. In ferventi sforzi di lode, il liberato canta, tra il coro delle stelle (“nella grande assemblea”), la grazia del Signore. Jahvè riprende la signoria del mondo e tutti i popoli lodano con gioia il suo nome [9].

Così l'interazione tra terra e cielo, uomo e Dio, che era così familiare a tutta l'antichità, si riflette nei cieli, dove entrambi il sole (luna) incatenato e affievolito e  Orione corrispondono a “il figlio dell'uomo”, che grida aiuto contro i pericoli dell'inverno che lo minacciano. Da questo punto di vista, il ventiduesimo salmo potrebbe essere, come ho sottolineato in Il Mito di Cristo, un cantico del culto al figlio di dio che soffre e risorge — Gressman vede un cantico simile nel capitolo cinquantatreesimo di Isaia — se i movimenti descritti sono considerati puramente celesti oppure se avevano una controparte terrena in un corrispondente atto cultuale secondo la maniera delle festività di Attis, Tammuz, Adone, Osiride, ecc. Se sostituiamo all'Orione “crocifisso” del ventiduesimo salmo le altre due importanti croci celesti — la croce primaverile con l'Ariete (Agnello) e la croce autunnale con il Calice (teschio) sotto di essa, la Vergine, i Capelli di Berenice (megaddela = Maria Maddalena), ecc. — abbiamo tutti gli elementi astrali di ciò che Niemojewski definisce la “via dolorosa astrale” (pag. 413). Possiamo supporre, in fin dei conti, che Orione stesso reciti la parte del Salvatore crocifisso? In tal caso le donne (in lacrime) alla croce sono rappresentate dalle Pleiadi (le “sorelle propiziatrici della pioggia”), una delle quali reca il nome di Maia (Maria). Le Pleiadi sono anche parrucchieri (megaddela), come sono raffigurate in manoscritti medievali sulla base di una tradizione antica, [10] e culminano quando i Capelli di Berenice si ergono al di sopra dell'orizzonte orientale. Elettra è considerata il centro delle Pleiadi. Lei è la madre di Iasio (Gesù), ed è rappresentata mentre è in lutto con un panno sopra il suo capo, proprio nella stessa maniera della Maria cristiana. Ma poiché anche Iasio era considerato, secondo un'altra genealogia, il figlio di Maia, anche la Pleiade in lutto potrebbe passare per lei. Come è noto, la madre di Gesù è anche una colomba (peleids, Pleiade) nella concezione cristiana primitiva. 

Secondo Niemojewski, il calice (gulguleth = teschio) rappresenta il Golgota celeste. Ma potremmo riferirlo al teschio del Toro e alla testa di Medusa, e considerare “il luogo del teschio” la regione dei cieli dove si trova Orione. Su questa supposizione i due malfattori sono riconosciuti nei Gemelli, che abbiamo già accertato essere i criminali astrali. Castore è considerato malvagio a causa della sua relazione con l'inverno, e Polluce buono a causa della sua relazione con l'estate. Niemojewski vede i due malfattori nei Cani (Sirio e Procione). La differenza non è grande, poiché i Cani culminano nello stesso tempo dei Gemelli, e potrebbero perciò essere sostituiti da loro.

Qui abbiamo un terreno fermo su cui stabilire la natura originariamente astrale e mitica del resto della storia di Gesù, e sembriamo avere una fortissima dimostrazione dell'esistenza di un culto del “crocifisso” prima del tempo di Gesù, e del fatto che il nucleo della figura di Gesù è in realtà puramente astrale.

Tutte le religioni orientali, compreso l'ebraismo, sono essenzialmente religioni astrali. Abbiamo mostrato in precedenza (pag. 223) che l'Apocalisse è un'opera giudeo-gnostica, il cui Gesù è più primitivo del Gesù dei vangeli. Ma l'Apocalisse è interamente e certamente di una natura astrale. È una prova ulteriore del fatto che il cristianesimo non fa eccezione alla regola.

NOTE

[1] Die Psalmen (1836), pag. 60.

[2] Die Psalmen (1853), pag. 121.

[3] Anche Giobbe 38:31. Orione è rappresentato come un gigante fissato ai cieli con catene. (Si veda Jeremias, Das Alte Testament im Lichte des alien Orients, pag. 560).

[4] La Septuaginta traduce re'em con monokeros, e questo è tradotto “unicorno” nelle versioni tedesche [e inglesi]; in effetti, i nostri corpi celesti hanno, invece dei “buoi selvaggi”, la costellazione dell'“Unicorno”, la bestia eccezionale di cui scrive Ctesia (400 A.E.C. circa). Questo deve essere dovuto, come ha mostrato Eberhard Schrader, ad un fraintendimento, dal momento che lo scrittore greco ha equivocato la figura di un bufalo con un unico corno sulla fronte nelle rovine di Persepoli per un animale particolare, laddove l'unico corno è dovuto in realtà all'incapacità degli artisti di quel popolo nel tracciare la prospettiva. Si vedano dettagli nella seconda conferenza di P. Delitsch su Babel and Bible (1904). In vista del significato astrale del salmo, Lutero aveva ragione ad inserire “unicorno”, e il vero significato del passo si perde quando persone colte di filologia insistono che l'“unicorno” fosse veramente un bufalo.

[5] Confronta l'identità di Orione col dio solare e lunare Osiride tra gli egizi. Boll, Sphaera, 1903, pag. 164.

[6] È stato sottolineato anche che la Via Lattea, in cui si trova Orione, si stende come un verme lungo il cielo quando Orione tramonta al principio dell'inverno. Nel mito babilonese la Via Lattea era un verme (Tiamat), che il sole (Marduk) divideva in due metà.

[7] I Gemelli sono i piccoli ragazzi che in 2 Re 2:23, schernirono Elia, quando ebbe diviso il “Giordano” col “mantello” di Elia, lo attraversò senza bagnarsi i piedi, raggiunse la “città della luna”, Gerico, alla “sorgente dell'acqua” (la regione acquatica dell'inverno, il recipiente di Aquario), e sta ora risorgendo di nuovo. Gli gridano: “Vieni su, pelato”, perché il sole ha perduto i suoi capelli presso la parte più bassa del suo percorso (Sansone ed Ercole, si veda pag. 165). A questo proposito dobbiamo anche considerare i “cinquanta uomini” che cercarono lo scomparso Elia (Helios) invano per tre giorni (mesi), e il “disperdimento” che avrebbe rovinato l'acqua della città. Gli uomini riferiscono alle settimane dell'anno (confronta le cinquanta figlie di Danao, il navigatore), e quest'ultimo riferisce alla stagione sterile che è terminata dal sole.

[8] È ammesso che il verso 21 (“Hanno messo fiele nel mio cibo, e mi hanno dato da bere aceto per dissetarmi”) è stato preso letteralmente dal salmo e applicato alla crocifissione di Gesù, al pari del secondo verso del ventiduesimo salmo. In vista dell'affinità dei salmi questa è una fresca dimostrazione del fatto che la sentenza “Dio mio perché mi hai abbandonato?” non è storica. (Si veda anche 69:9).

[9] Io chiederei al lettore di non pronunciare un giudizio su tutto questo finché non abbia studiato le costellazioni. Ci sono fin troppi che scrollano le loro spalle alla mitologia astrale e non gettano mai uno sguardo ai cieli oppure non hanno la minima idea circa le speculazioni corrispondenti degli antichi.

[10] Boll, Sphaera, pag. 380. Confronta the drawing in Antike Himmelsbilder di Thiele (1898), pag. 112.