mercoledì 28 novembre 2018

«Gesù, il Dio fatto uomo»I Vangeli (130 E.C. — 150 E.C.) (VI): Il figlio e l'erede di Dio


I VANGELI
(130 E.C.—150 E.C.)
VI

IL FIGLIO E L'EREDE DI DIO
(Il vangelo secondo san Marco)

Il vangelo narrativo, come lo introdusse Marcione, era per il mondo cristiano una lettura affascinante. Aveva un'autorità essenziale che lo rendeva superiore a qualsiasi altra scrittura, e che spingeva in secondo piano le forme stabilite impiegate nell'insegnamento della dottrina cristiana — profezie, apocalissi, epistole. Al di fuori dalle chiese marcionite fu ricevuto solo dopo una correzione. Ad Alessandria e a Roma fu profondamente rivisto e adattato alle idee del cristianesimo che prevalevano in quelle due province.

La revisione alessandrina fu fatta da Basilide, un filosofo gnostico dallo spirito profondo, il cui animo era sensibile ai riti dei misteri. Il Vangelo secondo Basilide e il Commentario (Exegetica) in ventiquattro libri è stato irrimediabilmente perduto. [1] Sappiamo che includeva, come fece il Vangelo di Marcione, la parabola del Ricco e di Lazzaro. [2] Sappiamo anche che in Basilide Gesù non fu crocifisso. Sarebbe stato contro la sua dottrina, poiché sosteneva che tutta la sofferenza fosse espiazione per il peccato, forse un peccato sconosciuto, commesso in qualche vita precedente — Basilide era in una certa misura influenzato dal Buddhismo. [3] Altrimenti la responsabilità per la sofferenza immeritata sarebbe infine ricaduta su Dio. “Tutto infatti dirò piuttosto che sia cattiva la Provvidenza”, dice nel libro 23 delle Exegetica (Clemente Alessandrino, Stromata, 7:17, 106). Se Gesù era senza peccato, non avrebbe potuto soffrire sulla croce.

Basilide racconta di come Gesù fuggì dai suoi carnefici. “Un certo Simone di Cirene, contro la sua volontà, portava per lui la croce: questo è stato crocifisso per ignoranza ed errore, in quanto Cristo lo aveva trasformato così che si credesse che fosse lui Gesù. Gesù invece aveva assunto l’aspetto di Simone e stando ritto in piedi irrideva i crocifissori. Infatti egli era la Potenza incorporea e l’Intelletto (νου̑ς) del Padre ingenerato: perciò si è trasformato come voleva ed è asceso a colui che lo aveva mandato, prendendo gioco di quelli, poiché non poteva esser preso era invisibile a tutti”. [4] Il tema paolino degli Arconti derisi è mantenuto in questa maniera, sebbene la crocifissione di Gesù sia negata, una negazione che è ripetuta negli Atti di Giovanni e nel Corano di Maometto. [5]

Qui, quindi, troviamo spinta fino all'estremo una delle idee essenziali di Marcione — che Gesù non possedeva un corpo reale, che egli non poteva essere afferrato e che poteva cambiare il suo aspetto a volontà.

L'istituzione della festa dell'Epifania di Gesù e del suo battesimo il 6 gennaio era dovuta apparentemente a Basilide. [6] Questo ci fa pensare che secondo Basilide la manifestazione di Gesù come un dio avvenne ad un battesimo simile alla festa dell'acqua celebrata anche ad Alessandria il 6 gennaio, ma in onore di Osiride.

Questo è il poco che conosciamo o ipotizziamo di questo vangelo perduto, che recava il marchio di un genio che era, forse, troppo individuale. Mancava del sigillo di una chiesa potente e organizzata e del prestigio di un'origine misteriosa.

La composizione del vangelo secondo san Marco ebbe luogo a Roma. Questo è il primo dei vangeli dichiarati canonici, il modello compatto e vigoroso degli altri tre. Non c'è nessuna menzione dell'autore, a meno che “l'inizio del vangelo di Gesù Cristo” non sia inteso a dare l'autore. La tradizione ufficiale attribuisce la composizione a Marco, compagno e interprete di Pietro, la qual cosa è in esplicita contraddizione con le denigrazioni di Pietro e degli altri antichi apostoli, che sono così frequenti in esso come nel Vangelo di Marcione, ma che danno al libro un certificato di origine antica.

È possibile che il libro fosse stato scritto in latino, per quella parte della Chiesa che parlava latino, se si crede ad una traduzione di Efrem. [7] Il testo latino che san Cipriano leggeva in Africa e che è conservato per noi in due manoscritti è migliore in molti punti rispetto al testo dei manoscritti greci. [8] Comunque, l'opera è giunta fino a noi in cattive condizioni. L'archetipo da cui provenivano tutti i manoscritti in nostro possesso era difettoso e sprovvisto della fine.

Questo breve vangelo romano riflette il positivo spirito pratico, la dura teologia, l'azione eroica ma prudente, le sofferenze e la liturgia del gruppo di cristiani a cui era rivolto. A Roma la rottura con gli ebrei era compiuta. Le fratellanze cristiane si incontravano in abitazioni segrete, seppellivano i loro morti in catacombe, vivevano e morivano separatamente dagli ebrei. Da soli soffrivano persecuzioni sotto la legge, mentre gli ebrei vivevano, come avevano fatto per lunghi anni, sotto la protezione dei loro privilegi. Dagli ebrei i cristiani non si aspettavano nulla di meglio che un convertito occasionale, e dal resto un'ostilità più o meno aperta e aspra. Il campo era pronto allora per la crescita del paolinismo e, in particolare, dell'espressione recente, il vangelo narrativo.

D'altra parte, una rottura totale con il Dio ebraico e la Bibbia ebraica sembrava impensabile. Paolo non aveva mai richiesto tanto. I salmi, i profeti, gli estratti scelti dal Pentateuco, ai quali venivano aggiunti libri pii, come Tobia e i Testamenti dei Dodici Patriarchi, rimasero il nutrimento principale dei devoti. Le Scritture erano interpretate in senso opposto alle interpretazioni degli ebrei, ed erano inoltre interpretate contro gli ebrei, eppure i cristiani tenevano ancora in considerazione le opere ebraiche. Il Dio Altissimo che adoravano era certamente il Dio della Bibbia ebraica, Jahvè. Nessun altro poteva essere ritenuto tale. Indiscutibilmente il Padre di Gesù poteva essere solo lui.

La disputa che divideva le fila dei cristiani romani riguardava l'Unico Figlio di Dio, o, come solevano dire, il Figlio Diletto e l'Erede di Dio. Il problema era a chi Dio aveva indirizzato le parole del Salmo 2: “Tu sei il mio figlio prediletto”. Il profeta Ermas, dalla sua cattedra, avanzò l'opinione che fosse lo Spirito Santo il Figlio Diletto ed Erede di Dio, [9] che era manifesto nella forma della Chiesa. [10] Gesù era un grande angelo che, in ricompensa per i suoi servigi, era stato fatto Figlio e Co-Erede di Dio, l'associato dello Spirito Santo. [11] Il grande didasculus dell'epistola agli Ebrei, sotto copertura di una lettera ritenuta proveniente da san Paolo, rispose che l'abisso tra Gesù e gli angeli era infinito, che solo Gesù era stato creato da Dio “erede di tutte le cose” (Ebrei 1:2: κληροvόμον πάvτωv).

Marco — per comodità chiameremo quest'evangelista con questo nome — figura tra le fila dei seguaci dell'epistola contro Ermas. Per lui la Voce di Dio disse e ripetè a Gesù: “Tu sei il mio Figlio Diletto (cioè, il mio Unico Figlio). [12] Egli rappresenta Gesù mentre è servito dagli angeli (Marco 1:13). Una parabola, correttiva dell'eresia di Ermas, racconta come Gesù fosse il figlio prediletto e l'erede di Dio. [13] Il vangelo di Marco è la storia terrena dell'erede di Jahvè raccontata a porte chiuse ai catecumeni che, per la maggior parte, non erano di sangue ebreo. [14]
Istruito per quanto possa esserlo nelle sacre scritture, Marco non era un maestro. Il suo era il talento di un catechista, un tipo piuttosto comune che sapeva come muovere gli altri quando lui stesso era mosso. Parla un po' rumorosamente, perché deve farsi ascoltare dagli ottusi romani e africani. Prese la storia discontinua, quasi senza forma del suo predecessore e si sforzò di trasformarla in un dramma coerente. Per far ciò sviluppò quella parte che aveva già un certo grado di connessione — la Passione — di cui fece per la prima volta una narrazione compatta, struggente ed esemplare. In essa Gesù diventa il primo dei martiri e il loro modello perfetto. Iniziando la sua composizione con la fine, Marco fece convergere tutte le sue linee sulla Passione. Lui va ai fatti. Omette una parte centrale che comprende decisioni, parabole e sermoni, qualcosa di cui impiega nuovamente altrove. Cerca di creare legami di connessione ovunque sia possibile con vaghi riferimenti a tempi e a luoghi, il cui trucco è spesso troppo ovvio. Non era in grado di  prendere dal Vangelo la sua natura originale — quella di suddividersi in parti, ognuna delle quali è priva di una connessione reale con ciò che la precede o con ciò che la segue. Nonostante ciò, la storia di Marco è il primo tentativo di dare il colore, la concretezza e la prospettiva di Storia reale ad un poema che era essenzialmente di natura allegorica e didattica.

Marco non prese il suo materiale proprio come lo trovò. Sia intenzionalmente che involontariamente, lo trasforma  occasionalmente in modo tale che il suo significato originale sia perso o completamente pervertito. Non esita a modificare o ad aggiungere ogni volta che serve al suo scopo.

Proprio come fece Marcione, egli fa apparire Gesù improvvisamente, da adulto. Derivando forse da Basilide, fa sì che l'Epifania avvenga in un battesimo, che è il fondamento e l'inaugurazione del battesimo cristiano. Giovanni il Battezzatore dà questo battesimo e agisce nei confronti di Gesù nel ruolo di Elia, il quale, nella fede ebraica, deve precedere e indicare il Messia di Israele. [15] L'Epifania di Gesù realizza non solo le profezie che annunciano la venuta dell'inviato di Dio, ma quelle che annunciano l'avvento di Jahvè stesso (Marco 1:1):
Inizio del vangelo di Gesù Cristo.
Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia:
Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero
che preparerà la tua via.
[16]
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i sentieri del nostro Dio.
[17]

Venne Giovanni il Battezzatore nel deserto
predicando un battesimo di ravvedimento
per il perdono dei peccati.
Giovanni annuncia che uno Più Potente di lui viene dopo di lui:
Io vi ho battezzati con acqua,
ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo.
In questo modo si distingue il battesimo cristiano, poiché conferisce lo Spirito Santo, mentre il battesimo di Giovanni era semplicemente un battesimo di acqua. Mentre Giovanni è sul punto di battezzare Gesù con l'acqua, Jahvè fa sì che lo Spirito scenda su di lui:
In quei giorni Gesù venne
da Nazaret di Galilea
[18]

e fu battezzato da Giovanni nel Giordano.
A un tratto, come egli usciva dall'acqua,
vide aprirsi i cieli
e lo Spirito scendere su di lui come una colomba.
Una voce venne dai cieli:
Tu sei il mio diletto Figlio;
in te mi sono compiaciuto.
Immediatamente dopo la sua investitura terrena, l'unigenito Figlio di Dio si misura contro il suo nemico, Satana, nel deserto, il luogo di dimora dei Demoni:
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto;
e nel deserto rimase per quaranta giorni,
tentato da Satana.
Stava tra le bestie selvatiche
e gli angeli lo servivano.

In questo modo viene definita la condizione del Figlio di Dio sulla terra. Questa è la situazione comune ai cristiani. [19] Aiutato dagli angeli, il cristiano è provato dalle tentazioni di Satana e dei suoi demoni. Quando l'Ora predestinata colpisce, Gesù si sottometterà alla Prova Suprema, obbedendo alla volontà del Padre. [20]

Senza indugio la sua missione inizia secondo il programma assegnato al misterioso Servo di Jahvè; predicando la buona novella ai poveri, la guarigione dei cuori spezzati, la liberazione dei prigionieri e l'adempimento dell'anno di grazia di Jahvè. [21] Il catechista Marco descrive Gesù come il primo dei catechisti e degli esorcisti cristiani. Gesù allo stesso tempo predica il Vangelo e lo crea vivendolo. Questo vangelo che deve essere creduto (“credete al vangelo”), per il quale casa, fratelli, sorelle, madre, padre, moglie e figli devono essere abbandonati, i campi e le mandrie abbandonati, anche la vita stessa abbandonata in modo che la vita possa essere salvata (Marco 10:29; 8:35); questo vangelo non è più solo la proclamazione dell'imminente fine del mondo, né la Buona Novella della Salvezza attraverso la Morte di un Dio: è anche la rappresentazione sacra delle parole e degli atti di Gesù. [22]

Marco poi introduce, senza alcun preliminare per quanto riguarda la pesca miracolosa, la chiamata dei quattro pescatori — e senza la cattura miracolosa le parole “Vi farò diventare pescatori di uomini” perdono il loro punto. Quindi segue per qualche tempo l'ordine del suo predecessore — la guarigione dell'indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, di vari malati dopo il tramonto del sole, la purificazione del lebbroso su cui si impone la penitenza, la cura del paralitico i cui peccati sono rimessi, la chiamata del pubblicano e la festa con i peccatori, la questione del digiuno, le infrazioni del sabato, la scelta dei dodici apostoli. Alle guarigioni simboliche si aggiunge in forma modesta la guarigione da un attacco di febbre della suocera di Pietro; [23] un tale dettaglio accentuava la verosimiglianza. Il ritiro di Gesù dopo quei miracoli e il comando che egli dà ai demoni di non rivelare di essere il Figlio di Dio indicano che Gesù non voleva rivelarsi agli ebrei. La scelta degli apostoli è la scena di un'iniziazione. Gesù si ritira dalla folla e chiama quelli che desidera. Gli apostoli simboleggiano i predestinati. Marcione fece sì che Gesù fosse scambiato per il Messia ebraico. Ma secondo Marco egli è il vero Messia di Israele, che nasconde volontariamente la sua identità al suo popolo.

In questo spirito, Marco compose due scene in cui Gesù rompe con gli scribi israeliti e con i suoi pretesi genitori. I notabili di Israele che lo accusano di essere posseduto dal principe dei demoni sono colpevoli di peccato eterno. [24] Sono predestinati alla cecità e alla punizione. E quelle persone che si definiscono i genitori terreni di Gesù sono tra coloro che erano “fuori” che non fanno la volontà di Dio, e quindi non hanno diritto di entrare nel suo regno. Gesù non ha altra famiglia che il piccolo gruppo di eletti.

L'intenzione di Marco è di nuovo evidenziata nella soppressione della grande esortazione che Gesù fa alle moltitudini e nella sua sostituzione con un insegnamento singolare, in parte ripetuto. Di fronte alla folla, Gesù pronuncia parole che dovrebbero essere incomprensibili per loro, e le spiega in profonda segretezza ai suoi discepoli (4:11-12):
Egli disse loro:
A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio;
ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole,
affinché: Vedendo, vedano sì, ma non discernano;
udendo, odano sì, ma non comprendano;
affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati.
L'idea di un mistero nascosto proviene da Paolo (1 Corinzi 2:7: Romani 16:25; Efesini 3:5). L'idea che una parabola sia incomprensibile senza una spiegazione è presa da Ermas. [25] La strana idea di una Provvidenza che rendeva gli ebrei ciechi in modo che potessero essere condannati proviene da Isaia interpretato da Paolo (Isaia 6:9-10, Septuaginta, Romani 11:7-10). Marco insegna che le parabole sono oscure per accecare gli ebrei. Il suggerimento di Marco è insostenibile, poiché, dopo aver esposto in segreto la prima parabola [26] — quella del Seminatore — Gesù trascura le altre due — quella del seme che cresce da solo e quella del piccolo seme di senape che diventa una grande pianta — poiché il loro significato non richiede nessuna interpretazione. La parabola dei vignaioli omicidi rimane non spiegata — tuttavia gli ebrei la capiscono fin troppo bene. [27]

Marco ritorna da Marcione quando racconta della tempesta placata, della cacciata della Legione di Demoni, della guarigione della donna con un flusso di sangue, della missione degli apostoli, dell'incertezza di Erode, del miracolo dei pani e dei pesci. A quelle storie aggiunge quella di Gesù nel suo paese, che in Marcione appare molto prima. Marco la racconta nuovamente con ulteriori dettagli, nomi, digressioni e legami artificiali. La tempesta ha luogo lo stesso giorno del discorso sulle parabole; Gesù è sulla stessa barca da cui parlò alla folla e non fu capito. L'espulsione della Legione di Demoni ha un seguito assurdo, i diavoli entrano in un branco di porci, che si gettano nell'Abisso. [28] Allora l'indemoniato guarito ha l'ordine di annunciare nella Decapoli tutto ciò che il Signore ha fatto per lui; se Gesù desiderava rimanere sconosciuto tra gli ebrei, voleva essere celebrato tra i pagani. La guarigione della donna è collegata alla resurrezione della figlia di Giairo; i due miracoli dimostrano che Gesù può curare gli ebrei quando loro credono in lui. [29] La storia della patria di Gesù conduce alla sua occupazione, era un falegname, [30] e ai nomi di sua madre (Maria) e dei suoi fratelli (Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simone). [31] La menzione di Erode ricorda una leggenda, introdotta come intermezzo, della morte di Giovanni su richiesta della moglie e della figlia di Erode.

Dopo la storia del miracolo dei pani e dei pesci, Marco lascia la sua fonte e dà qualche materiale suo proprio.

Per ricongiungersi con i suoi discepoli, Gesù cammina sulle onde del mare — un episodio simbolico per rivelare l'imponderabile essenza spirituale del corpo di Gesù. [32] In questo Marco concorda con Paolo e con Marcione.

I farisei accusano i discepoli di trascurare l'abluzione rituale prima dei pasti, [33] e Gesù fa uso dell'opportunità per condannare, non tutta la Bibbia, come avrebbe fatto Marcione, ma la pretesa tradizione che ha trasformato e pervertito la parola di Dio. Il Gesù di Marco trattiene il nucleo morale della Bibbia, che chiama il comandamento di Dio, ma rifiuta come mere aggiunte umane tutte le norme alimentari. Ritorna alla posizione di Paolo, basandolo, come fece Paolo, su un passo di un'invettiva di Isaia. [34] Com'è sua abitudine, offre una duplice interpretazione. Pone alla folla una sorta di indovinello (7:14-16):
Ascoltatemi tutti e intendete:
non c'è nulla fuori dell'uomo che entrando in lui
possa contaminarlo;
sono le cose che escono dall'uomo
quelle che contaminano l'uomo.
Ai suoi discepoli, in segreto, interpreta, con una certa salutare volgarità, che non importa quale cibo venga mangiato, poiché nell'apparato digerente non c'è niente di puro o di sporco. Ciò che contamina un uomo sono i suoi pensieri che sorgono dal suo cuore. In questo modo, dopo molte schermaglie e dispute, l'intero codice delle norme alimentari degli ebrei viene eliminato.

Gesù va nella terra dei pagani, a Tiro e a Sidone. Una donna pagana lo prega, come la vedova di Sarepta fece con Elia, di esorcizzare il suo bambino; questo esorcismo simboleggia la salvezza dei pagani. Gesù solleva l'obiezione che il “pane dei figli non è per i cani” — cioè, i bambini sono gli ebrei e i cani sono i gentili. Lei gli risponde umilmente:
Sì, Signore, ma i cagnolini, sotto la tavola,
mangiano le briciole dei figli.
Per questa risposta, Gesù risponde alla sua preghiera. Questo è puro paolinismo in azione. Gli ebrei furono i primi a cui Gesù offrì la salvezza. Quello che disdegnano, i pagani raccolgono.

Prima gli ebrei, e poi i pagani. L'idea ispira Marco a introdurre un secondo miracolo dei pani e dei pesci sulla stessa linea del primo. Israele era l'oggetto del primo miracolo, da cui dodici cesti, il numero di Israele. [35] Il secondo è per i pagani. Ecco, quindi, che ci sono sette ceste di resti; sette, il numero degli apostoli che parlavano greco, in precedenza raggruppati attorno a Stefano e opposti ai Dodici; sette che ricordano le settanta nazioni dei gentili. Lascia che i cristiani convertiti da Israele prendano i loro pasti come vogliono! I convertiti dal paganesimo hanno diritto al proprio benessere. Marco intende che il miracolo sia preso in senso materiale. Quindi, quando gli apostoli temono di rimanere a corto di pane (8:16), Gesù li rimprovera per la loro mancanza di fede [36] e ricorda loro le due miracolose distribuzioni di cibo. Nessuna attenzione dovrebbe essere presa per il cibo che il Signore provvederà. [37]

Marco è l'autore di due guarigioni miracolose — quella del sordomuto (7:32-37) e quella di un cieco (8:22-26) così che la profezia di Isaia possa essere adempiuta (35:5-6) in cui i ciechi aprono i loro occhi, i sordi le loro orecchie e le lingue dei muti gridano di gioia. Gesù non opera più, come in Marcione, da sopra e da lontano, senza impiegare mezzi materiali e facendo uso della sola parola. No, egli sputa sull'organo malato, pone le dita sulle orecchie, tocca le lingue, posa le mani più volte, alza gli occhi al cielo, emette sospiri, pronuncia abracadabra, tutto alla maniera dell'esorcista professionista.

Avendo preso un volo tutto suo, l'evangelista torna sul sentiero battuto. Racconta la confessione di Pietro, la trasfigurazione di Gesù, la guarigione dell'epilettico, i due annunci della Passione, la lite tra gli apostoli sulla precedenza e l'approvazione di Gesù dello strano esorcista. In tutte queste copiature introduce vaghi indizi di tempo e di luogo, e fa del suo meglio per drammatizzare le scene, sviluppare l'idea e accentuare le caratteristiche. Getta in un rilievo ancor più chiaro l'opposizione degli antichi apostoli alla dottrina della croce. Quando Pietro dice bruscamente a Gesù: “Tu sei il Cristo”, Gesù, per risposta, insiste sul bisogno della Passione e Pietro inizia a rimproverarlo. Perciò Gesù dice aspramente: “Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”“Andare dietro” Gesù equivale a portare la sua croce e ad affrontare la morte. Marco qui è più veemente di Marcione. Non dimentica che Paolo paragonò i primi apostoli a Satana, [38] e fa di Pietro il simbolo dell'uomo animalesco che, secondo Paolo, non è in grado di comprendere quale sia lo Spirito di Dio. [39]

Egli dà il tocco finale all'incredibile stupidità degli apostoli. Dopo la trasfigurazione, quando Gesù allude alla sua futura resurrezione, Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre che assistettero alla resurrezione della figlia di Giairo, si chiedono a vicenda cosa possa significare questa resurrezione. Non si può dubitare che Marco abbia cercato di sollevare a loro spese le risate della sua cerchia.

Gli apostoli sono incapaci di tutto tranne che degli esorcismi più facili, così come sono troppo ottusi per comprendere una sola sillaba della dottrina della croce. Ma grande è la loro vanità quando discutono tra di loro quale di loro sia il più grande. Il Piccolo che deve essere ricevuto come Gesù stesso, l'esorcista capace che non deve essere ostacolato, il generoso cristiano che ha dato molto più di un bicchiere d'acqua, che ha dato infatti grandi elemosine agli apostoli perché erano “di Cristo” — questi è Paolo. Questa allusione nascosta a Paolo è il collegamento tra passi altrimenti incoerenti.

Da questo punto, Marco affretta le cose e salta un terzo del vangelo di Marcione per arrivare più rapidamente alla Passione. Spinge da una parte una massa di confusi insegnamenti ed episodi simbolici. Unisce le lezioni sullo scandalo e sul divorzio, che egli amplifica alla sua maniera. Il Gesù di Marcione lancia una maledizione a chiunque debba far inciampare uno solo di quei “piccoli” (i cristiani paolini). Il Gesù di Marco parla a una chiesa in cui l'inciampo era diventato frequente e doloroso. Chiede ai fedeli di sbarazzarsi di ogni membro che possa indurli a offendere, sia che si tratti di una mano, di un piede o di un occhio, [40] e di rifiutare il sale, se il sale ha perso il suo sapore. Prima di tutto desidera la pace all'interno della chiesa. Prende a prestito da Paolo il precetto dato ai Tessalonicesi: “Vivete in pace tra di voi” (1 Tessalonicesi 5:13).

In materia di divorzio Marco sviluppa in una storia il detto che Paolo pronunciò nel nome del Signore, e che è riprodotto da Marcione. [41] Gesù è ai confini della Giudea, e i farisei gli chiedono se un marito sia autorizzato a divorziare dalla moglie. Gesù li rimanda alla Legge di Mosè e quindi all'amaro proverbio dei profeti riguardo la durezza di cuore del popolo ebraico (Geremia 4:4; Ezechiele 3:7. Si veda Deuteronomio 10:16), perché il divorzio era tollerato tra di loro; e poi di nuovo alla legge primordiale dei due che diventano una sola carne (Genesi 2:24). Abbiamo qui, quindi, un buon esempio di polemica anti-ebraica. Dopodiché, a porte chiuse, Gesù pronuncia un editto contro il divorzio.

Marco tralascia più passi di Marcione. Racconta con vivacità e dinamismo, che lui sapeva come dare, l'insegnamento di Gesù sui Bambini a cui appartiene il Regno di Dio (figli che sono poi credenti), la risposta data al giovane ricco che desidera ottenere la vita eterna, la risposta data a Giacomo e a Giovanni quando esprimono il desiderio di assidersi, l'uno alla destra, l'altro alla sinistra, all'apoteosi di Gesù. [42] La lezione che Gesù dà ai vanagloriosi apostoli è interamente paolina; per essere il primo devi essere lo schiavo di tutti; Gesù stesso non era venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per riscattare i “molti” (πολλοί). [43] Marco completa quei pezzi con un terzo annuncio della Passione e della Resurrezione, mostrando un gusto deciso per le costruzioni ternarie. [44] La guarigione del cieco di Gerico è un altro esempio della dottrina paolina della fede salvifica. Dopodiché si apre il dramma della Passione. Marco inizia con l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. Mostra in questa narrazione tutti i suoi talenti di narratore e di catechista. I detti e gli eventi sono assegnati a giorni diversi, mentre fino ad allora erano stati disconnessi. Egli fonda la liturgia di un'autentica settimana santa.

Il primo giorno della settimana, Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme come Messia. Il secondo giorno, lunedì, esegue un'impresa messianica: la purificazione del tempio. Senza un modello preesistente, Marco inventa due scene sulla base delle profezie di Zaccaria (9:9 e 14:21): “Ecco, il tuo re viene a te; umile, in groppa a un asino …”. E “In quel giorno non ci saranno più chi vende e chi compra nella casa del Signore”. Insegna, in opposizione a Marcione, che Gesù è il Messia israelita, e allo stesso tempo insegna che il tempio era diventato la Casa di preghiera per tutte le nazioni (con riferimento ad Isaia), e allo stesso tempo, con una svolta bizzarra, dichiara che Israele fu maledetto da Gesù (11:12-20):
Il giorno seguente, quando furono usciti da Betania,
egli ebbe fame.
Veduto di lontano un fico, che aveva delle foglie,
andò a vedere se vi trovasse qualche cosa;
ma, avvicinatosi al fico, non vi trovò niente altro che foglie;
perché non era la stagione dei fichi.

Gesù, rivolgendosi al fico, gli disse:
Nessuno mangi mai più
 frutto da te!
E i suoi discepoli udirono.

... ...
La mattina, passando,
videro il fico seccato fin dalle radici.
Se fosse stato il problema di un reale albero di fico e di fichi reali, la maledizione sarebbe stata grottesca e assurda. Ma il fico simboleggia Israele. Quando c'erano profeti produceva frutto. Ora è passato il tempo dei fichi. Per sempre maledetto, non darà mai più frutti. Per questo motivo Gesù, il Messia di Israele, non è più il Messia di Israele. Danneggia il suo stesso popolo e diventa la salvezza delle altre nazioni. Tale è la dottrina, prodotto bizzarro dell'esperienza cristiana, che Marco esprime in forma di racconto.

Getta luce sul suo pensiero e lo completa per mezzo di una parabola che egli fa dire a Gesù il martedì (12:1-9):  
Un uomo piantò una vigna,
le fece attorno una siepe,
vi scavò una buca per pigiare l'uva
e vi costruì una torre; [45]
l'affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio.

Al tempo della raccolta mandò a quei vignaiuoli un servo
per ricevere da loro
la sua parte dei frutti della vigna.
Ma essi lo presero, lo picchiarono
e lo rimandarono a mani vuote.

Egli mandò loro un altro servo;
e anche questo insultarono e ferirono alla testa.
Egli ne mandò un altro,
e quelli lo uccisero;
poi molti altri che picchiarono o uccisero.

Aveva ancora un unico figlio diletto
e quello glielo mandò per ultimo,
dicendo: Avranno rispetto per mio figlio.
Ma quei vignaiuoli dissero tra di loro:
Costui è l'erede;
venite, uccidiamolo
e l'eredità sarà nostra.

Così lo presero, lo uccisero
e lo gettarono fuori dalla vigna.
Che farà dunque il padrone della vigna?
Egli verrà, farà perire quei vignaiuoli
e darà la vigna ad altri.
Il significato è chiaro; gli ebrei hanno colpito e ucciso i profeti che il loro dio inviò loro. Uccidono e rigettano anche Gesù, l'Unico Figlio ed Erede di Dio. Ecco perché il Regno che era destinato a loro fu trasferito completamente ad altri, ed è per questo che Gesù, il Messia di Israele, è la Distruzione di Israele.

Marco mischia con quei nuovi episodi, che esprimono la sua dottrina e quella della sua chiesa, un materiale dell'antico vangelo — ad esempio, le domande insidiose poste dai Farisei (Gesù opera per sua autorità? Il tributo dovrebbe essere pagato a Cesare?, la donna con sette mariti, l'argomento sadduceo contro la resurrezione, l'obiezione fatta dagli scribi, il Messia di Israele deve essere il Figlio di Davide e non il Figlio di Dio). Egli inserisce anche altri frammenti di Marcione — un passo sul potere della fede, due lezioni sulla preghiera, la riduzione dei comandamenti a due — amore per Dio e amore per il prossimo. Da parte sua inserisce la storia, da lui attinta forse da qualche fonte buddista, dell'umile offerta della vedova, per indurre i fedeli a donare.

Delle tre parti che erano separate in Marcione — precisamente, i segni della fine, l'improvviso arrivo del Figlio dell'Uomo e l'esortazione alla vigilanza, quel modesto sostituto al posto della grande Apocalisse (Marcione-Luca 21:5-34; 17:20-37; 12:35-41) — Marco costruisce un'unica predizione apocalittica data da Gesù a soli quattro apostoli. Prima della fine del mondo, il vangelo deve essere predicato a tutte le nazioni, una dottrina paolina. [46] Il segno principale dell'avvento imminente del Cristo era, per Marcione, la sconfitta del Messia ebraico, Bar-Kokhba, e l'assedio di Gerusalemme da parte degli eserciti di Adriano. Marco aggiunge un nuovo sorprendente dettaglio che permette di datare il suo libro (13:14):
Quando poi vedrete l'abominio della desolazione
posta là dove non deve stare —
chi legge faccia attenzione! —
allora quelli che saranno nella Giudea,
fuggano ai monti! …
Il mistero nascosto in quelle parole non è difficile da penetrare. L'abominio della desolazione o l'ordigno di devastazione è il grande segno profetico annunciato da Daniele dopo il quale il Figlio dell'Uomo apparirà sulla terra. Significa la costruzione di un altare pagano nel Tempio di Gerusalemme. Sin da quando Antioco Epifane innalzò un altare a Zeus Olimpio il Portatore della Vittoria, una tal cosa non era stata vista. Tito aveva incendiato il Tempio, ma egli non l'aveva profanato. Ecco, il segno era ora evidente a tutti. Dopo la guerra di Bar-Kochba, l'imperatore Aelio Adriano installò nel Tempio, dove non doveva essere, l'altare e la statua di Giove Capitolino e anche un altare e una statua di sé stesso. Questo era l'abominio della desolazione. Gerusalemme perse persino il suo nome, perché fu chiamata secondo i nuovi Dèi, Aelia Capitolina. In quelli eventi raccapriccianti, c'era ciò che diede viva enfasi alla profezia di Daniele, e un vantaggio e un'esasperazione alle speranze dei cristiani che aspettavano il loro Cristo. Il vangelo di Marco non può essere molto più tardi dell'anno di quelli eventi — cioè, il 135.

Nei suoi giorni bruciava di nuovo la febbre intensa del tempo di Daniele e la speranza divorante del Figlio dell'Uomo. Da quando Daniele aveva profetizzato, questa figura grandiosa aveva assunto una complessità, una consistenza, e un'umanità terrena.

Per quanto riguarda il giorno e l'ora dell'Avvento Marco insegna, come Paolo aveva insegnato prima di lui, [47] che nessuno lo saprà, “né gli angeli in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre”. Nessun profeta può rivelarlo. Sii vigile per tutte le attese, e sii pronto per ogni istante.

Il mercoledì si svolge una cerimonia misteriosa; Gesù è unto in preparazione alla morte. Marcione raccontò di come una prostituta unse, baciò e lavò con le sue lacrime i piedi di Gesù, una simbolizzazione poetica della fede pagana. Marco trasforma la scena. Una donna, non peccatrice, copre la testa di Gesù con nardo prezioso, non per un trono, ma per un sepolcro. Lei esegue piamente il rito funerario per il Cristo crocifisso di Paolo, al posto del rito regale per il Figlio di Davide. L'evangelista aggiunge una lezione pratica a questo solenne rituale. Vedere una simile somma spesa in questa maniera quando avrebbe potuto fare molto per i poveri è un problema doloroso per alcuni dei presenti, e Gesù risponde (14:7):
Poiché i poveri li avete sempre con voi;
quando volete, potete far loro del bene;
ma me non mi avete per sempre.
Marcione avrebbe dato tutto ai poveri; non così Marco. Le spese dei riti religiosi della settimana santa vengono prima dei poveri. Gesù aggiunge:
In tutto il mondo, dovunque sarà predicato il vangelo,
anche quello che costei ha fatto sarà raccontato, in memoria di lei.
Quindi il vangelo è descritto come un ricordo fedele, completo e continuo, di tutto ciò che accadde a Gesù.

Il giovedì è il giorno della festa sacramentale dei cristiani. Gesù dovrebbe celebrare la Pasqua ebraica il 14° di Nisan. Non ha importanza per l'evangelista che manchi l'essenziale, cioè l'Agnello pasquale. Lo sostituisce con Gesù stesso offerto come sacrificio sotto forma di cibo e bevande. A lui non importa affatto che egli faccia distribuire tra i discepoli da parte di Gesù del pane lievitato (ἄρτος)  che non sarebbe stato tollerato nelle case ebraiche dopo il mezzogiorno del 14° di Nisan. Né esita a far sì che i capi degli ebrei interrompano il riposo pasquale arrestando Gesù, e neppure a farlo giudicare dal Sinedrio, e neppure a mandare Gesù stesso e i Dodici sul monte degli Ulivi di notte, quando nessun uomo avrebbe potuto uscire dalla porta della sua casa fino al mattino. La probabilità della sua storia non è di alcun interesse per lui; la sua preoccupazione è costruire una liturgia. Se egli fa sì che Gesù celebri la Pasqua, è per evitare, in maniera simile a Marcione, che la morte di Cristo cada il 14° di Nisan, il giorno della luna piena di primavera, e per fissarla meglio nella sua settimana santa. In questa maniera la sua narrazione serve da fondamento e da guida al rituale romano che non celebrava più la morte e la resurrezione di Gesù il 14° di Nisan, come veniva ancora celebrato nel rito “apostolico” dell'Asia, ma il venerdì e la domenica che seguivano la luna piena. Fu Marco a mettere insieme la leggenda che spiegava la festa romana; egli era l'haggadista di Roma. [48]

La festa pasquale sacramentale di Gesù ha una bella scena per epilogo, il cui pathos è essenzialmente paolino e per il quale possiamo cercare un autore nello scrittore dell'epistola agli Ebrei. [49] In Marcione, Gesù si separò dai suoi discepoli per pregare prima del suo arresto. Marco descrive questa preghiera. Ricordò il passo in Isaia (63:1-5) in cui un misterioso individuo che è stato abbandonato grida: “Io sono stato solo a calcare l'uva nel tino ... e nessun uomo è stato con me. Io guardai, ma non c'era chi mi aiutasse; fui stupito che nessuno mi sostenesse” (Marco 14:32-42).
Poi giunsero in un podere detto Getsemani, [50]
ed egli disse ai suoi discepoli:
Sedete qui finché io abbia pregato.

Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni
e cominciò a essere spaventato e angosciato.
E disse loro: L'anima mia è oppressa da tristezza mortale;
[51]

rimanete qui e vegliate. 

Andato un po' più avanti, si gettò a terra;
e pregava che, se fosse possibile,
quell'ora passasse oltre da lui.
Diceva: Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile;
allontana da me questo calice!
Però, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi.
 
Poi venne, li trovò che dormivano
e disse a Pietro: Simone! Dormi?
Non sei stato capace di vegliare un'ora sola?
Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione;
lo spirito è pronto, ma la carne è debole.
Di nuovo andò e pregò, dicendo le medesime parole.

E, tornato di nuovo, li trovò che dormivano
perché gli occhi loro erano appesantiti;
e non sapevano che rispondergli.

Venne la terza volta e disse loro:
Dormite pure, ormai, e riposatevi!
Ecco, colui che mi tradisce è vicino.

Poco più tardi li risvegliò e disse:
L'ora è venuta:
ecco, il Figlio dell'uomo è consegnato nelle mani dei peccatori.
Alzatevi, andiamo!
[52]
L'angoscia dolorosa di Gesù è bilanciata dalla sua trasfigurazione gloriosa. Ci sono tre testimoni, tutti instupiditi nel sonno. Il Cristo paolino soffre ogni debolezza umana, poiché “la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2 Corinzi 12:9). Al pari di Paolo, Gesù prega Dio per allontanare da lui il calice amaro e, così facendo, dà l'esempio alla Chiesa. L'arresto di notte è per Marco una tipica tribolazione, una persecuzione improvvisa atta a colpire non annunciata il cristiano sofferente. Sorveglia incessantemente, e mai per cercare una tribolazione, perché ciò è presunzione, e la carne è debole, ma per pregare che la tribolazione possa esserci evitata, questo è il dovere del cristiano. Se la tribolazione verrà, lascia che sia fatta la volontà di Dio.

Dopo il bacio di Giuda, l'Uomo dei Dolori viene arrestato, trattato come un criminale, sulla base delle parole di Isaia. Tutti lo abbandonano e fuggono.
Un giovane lo seguiva,
coperto soltanto con un lenzuolo;
e lo afferrarono;
ma egli, lasciando andare il lenzuolo, se ne fuggì nudo.
Il giovane è là da lezione. Seguiva Gesù finché poteva. Quando gli misero le mani addosso, sfuggì alla tribolazione, come fece anzitempo il giovane Mosè e, “lasciando la sua veste, fuggì via nudo”. [53] Prima della persecuzione, in un momento di imminente pericolo, la fuga è permessa.

Marco colloca di notte il processo di Gesù da parte del sinedrio, la sua condanna da parte del sommo sacerdote scandalizzato, e gli insulti dei giudici. Con lui il sensazionale, anche se alquanto pesante, è più importante della probabilità. Per Marco si trattava di dare un interesse drammatico alla narrativa liturgica. Per mezzo della seduta notturna del Sinedrio egli spezza in due il rinnegamento di Pietro, così in modo abile sospendendo l'interesse. [54] Dopo la sua esibizione di codardia, Pietro piange; così anche quei cristiani che hanno negato la loro fede sotto persecuzione possono essere redenti dal pentimento.

Il venerdì e il sabato figuravano nei giorni di rito romano che precedevano la gioia della domenica. La morte di Gesù e il suo soggiorno nel sepolcro furono celebrati a lutto come nel calendario ufficiale romano, i digiuni del 23 e 24 marzo erano in lamento per la morte di Attis, che precedeva le Hilaria del 25 marzo, che celebrava la sua Parusia.

Gesù viene portato davanti a Pilato nelle prime ore del venerdì mattina e, obbedendo alle parole di Isaia, rifiuta di parlare. Barabba è preferito a lui e viene consegnato alla flagellazione e alla crocifissione. Marco differisce da Marcione nel fatto che rende Gesù crocifisso dai Romani, e non dagli Arconti — vale a dire, i peccatori, molti dei quali saranno redenti dalla sua morte se la loro fede è abbastanza forte, lo crocifiggono. Luca 23:25-26 e Giovanni 19:16, raccontano di come gli ebrei crocifiggono Gesù, laddove Matteo segue Marco facendolo crocifiggere dai soldati romani. Gesù predisse che sarebbe stato consegnato dagli ebrei ai gentili (10:33) e anche ai peccatori (14:41); l'equivalenza di quei due termini può essere vista in 1 Maccabei 34; 2:48 e 62. Marco omette in quanto inutile l'invio di Gesù ad Erode. Il raffinato mantello che Erode donò a Gesù diventa in Marco una presa in giro della regalità attribuitagli dai soldati (Marco 16:16-19):
Allora i soldati lo condussero nel cortile interno, cioè dentro il pretorio,
 e radunarono tutta la coorte.
[55]

 Lo vestirono di porpora
e, dopo aver intrecciata una corona di spine, gliela misero sul capo,

e cominciarono a salutarlo: Salve, re dei Giudei!
E gli percotevano il capo con una canna,
gli sputavano addosso e,
mettendosi in ginocchio, si prostravano davanti a lui.
Gesù è trattato come un povero scemo che si immagina un re. Questa è un'illustrazione quasi letterale dell'affermazione di Paolo secondo cui il Gesù crocifisso è uno scandalo per gli ebrei e follia per i gentili.

In questo giorno consacrato, quando le esecuzioni erano solennemente vietate, Gesù fu condotto a morire. Simone di Cirene, che per Marco era una persona conosciuta, di cui nomina i figli, lo stesso Simone che, secondo Basilide, fu crocifisso al posto di Gesù, è chiamato a portare la croce, simboleggiando così coloro che sono stati indotti dalla predicazione di Paolo a portare la Croce di Gesù, e prende il posto di quel Simone che rinnegò il suo Maestro.

Dalle nove del mattino fino alle tre del pomeriggio Gesù era appeso alla croce, come scrisse Isaia (65:2): “Ho steso tutto il giorno le mani verso un popolo ribelle”. E poi cita il Salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” mentre su di lui sono adempiuti i dettagli del Salmo. Muore, insultato dagli ebrei, riconosciuto il Figlio di Dio da un centurione, primo frutto della cristianità gentile. Un uomo di levatura chiede a Pilato il suo corpo e, come fu scritto in Isaia, prepara un sepolcro per lui. In questo sepolcro rimane durante il tranquillo giorno del sabato.

La domenica, al tramonto, le sante donne, le sue ancelle, [56] vanno alla tomba con i profumi (16:5-8):
 Entrate nel sepolcro,
videro un giovane seduto a destra,
vestito di una veste bianca,
e furono spaventate.

Ma egli disse loro: Non vi spaventate!
Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso;
egli è risuscitato; non è qui;
ecco il luogo dove l'avevano messo.

Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro
che egli vi precede in Galilea;
là lo vedrete,
come vi ha detto.

Esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro,
perché erano prese da tremito e da stupore;
perché avevano paura....
[57
A questo punto il vangelo di Marco si interrompe bruscamente. Tutti i manoscritti dall'ultimo quarto del secondo secolo risalgono a un archetipo mutilato alla fine. Due finali artificiali sono stati poi aggiunti al posto del pezzo perduto. Se giudichiamo in base a Matteo, che sembra aver avuto un Marco completo davanti a lui, Gesù apparve alle donne, e poi, in Galilea, ai discepoli e a Pietro, che incaricò di predicare il vangelo in tutto il mondo. [58]

Il piccolo volume di Marco possedeva un'importanza particolare. Dopo il lungo, poetico e didattico Vangelo di Marcione, Marco offre una narrazione breve, vibrante e sacra in cui l'interesse è sostenuto e la plausibilità sufficiente. Era anche ben adattato per l'uso liturgico e per l'applicazione morale. Marco conferì a Gesù un posto nella fantasia popolare e lo trasformò in un eroe della leggenda religiosa.

La storia di Gesù non è in Marco qualcosa di estraneo alla storia umana. È l'ultimo capitolo della Sacra Scrittura, e il più importante e il meno prevedibile; il capitolo che illumina e rovescia tutti gli altri. Jahvè aveva inviato invano profeta dopo profeta in Israele, così ha inviato alla fine il suo Unico e Solo Figlio. Questo figlio, che gli ebrei fino ad allora non conoscevano, lo uccidono e lo rifiutano. Il modo in cui li tratta è, non a caso, quello di una divinità irritata. Gesù condanna e maledice il popolo che Jahvè ha eletto e accarezzato. La politica del cielo virò completamente e un nuovo regime entra in vigore. Un nuovo popolo adora un nuovo Signore. Gesù è l'erede e il successore di Jahvè, proprio come Giove era il successore di Crono. Il vecchio Dio è lasciato ai suoi onori e alle sue prerogative, ma la sua Legge è una lettera morta, e lui stesso diventa semplicemente il Padre del Monarca Regnante. Gli uomini sono trasferiti ad una nuova grazia e si sottomettono a nuove leggi. A dire il vero, l'erede di Jahvè non è molto diverso dal Dio totalmente Nuovo di Marcione.

In essenza egli è il Dio crocifisso che Paolo sognò di portare alla comprensione delle rozze teste romane. Marco segue Paolo in quanto accetta solo un Cristo Crocifisso. La croce dà il suo orientamento all'intero vangelo. Gesù è il Redentore Divino che ha dato la sua vita per riscattare uomini peccatori. Sono predestinati alla redenzione solo coloro che camminano dietro a lui, portano la sua croce, condividono la sua mansuetudine e le sue sofferenze subite. I suoi fedeli devono essere sempre pronti a bere fino in fondo lo stesso calice e ad essere battezzati tramite lo stesso battesimo mortale. Le loro esistenze devono essere un'imitazione incessante del suo martirio. La tribolazione deve trovarli in preghiera con angoscia e sottomissione. La persecuzione è il loro stato naturale. Abbandonando casa, padre, madre, fratelli, sorelle, moglie, figli, terre, le trovano di nuovo “insieme a persecuzioni”. [59] Sanno che devono perdere le loro anime per salvarle.

Il Gesù di Marco possiede alcuni tratti nuovi, come la cupa decisione di tenere gli ebrei nell'ignoranza parlando loro in oscure parabole e la gelosa cura nell'istruire a parte i suoi discepoli, come l'eroismo contenuto che insegna loro per mezzo di brevi oracoli e con l'esempio. È il Dio Segreto che impartisce conoscenza nei sussurri e che, fuori dalla mortuaria, inquieta oscurità delle catacombe, stende le sue braccia striate di sangue.

NOTE

[1] Basilide era contemporaneo di Adriano ed Antonino (Clemente Alessandrino, Stromati, 7:17), e di conseguenza era di molto più giovane di Marcione. Il vangelo secondo Basilide (κατὰ Βασιλείδηv εὐαγyέλιοv) è noto solo per allusione in Origene, Omelia 1 su Luca (ed. Lammm, 5:86). il Commentario (’Εξηγητικά) è menzionato da Agrippa Castore (in Eusebio, Hist. Eccl., 4:7, 7), da Clemente Alessandrino (Stromati, 4:121, 599) e dagli Acta Archelai.


[2] Egemonio, Acta Archelai, ed. Beeson, 55. Non c'è nessun indizio del fatto che Basilide fosse a conoscenza dei vangeli di Marco, di Matteo e di Giovanni (si veda H. Windisch, Zeitschrift. N.T. Wiss., 7:236-246). Apparentemente conosceva solo la fonte principale di Luca — ossia, Marcione.


[3] R. Garbe, “Buddhist Gnosticism, the System of Basilides”; J.R.A.S., 2902. 377-415. Van den Bergh van Eysinga, Basileides und der Buddhismus; Garbe-Fesgabe, 1927, 74-77.


[4] Ireneo, Hær., 1:24, 4. In maniera simile Pseudo-Tertulliano, Adv. omnes hær. 4, sintetizza la dottrina di Basilide: “Christum autem . . . venisse in phantasmate, sine substantia carnis fuisse; hunc passum apud Iudæos non esse, sed vice ipsius Simonem crucifixum esse.” Si veda Epifanio, Hær., 24:3.


[5] “A Fragment of the Acts of John,” in M. R. James, Apocrypha Anecdota, II; Cambridge, 1897, pag. 17. Le Coran, trad. E. Montet; Parigi, 1929, 4:156, pag. 181.


[6] Clemente Alessandrino, Stromati, 1:21, 146. Si veda P. Hendrix, “La Fête de l'Epiphanie” (Congrès d'hist. du christ; Parigi, Rieder, 1928, 2, 222s). Basileides; Amsterdam, 1926, pag. 50s.


[7] Efrem, Evangelii concordantis expositio, ed. Moesinger; Venezia, 1876, pag. 286 : “Marcus (scripsit evangelium) latine.” La stessa nota appare in testa ad alcuni manoscritti greci. H. C. Hoskier (Codex B and its Allies; Londra, I, 126-172) pensa che l'autore realizzò due edizioni del suo vangelo, una in latino e l'altra in greco. La possibilità di un originale latino di san Marco mi è stata suggerita da R. Stahl.


[8] Si veda “L'Evangile de Marc a été ecrit en latin” in Premiers Ecrits du christianisme; Parigi, Rieder, 1930, 85-127, e “Notes de critique verbale sur St. Marc” in Journal of Theological Studies, 34; 1933, 113-134 e “Le Texte de St. Marc dans le Codex Chester Beatty,” ibid., 35; 1934. I due manoscritti che offrono il testo africano di Marco sono il Codex Palatinus (e) e il Codex Bobbiensis (k).


[9] Ermas, Sim., 5:2, 6; 5:5, 2; 5:6, 4; 9:1 , 1.


[10] Sim., 9:1, 1.


[11] Sim., 5:2, 11 (συγκληροvόμοv); 5:6, 6 (κοινωvόν). Si veda sopra, pag. 121.


[12] Marco 1:11 e 9:7. Per il significato “solo figlio” di “figlio diletto,” si veda la Septuaginta Genesi 22:2, 12 e 16; Amos 8:10; Geremia 6:26; Zaccaria 7:10 e C. H. Turner, The Gospel according to St. Mark; Londra, n. d., pag. 13.


[13] Marco 7:6 (υἱὸν ἀγαπητόv), e 7 (ὁ κληρονόμος). Si veda “Quels livres St. Marc a-t-il lus?” nel Hibbert Journal; Ottobre, 1932.


[14] Marco, per esempio, riteneva necessario spiegare ai suoi uditori: “Poiché i Farisei e tutti i Giudei non mangiano se non si sono con gran cura lavate le mani” (7:3; leggi πρὶν ἢ invece di ε͗ὰν μὴ πυγμῇ).


[15] Si veda Trifone, Giustino, Dialogo, 49: “Ma dal fatto che Elia non è ancora venuto concludo che [Gesù] non è il Cristo”, e Marco 9:13: “Ma io vi dico: Elia è già venuto”.


[16] Una modifica di un passo in Malachia 3:1: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me (Jahvè).”


[17] Così in Taziano e in Ireneo e nel Codex Bezæ (D) e nella antica versione latina. Citazione da Isaia 40:3 dove si riferisce a Jahvè).


[18] Gesù ricevette l'epiteto culturale di Nazareno; si veda Atti 3:6 e 4:10: “Gesù Cristo, il Nazareno”. Il Nazareno è il Gesù primitivo e il più autentico, il Gesù degli Ebrei di Gerusalemme. Gli evangelisti pensavano che questo epiteto significasse “di Nazaret, villaggio di Galilea”.


[19] Si veda il Testamento di Naftali, 8:4: “Se farete il bene, ... il diavolo fuggirà da voi, le bestie selvagge vi temeranno, ... gli angeli vi serviranno”.


[20] Marco 14:36. L'epistola agli Ebrei insegna che Gesù subì la tentazione con cui tutti gli uomini sono provati.


[21] Isaia 61:1-2.


[22] Marco 14:9 : “Dovunque, in tutto il mondo, sarà annunciato il vangelo ... si racconterà pure ciò che ella ha fatto”.


[23] Marco 1:29-31. È possibile che ci sia un gioco di parole alle spalle di questo piccolo miracolo; in aramaico Hamata-Tiberiade, hamâta-suocera e hammtâ, febbre (H. Raschke, “Lieux et routes, de Jésus d’après l'évangile selon Marc,” in Congrès d'hist. du christ; Parigi, Rieder, 1928, 1, 188-204).


[24] 3:21. In Marcione il giudizio sul peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo (Luca, 12:10) si riferiva ai martiri che si esposero ad una negazione dello Spirito che li aveva ispirati. Marco altera il senso e lo applica agli ebrei che non riconobbero in Gesù lo Spirito Santo. Egli omette qui la storia dell'espulsione di un demonio muto (si veda Luca 11:14), anche se la usa altrove. È, tuttavia, necessaria come introduzione alla bestemmia degli scribi, che accusano Gesù di essere posseduto da Belzebù.


[25] Si veda in particolare Ermas, Sim., 5:3, 7: “Ti spiegherò tutto” (πάντα ε͗πιλύσω), e Marco 4:34: “Spiegava ogni cosa. (ἑπέλυεv πάντα).


[26] La parabola del seminatore, al pari delle altre parabole, non aveva nessuna spiegazione in Marcione. In Marco, la spiegazione non offre il vero significato della parabola, ma tenta per mezzo dell'allegoria di respingere varie classi di ascoltatori della Parola di Dio. Si veda B. W. Bacon, The Gospel of Mark; New Haven, 1925, 141.


[27] Marco 12:1-12.


[28] In Marcione ai demoni si risparmiava la pena di essere scaraventati nell'abisso; (depetebant) veniam abyssi, denique impetraverant (Tertulliano, 4:20). Quest'episodio dei porci è forse un'allusione alla Legio Fretensis, che era d'istanza in Palestina e il cui emblema era un Cinghiale (Th. Reinach). L'episodio è situato a Gerasa, forse perché questo nome significa Espulsione (Raschke).


[29] La donna è stata malata per dodici anni, la ragazza ha dodici anni; dodici è il numero di Israele. Il nome di Giairo significa: “egli risveglia, egli resuscita”, ed è derivato dalla storia stessa (Cheyne).


[30] Questo appellativo di carpentiere (τέκτων) sembra essere stato scelto per indicare, senza essere capito dal profano, colui che parlava di un giogo (si veda Matteo 11:29: “Prendete il mio giogo ....”), e di un aratro (si veda Luca 9:62: “che ha messo mano all'aratro”); si veda Giustino, Dial., 88: “Ha fabbricato, come opere di carpenteria, aratri e gioghi”.


[31] Maria è forse la stessa di Miriai, nome dato dai mandei alla setta di Giovanni il Battezzatore (Das johannesbuch, ed. Lidzbarski, pag. 131-143). Suggerisce anche la sorella di Mosè, Miriam, che si ribellò contro di lui mentre gli ebrei si ribellavano contro Gesù. Giacomo è il famoso fratello del Signore che ha condiviso questo titolo con i suoi stessi fratelli. Nelle Epistole attribuite a Giacomo e a Giuda loro non vengono definiti “fratelli”, ma schiavi (“servi”) di Gesù Cristo, e Giuda si definisce il “fratello di Giacomo”.


[32] Si veda G. Bertram, “Le Chemin sur les Eaux considéré comme motif de Salut,” in Congrès d'hist. du Christ., I., 137-166. Va notato che i doceti che insegnavano che Gesù possedevano un corpo reale presero Marco come loro solo vangelo (Ireneo, Hær., 3:11, 7).


[33] Questo tema è in Marcione (Luca 11:37-41), ma con uno sviluppo molto diverso. La distinzione tra la sporcizia delle mani e la sporcizia dell'anima è una base comune. Si veda Euripide, Ippolito, 5:312: “Le sue mani sono pulite, ma la sua anima è sporca”. Epicarmo, 13-26: “Se hai lo spirito puro, il tuo corpo è completamente pulito”.


[34] Isaia 29:13, citato da Paolo, Colossesi 2:22: “Questo popolo mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me. E il timore che ha di me non è altro che un comandamento imparato dagli uomini”.


[35] Il cesto (kophin) era un sacco intrecciato tipico degli ebrei: Iudae quorum cophinus faenamque supellex (Giovenale, 3:14).


[36] Leggi in 8:17 ο͗λιγόπιστοι come si trova nel Codex Beatty e nel testo cesareo (Journal of Theological Studies, 1934, pag. 15).


[37] Senza fare uso diretto della lezione di non badare al cibo e ai vestiti (Marcione, Luca 12:22-31), Marco mostra di saperla. Analogamente altrove (11: 2-4) Marco non cita il Pater, ma mostra di esserne a conoscenza.

[38] 2 Corinzi 11:14.


[39] 1 Corinzi 2:14.


[40] Il filosofo pagano Sesto, la cui data è incerta, ha qualcosa da dire sulla rimozione di un membro che impedisce di vivere saggiamente (Hennecke, Neutestamentliche Apokryphen, seconda edizione, 630). Se Marco copiò da Sesto o viceversa, non lo si può stabilire.


[41] 1 Corinzi 7:10-11; Marcione-Luca 16:18.

[42] Luca omise questo episodio, sebbene fosse in Marcione, Origene (In Luc. Hom., 25) ci dice che secondo i Marcioniti, gli “altri” per i quali erano destinati queste posizioni d'onore erano Paolo e Marcione.


[43] πολλοί è un'espressione tecnica che indica i pagani (Isaia 53:11-12). Marco 14:24: “sangue ... versato per molti”.


[44] Su questo punto si veda P. Alfaric, Pour comprendre la vie de Jésus; Parigi, Rieder, 1930.


[45] Questo inizio, copiato da Isaia 5:1-2, mostra che si riferisce a Dio e a Israele.


[46] Romani 10:18; 11:25. Il testo migliore di Marco 13 è dato da k: “Sed confortamini prius enim oportet praedicari evangelium in omnes gentes”.


[47] 1 Tessalonicesi 5:1-3.


[48] Lo strano comando dato da Gesù ai suoi discepoli di seguire un uomo che trasporta un keramion d'acqua, e il modo alquanto misterioso in cui impartisce loro di capire che devono seguire quest'uomo  — cioè, Marcione, il cui nome è una specie di anagramma di keramion — istruisce il cristiano ad osservare il rito marcionita in cui l'acqua soltanto si beveva nell'eucaristia (R. Stahl).

[49] Ebrei 5:7-8, in cui il Salmo 22 è la fonte di ispirazione: “Nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì”. A questa supplica che l'autore dell'epistola agli Ebrei ha tratto dal Salmo vengono dati da Marco tempo e luogo.


[50] Significa frantoio.


[51] Salmo 43:5.


[52] Per la terza chiamata di Gesù il testo migliore è dato in k (si veda Notes de critique verbale sur St. Marc; J. T. S., 1933, pag. 129-131).


[53] Testamento di Giuseppe. Si veda “Quels livres Marc a-t-il lus?” nel Hibbert Journal; Ottobre, 1932.


[54] Proprio come divide in due la storia della resurrezione della figlia di Giairo introducendo l'episodio della donna con un flusso di sangue (5:21-43).


[55] Circa 600 uomini.


[56] Quelle donne non sono menzionate da Marco prima, e le copia da Marcione, compreso il nome della principale, Maria Maddalena (Luca 8:2-3).


[57] Nei manoscritti greci di fronte ad “avevano paura” compaiono le parole “e non dissero nulla a nessuno”. Queste parole non si verificano in k, che recita: omnia autem quaecumque praecepta erant eis qui cum petro erant breviter exposuerunt. In entrambi i testi greco e latino questi sono ritocchi di un testo bruscamente mutilato. L'originale probabilmente recitava così, “perché avevano paura che venissero i Giudei” ἐφοβου̑ντο γὰρ μὴ ἰδῶσιν αὐτὰς οἱ 'Ιουδαĩοι). Si veda il Vangelo di Pietro, 52, il cui autore aveva letto il testo completo di Marco.


[58] Nel vangelo di Marco Gesù predice la sua apparizione ai discepoli in Galilea (14:8, si veda 16:7) e che dopo la sua risurrezione avrebbe “detto apertamente la Parola” (8:31-32; leggi α͗vαoτῆvaι καί παρρησίᾳ τόv λόγον λαλεĩν; si veda k, resurgere et cum fiducia sermonem loqui). Il vangelo di Marco probabilmente si concludeva con il comando di Gesù ai discepoli di predicare la Parola a tutte le nazioni, ad imitazione del Vangelo di Marcione (in Tertulliano, 4:3 et apostolos mittens ad praedicandum universis nationibus). Questo è di nuovo imitato da Matteo (28:19-20): “Andate dunque e fate discepoli di tutte le nazioni ...”.


[59] Marco 10:29-30.