domenica 5 agosto 2018

Sulla soluzione dell'enigma chiamato “Gesù Barabba” («Gesù Figlio del Padre»)


Allora le cose che il Padre ha consegnato al Figlio sono buone, e il Creatore è quindi buono, poiché tutte le Sue “cose” sono buone; mentre non è più buono chi ha invaso il bene altrui per consegnarlo a suo figlio, insegnando così la rapina dei beni di un altro.
(il folle apologeta proto-cattolico Tertulliano, Contro Marcione, 4:24)

Non a caso, ancora oggi Marcione viene definito dall'Enciclopedia Cattolica “forse il nemico più pericoloso che il Cristianesimo abbia mai avuto”.
(G. Verdi, La creazione di Gesù e del Nuovo Testamento, Uno Editori, 2018, pag. 156)
Il Dio di Coincidenza
Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?


(Kent Murphy)


Il fatto che perfino i pagani ora credono alla storicità di Gesù di Nazaret significa che il precedente mito di Cristo è morto. La realtà delle cose è che i cristiani finalmente l'hanno eclissato per sempre.
Pare che solo qualche anno prima tra i cristiani avesse cominciato a circolare una strana storia. Perdeva del tutto, sembra, ogni contatto con il mito precedente, smarrì perfino il proprio più recondito significato allegorico, e finì così per essere presa alla lettera.
A un certo punto questa storia si modificò in un'altra variante, una dove il protagonista era addirittura un nemico giurato del dio degli ebrei.
E questa nuova variante della storia prese a dare ai cristiani ordini e istruzioni di ogni genere, che essi non eseguirono soltanto per uno zelante rispetto della loro matrice ebraica. Alla fine quei cristiani che avevano accettato questa nuova versione della loro storia furono allontanati da ogni loro comunità. In questa situazione scismatica, quei cristiani un tempo saggi e amati, furono tenuti come nemici e figli di Satana. Per diversi anni i cristiani sopportarono la predicazione che facevano, le forme diverse che assumeva la loro storia originale. Alla fine, scomunicarono il loro capo, Marcione.
Si insinua, tra i lettori del vangelo di Marcione, che è possibile giungere a una concezione del Gesù Nazareno in cui il suo corpo stesso perde ogni consistenza. Di conseguenza, la storia di un Cristo senza corpo ricordava troppo da vicino il precedente mito di Cristo.
E i cristiani? Dopo la scomunica di Marcione si sono dispersi in tutte le direzioni. Alcuni si sono nascosti in altre sette, che si fingevano soltanto cattoliche, altri sono tornati a vivere nel grembo della nascente Santa Romana Chiesa. Ma non possono certo sfuggire al proprio passato evitandolo, non più di quanto potessero sbarazzarsi del loro più pericoloso nemico scomunicandolo.
Sì, perché dopo la scomunica di Marcione, l'eresiarca è andato a cercare tutti quelli che un tempo aveva istruito, con la sua variante della storia originale. E a questi infelici discepoli ha donato, con una certa insistenza, la sua terribile illuminazione.




GESÙ BARABBA 

DI

P.-L. COUCHOUD E R. STAHL

Premiers ecrits du Christianisme — pag. 139-161 — Parigi, 1930

Tradotto da Giuseppe Ferri 


La condanna a morte di Gesù è presentata nei vangeli nella maniera più strana.

Dopo che Gesù è apparso davanti al procuratore, uno si aspetta che sarebbe stato condannato o assolto. Tuttavia, Gesù non viene né condannato né licenziato. Il suo fato è improvvisamente collegato a quello di un altro prigioniero, non giudicato, di cui non abbiamo sentito nulla. La domanda non è più: sarà Gesù condannato o assolto? Diventa improvvisamente: chi sarà crocifisso, Gesù o l'altro prigioniero?
E la decisione non verrà presa dal giudice ma dalla folla.

Ancora più strano non è questa strana procedura. È il nome dell'altro prigioniero. È chiamato Bar-Abbas che significa “figlio del padre” [1]. Comunque, “Figlio del Padre” è il titolo che appartiene a Gesù in un modo completamente speciale e trascendentale.

Un vangelo, il Quarto, ha lo scopo di mostrare che Gesù è l'unico figlio dell'unico padre o, in modo assoluto, il Figlio del Padre. È Gesù che dovrebbe essere chiamato Bar-Abbas. Ma l'altro è chiamato in questo modo! Questo non è ancora tutto. L'altro, come vedremo, è chiamato anche Gesù, Gesù Bar-Abbas. La folla decide tra due personaggi che si chiamano entrambi Gesù e che sono entrambi Bar-Abbas, uno per il nome, l'altro in realtà.

Perché questo imbroglio? L'episodio barocco di Barabba offre ai commentatori un rompicapo esegetico. Non è meno imbarazzante per quelli che riducono la morte di Gesù ad un mito che per quelli che la prendono per un fatto storico. Tra le difficoltà che sollevano i vangeli, questa è una delle più vistose. Se si riesce a risolverla, si avanzerebbe certamente nella comprensione di quei testi ambigui.

Esaminiamo prima i testi.

13 Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo,
14 disse: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate;
15 e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte.
16 Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò».
17 [Couchoud omette qui il verso 17 perché è un'interpolazione] 
18 Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».
19 Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.
20 Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù.
21 Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!».
22 Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò».
23 Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano.
24 Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita.
25 Rilasciò colui che era stato messo in prigione per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.
(Luca 23:13-25)


6 Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta.
7 Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio.
8 La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva.
9 Allora Pilato rispose loro: «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?».
10 Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia.
11 Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba.
12 Pilato replicò: «Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?».
13 Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!».
14 Ma Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Allora essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!».
15 E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
(Marco 15:6-15)

15 Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta.
16 Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba.
17 Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?».
18 Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua».
20 Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù.
21 Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!».
22 Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!».
23 Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!».
24 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!».
25 E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli».
26 Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
(Matteo 27:15-26)

38 E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa.
39 Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?».
40 Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.
(Giovanni 18:38-40)


L'episodio di Barabba appare in tutti e quattro i vangeli. Ma si riconosce facilmente che nel Quarto vangelo si tratta di un'aggiunta successiva, tanto quanto la scena degli insulti che la segue. La natura secondaria è evidente. Gli ebrei gridarono secondo Giovanni 18:40, mentre con Marco non gridarono ancora. Prima dell'interpolazione Pilato dichiara agli ebrei: “Io non trovo in lui nessuna colpa” (18:38). Alla fine dell'interpolazione Pilato ripete la stessa cosa negli stessi termini: “Non trovo in lui nessuna colpa”, in modo da portare la risposta che, nel testo originale [Giovanni 19:7], seguiva immediatamente: “Egli deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”. L'interpolazione con ripresa [2] è difficilmente contestabile; è riconosciuta da Schwartz, Wellhausen, Loisy, Delafosse. È una di quelle numerose migliorie finali che armonizzarono i vangeli e complicarono il lavoro della critica.
In origine l'episodio di Barabba apparteneva solo ai vangeli sinottici.


La forma più semplice sembra essere quella di Luca. Pilato dopo l'esame fatto da lui ed Erode, consegna la sentenza di fronte al sinedrio e al popolo. Gesù non è colpevole di un crimine capitale. Sarà liberato, dopo essere stato punito, cioè frustato. Ma il pubblico protesta contro il giudizio. Esigono che Gesù sia crocifisso e che Barabba sia liberato. Questo Barabba è un prigioniero accusato di un crimine capitale: ribellione e omicidio, destinato di conseguenza alla condanna a morte. Pilato cede alle grida. Pilato pronuncia una seconda sentenza che annulla la prima. Barabba sarà liberato. Gesù sarà consegnato come vogliono gli ebrei.


Questo resoconto mostra un magistrato romano talmente intimidito dal pubblico che pronuncia due giudizi contraddittori nel minor tempo possibile. È difficile da credere.

Inoltre non è chiaro cosa abbia a che fare Barabba con questo.
Se il pubblico vuole la condanna a morte di Gesù, Pilato ha l'autorità di condannare Gesù e parimenti di condannare l'assassino Barabba allo stesso tempo. Se il pubblico vuole il perdono dell'assassino, Pilato può perdonare Barabba e anche liberare Gesù. Non si vede perché l'affare di Barabba sia coinvolto con quello con Gesù. [3] In Marco quei due errori del racconto di Luca non appaiono. Marco non parla di una sentenza ufficiale pronunciata da Pilato. E per giustificare l'intervento della folla e l'entrata in scena di Barabba, egli si appella ad una certa usanza di liberare, ad ogni festività, un prigioniero designato dalla folla. Pilato propone di liberare Gesù. La folla, esercitando il diritto che detiene per l'usanza, designa un altro prigioniero, l'assassino Barabba, arrestato con una banda durante una sommossa.


In questo modo verrà rilasciato Barabba. Gesù rimane prigioniero. Non si sostiene che la folla avesse il diritto aggiuntivo di inviare un prigioniero all'esecuzione. Questo succede comunque. Pilato chiede alla folla, non si sa perché, cosa deve fare con Gesù. La folla risponde: “Crocifiggilo!” Pilato è persuaso e Gesù viene mandato a morte, non secondo i termini di un giudizio, ma per dare soddisfazione alla folla.


Questo resoconto ha il vantaggio, dal punto di vista degli apologeti cristiani, di dimostrare che un magistrato romano non condannò Gesù. La presunta consuetudine di liberare un prigioniero ad ogni festività consente a Pilato di evitare anche un'assoluzione formale. Si apre un modo straordinario per lui di proporre il rilascio di Gesù e sottoporre la decisione alla folla. Questo spiega perché, deluso dai suoi calcoli, Pilato è obbligato a liberare Barabba che la folla preferisce a Gesù. Ma non spiega perché, come effetto collaterale, egli sia obbligato a crocifiggere Gesù. La bizzarra connessione che lega Barabba a Gesù e che fa sì che se uno viene rilasciato, l'altro deve essere crocifisso è un postulato inspiegabile che è presupposto nel racconto di Marco come pure in quello di Luca.


Matteo segue Marco di cui accentua le tendenze e mantiene il postulato. Il fatto che Pilato non sia responsabile è evidenziato da un rituale ebraico. Informato da sua moglie  di aver fatto un sogno di avvertimento, Pilate si lava le mani, per rimuovere ogni condivisione che avrebbe potuto avere in ciò che accadrà. In effetti la sentenza va contro Gesù: egli è crocifisso in base al pronunciamento della folla. Qui Pilato espone la scelta tra Gesù di nome Barabba e Gesù chiamato il Cristo. È necessario scegliere tra i due. La folla sceglie Gesù Barabba. Secondo i termini del postulato implicitamente ammesso, Gesù chiamato il Cristo è mandato all'esecuzione e Gesù Barabba viene rilasciato.


Ci sono solo sei manoscritti greci esistenti, due versioni siriane, una versione armena e alcuni scolii che danno la lettura: Gesù Barabba. Ma al tempo di Origene si contavano al contrario gli esemplari che omettevano Gesù prima di Barabba. Origene approva questa omissione perché, dice, “il nome di Gesù non è appropriato per una persona irreligiosa” (Com. In Matt., 121). Lui così fornisce una ragione molto chiara del perché, in un gran numero di esemplari, il nome di Gesù fu rimosso dall'associazione con Barabba. Sarebbe inconcepibile, al contrario, che questo nome fosse stato aggiunto e non si può affermare, come ben sappiamo da Lagrange, che una tale caratterizzazione potrebbe essere stata il frutto dell'errore di un copista. [4]





È necessario riconoscere così, con Burkitt, MacNeile, e Klostermann che il testo di Matteo recitava originariamente “Gesù Barabba”. È probabile che i manoscritti di Marco e Luca furono emendati al pari del maggior numero di quelli di Matteo. 



Così la misteriosa corrispondenza che lega Barabba a Gesù è rafforzata dal nome Gesù che è comune a entrambi e dal titolo di “figlio del padre” che sembra essere comune a entrambi.

Questo è l'episodio di Barabba nei vangeli: Come può essere spiegato? 

Si può affermare con Renan che l'episodio sia storico? Renan [5] segue preferibilmente Marco rispetto a Luca e utilizza Matteo con cautela. Egli dichiara senza esitazione che costituiva invero una pratica, in occasione della festività di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero. Egli dice del prigioniero liberato “Per una singolare coincidenza anche lui si chiamava Gesù”. Egli non fa alcuna osservazione sul significato della parola Bar-Abbas

L'opinione di Renan non è facilmente tollerabile. L'usanza pasquale citata da Marco non è attestata da nessuna parte. Comunque la letteratura ebraica sulla festività di Pasqua è immensa. H.-L. Strack e Paul Billerbeck, che derivarono dal Talmud e dal Midrash 2055 folte pagine di commenti sul vangelo di Matteo, non potevano scoprire alcunché sulla presunta pratica. [6] Sembra essere inventata da Marco.

L'intero episodio non dà l'impressione di Storia reale. Disse estremamente bene Alfred Loisy:
“Che il popolo, di fronte al prigioniero Gesù, passasse rapidamente dall'ammirazione all'odio e che, per non limitarsi a preferire Barabba a lui, esigesse con rabbia da Pilato la sua crocifissione; che Pilato si prestasse di colpo a questo furioso capriccio. Quelli sono tutti dettagli, che si adattano meglio alla categoria della fiction leggendaria invece che alla Storia reale e che rassomiglierebbero più propriamente ad una finalità teatrale in un melodramma oppure in un racconto puerile piuttosto che alla realtà”. [7]


Infine la coincidenza di due Gesù, entrambi “figlio del padre”, è troppo singolare per essere vera. Si può concludere fermamente con Loisy che, dal punto di vista della Storia reale, l'episodio di Barabba è una “improbabile fiction”. [8]

È stato comunque effettuato un tentativo di salvarlo, trasformandolo completamente. Una teoria sottile, affascinante e audace è stata proposta nel 1898 da Paul Wendland e ha ricevuto una buona ricezione.

Wendland si è chiesto se Gesù non fosse stato condannato come un re dei Saturnalia. [9] Si sa da Franz Cumont [10] che fino all'inizio del quarto secolo E.C., in Mesia, i soldati romani celebravano i Saturnalia estraendo a sorte un re che, rivestito di abiti regali, godeva di ogni privilegio per un mese e poi veniva sgozzato sull'altare di Saturno. Comunque Gesù fu abbigliato dai soldati romani con una corona, uno scettro, e un mantello di porpora. Egli sembra aver simulato una finta regalità.

Wendland ha prestato attenzione anche ad un passo di Filone (Adv. Flaccum) [11] dove si racconta che la gente di Alessandria, per divertirsi alle spalle di re Agrippa, prese una persona demente inoffensiva di nome Karabas, lo rivestì con una corona di papiro, una canna spezzata e una stuoia e gli diede onori come se fosse un re. Non poteva Karabas essere portato più vicino a Barabba? 

James G. Frazer ha collezionato quelle suggestioni e nel 1900 ha elaborato un'ipotesi. Con l'imitazione non dei Saturnalia romani, ma della festività babilonese delle Sacee dove il condannato a morte veniva trattato come un re e infine frustrato e crocifisso, gli ebrei avrebbero potuto, nella loro festa di Purim, trattare un criminale come un re, per dargli il ruolo di Aman della storia di Ester, per infine impiccarlo o crocifiggerlo. [Ester, capitolo 6].
Gesù sarebbe morto come l'Aman dell'anno. E Barabba (Karabas) potrebbe essere stato un nome popolare per il personaggio di Mardocheo, l'acclamato nuovo re.
“Pilato tentò di convincere gli ebrei a far realizzare a Gesù il ruolo di Barabba, che sarebbe stato un modo di salvargli la vita. Ma il generoso tentativo di Pilato fallì e Gesù perì sulla croce nel ruolo di Aman”.
Frazer ha da allora relegato la sua ipotesi ad un'appendice della terza edizione del Ramo D'Oro con la dichiarazione: “Non è stata confermata dalle nostre investigazioni successive e rimane speculativa e incerta ad una misura considerevole”. [12]

Solomon Reinach, nel 1905, ha ripreso e corretto l'ipotesi di Frazer. Ha immaginato che Barabba (Karabas) fosse il nome di un Finto Re che veniva ucciso in una cerimonia simile alla festività delle Sacee. Gesù non figurerebbe al posto del Barabba, ma condannato nella sua caratteristica di Barabba, proprio come lo fu Barabba. [13

Edouard Dujardin, nel 1925, ha difeso di fronte alla Societe Ernest Renan, la tesi secondo cui la morte di Gesù era un sacrificio per un ufficio rituale, trasformato successivamente in una condanna giudiziaria. [14]

Nelle sue varie forme questa teoria incontra un'obiezione formidabile. Difficilmente un sacrificio umano annuale avrebbe potuto esistere a Gerusalemme nel primo secolo della nostra era, senza che o Flavio Giuseppe, o la letteratura ebraica, o la letteratura anti-giudaica ne facessero menzione. È necessario rinunciare ad una simile discutibile ipotesi. 

Quanto all'idea di associare assieme Barabba e Karabas, quando la si esamina da vicino, non conduce ad alcunché. Karabas sembra essere un nome semitico formato regolarmente; fu trovato a Palmira nella forma Qeraba. [15] E Barabba non condivide alcunché del ruolo del folle alessandrino. C'è fin troppo da aggiungere ai vangeli per immaginare con Frazer che dopo la sua liberazione, egli si fosse recato da là per le strade “vestito con orpelli luminosi e rumorosi, una corona di foglie sul capo e uno scettro finto in mano; seguito da tutta la marmaglia della città che ululava, rideva, lanciava grida di scherno mentre alcuni, per derisione, rivolgevano onori alla sua falsa maestà ed altri colpivano sul di dietro l'asino su cui montava”. [16] Il passo è carino, ma proviene da Frazer e ne abbiamo abbastanza delle invenzioni degli evangelisti.    

È tra quelle invenzioni che senza dubbio è necessario collocare la storia di Barabba. Ma precisamente perché non ha alcunché di Storia reale e che è inventata, essa ha bisogno necessariamente di una spiegazione. 

Si è ritenuto di farne un aspetto mitologico. Nel 1918, Heinric Zimmern ha pubblicato un testo proveniente dagli scavi di Assur, sfortunatamente assai mutilato, che racconta la passione di Bel-Marduk. [17] È un mito in associazione ai riti babilonesi del nuovo anno che traspone nel piano divino.

Il dio è arrestato, condotto su un monte, interrogato, scorticato, e ucciso. Un altro personaggio, chiamato il figlio di Assur, fu accusato di un crimine, assolto, rilasciato, e messo a guardia del dio morto. Qualcuno cerca Marduk mentre dice: “Dov'è prigioniero?” Gli dèi lo tengono in prigione lontano dal sole e dalla luce. La sua scomparsa causa una rivoluzione e un conflitto a Babilonia. La dea Ishtar si reca al monte e piange mentre grida: “Mio fratello, mio fratello!”
Lei porta le vesti di Marduk. La morte del dio è evocata recitando il poema della Creazione. Lo stesso Marduk supplica il ritorno alla vita. Infine Ishtar è invitata a rimuovere l'arma che trafisse il cuore di suo marito e a pulire il sangue. E Marduk ritorna alla vita.
Proprio in questo curioso documento Marduk è un dio che muore e risorge, a misura di Tammuz e Osiride. Zimmern ha sottolineato che la passione di Marduk, assai più che quella di Tammuz o quella di Osiride, possiede una certa rassomiglianza a quella di Gesù. In particolare il personaggio assolto e liberato fa pensare a Barabba. 

È chiaro che si potrebbe intravedere più facilmente lo spostamento in Palestina di un mito di una passione divina rispetto a dei riti sanguinari e complessi che diedero origine al mito.
Loisy riconobbe che l'invenzione di parecchi aspetti della passione di Gesù potrebbero “essere stati facilitati o suggeriti nella modalità in altre parole da mitologie circostanti”. [18


Per quanto riguarda Barabba, l'associazione [di Barabba e Gesù] rimane piuttosto vaga. Il mito babilonese non spiega l'aspetto più imbarazzante: la somiglianza del nome e del titolo tra Barabba e Gesù. 

Si dovrebbe spiegarla mediante la trasposizione mitica di un rito puramente ebraico, il rito dei due capri, praticato al Giorno dell'Espiazione. [19

I due capri dovevano essere simili (Levitico 16:7). I peccati del popolo erano caricati su di uno; cacciato dalla città, quello che rappresentava Gesù (secondo l'Epistola di Barnaba, Giustino e Tertulliano), ricoperto di insulti e sputi. Attenzione, dice pseudo-Barnaba, a come viene rivelata la figura di Gesù. E tutti sputate su quello, trafiggetelo e ponete intorno al suo capo la lana rossa, e così sia cacciato nel deserto”. [20] “Uno dei due capri, secondo Tertulliano, era rivestito di scarlatto, maledetto, coperto di sputi, ferito, era cacciato dal popolo al di fuori della città fino alla morte, così trasferendo i manifesti elementi della passione del Signore il quale, dopo essere abbigliato di rosso, coperto di sputi e afflitto da tutti gli insulti, fu crocifisso al di fuori della città”. [21]

Si può credere che lo pseudo-Barnaba, Giustino, Tertulliano, fossero capaci di interpretare i vangeli. Così è probabile che le scene di derisione e insulti furono introdotte in Marco e Matteo per dare a Gesù la natura di capro espiatorio di cui si percepiva la relazione maggiore con quella del Finto Re. L'Epistola agli Ebrei [22] mostra chiaramente che la festività cristiana di cui la Passione è l'elemento rituale era intesa a sostituire non solo la Pasqua ebraica, ma anche il Giorno dell'Espiazione. Gesù non è soltanto l'agnello pasquale. Egli è anche il Capro espiatorio dello Yom Kippur. 

È l'altro capro perfettamente simile? Si sarebbe tentati di trovarvi Barabba, simile a Gesù per nome e per titolo. È necessario rinunciare a quest'idea. Barnaba, Giustino e Tertulliano concordano sul fatto che esso rappresenta ancora Gesù, Gesù alla sua seconda venuta, quando egli appare a Gerusalemme, identico a colui che venne condotto fuori dalla città. I capri, secondo Barnaba, devono essere simili e magnifici e della stessa misura, così che il giorno in cui si vedrà giungere Gesù si sarà colpiti di stupore a causa della rassomiglianza del capro. [23

Il secondo capro, secondo Tertulliano, offerto per i peccati, consegnato come pasto solamente ai sacerdoti del Tempio, marcava gli aspetti della seconda apparizione quando, purificati di tutti i peccati, i sacerdoti del tempio spirituale, che è la Chiesa, godranno della grazia di Dio come pasto e che gli altri brameranno per la salvezza. [24]

Il secondo capro così non è Barabba. Costui, inoltre, è semplicemente rilasciato e per nulla affatto offerto.

A quale spiegazione è così necessario limitarsi? 

Non si osserva che l'episodio di Barabba è una realizzazione della profezia al pari di così tanti altri episodi della Passione: trenta pezzi d'argento, la fuga del giovane nudo, il silenzio di Gesù di fronte ai suoi giudici, crocifisso tra due ladri, la spartizione delle vesti, ecc. Loisy ha portato più da vicino altri aspetti, anche parecchi, che operano verso uno scopo pragmatico mediante la difesa di una tesi utile ai cristiani. Per esempio, si immaginava che la guardia della tomba provasse la resurrezione fisica. Era di vitale interesse per i cristiani, durante le persecuzioni, negare che Gesù fosse stato condannato legalmente da un magistrato imperiale. Questa è la ragione per cui si inventò l'introduzione successiva di Pilato che si puliva le mani. Secondo Loisy, anche l'episodio di Barabba tende “a scagionare Pilato, mentre si sottolineava l'innocenza di Gesù”. Sarebbe una finzione apologetica. [25]

Per ammissione comune, l'episodio subentra al momento giusto per capovolgere la decisione di Pilato e la sostituzione iniziata dagli ebrei. Ma l'intenzione apologetica determinò il punto dell'episodio piuttosto che la sua causa ultima. Non è abbastanza spiegare cosa ci sia di unico circa la sostituzione di un Gesù con l'altro. Egli non tiene conto dello stranissimo nome di Gesù Bar-Abbas.

Proporremo una spiegazione nuova dello sconcertante episodio. Che cosa ce lo ha suggerita è da una parte la spiegazione che Solomon Reinach ha presentato di un circostante episodio, e dall'altra parte c'è una ricerca recente di Henri Delafosse sul Quarto vangelo.

Solomon Reinach nel 1912 ha interpretato in una maniera davvero nuova l'episodio di Simone di Cirene. [26] Questo Simone di Cirene è un personaggio che appare nei vangeli sinottici poco dopo Barabba. È colui al quale si comanda di trasportare la croce di Gesù, contrariamente alla pratica romana, secondo la quale lo stesso condannato doveva trasportarla.

Quest'episodio possiede un'aria insignificante. Tuttavia è un episodio di una grande importanza polemica. È situato là per combattere, a mò di resoconto, il credo, accreditato a certi gruppi cristiani, che Gesù non fu crocifisso, ma che Simone di Cirene fu crocifisso al suo posto.

Ireneo riporta che Basilide, che visse ad Alessandria nella prima metà del secondo secolo e scrisse un vangelo, professava questo credo: “Gesù non soffrì la morte, ma Simone, un tale di Cirene, essendo costretto, portò la croce al suo posto; così quest'ultimo, venendo da lui trasformato in modo che si credesse essere Gesù, fu crocifisso per ignoranza ed errore, mentre Gesù stesso ricevette le sembianze di Simone e, stando ritto in piedi, rideva di loro”. [27


Il poco che sappiamo delle dottrine di Basilide spiega benissimo questo credo. Basilide credeva che ogni sofferenza, senza alcuna eccezione, presuppone un peccato precedente. [28] Se si vuole un Gesù senza peccato, è necessario, in quelle dottrine, rimuoverlo dalla croce. 

Il credo di Basilide non è un fatto isolato. Sembra che sia stato ampiamente diffuso. Ebbe ad ogni caso una lunga durata. Lo troviamo già nella curiosa esistenza da fantasma di Gesù che è introdotta negli Atti di Giovanni. [29] Al momento della crocifissione Giovanni fugge al Monte degli Ulivi e grida in una grotta. Gesù gli appare, illuminando la grotta e gli dice: “Giovanni, per il volgo di Gerusalemme io sono crocifisso, sono trapassato con lance e canne, e mi è dato da bere aceto e fiele, ma a te dico...”.

Nel settimo secolo, Maometto collezionò la tradizione secondo cui Gesù non era stato crocifisso. Egli la inserì nel Corano, [30] ed è ancora una tradizione di fede oggi per tutti i musulmani. Nel nono secolo si impose ai Manichei una formula di abiura che conteneva quelle parole: “Io maledico coloro che dicono che Nostro Signore Gesù Cristo soffrì apparentemente e che c'era un altro uomo sulla croce e che stando ritto in piedi rideva, mentre l'altro soffriva al suo posto”. [31

Questo antico e costante credo nel fatto che Gesù non fu inchiodato alla croce, ma che un altro fu crocifisso al suo posto, identificato da Basilide con Simone di Cirene, è la ragione principale del perchè l'aneddotto apparentemente insignificante di Simone di Cirene venne introdotto nel racconto della Passione. 

Alcuni finiscono la storia con la crocifissione di Simone di Cirene. Se si concede che Simone di Cirene trasportò la croce come se dovesse essere crocifisso lui stesso, ciò avrebbe potuto fuorviare qualcuno. Ma è affermato che la trasportò per un altro e che fu certamente Gesù, Gesù in persona, colui che fu crocifisso e che soffrì. 

Spiegato così l'episodio di Simone di Cirene, si  può trovare una spiegazione simile per quello che lo precede, l'inclusione di Barabba?

Sarebbe necessario abbandonare l'idea che lo scopo dei sinottici, raccontandoci che un certo Barabba era stato liberato, fosse di stabilire con certezza che egli non era stato crocifisso. Emerge fortemente dal loro racconto che è Gesù detto il Cristo a venir messo sulla croce e non Gesù chiamato Barabba. Che non ci si confonda qui! Si sarebbe potuto fare una confusione, dal momento che entrambi hanno lo stesso nome. Ma soltanto uno è crocifisso. È Gesù detto il Cristo. Non è Gesù Barabba, non più di quanto non lo sia Simone di Cirene. Il racconto sarebbe polemico.  Avrebbe di mira uomini così audaci da sostenere che fosse Gesù chiamato Barabba colui che fu crocifisso. Replicherebbe a loro col fatto che costui in verità fu messo in prigione, ma che egli fu liberato.


Ma può qualcuno sostenere la tesi che fosse Barabba colui che fu crocifisso? Si potrebbe trovare qualcuno ai nostri giorni. Un uomo di grande erudizione e cultura, Arthur Heulhard, ha scritto sotto il titolo Le Mensonge chrétien circa quindici volumi la cui tesi essenziale è che quello crocifisso da Pilato è Barabba. Egli ha fatto un discepolo: il signor Daniel Masse, il quale in un libro pubblicato di recente, L'Enigma di Gesù Cristo, difende la medesima tesi. Non possono esserci utili. Non è contro Heulhard e neppure contro il signor Masse che polemizzano i vangeli sinottici.
Al tempo in cui scrivevano, conoscevano persone di cui poter dire che il loro Crocifisso non fosse il Caro piccolo crocifisso, Gesù l'autentico Messia, ma un altro Gesù, un falso Gesù, un Gesù Bar-Abbas

È qui che la ricerca del signor Henri Delafosse può guidarci al Quarto vangelo. [32]

L'idea di Gesù Figlio del Padre e quella di Gesù Messia di Israele sono così ben amalgamate, oggi sintetizzate, che per noi è difficile osservare che non hanno la stessa origine e che potevano contraddirsi prima di fondersi.

Gesù il Figlio del Padre è una caratteristica di design del Quarto vangelo. Secondo Giovanni, Gesù non è Figlio di Dio nella stessa maniera in cui le scritture dicono così di Israele oppure del Cristo di Israele, ma in una nuova direzione, blasfema ad occhi ebraici, dal momento che egli implica identità con Dio. Gesù è il solo figlio, monogenes, l'unico Figlio, il Figlio che noi non dovremmo distinguere per nulla dal Padre. “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Giovanni 10:30). “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Giovanni 14:11). “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Giovanni 14:9). È necessario rivolgere al Figlio la stessa adorazione che si rivolge al Padre (verso 23). Questo aspetto è completamente estraneo all'ebraismo. Gli si trovano paralleli solo nel paganesimo, dove Zeus, secondo Crisippo, è allo stesso tempo il Padre e il Figlio. [33] L'origine doveva essere odiosa non solo agli stessi ebrei, ma anche ai cristiani ortodossi, ossia a coloro che volevano preservare la religione dell'Antico Testamento.

Il signor Delafosse, con perspicacia, ha sottolineato che, nella sua tradizione più antica, il Quarto vangelo è violentemente ostile all'ebraismo e all'Antico Testamento. Lungi dal fondersi col Cristo di Israele, il Figlio dichiara formalmente di non aver alcunchè in comune con lui: “Dio non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per giudicare il mondo” (3:17). Egli nega il famoso Giudizio Finale aspettato dalle apocalissi: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (3:18). 

Se il Figlio non ha alcunchè in comune col Cristo di Israele, il Padre non ha alcunchè in comune col Dio di Israele. Il Figlio lo fece sapere chiaramente agli ebrei: “Chi mi ha mandato, e voi non lo conoscete” (7:29). “Voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto” (verso 27). Si tratta proprio di un nuovo, impressionante Dio straniero nel mondo, che il Figlio rivela: “Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (1:18). Questa è una negazione di tutte le teofanie menzionate nell'Antico Testamento. Negata, l'ascesa al cielo del profeta Elia e di tutti gli altri: “Nessuno è salito in cielo” (Giovanni 3:13). Negata, la missione di tutti i profeti di Israele: “Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti” (10:8). La natura violentemente anti-giudaica del Quarto vangelo viene oggi dissimulata perchè, per via di interpolazioni e glosse, le idee più opposte allo spirito primitivo del testo furono aggiunte nell'ultima redazione. 

La dualità delle redazioni è forte e chiara. È stata denunciata, prima che da Delafosse, da Schwartz, Wellhausen e Loisy. Ciò che ha individuato Delafosse, è la relazione delle dottrine fondamentali del Quarto vangelo con quella di una setta che, per l'azione che esercitò e la reazione che provocò, svolse un ruolo dominante nell'evoluzione del cristianesimo primitivo. È a proposito della setta marcionita. Marcione propose ai cristiani di respingere tutto ciò che è ebraico: il Cristo di Israele, il Dio di Israele, l'Antico Testamento, e di adorare un Dio estraneo al mondo, rivelato per la prima volta da Gesù. Le sue dottrine si diffusero in Asia e penetrarono a Roma. Condannato per la sua tesi estrema nel 144 E.C., Marcione esercitò nondimeno un'influenza decisiva sulla teologia cristiana. Grazie ad abili redazioni, parecchi scritti di tendenza marcionita, a cominciare dal Quarto vangelo, contribuirono a formare il Nuovo Testamento. È in un ambiente marcionita, o pre-marcionita, che è meglio compreso lo sviluppo di un Gesù Figlio del Padre, in opposizione al Gesù Messia di Israele. 


Contrariamente a Basilide, Marcione professò che il suo Gesù era stato crocifisso. Era la base del mistero. Mediante la sua morte il Figlio aveva riscattato gli uomini dal dio Creatore e aveva offerto loro al Padre. Sebbene lui stesso sprovvisto di un corpo, ma solo di un involucro etereo, Gesù aveva subito certamente sulla croce una morte apparente. Tertulliano, da cui sappiamo le dottrine dei marcioniti, è davvero affermativo su questo punto. [34

È facile comprendere con quale indignazione, con quale ira, i cristiani devoti all'attesa messianica e alle profezie ebraiche, i cristiani di cui l'Apocalisse ci rivela il loro stato mentale, dovevano considerare inizialmente quelli uomini, nemici del Cristo di Israele e del Dio di Israele, che fabbricarono un Gesù crocifisso, a cui assegnarono lo strano nome di Figlio del Padre. Si ridicolizzò questo nome nella forma aramaica di Bar-Abbas. Questo figlio-del-Padre che tratta gli antichi profeti come ladri e briganti, lui stesso è trattato come un brigante. La polemica contro Gesù Bar-Abbas prese la forma più popolare e più efficace, quella del racconto. Si trattava di mostrare che il solo crocifisso, l'unico redentore degli uomini, era anche il Cristo di Israele, quello che annunciavano anche i profeti. I vangeli sinottici, principalmente Luca e Matteo, si accinsero a questa dimostrazione. Quanto alla nascita di Gesù, un profeta ispirato, Simeone, prese Gesù tra le braccia e riconobbe in lui il Cristo, la salvezza di Dio (Luca 2:20), luce delle nazioni, gloria del popolo di Israele. 

Matteo sottolinea un aspetto supportato da venti compimenti di profezie. Di fronte a Pilato Gesù è accusato formalmente di proclamarsi Cristo, un Re (Luca 23:2), e quando Pilato gli chiede se egli lo sia, egli non lo contraddice. Così non c'è nessun dubbio. Quello crocifisso in verità è proprio Gesù il Cristo. Quanto a Gesù Bar-Abbas, il brigante, egli non fu affatto crocifisso. Egli fu liberato. Qui ci troviamo al punto dove è necessario rispondere a coloro che dicono un'altra cosa su di lui. Quanto alle circostanze della liberazione, esse furono inventate e sistemate abilmente nel racconto così da provare ancora un'altra cosa utile: l'assenza di responsabilità da parte di Pilato. Così gli episodi di Barabba e di Simone di Cirene sono della stessa natura.

Si tratta di racconti polemici. Il primo è diretto contro il vangelo di Giovanni, il secondo contro il vangelo di Basilide. Se la nostra interpretazione è valida, si dovrebbe provare, contrariamente all'opinione corrente, che il nucleo del vangelo di Giovanni è più antico dei vangeli sinottici. E per corroborare ciò, sarebbe necessario mostrare altri casi della polemica sinottica contro Giovanni. Faremo brevi considerazioni su quei due punti.

In un articolo suggestivo pubblicato nel 1925 sulle relazioni del Quarto vangelo con i documenti mandei scoperti di recente, Rudolf Bultmann ha scritto: “È necessario considerare la possibilità che il cristianesimo giovanneo rappresenti un tipo più antico del cristianesimo sinottico”. [35] Si tratta anche dell'impressione che si ha spesso leggendo lo studio davvero accurato che il signor Maurice Goguel ha dedicato al Quarto vangelo. [36] Naturalmente è facile constatare che il ritratto corrente del Quarto vangelo, il testo rielaborato, è più tardo dei tre sinottici. Non lo è la stessa costruzione. Crediamo che si possano collezionare delle prove per dimostrare che il nucleo primitivo di Giovanni sia più antico dei sinottici. Ci limiteremo qui a due presunzioni. Si ammette piuttosto rapidamente, sin da B. W. Bacon e A. Loisy, che il vangelo di Giovanni sia basato su un rituale pasquale diverso dai sinottici. Il primo suppone una Pasqua cristiana celebrata il 14 di Nisan, ossia lo stesso giorno della Pasqua ebraica. Gli altri suppongono una Pasqua cristiana separata dalla Pasqua ebraica e associata alla Domenica. Giovanni si basa sulla Pasqua primitiva. I sinottici offrono un rapporto della riforma pasquale. C'è il sospetto che il libro contenente il rituale più antico sia esso stesso più antico dei libri che contengono il rituale più nuovo. In aggiunta Giovanni differisce dai sinottici nel fatto che esso non contiene né il battesimo di Giovanni e neppure l'istituzione dell'Eucarestia. [37] È facile comprendere che per far istituire a Gesù i due grandi riti cristiani, quei due racconti furono aggiunti ad un testo primitivo che non li conteneva. D'altra parte, sarebbe difficile immaginare che qualcuno li avrebbe rimossi, se fossero appartenuti al testo primitivo. 

Così la presunzione a favore della priorità del vangelo di Giovanni rimane. Si è così portati a concepire l'idea che i vangeli sinottici potessero essere stati scritti come una forte reazione contro le tendenze del primitivo vangelo giovanneo. R. Bultmann non è lontano da questo concetto quando dice della tradizione sinottica che “deve forse essere compresa come un fenomeno di reazione giudaizzante”. [38] A. Loisy si avvicina un po' di più ancora quando dice di Luca: Il suo favore per l'Antico Testamento... conferma una reazione contro coloro degli gnostici che ripudiavano le scritture e il Dio degli ebrei, …
La letteralizzazione delle apparizioni della resurrezione di Cristo si oppone ad un certo docetismo. Il terzo vangelo e gli Atti, quando furono fabbricati, riflettono lo sviluppo di una fede anti-gnostica la cui fioritura variò tra gli anni 125 e l'anno 150 E.C. [39]
Lo gnosticismo combattuto da Luca avrebbe potuto essere quello della prima redazione giovannea del vangelo. Non è impossibile trovare in Luca istanze di un'aperta polemica contro Giovanni. Citeremo qui solo la resurrezione di Lazzaro. 

È molto strano che il più luminoso miracolo di Gesù, la resurrezione dai morti di Lazzaro dopo tre giorni, non è menzionato dai vangeli sinottici. Quando si legge Luca con attenzione, si vede che questo silenzio è volontario. Luca conosce Lazzaro, ma nega che Lazzaro fu risorto. Dopo la morte di Lazzaro, il ricco domanda che Lazzaro sia risorto per convertire gli ebrei. 
“Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.
E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno.
Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».”
(Luca 16:29-31).


Se si paragona ciò al racconto giovanneo, il senso di questo paragrafo diventa completamente chiaro. Per Giovanni il miracolo soltanto crea la fede, non i profeti. Per Luca, al contrario, la fede si basa su Mosè e i profeti. Luca volontariamente si priva del più grande miracolo di Gesù, allo scopo di non indebolire l'argomento che egli intende derivare dai profeti e da tutto l'Antico Testamento. 

È in questa corrente anti-giovannea che collochiamo l'invenzione della storia di Bar-Abbas. Testimonia la profonda avversione provocata inizialmente dall'origine pagana di Gesù Figlio del Padre. Questa avversione doveva scomparire. Gesù figlio del Padre e Gesù Messia di Israele si fusero infine l'un con l'altro. Il brigante Barabba è l'obsoleto testimone del tempo in cui questa fusione apparve impossibile.

NOTE

[1] Girolamo (in Matt. 28:16) suppose la forma Bar-Rabban, filius magistri eorum, figlio del Maestro degli ebrei, cioè di Satana. Questa è una modifica tardiva, che mira a dare un nome al ladro Barabba che sia migliore di figlio del padre... “Bar-Rabban è una forma molto meno probabile, tanto più in quanto Rabban non sembra essere impiegato come nome proprio. Bar-Rabba sarebbe possibile, ma non era indicato dalla forma Barabba” - Lagrange, Evangile selon s. Marc., Parigi, 1911, pag. 387.

[2] Si veda pag. 192.

[3] Il verso 17, estratto da Marco (Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta) manca nei migliori manoscritti. È, secondo il parere di tutti, un'aggiunta al testo. Si veda Lagrange, Vangelo secondo San Luca. Parigi, 1921, pag. 581-2.

[4] Vangelo secondo San Matteo, Parigi, 1923, pag. 520.

[5] Vita di Gesù, tredicesima edizione, pag. 418-419.

[6] Kommentar zum NR. T. aus Talmud U. Midrasch, I. München, 1922, pag. 1031.

[7] Les Evangiles synoptiques, II. Cefonds, 1908, pag. 644.

[8] Les livres du Nouveau Testament. Parigi, 1922, pag. 276.

[9] Jesus als Saturnalien-Konig dans Hermes. 1898, pag. 175-179.

[10] Les Actes de s.Dasius dans Analecta Bollandiana, 1797, pag. 5-16. Le roi des Saturnales (avec Parmentier) dans Revue de Philologie. 1897. pag. 143-153.

[11] Adv. Flaccum, ed. Mangey. Londra, 1751, 2, pag. 520-523.

[12] Le bouc émissaire, tr. P. Sayn. Parigi, 1925. pag. 373 et n., pag. 917.

[13] Cultes, mythes et religions, 1, 1905, pag. 332-341. Orpheus, nouv., Orpheus, nouv. ed. 19?4, pag. 338.

[14] Ha sviluppato questa idea nel suo libro Le Dieu Jésus (Parigi, 1927).

[15] Vogüé, 105, citato da Lagrange. Quelques remarques sur l'Orpheus. Parigi, 1910, pag. 48.

[16] Le bouc émissaire [Il Capro Espiatorio in Il Ramo d'Oro], tr. P. Sayn, pag. 371.

[17] Zum babylonischen Neujahrsfest, II., in Berichte üb. D. Verband, D. Sächs Ges. D. Wiss. Leipzig, 1918, 5. Heft.

[18] La Passion de Marduk dans Rev. d'hist. et de litt, relig., 1922, pag. 298. [La Passione di Marduk in rev. of hist. and litt, relig., 1922, pag. 298.]

[19] Arthur Drews, Das Markusevangelium, Jena, 1921, pag. 284, che prende un'idea di Volkmar (Die Evangelien, 1870).

[20] Epistola di Barnaba 7:8, trad. Oger. Parigi, 1907., pag. 57. Giustino, Dialogo, 11.,

[21] Adv. Jud., 14. Adv. Marc., 3, 7.

[22] 7, 26; 9, 12, 28; 10, 20.

[23] 7, 10. Si veda Giustino, Dialogo, 11, 4-5. La stessa idea si trova alla base di Ebrei 9:28.
[24] Adv. Jud., 14.

[25] Les livres du Nouveau Testament. Parigi, 1922, pag. 276. Rev. of hist. and litt, relig., 1922, pag. 297.

[26] Simon, of Cyrène in rev. di Univ. di Brussels 1912, pag.712-728; Worships, myths and religions, 4, 1912, pag. 181-188.

[27] Adv. Haer.. 1, 2i, 4.

[28] Clemente d'Aless., 4., Strom., 12., 81-83. Si veda E. de Paye, Gnostiques et gnosticisme, seconda edizione, Parigi, 1925, pag. 41-42.

[29] M. R. James, Apocrypha anecdota, 2: Cambridge, 1897, pag. 1-25. M. Bonnet, Acta apostolorum apocrypha, 2.: Leipzig, 1898, pag. 193-203.

[30] Sour, 4, 5, 154 seq.

[31] Migne, Patr. gr., 1, 4464.

[32] Le Quatrième Évangile, Parigi, Rieder, 1925. 

[33] Dans Philodème, De la cite (ed. Gomperz, pag. 80), citato da W. Bauer, Das Johannesevangelium, Tubinga, 1912, pag. 106.

[34] Adv. Marc., 1, 11, 25; 3, 8, 9,23; 4., ecc. Citato da H. Delafosse, Le Quatrième evangile, pag. 35.

[35] Zeitschr. f. d. neutestamentl. Wiss., Giessen, 1925, Heft 1-2, pag. 144.

[36] Introduction du Nouveau, Testament, tomo 2, Parigi, 1924.

[37] Il passo, Giovanni 6:51c-58, che allude alla Cena del Signore, è un'interpolazione con ripresa. Le parole ζήσει εἰς τὸν αἰῶνα (51) sono ripetute alla fine dell'interpolazione (58). Si veda pag. 192.

[38] Articolo citato, pag. 144.

[39] L'Evangile selon Luc. Parigi, 1924, pag. 62.