domenica 29 aprile 2018

Del più bell'articolo di Richard Carrier: «Come il Cristianesimo Passò ad un Gesù Storico?»

Il miglior testimone che fu trovato per l'inesistente “Gesù storico”
TESTIMONI: Nelle ordinarie questioni della vita quotidiana, quando vi è la necessità di rifarsi a testimoni si esige che siano illuminati, sensati e disinteressati. Nella religione, i testimoni la cui incredibile parola siamo obbligati a credere sono santi ignoranti, profeti un po' folli, martiri fanatici, preti che vivono nell'abbondanza grazie alle belle cose che testimoniano. Tuttavia noi crediamo loro: ed è un bel miracolo.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

L'UOMO CHE INVENTÒ GESÙ DI NAZARET

Egli disse:


«Io voglio una barriera

per dividere iniziati dai non-iniziati

nonostante stiano fianco a fianco».



«Io voglio ipocrisia

e guerra costante».



«Il senso comune

io voglio ignorare».



«Io voglio anonimato,

per ogni mia pagina sporca di Menzogna, Copiatura e Ignoranza umana,

e che puzza troppo della mia umanità».



«Io voglio sfruttamento,

che la mia Scrittura sia ascoltata,

e che il morbo si diffonda
Per Tutto Il Mondo».



«Io voglio seguaci,

“È il Vangelo di Gesù Cristo!!!”, io griderò».

Mentre milioni di persone ci crederanno.

E moriranno.




...perchè guardando, guardino ma non vedano, e ascoltando, ascoltino ma non capiscano, che mai si voltino e sia perdonato loro.
(Marco 4:11-12)



Che cos'è il mistero ai primi cristiani non glielo insegnò nessuno. Lo impararono nelle fasi iniziali della loro setta. La prima visione, la prima rivelazione, il primo sogno, il primo incontro di un “angelo di luce” li iniziò ad una religione universale e al contempo misterica. L'iscrizione a questa religione misterica si rinnovava poi nel corso della loro vita grazie ad una serie di incontri con un celeste arcangelo soprannaturale che potevano assumere molteplici forme e avere facce diverse. Alcune di quelle forme e facce erano esperienze private, individuali, altre le riconobbero praticamente tutti, volenti o nolenti, per effetto di una contagiosa allucinazione di massa. Ma erano sempre lì, che attendevano di essere rievocate in quei momenti speciali e unici.

Il punto, perciò, è chiaro: nell'origine del cristianesimo, l'esperienza di una RIVELAZIONE è un dato di fatto inevitabile e fondamentale. E come ogni altro fatto di questo genere, prima o poi essa doveva trovare spazio in una forma di espressione letteraria. La prima di queste forme è stata etichettata “Inizio del vangelo di Gesù Cristo”, nientemeno. Le storie di questo genere letterario erano ricettacoli di allegorie, parabole, sante favole, simboli, metafore. Costituivano un grande museo nel quale la presunta Rivelazione era in esposizione permanente, e si poteva studiare.


Per esempio, in mostra c'è una notissima storia che fa così:
In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto».
È l'ossatura, questa, di tante storie di simile tenore che ci fanno interrogare davanti a un mistero incomprensibile. Qualcuno, la maggioranza, la accetta nella sua banalità e vi crede ciecamente: inutile dirlo, sono i dementi folli apologeti cristiani ad agire così. Qualcun altro tenta persino di sopprimere la potenza dell'episodio, se lo ha evocato con troppa vividezza. Oppure, al contrario, è possibile, per non dire desiderabile, considerare l'episodio in questione con la massima ricettività, aprirsi ad esso in modo tale da consentire ai suoi effetti e al suo potere evocativo di fare presa.

Non è una questione di sforzo volontario; anzi, quanto fu più difficile levarsi questa scena dalla testa, per i primi cristiani che ne furono familiari, se la lessero al momento e nelle circostanze giuste. Allora succedeva che la loro mente si riempiva della luce della Rivelazione di fronte a cui un uomo, uno qualunque proveniente da Nazaret, si svegliava, secondo quella storia. Allora succedeva che la parte interna del cranio di quei primi lettori e ascoltatori si trasformava nel recipiente a sua volta di quella Rivelazione presunta in quella storia per quel solo individuo, e la rappresentazione era limitata così in un luogo da cui non si poteva scappare: quella storia e solo quella storia.

Per quanto fosse una storia scarna, non era affatto priva di trama. C'è il più naturale degli incipit, l'azione perfetta nel mezzo, e alla fine una chiusura di sipario che getta ulteriore buio nel buio, nonostante si parli di continuo di luce, di bagliore, di improvvisa Rivelazione. Ci sono un protagonista e un antagonista e un incontro tra i due che, sebbene sia improvviso, rimane cristallino nella sua natura decisiva.


L'epilogo di quel breve aneddoto non serve a chiarire il fatto che l'uomo di Nazaret si è svegliato e ha trovato qualcosa che ha trovato lui, e nessun altro, in quel battesimo da parte di Giovanni.

E la stranezza del tutto, guardata dritta in faccia, poteva segnare a fondo.

Questa storiella colpì i primi cristiani per la sua bizzarria, lo scarto dal normale corso degli eventi, e spesso scatenò una protesta universale: “Perché proprio noi? Noi che pensavamo di conoscere il nostro arcangelo celeste meglio di chiunque altro, noi che lo abbiamo sempre visto, udito e adorato nelle nostre visioni notturne, e cantato inni all'alba come a un dio?”

State pur certi che non era una domanda, questa, ma un'esclamazione di scalpore. Chi la gridò — perché sicuramente quei cristiani la gridarono — era viziato dal stupefacente sospetto di essere, a conti fatti, il testimone perfetto di una RIVELAZIONE, nel senso di un mistero, molto specifico, fatto su misura per lui, e che un piano precedente, in tutta la sua divina misteriosità, fosse stato onorato nel momento e nel luogo prestabiliti.

Questo strano senso di una RIVELAZIONE fu senza dubbio un'illusione. E l'illusione la creò la stessa storiella che rimpolpava la scheletrica impalcatura della Rivelazione. Era l'essenza dei sogni, delle visioni, delle allucinazioni, degli incontri inauditi; avvolgeva le ossa dell'arcangelo rivelatore e ne riempiva le varie forme e ne riempiva le tante facce. Perché l'illusione di una PERSONALITÀ per quell'arcangelo fosse fondata e consolidata, infatti, doveva essere legata a una storia fuori dall'ordinario, qualcosa che quei primi cristiani non consideravano parte del loro piano esistenziale dopotutto, avevano solo “visto” un arcangelo celeste benché, a posteriori, non si potesse vedere in altro modo.

Dopotutto, loro non traevano rivelazioni misteriose dal semplice gesto di sentir raccontare una storia, apprenderla e ripeterla ad altri, magari espandendola un poco. Anche se non capitava tutti i giorni, sembrava un evento privo di risonanze o implicazioni fatidiche, straordinarie. Ma supponiamo che quella storia particolare da loro sentita si rivelasse, a ben vedere, SIMBOLO di grande ricchezza e misteriosità. Di colpo una grande SVENTURA cambiò la loro vita, la vita di quei primi cristiani, di colpo il corso delle cose, complice anche (e soprattutto) la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 E.C., deviò verso destinazioni totalmente impreviste.


Chiunque tra quei cristiani fosse stato così tanto fortunato da udire al mercato religioso  quella particolare storia in questione e da avanzare su di essa una pretesa dopotutto, quella storia sconosciuta parlava del loro Gesù!, come non approfittarne?  di colpo si rese conto di una cosa: era stato preso in trappola, il suo destino era segnato.

Quant'è difficile pensare che le cose sarebbero potute andare diversamente, per lui. La sua vecchia prospettiva del suo arcangelo rivelatore si allontanò ed era possibile, ora, vederla per il rischioso azzardo che era. Cosa sapeva davvero della strada che la sua setta misterica stava percorrendo prima di imbattersi in quella storia? Pochissimo, ovviamente. E persino adesso, dopo una svolta così melodrammatica, cosa ne sapeva? Non più di prima, e ciò era ancor più evidente quando, alla fine, egli, al pari degli altri cristiani che, come lui, avevano udito per la prima volta quella storia, sarebbe caduto vittima, presto o tardi, di un oscuro, nascente culto di Cristo rivale, che rivoleva indietro la sua rarissima storia, pretendendo che fosse sempre stata sua e solo sua, e di nessun altro.

Anche se naturalmente non era vero.

Allora, e solo allora, quei primi lettori cristiani di quella storia giunsero alla terribile consapevolezza dell'inconoscibile, del misterioso, dell'aspetto veramente assurdo del loro arcangelo rivelatore: il fatto straordinario che egli era stato un uomo sulla Terra vissuto nel recente passato, un semplice ebreo di “Nazaret” — questo fantomatico villaggio di Galilea — e loro non lo avevano mai saputo prima di venirlo a sapere tramite appunto quella storia!

Paradossalmente, potrebbe essere stato proprio l'ascolto di quella storiella così banale quella che meglio dimostrava, agli occhi di quei cristiani, una RIVELAZIONE ancor più sorprendente ed enigmatica di quella stessa rivelazione dell'arcangelo Gesù che aveva fatto muovere al loro culto misterico i suoi primi, autentici passi.

L'effetto principale dei primi racconti evangelici era l'assurda percezione di ciò che non poteva essere: “assurda” per via dell'ignoranza di quei cristiani circa il protagonista di quei racconti, che purtuttavia recava lo stesso nome dell'arcangelo rivelatore da essi ancora adorato fino a quel giorno, in continui sogni, visioni, rivelazioni che andavano giorno dopo giorno stranamente attenuandosi e diradandosi, compromettendo la stessa esistenza del culto... Ciò che non poteva essere per via dell'abito straordinario di tale “biografia”, una veste ampia e svolazzante che non ne svelava mai il segreto.

Il duplice significato di impossibilità assurda raggiungeva il culmine di intensità e strazio nell'enigma che stava al centro di quel Più Antico Vangelo. E da questo Più Antico Vangelo prese le mosse ogni altro vangelo scritto dai vari gruppi cristiani. Ogni diceria, ogni rumore, ogni “sentito dire”, ogni speculazione, ogni chiacchiera.

Per definizione, il racconto del Più Antico Vangelo si basava su un enigma che mai i suoi primi lettori cristiani avrebbero potuto sciogliere, se fosse stato fedele al reale intento dei suoi anonimi autori, la cui sola immaginazione avrebbe potuto giustificare l'unica provenienza di quella storia, lungo la deliberata e collaudata barriera tra conoscitori (in greco: Gnōstikoi) e non-iniziati.

Se da una parte l'enigma di quel Più Antico Vangelo trasudava un'inconfondibile atmosfera banale — dopotutto, era l'ennesima santa favola!, come ve n'erano parecchie in giro a quell'epoca — dall'altra minacciava tanto per la natura irreale di quel che raccontava a proposito di Gesù, la sua stranezza che disorientava, quanto per i suoi pretesi legami con il grande e oscuro Mito di Cristo precedente. Di solito questo schema narrativo si contrappone a quello di una reale, oggettiva biografia, in cui la vita di un personaggio è corroborata da un sacco di prove menzionate nel dettaglio per nome e cognome dalla prima all'ultima, quantomeno nel solo incipit.

A prescindere dal fatto che il Più Antico Vangelo (in realtà, ogni vangelo) non presentava nulla del genere, col solo risultato di rendere ancor più fitto il mistero della sua origine, oltre che del suo contenuto, il racconto del Più Antico Vangelo custodiva nel proprio nucleo una sorta di abisso dal quale emergeva un misterioso “figlio d'uomo” recante lo stesso nome dell'arcangelo rivelatore venerato dai primi cristiani, ma nel quale tale presunto “figlio d'uomo” non si poteva inseguire per analizzarlo o risolverlo. Una certa qualità enigmatica doveva essere conservata, se si voleva che questo Più Antico Vangelo mantenesse la propria inconfondibile aura, tra i primi cristiani che ne sentirono udire, anche soltanto per via orale.   

E così i primi cristiani che sentirono quella particolare storiella del loro battezzato e del suo battezzatore, si ritrovarono bruscamente in prossimità dell'ignoto assoluto, in questo caso particolare nella forma di un personaggio sconosciuto eppur familiare: un uomo, anziché un arcangelo che si fa battezzare invece di battezzare, e che “vede” lo Spirito discendere su di lui invece di “far vedere” ad altri lo Spirito discendere su di loro. È un esempio estremo, questo, e forse l'esempio più puro, di trama che torna e ritorna nei racconti del Più Antico Vangelo.

Quando l'uomo Gesù esce di scena, verso la fine della storia, né i personaggi né il lettore sanno al suo riguardo più di quanto ne sapessero all'inizio. Quest'ultima affermazione non è del tutto fondata: ciò che tutti i cristiani che lessero quella storia scoprirono inequivocabilmente per la prima volta riguardo al loro arcangelo rivelatore Gesù Cristo era che l'ascolto di quella storia costituiva di per sé un'introduzione a ciò che non poteva essere che era tanto un aspetto comune dei culti misterici degli dèi che muoiono e risorgono quanto un'esperienza a cui, peraltro, non ci si abituava mai e con la quale mai si era veramente a proprio agio.

Potrei fare altri esempi di aneddoti simili del Più Antico Vangelo basati su enigmi cruciali, dalla chiamata dei primi discepoli al cieco che vedeva “uomini come alberi che camminano”, ma l'effetto oramai era evidente: ciò che era davvero misterioso, fatale, soprannaturale, non era più, magicamente!, un arcangelo rivelatore “visto” soltanto dai cristiani, ma il fatto di per sè insolito che proprio tale arcangelo celeste fosse stato visto camminare sulla Terra per le strade polverose della Giudea, e fosse morto crocifisso a Gerusalemme sotto Ponzio Pilato... ...ALL'INSAPUTA DEGLI STESSI CRISTIANI!

Quanto bastò perché si sollevassero certe domande e si evocassero le appropriate e più o meno interessate risposte — che tutto erano fuorché vere risposte — al solo scopo mai dichiarato e malconfessato di ricolmare un invisibile arcangelo rivelatore di una modica quantità di carne e sangue, cuore, muscoli e nervi, quanto bastava per dargli un'intera allegorica Non-Vita sulla Terra, ma mai così tanta da trasformarlo in un mero, ordinario profeta.

Riconosciamolo: l'idea che a originare una religione mondiale come il cristianesimo fossero stati eventi straordinari relativi ad un uomo realmente esistito — tale fantomatico “Gesù di Nazaret” — è un modo di interpretare le origini cristiane alquanto pomposo e, il più delle volte, volgare e troppo naïf. Come potrebbe essere fin troppo naïf interpretare “Giacomo, il fratello del Signore” in Galati 1:19 come se fosse “Giacomo, il fratello nella carne.

Nondimeno, la narrazione del Più Antico Vangelo non ha lo scopo di far luce sulle reali origini del culto misterico cristiano, ma di ripristinare un pò dell'improvviso stupore che i primi cristiani provarono davanti all'apparizione improvvisa di un arcangelo celeste, nell'antico bagliore di una rivelazione.

Con la non trascurabile differenza che ora, al tramonto ineluttabile dell'incipiente entusiasmo originario per la visione di un essere celeste, questo senso di meraviglia lo si ricavava, a mo' di macabra compensazione, anche se ottenuto “per sentito dire” e in ultima istanza da un'unica, deliberata allegoria fabbricata da autori ignoti, all'apparente contatto con il mero avatar terrestre di quell'invisibile arcangelo rivelatore.

Allora quei primi cristiani che si svegliarono di fronte a ciò che non poteva essere — un arcangelo diventato improvvisamente “uomo” sulla Terra nel passato recente —, scossero la propria sensibilità intontita dalla loro innocente ignoranza e protesero le loro orecchie ad udire ancora e ancora di quella storia nuova e misteriosa che li ammaliava.

Adesso, anche se ancora ignoranti delle reali origini di quella storia, seppure a loro modo, compresero. E forse, anche soltanto per quel momento di terrore e stupore suscitato in loro dalla lettura e dall'ascolto del Più Antico Vangelo, insieme a loro anche noi, alla nostra maniera, comprendiamo.

SFIDA AI MIEI LETTORI:

Leggete questo magnifico articolo di Richard Carrier, tradotto ottimamente da “roxi”, e domandatevi se avete capito qualcosa di quanto avete appena letto sopra. Buona lettura!!!



 
Come il Cristianesimo Passò ad un Gesù Storico?

di Richard Carrier

9 Novembre 2017

www.richardcarrier.info/archives/13425

[Traduzione di “roxi”]



Se Gesù non è esistito, se in origine si credeva che fosse vissuto e morto nello spazio, come venne ad esistere il nostro Cristianesimo? Come fu possibile inventare un Gesù del genere, e dimenticare la sua visione originale? Questa è la domanda su cui Jonathan Tweet ancora continua a dilungarsi. Anche se ad essa è stato pienamente e succintamente risposto in On the Historicity of Jesus. Che si suppone abbia letto. Eppure, nel nostro dibattito non sembrava che ne fosse a conoscenza. Ancora non lo è, nemmeno dopo che, recentemente, è stato ripetutamente punzecchiato su Facebook proprio per questo.

Il mese scorso mi sono dedicato all’altra sua affermazione, che l’ipotesi del “seme cosmico” (che il corpo di Gesù fu prodotto direttamente dal seme di Davide) è inverosimile, e che perciò, se anche solo venisse proposta, ridurrebbe la probabilità di qualunque teoria delle origini cristiane. Questa accusa è fallace in molti e diversi modi (il miticismo minimale non richiede l’ipotesi del seme cosmico; l’ipotesi del seme cosmico non è inverosimile nel contesto; e proporla non ha effetto sulla probabilità del miticismo minimale). Ma è possibile capire il perché di questo, dall’articolo del mese scorso The Cosmic Seed of David.

Qui, mi occupo della seconda domanda:

In che modo un Cristianesimo pseudo-storico eclissò il credo della sètta originale?

Analogia nell’Apologetica della Resurrezione

Naturalmente, On the Historicity of Jesus già risponde pienamente alla domanda (vedi Elementi 22 nel Cap. 4, con Cap. 8.12 e 12.3).

Ma è di aiuto analizzare come è esatta l’analogia per l’apologetica della resurrezione. I fondamentalisti cristiani sono proprio come Jonathan Tweet; dopo che gli atei spiegano pacatamente quello che molto probabilmente avvenne e che lanciò il falso credo che Gesù era risorto dai morti, il fondamentalista chiede, con indignata incredulità: “E allora, com’è che la religione passò dalle visioni interiori ai dettagliati racconti di incontri fisici sulla terra nei Vangeli? Non lo puoi spiegare!” E quando un ateo offre una spiegazione di come questo sia potuto succedere, dichiarano: “Tutte le tue spiegazioni sono inverosimili!” È lo stesso sciocco argomento.

Non abbiamo nessuna testimonianza di come la religione sia passata dalle visioni interiori (che Paolo dice che sono l’unica esperienza del Gesù risorto che chiunque abbia mai avuto) alle narrazioni delle apparizioni elaboratamente storicizzate dei Vangeli. Questo, dunque, significa che questi ultimi sono perciò veri? No. Al contrario, sospetto che lo stesso Tweet concorderebbe che sono al 100% falsi. In verità, i primi apostoli avevano solo visioni interiori personali del Gesù risorto. I Vangeli costruirono interamente tutti gli incontri storici sulla terra del Gesù risorto. Eppure, questo da allora in poi diventò l’unico credo attestato, al punto che i credenti “lo leggevano” perfino nelle Epistole di Paolo.

Perciò, se Tweet accetta che questo avvenne per la resurrezione, perché non può essere avvenuto per il resto dei contenuti del vangelo? Nulla che avrebbe impedito che questo accadesse per il credo della storicità, gli impediva di accadere per il credo della resurrezione. E allora perché avrebbe impedito che accadesse per il credo della storicità?

Tutte le sètte che continuarono ad insegnare la versione originale (che Gesù fu visto solo in visioni interiori, che non fu mai toccato, che non mangiò con nessuno sulle colline e nelle case) furono schiacciate e spinte all’estinzione, e tutta la loro letteratura distrutta. Oppure, fu preservata solo la roba che scrissero e che è convenientemente ambigua – come ad esempio le poche Epistole di Paolo che ora ci è consentito leggere. Non abbiamo l’opportunità di sentire niente di quello che avevano da dire sul completo e radicale cambiamento di come era intesa la resurrezione di Gesù. Non abbiamo l’opportunità di vedere come quel cambiamento si verificò e travolse la chiesa, eclissando ogni altra visione. Ora, tutte le fonti che abbiamo insistono che Gesù fu tastato e toccato e che mangiò con qualcuno sulle colline e nelle case, e non semplicemente esperito in visioni interiori (oppure, in maniera vaga non lo specificano nemmeno). Perbacco. Come è potuto accadere? È così inverosimile! Gesù deve essere risorto!! Dio sia lodato!!

Se non ti bevi questo ragionamento, non dovresti berti neanche quello di Tweet.

“Non puoi spiegare come si verificò quel cambiamento”, semplicemente non è un'obiezione logicamente valida alla conclusione che, in realtà, accadde. Il credo nella resurrezione, infatti, passò radicalmente da “visioni interiori” ad “incontri storico-fisici, completi di dettagli veritieri e di intere conversazioni”. Avvenne nello stesso esatto arco di tempo. Esattamente negli stessi documenti. Non vediamo nessuno che lo neghi o che lo definisca folle. Non abbiamo modo di vedere nessuna prova di come quel cambiamento si verificò, o nemmeno perché; tanto meno di come spinse all’estinzione ciò che gli originali testimoni stavano predicando, e di come distrusse la totalità dell’esistente letteratura cristiana. Eppure, questo è esattamente ciò che accadde. E, comunque sia accaduto, è esattamente come sarebbe accaduto parimenti per la storicità.

Fenomenologicamente, la storicità di Gesù, e la storicità dei racconti della resurrezione nel Vangelo, sono esattamente la stessa cosa. Similmente tutti i miracoli pubblici, che furono inventati, eppure non sono mai stati messi in discussione: il sole che sparisce per tre ore, le stelle che volteggiano sulle città, la piazza del tempio devastata, orde di zombi che calano su Gerusalemme, centinaia di bambini uccisi, migliaia di porci annegati, migliaia di persone miracolosamente nutrite con il replicatore di cibo di Star Trek. Tutto inventato. Mai messo in discussione. Non abbiamo modo di sentire da qualcuno che fosse davvero lì, che niente di tutto questo è mai accaduto. Allora, perché dovremmo aspettarci di sentirlo per qualunque altra cosa? Inventare un mero uomo, è molto più facile (OHJ, Cap. 6.7).

In OHJ fornisco su questo un’estesa conoscenza di background, che è identica se si parla di come avvenne la transizione nel credo nella resurrezione, oppure nel credo nella storicità. Il tributo di Origene al principio della doppia verità – le storie letterali sono inventate per salvare le masse ignoranti, mentre l’élite istruita sa che la reale verità è nell’allegoria, e non osa esporla ai membri ordinari perché non perdano la fede e siano dannati – tutto esattamente come diceva Plutarco su come ragionava il culto di Osiride: Elementi 13 e 14 (Cap. 4). Di tutte le documentazioni che ci servirebbero per verificare e sapere quello che accadde nel periodo della transizione (di circa cinquanta anni – il tempo di una vita media umana) – letteralmente, tutti quei documenti, ogni singolo esemplare rimanente furono distrutti, e non furono mai menzionati, citati o riferiti da nessuno, mai: Elementi 22 (Cap. 4) e Cap. 8. Qualunque cosa i testimoni originali ed i loro fedeli successori avevano da dire sulle versioni moderne degli eventi apparse improvvisamente, non avremo mai modo di saperlo. Cap. 6.7. Eppure, sopravvive qualche indizio che ci sono stati dei Cristiani che predicavano che il Gesù terreno era mitico: Cap. 3.1 e 8.12. Eppure, non ci è consentito di vedere quanto fosse antica quell’idea, o quando o come iniziò … Era in realtà l’idea originale? Non abbiamo nessuna prova che non lo fosse.

Questo regge per la storicità fermamente e plausibilmente come regge per la resurrezione. Non c’è nulla di inverosimile sul fatto che questo sia accaduto, o sulla sua esatta corrispondenza con le prove che abbiamo ora. Perché tutte le prove che mostrerebbero che è accaduto, furono distrutte. E non è una congettura. Sappiamo che è un fatto. I cristiani non smisero semplicemente di scrivere lettere, omelie e polemiche per l’intero arco di una vita umana. Dovettero essere distrutte per tutti. Anche tutto quello di cui discutevano oralmente, come devono aver fatto, è completamente perso. Un fatto anche questo. Ma anche la letteratura è persa.

Il trattato 2 Pietro fu falsificato per confutare? Distrutto. L’edizione originale dell’Ascensione di Isaia? Distrutta. L’originale collezione e versione delle lettere di Paolo? Distrutta. Tutta la letteratura sul Gesù cosmico che Ireneo dice che stava cercando di confutare? Distrutta. Tutti i trattati presumibilmente “Docetisti” di più antica datazione, i quali non abbiamo nessun buon motivo di credere che gli apologeti anti-docetisti stessero rappresentando accuratamente? Distrutti. Tutto quello che fu scritto dai Cristiani in cento anni, che avrebbe avuto perfino una ragione dogmatica (molto meno una ragione genuinamente informata) per disputare quello che c’è nei Vangeli? Distrutto.

E questo è perché noi non sappiamo come, quando o perché il credo nella resurrezione passò da personali visioni interiori a fisici incontri terreni. Ed è la ragione per cui non sappiamo come, quando o perché il credo nella storicità passò da personali visioni interiori a fisici incontri terreni.

Il mio Breve Riassunto di Cosa è Più Probabile

Nondimeno, in OHJ ho riassunto in poche pagine quello che più probabilmente è accaduto. Tweet deve ancora mostrare un qualche segno di averlo mai letto. Ma ecco qui, parola per parola (pp. 608-10): 
“Tra gli anni 30 e 70, alcune congregazioni cristiane gradualmente miticizzano la storia del loro celeste Signore Gesù, proprio come altri culti misterici avevano fatto con i loro dèi, rappresentandolo infine retoricamente e simbolicamente in narrazioni apparentemente storiche, e durante questo tempo gran parte della verità più esoterica della faccenda è riservata in segreto per i gradi superiori dell’iniziazione (Elementi 11-14, 44-48). Proprio a metà di questo processo, la Guerra Giudaica del 66-70 distrusse la chiesa originale di Gerusalemme, lasciandoci senza alcuna prova che qualcuno degli apostoli originali fosse vissuto oltre essa. Prima di questo, le persecuzioni delle autorità giudaiche e le carestie in tutto l’Impero (e, se davvero accadde, la persecuzione neroniana del 64 che avrebbe devastato la chiesa di Roma) esacerbarono ulteriormente l’effetto, che doveva lasciare un’età oscura di trent’anni nella storia della chiesa (dagli anni 60 agli anni 90), un’intera generazione in cui non abbiamo idea di cosa sia successo o di chi ne fu il responsabile (Elemento 22). Infatti questa età oscura ecclesiale probabilmente si estende per cinquant'anni (dagli anni 60 agli anni 110) se 1 Clemente venne scritta negli anni 60 e non negli anni 90 (vedi Capitolo 8, § 5), poiché fino ad Ignazio o a Papia, non abbiamo nessuna documentazione di ciò che stava succedendo, ed entrambi potrebbero aver scritto ben oltre gli anni 110 (Capitolo 8, §§6 e 7).

È durante questa età oscura che molto probabilmente vennero scritti i Vangeli canonici, da persone ignote (Capitolo 7, §4), e almeno una sètta cristiana cominciò a credere che i miti che essi contenevano fossero reali, e così cominciò a credere (o ad affermare per comodità) che Gesù era una persona reale, e poi predicò ed abbellì questa idea. Perché, avere un fondatore storico descritto in documenti controllati, era un vantaggio notevole (Capitolo 8, §12; e Capitolo 1, §4), questa sètta ‘storicizzante’ gradualmente conquistò superiorità politica e sociale, si dichiarò ‘ortodossa’ e condannò tutte le altre come ‘eretiche’ (Capitolo 4, §3), e preservò solo i testi che erano d’accordo con i propri punti di vista; e falsificò ed alterò innumerevoli testi perché facessero da supporto. Di conseguenza, quasi tutte le testimonianze delle sètte cristiane originali e di ciò che credevano sono state perse o cancellate dalla letteratura; anche la prova di ciò che avvenne nella seconda metà del primo secolo, quando ci fu il passaggio dal cristianesimo di Paolo all'‘ortodossia’ del secondo secolo, è completamente persa, e ormai quasi totalmente inaccessibile per noi (Elementi 21-22 e 44).

Nessun elemento della teoria che ho appena descritto è ad hoc.

Le lettere di Paolo corroborano l’ipotesi che il cristianesimo iniziò con visioni (vere o presunte) e nuove interpretazioni della Scrittura, e questa non è una proposta marginale, ma è in realtà un punto di vista condiviso da molti esperti. L'idea di un ‘salvatore celeste’ è corroborata da documenti come l'Ascensione di Isaia ed ha precedenti in teologie come la ciclica morte e resurrezione di Osiride, e si trova anche nei Rotoli del Mar Morto. L'evemerizzazione di uomini-dèi mediante la loro collocazione in contesti storici era comune nell'antichità. Che i testi antichi potessero avere un contenuto simbolico ed allegorico, è ben stabilito negli studi classici e religiosi, ha ampio supporto nella sociologia della religione ed era una pratica comune negli antichi culti misterici e nell’ebraismo. Il cristianesimo possedeva i tratti essenziali degli antichi culti misteriosi. E il fatto che tali ‘misteri’ venissero tenuti segreti e rivelati solo agli iniziati, che poi erano tenuti alla segretezza, è un fatto ben noto dell’antica religione. Tutto il resto è un fatto innegabile: le Epistole rivelano la vessazione costante di nuovi dogmi;  si verificarono i devastanti eventi degli anni 60; la storia della chiesa è del tutto silente da allora fino alla metà degli anni 90 o più tardi; in seguito, una sètta storicista acquisì il potere supremo e decise quali testi preservare, e falsificò e mise le mani su numerosi manoscritti, e per quello stesso fine produsse anche delle totali contraffazioni — e non come risultato di una cospirazione organizzata, ma semplicemente per opera di scribi e di autori indipendenti che condividevano ampiamente assunzioni e ragioni analoghe.

Il solo elemento della teoria mitica minimale che è addirittura incredibile (almeno a prima vista), è l’idea che una transizione da un salvatore cosmico segreto ad un salvatore storico pubblico si verificasse nell’arco di due generazioni, e senza una chiara testimonianza del suo avvenimento. Ma le circostanze singolari di una grande spaccatura nella chiesa aprirono la porta ai rapidi sviluppi dei suoi dogmi, e il completo silenzio delle testimonianze nel periodo successivo blocca ogni tentativo di argomentare ‘dal silenzio’ che non ci fu nessun passaggio dal mito alla leggenda. Che questo sviluppo non venne documentato, è perché nulla venne documentato.

Quando consideriamo la prospettiva di cristiani appena evangelizzati, ai quali è stato consegnato un vangelo evemerizzato, ma che ancora non sono iniziati nel pieno segreto, e che poi sono stati lasciati liberi di diffondere le loro credenze incompiute e di fondare le proprie chiese e di sviluppare le proprie speculazioni, l'idea che un mito potesse essere stato frainteso e trasformato in ‘Storia reale’ in poche generazioni non è così inverosimile come può sembrare, specialmente visto che le distanze geografiche implicate erano grandi, la durata della vita allora era breve e le leggende spesso crescono con la distanza sia nel tempo che nello spazio. Ci può anche essere stato uno stato ‘di transizione’ del culto, in cui le narrazioni storiche furono viste come la messa in scena di ciò che avveniva contemporaneamente nei cieli (quindi si sarebbe potuto credere che entrambe le narrazioni fossero vere), o in cui i leader di certe sètte scelsero di sminuire o reinterpretare le dottrine segrete e spacciare quelle pubbliche come verità (come Origene sembra aver pensato che fosse una buona idea). Ma qualsiasi numero di possibilità si presenti, senza dati di quel periodo non possiamo sapere quel che avvenne.

Quindi ho già affrontato questa obiezione più che adeguatamente nei Capitoli 6 (§7), 7 (§7), e 8 (§§4 e 12). Per analogia, perfino se concediamo la storicità, allora non sappiamo come alcune sètte siano passate a un Gesù nato cosmicamente nei cristianesimi che Ireneo attacca come eresie (capitolo 11, §9) oppure ad un Gesù ucciso cosmicamente nell'Ascensione di Isaia (capitolo 3) , §1), o a un Gesù che visse e morì cento anni prima (Capitolo 8, §1). Quindi, la nostra ignoranza in merito a come la sètta effettuò la transizione non è risolta assumendo la storicità. Ad ogni caso, siamo ugualmente al buio su come questi cambiamenti siano avvenuti”.

Ora. Scopri cosa è inverosimile in tutto ciò. Inverosimile nel contesto. Buona fortuna. Perché niente di tutto questo lo è.

Potremmo fermarci qui. Questo è il mio riassunto in pochi paragrafi. Onestamente, non c'è bisogno di dire altro. Ma se vuoi maggiori dettagli, continua a leggere.


Quello che Accadde sembra Davvero Sospetto

Come il credo passò da questo: 
“Voglio ricordarvi … Con questo vangelo siete salvati, se ritenete fermamente la parola che vi ho predicato. Altrimenti, avete creduto invano. Perché ciò che io ho ricevuto, l’ho trasmesso a voi come della più grande importanza: che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, che fu sepolto, che fu resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve [per rivelazione a pochi eletti: 1 Corinzi 15:1-8]


a questo: 
“Siate sordi quando qualcuno vi parla in disaccordo con il Gesù Cristo che era disceso da Davide, che venne attraverso Maria; che davvero nacque, mangiò e bevve; che davvero fu perseguitato sotto Ponzio Pilato; che davvero fu crocifisso e morì sotto gli occhi di testimoni in cielo, e sulla terra, e perfino sotto la terra; che davvero anche resuscitò dai morti, il Padre Suo avendolo resuscitato, allo stesso modo in cui il Padre Suo resusciterà quelli di noi che credono in Lui per mezzo di Gesù Cristo, senza il quale non abbiamo veramente la vita [Ignazio, Tralliani 9 scritta tra il 110 e il 160 d.C. (vedi lo studio riassunto in OHJ, Cap 8.6]


Come il credo cambiò così radicalmente, in una così manifesta asserzione di storicismo, in soli 60 anni? È strano per la storicità così come lo è per il miticismo. Notate quello che è cambiato:

Paolo diceva che Gesù venne in esistenza dal seme di Davide (genomenou ek spermatos Dauid, Rom, 1:3 vedi OHJ, Cap. 11.9). Ignazio ora insiste che noi dobbiamo dire che Gesù venne “dai discendenti di Davide” (ek genous Dauid). Palesemente, proprio la cosa che Paolo non ha mai detto.

Paolo diceva che Gesù “venne in esistenza da una donna” e la sua argomentazione a riguardo implica che con questo egli intendeva dalla donna “Agar … un’allegoria” (Gal. 4:4; vedi OHJ, Cap. 11.9). Ignazio ora insiste che noi dobbiamo dire che Gesù è “da Maria”, non da qualche “donna” generica in un’argomentazione sulle donne allegoriche. In particolare, Paolo non menziona mai una Maria. Non in qualche credo che egli attesta (vedi OHJ, Cap. 11.4). Allora perché il suo nome è ora così importante da affermare nel credo?

In entrambi i punti Paolo dice che Gesù fu “fatto” (ginomai), non che era “nato” (gennaô), scegliendo la stessa parola che Paolo usa per segnalare la fabbricazione divina (di Adamo e dei nostri futuri corpi di risurrezione), e mai per la nascita umana, in palese contrasto con la parola che Paolo usa sempre per la nascita umana. Ignazio visibilmente inverte il vocabolario, e insiste che ora noi dobbiamo dire “nato” (gennaô), non “fatto” (ginomai). Esattamente lo stesso modo in cui noi sappiamo che gli scribi Cristiani cercarono di falsificare gli scritti di Paolo (sia in Rom. 1:3 che in Gal. 4:4 al tempo stesso, provando così che erano ben a conoscenza del problema che sto facendo notare: OHJ, pag. 580, nota 91; quindi, sebbene entrambe le parole possono significare “nascita”, i cristiani sapevano che l’uso di Paolo non intendeva questo).

Paolo diceva che Gesù mangiò e bevve in una visione (1 Cor. 11:23; vedi OHJ, Cap. 11.7). Ignazio ora insiste che noi dobbiamo dire che Gesù mangiò e bevve per davvero. Perché questo è improvvisamente importante?

Paolo diceva che “gli arconti di questo eone crocifissero” Gesù (1 Cor. 2:8; vedi OHJ, pag. 47-48, 321-22, 565-66),un linguaggio evocativo di potenze demoniache celesti (OHJ, Cap. 5, Elemento 37), mentre dice anche che le autorità romane non lo avrebbero mai fatto (Rom. 13; vedi OHJ, pag. 565-66). Ignazio ora insiste che noi ora dobbiamo dire che Ponzio Pilato crocifisse Gesù, e rifugge da chiunque dica altrimenti come fosse un agente del Diavolo. E chi è che diceva altrimenti? Perché il nome del crocifissore diventò importante per il credo?

Paolo essenzialmente dice che non ci furono testimoni terreni di Gesù prima della sua resurrezione (1 Cor. 15:3-8; Rom. 10:14-16; Rom. 16:25-26; vedi OHJ, indice delle scritture, pag. 667-68). Ignazio ora dice che noi dobbiamo dire che ci furono. Perché questo divenne necessario? Perché entrò nel credo? Quando? Come?

Gli storicisti hanno delle teorie per spiegarlo. Ma sono giuste? Il Docetismo era la minaccia per combattere la quale Ignazio stava riorganizzando il credo, essi dicono. Ma Ignazio non menziona mai i Doceti. E gli unici testi che possediamo e che mostrano qualcosa che assomiglia al Docetismo risalgono ad un secolo più tardi, e non dicono niente di simile a quello che si trova in Ignazio (per esempio, alcuni di quei testi dicono che Gesù scambiò posto con Simone di Cirene, che chiaramente non è quello di cui parla Ignazio o contro cui dibatte). Perciò, come facciamo a sapere che cosa insegnavano quelli ai quali Ignazio sta rispondendo? Non abbiamo la possibilità di leggere quello che in realtà scrissero, nemmeno in citazione. Gli apologeti cristiani erano notori bugiardi che rappresentavano falsamente i loro avversari, quindi non possiamo fidarci di loro. E nessuno dei documenti successivi sopravvissuti e che sono chiamati docetici fanno riferimento alle dottrine che causano la preoccupazione di Ignazio. Le persone contro cui Ignazio sta scrivendo, erano quei successivi, diversi Doceti di cui abbiamo qualche scritto e che i successivi apologeti avversarono – oppure erano in realtà miticisti? Non ci viene detto; ma sembrano molto simili ai miticisti (OHJ, pag. 317-20), gli stessi per confutare i quali fu falsificata 2 Pietro (OHJ, pag. 351). Non possiamo mostrare diversamente.

Quello che ci rimane, è un credo (in realtà diversi citati da Paolo) che non fa mai riferimento a qualche dettaglio storico che collocasse qualche attività di Gesù sulla terra, poi un blackout di circa cinquant’anni, durante il quale vennero scritti i Vangeli, e improvvisamente, una generazione dopo che i Vangeli iniziarono a circolare, il credo è stato riorganizzato per includere dettagli che appaiono per la prima volta soltanto in essi – Maria, Pilato, una nascita umana con progenitori davidici, cene, testimoni terreni della Crocifissione. Non solo questi vennero improvvisamente aggiunti al credo, ma diventarono essenziali per il credo: ci viene detto che dobbiamo condannare ogni cristiano che li rigetta. E questo significa … che c’erano cristiani che li rigettavano. E non abbiamo la possibilità di sentirli.


La Plausibilità Deriva dal Contesto

Quello che rende una teoria verosimile o inverosimile, non è quello che ora nell'età moderna pensiamo sia normale o strano, ma quello che era normale o strano nell’epoca e nel luogo dove è in realtà avvenuto. Tweet sembra far affidamento alla sua intuizione modernista indietreggiando di fronte a tutta la stranissima roba in cui gli antichi credevano – e questo è esattamente sbagliato. Tutta la stranissima roba in cui credevano, allora era normale. Quindi tutto ciò che è coerente con essa è plausibile. Questo è come la plausibilità opera nel ragionamento storico. Tutto il resto è anacronismo.

Ho scritto in OHJ (pag. 53) ciò che ho ripetuto nel dibattito con Tweet: 
“Il modo in cui Osiride venne ad essere storicizzato, passando dall’essere solo un dio cosmico ad avere un’intera biografia narrativa ambientata in Egitto, in un determinato periodo storico, completa di raccolte di detti sapienziali che si supponeva avesse pronunciato, è ancora un modello adatto, se non assolutamente esatto. Vale a dire che stabilisce una prova del concetto. In sostanza, è quello che tutti i miticisti dicono che sia avvenuto per Gesù”. 
Questo è il modello da cui derivano le ultime due delle cinque componenti dell'ipotesi del miticismo minimale, come ho esposto in OHJ (ibid.): 
“4. Come per molte altre divinità celesti, una storia allegorica di questo stesso Gesù fu poi composta e raccontata all'interno della comunità sacra, che lo collocava sulla terra, nella storia, come uomo divino, con una famiglia terrena, compagni e nemici, completa di atti e di detti, e di una rappresentazione terrena delle sue ordalie”. 
Il che era tipico. A tutte le divinità salvatrici come Gesù era accaduto questo. A tutte, per quanto ne sappiamo. Non conosciamo un singola eccezione. E così, non è neanche insolito. Al contrario, sarebbe insolito se Gesù fosse l’unico ad essere storico. Parimenti per le altre classi mitologiche a cui Gesù appartiene. La più grande e la più dettagliata, e perciò la più utile, è la classe Rank-Raglan. Ma anche le altre. Infatti Gesù appartiene a più classi di riferimento altamente mitologiche rispetto a qualsiasi altra figura presumibilmente storica che io conosca (vedi la mia discussione qui).

E poi: 
“5. Le successive comunità di adoratori credevano (o almeno insegnavano) che questa storia sacra inventata fosse reale (e non allegorica o solo ‘addizionalmente’ allegorica)”.
Questo fu anche il caso di tutte le altre divinità salvatrici dei culti misterici, tutti gli eroi Rank-Raglan, incluso Mosè (e John Frum e Ned Ludd e Re Artù e gli alieni di Roswell). Ancora una volta, è quello che di solito accadeva. E ciò che accade di solito, per definizione non è inverosimile.

Abbiamo un precedente non solo in Osiride, ma in ogni altra religione misterica, i cui salvatori sono di dubbia storicità, eppure vennero inseriti nella storia in finti racconti o biografie, l'equivalente funzionale dei “Vangeli” per le loro rispettive religioni. Abbiamo anche il precedente di Mosè stesso. Inventato. Completo di storia, fratelli e genitori con tanto di nome, insegnamenti, azioni, nascita e morte e così via. Non abbiamo bisogno di spiegare “come” tutte queste figure sono state inventate e credute reali. Sappiamo che questo è ciò che è successo. Quindi non è affatto ragionevole esigere un resoconto specifico di come la stessa cosa sia accaduta a un altro legislatore e salvatore misterico ebreo. C’è una dozzina di modi in cui può essere accaduto a Mosè, o ad Osiride, o a Bacco, o a John Frum o a Ned Ludd. A tutti è avvenuto. C’è anche una dozzina di modi diversi in cui può essere accaduto a Gesù. E non possiamo sapere quale, poiché tutte le prove risalenti al periodo in cui è accaduto, sono state cancellate. Quindi non possiamo scoprirlo.

Questo è il punto fondamentale che Tweet non capisce. Il suo comportamento rispetto a Gesù su questo punto, è altrettanto irrazionale se usasse lo stesso argomento per insistere che Osiride e Bacco e Mosè e Frum e Ludd sono esistiti. O, ancora, che un Gesù risorto doveva davvero aver mostrato le sue ferite a Tommaso o mangiato pesce con Pietro, perché è “inverosimile” che l’intera religione potesse passare da visioni interiori a tali dettagliate narrazioni, senza che nessuno, nella letteratura esistente, lo notasse o ne parlasse. Mi dispiace, ma no. Semplicemente, neanche questo è inverosimile. Anzi, è quello che evidentemente è successo.


Tutti i Fattori che Hanno Contribuito

In OHJ discuto numerosi fattori che possono aver contribuito alla transizione. E sono applicabili tanto a come Gesù venne storicizzato, quanto a come lo fu la sua resurrezione.

Parlo della tesi di Noll: la storicizzazione dei fondatori mitici, in realtà è antropologicamente normale ed è motivata dai sui vantaggi polemici (pag. 352-53). La vediamo nei Culti del Cargo (Elementi 29, Cap. 5), nei Culti Misterici (Elementi 11, Cap. 4; e 31, Cap. 5), nelle Hadith, nella Mishnah ecc. Una religione che converte le sue disparate rivelazioni e ispirazioni nelle azioni e negli insegnamenti singolari di un “fondatore storico” inventato, ha intrinsecamente più successo nel mercato delle idee, molto probabilmente perché porta all’estinzione la religione precedente meno adatta. Come in effetti è accaduto (ad esempio l'insegnamento originale della resurrezione mistica è stato estinto dall'insegnamento fisico della resurrezione ai compagni di cena).

Parlo della Confessione di Origene: che il controllo delle masse richiede che esse siano nutrite di storie letterali, perché non sarebbero convinte (e perciò non sarebbero salvate) da allegorie o cosmologie esoteriche (Elementi 13 and 14, Cap. 4). E la sua confessione è così dettagliata e sincera, che è del tutto credibile sospettare che Origene sapesse o sospettasse che Gesù non aveva mai camminato sulla terra, ma non lo avrebbe mai ammesso per paura di distruggere la sua religione, facendo sì che le masse analfabete la abbandonassero e cadessero così nelle grinfie di Satana. C'era perciò un forte incentivo tra l'élite ecclesiastica a spingere verso la storicità.

Parlo anche della casualità storica: la sètta a cui capitò di essere nella posizione di ottenere l’attenzione di Costantino e di assicurarsi così il potere totale sulla sua fortunata influenza, fu la sètta più fondamentalista e letteralista di tutte, come possiamo vedere dalla surreale idiozia del principale consigliere di Costantino (Lattanzio) e dalla famigerata disonestà del suo consigliere in seconda (Eusebio). Se i dadi fossero rotolati dall’altra parte, i cristiani miticisti avrebbero potuto essere coloro che avrebbero soppresso l’“eresia” dello storicismo. Ma proprio per le ragioni che Origene e Noll fanno notare, questo potrebbe essere stato causalmente improbabile. L’eresia storicista fu in realtà quella che per sua natura era più adatta al successo e al dominio. E una volta che si assicurò il potere assoluto, fu lei che per un migliaio di anni decise della sopravvivenza di tutti i documenti.

Si potrebbe obbiettare e dire: ”non hanno distrutto la raccolta di Nag Hammadi”. Ma la raccolta di Nag Hammadi è tarda; nessun documento in essa contenuto è datato a prima di Costantino. E anche per le congetture più favorevoli, nessuno dei testi che quei manoscritti preservano furono composti prima del secondo secolo, e molti furono composti nel terzo. Inutili. Se avessimo una scoperta del genere per il cristianesimo del primo secolo, essa probabilmente risolverebbe questo dibattito una volta per sempre. Ma, ahimè, non vediamo niente di simile. E questo è il problema. Perché non vediamo niente di simile?

La conclusione è che tutte le sètte del cristianesimo di cui sentiamo parlare dalla fine del secondo secolo, inclusa quella che diventò “ortodossia”, erano evolute elaborazioni che non corrispondevano agli insegnamenti originali di Pietro o neanche di Paolo. Eppure ogni sètta dichiarava che le altre erano eresia. Ma quali insegnamenti di quali sètte erano le ultime aberrazioni, e quali ancora assomigliavano alla sètta originale? È statisticamente impossibile che alla sètta che conquistò il potere totale “capitò proprio” di essere l’unica con il vero credo, che nessun’altra sètta mantenne i veri fatti della sètta originale, i quali furono abbandonati dalla sètta che divenne politicamente vittoriosa. Quindi, che cos’è in realtà l’eresia? Le dottrine del Cristo cosmico che gli “ortodossi” condannarono, come vediamo in Ireneo e nell’Ascensione di Isaia? Oppure gli eretici sono quegli autoproclamati ortodossi? L’una cosa è probabile quanto l’altra. Non abbiamo prove per dimostrare né l'una né l'altra. Così non possiamo assumere né l’una né l’altra.

Questo ci riporta al punto di partenza: sappiamo che il cristianesimo che decise quali documenti possiamo vedere, non è come l’originale, e perciò certamente subì transizioni radicali di cui non abbiamo nota. Perciò non possiamo rigettare il fatto che ci siano state transizioni radicali di cui non abbiamo traccia. Pertanto, rigettarle è un non sequitur. Non ha nessun effetto logico sulla probabilità di alcuna ipotesi. Gli storicisti devono spiegate tante transizioni radicali così come i miticisti. Solo che differiscono su quali dettagli subirono la transizione.


Cosa sappiamo da Plinio il Giovane

Un fattore di cui non parlo in OHJ dettagliatamente come dovrei, è quello che scopriamo del cristianesimo dall’unica lettera che ne parla, nella corrispondenza governativa di Plinio il Giovane (pag. 342-430), la prima volta nella storia che qualcuno abbia mai notato il cristianesimo, in una qualsiasi letteratura conosciuta (Flavio Giuseppe quasi certamente non ne ha mai parlato): sembra che il cristianesimo abbia sperimentato nel primo secolo il passaggio attraverso il collo di bottiglia del fallimento, e la successiva rinascita.

Nella lettera di Plinio a Traiano, scritta intorno al 112 d.C., egli rivela due fatti interessanti: non era mai stato presente a nessun processo contro cristiani, e non aveva idea di che cosa credessero e perché il loro credo fosse criminale; e la maggior parte di quelli che, nella sua provincia, erano stati segnalati come cristiani, avevano lasciato la fede da anni o decenni prima ancora che egli indagasse.

Il secondo fatto è rivelatore. Il primo è peculiare. Al tempo in cui scrisse quella lettera, Plinio il Giovane era stato senatore romano per 25 anni. Aveva servito come l'equivalente antico del Capo della Polizia a Roma, il Campidoglio dell'Impero, con una popolazione superiore ad un milione di abitanti. Dopo di questo, aveva servito come l'equivalente antico del Procuratore Generale per l'intero Impero. Poi come Console (una carica simile al Segretario di Stato e degli Interni). Quindi servì come governatore della Bitinia (una parte della odierna Turchia) per due anni, prima che un qualche cristiano fosse portato alla sua attenzione. E aveva governato la stessa provincia per un decennio, prima di questo. Perciò non era nemmeno nuovo per la provincia o per le sue questioni legali.

Eppure, quest’uomo, espertissimo in materia legale nell’Impero, non aveva visto mai, nemmeno una volta, un processo contro cristiani, e non sapeva niente di loro, e nemmeno perché era illegale esserlo. Questo implica che il cristianesimo stava facendo proseliti così male, da essere quasi inesistente — perfino dopo ottant’anni, quasi il doppio del tempo di una vita media, di evangelizzazione in tre continenti. Il fatto che molti di quelli che potevano essere derisi come cristiani avesse già lasciato la religione, conferma la conclusione: la gente stava perdendo interesse, i membri erano scarsi e in diminuzione.

Metti questi due fatti insieme, e dobbiamo concludere qualcosa di allarmante: molto probabilmente, il cristianesimo si era quasi estinto. Era così poco influente, così piccolo, così di poco successo, che alla fine del primo secolo e all’alba del secondo i cristiani non erano mai apparsi sul radar di Plinio, da nessuna parte, mai, nei diversi decenni della sua esperienza legale e amministrativa. In effetti era così di poco successo che stava anche perdendo membri. Plinio esprimeva la preoccupazione che, all’improvviso, si potessero trovare cristiani dappertutto, ma è evidente che si trattava di un allarme iperbolico, non basato su fatti o statistiche reali (simile al timore di McCarthy che spie comuniste si infiltrassero nel governo e nell’élite sociale). Sì, probabilmente si poteva trovare qualche cristiano in molte città o paesi. Ma dal racconto di Plinio è chiaro che la maggior parte degli accusati non erano mai stati cristiani, oppure da molto avevano cessato di esserlo. Solo pochi mantennero la loro confessione di fede. Ed erano così rari, era una fatica perfino trovarli, e finché non fu spinto a cercarli, non ne aveva mai visto uno in tutta la sua carriera.

È da notare che questo apparente fallimento o declino nelle sorti della religione corrisponde esattamente a quando nuovi missionari tentarono di rianimarlo con nuove, eccitanti dottrine e scritture: i Vangeli. E quand’è che una riforma radicale di un culto avrebbe più successo? Quando la maggior parte degli antichi credenti se ne erano andati, i suoi fondatori erano tutti morti da lungo tempo, e la sètta è così piccola e anemica che non esisteva nessun potere per fermarti o contraddirti – e se alcuni della vecchia guardia erano ancora in giro, li si poteva facilmente liquidare, come se loro stessi fossero eretici revisionisti! Non c'è bisogno di ulteriori spiegazioni su come la religione poté passare dalle dottrine mistiche a quelle storicistiche — nella resurrezione come nell'esistenza di Gesù. Stessa difficoltà. Stessa opportunità. Stesse cause e meccanismi di successo. Se l’una cosa accadde — e così fu senza dubbio — l’altra sarebbe potuta accadere, senza dover ipotizzare nient’altro se non la teoria stessa.

Conclusioni

Per il 100 d.C., anche la maggior parte degli adulti che avevano letto la prima edizione di Marco sarebbe morta. I testimoni e i fondatori originali sarebbero morti da tempo. In realtà, probabilmente sarebbero morti persino prima che Marco fosse scritto — dopotutto non c’è alcuna prova che qualche apostolo fosse ancora vivo dopo il 70 d.C. E il rapporto di Plinio implica che i convertiti cristiani erano pochi; molti avevano perfino abbandonato del tutto la religione. E questo, per una religione misterica con dottrine segrete, era ancor più facile da alterare senza che nessuno se ne accorgesse o fosse in grado di dimostrare che l'avessero alterata.

Perciò, pensaci. Se qualcuno cominciò a spacciare i Vangeli come storie reali, chi, in quel momento, poteva dimostrare che non erano vere? I testimoni erano tutti morti da tempo. Chi li aveva conosciuti, poteva essere smentito da bugiardi che affermavano di averli conosciuti, e chi poteva dire la differenza? Potevano affermare che la teoria celeste era eresia e condannarla, e si poteva ordinare alla gente di evitare quelli che ancora la difendevano, dicendo che proveniva dal Diavolo ... proprio come vediamo fare ad Ignazio.

Dopo tutto, chi, in quel momento, poteva dimostrare che la dottrina celeste era l’originale, perfino se lo era? Se non fu mai messa per iscritto, se era un mistero trasmesso solo oralmente agli iniziati, non esisterebbe alcuna prova che quello che veniva detto loro, e che quindi quello che veniva insegnato fosse veramente la verità. E se fu scritta, chi poteva provare che non era falsa? Di fronte alle copie del testo originale dell'Ascensione di Isaia e del Vangelo di Matteo, chi poteva provare chi è stato scritto per primo? Chi poteva provare chi fu che conservò le dottrine precedenti alla Guerra? Chiunque avesse contraddetto gli storicisti, poteva essere condannato come eretico. E nessuno sarebbe stato più prudente. Da allora in poi, quale “versione” della storia della chiesa avrebbe vinto, fu una mera questione politica. Non era assolutamente qualcosa che qualcuno potesse decidere con delle prove.

E comunque, non abbiamo la possibilità di sentire nessuno di quei dibattiti. Come tutto fu cancellato per la resurrezione, altrettanto facilmente sarebbe stato cancellato per la storicità. In effetti, sarebbero stati cancellati proprio i documenti e le attestazioni stesse.

Se pure c’erano alcuni che “sapevano” (malgrado questo sia impossibile [per noi] da sapere) che la religione iniziò con visioni interiori, e che gli assurdi racconti nei Vangeli di tombe vuote angelicamente occupate, e di incontri e di pranzi con un Gesù risorto erano invenzioni, come faremmo a saperlo? Tutto quello che essi dissero o scrissero per sfidare queste cose, fu cancellato. Non è esistente, né è riportato, citato o menzionato. E se incontrare e mangiare con Gesù poté essere inventato così facilmente e non fu mai smentito in nessun documento esistente, e persuase l’intera chiesa, perché non poteva lo stesso identico processo dare origine altrettanto facilmente all’invenzione di incontri e cene con Gesù a loro volta? Che cosa gli avrebbe impedito di non essere mai smentito in nessun documento esistente e di conquistare l’intera chiesa? Inventare una cena con qualcuno dopo che è morto, non è più facile che inventare una cena con qualcuno prima che sia morto. Quindi, se l’una cosa ebbe successo – e lo ebbe – allora anche l’altra avrebbe potuto averlo altrettanto facilmente.

Ed questo è il motivo per cui non abbiamo più nulla da spiegare.

sabato 28 aprile 2018

Della mia recensione del libro «La creazione di Gesù e del Nuovo Testamento» di Giuseppe Verdi

Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?


(Kent Murphy)
Tale visione del mondo avevano i Misteri alla Mithra; questo senso della vita fu portato dalla tradizione pagana e mediterranea e da essa, di contro all'oscura tragedia del Golgota, scaturirono gli imperi come gloriose realtà stringenti insieme immanenza e trascendenza, luce divina e luce di vittoria. E così Celso, portando gli Giudei dinnanzi a coloro che, identificata Roma alla “Prostituta di Babilonia”, minavano le basi della sua grandezza con una propaganda segreta ed illecita di diserzione, di astensione, di sovvertivismo, mostrava l'assurdo di riconoscere il loro Messia in Gesù: il Messia del primo profetismo era il mito glorioso del “Signore degli eserciti” atteso affinché alla testa di popolo eletto, portasse l'Impero mistico della giustizia e dello spirito fra le genti di questo mondo.
Ma questo ideale di forza e di luce del popolo ebraico era decaduto col decadere di questo popolo stesso; dileguando le speranze politiche, esso indietreggiò in astratte forme finché la bruta contingenza delle cose reagì su di esso e lo plasmò perentoriamente trasformando nel tipo opposto dell'“espiatore” e del “salvatore” secondo i valori di umiltà, di amore e di sacrificio, fino a poterlo ravvisare nella figura di un demagogo seminiziato e rivoluzionario, finito sulla croce.

(Julius Evola, Imperialismo Pagano)

Non a caso, ancora oggi Marcione viene definito dall'Enciclopedia Cattolica “forse il nemico più pericoloso che il Cristianesimo abbia mai avuto”.

(G. Verdi, La creazione di Gesù e del Nuovo Testamento, Uno Editori, 2018, pag. 156)


Immaginatevi un Paese dove non viene mai rivelata la verità sulle origini della sua religione, ma dove al contrario ogni tentativo in tale senso viene apertamente dissuaso dagli stessi teologi sotto mentite spoglie di accademici, alacri venditori di apologetica di bassissimo consumo. Immaginatevi un Paese dove la politica stessa è responsabile di questa censura, in virtù del suo stretto sfacciato connubio, quasi indistinguibile e a tutte le latitudini, con quella folle pagliacciata sulla terra chiamata “Città del Vaticano”. Immaginatevi un Paese dove l'irrazionale fede religiosa riesce a sopravvivere nonostante tutto ciò che reca seco la globalizzazione, l'americanizzazione e tutte le possibili forme di sovversione del vecchio ordine che siano concepibili al giorno d'oggi (e che ancora — si spera — attendono di dispiegarsi pienamente nel più lungo raggio possibile).

E ora immaginatevi che finalmente, in un Paese del genere, venga pubblicato un libro col primo immediato effetto di negare tutto quanto detto sopra. Un libro, cioè, dove viene espressa, per la prima volta e senza alcuna compromissione di sorta, la verità più probabile sulle origini della religione cristiana.

Ebbene, il Paese di cui sto parlando è l'Italia. E l'autore del libro reo di aver infranto quella vergognosa e oramai imbarazzante omertà è Giuseppe Verdi.



Perché dico questo? Perché, nell'ottima opera divulgativa del Verdi, troviamo presentata finalmente una valida descrizione delle origini cristiane libera abbastanza da pregiudizi da arrivare al punto di mettere onestamente in discussione la stessa esistenza storica di Gesù senza abusare della creduloneria dei lettori (al contrario magari di certe altre opere dal taglio più sensazionalistico) ma anzitutto offrendo pagina dopo pagina fondate ragioni e prove appropriate per ogni punto esaminato e/o avanzato.

Nelle prime pagine l'autore sembra da subito aver stipulato sottobanco un implicito patto col suo lettore: si assumi pure “sotto sotto” un Gesù storico, ma vediamo con calma e lucidità dove ci porta l'esame critico dei testi. Ebbene, a poco a poco, il lettore viene accompagnato quasi per mano a scoprire che del Gesù storico non c'è nessuna traccia,  non solo ad uno zoom di media dimensione eseguito sulla letteratura relativa (come potrebbe essere la rapida realizzazione che i tanto apologeticamente decantati Flavio Giuseppe, Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane possono confermare al più solo l'esistenza dei cristiani ma non del loro “cosiddetto Cristo”); ma anche ad uno zoom della medesima dalla più vasta dimensione possibile consentita oggigiorno ad un qualunque giudice serio e non prevenuto del caso in questione.

E questo può significare solo una cosa, ovvero esaminare con scrupolo e massimo disincanto possibile la più antica testimonianza cristiana: le lettere di Paolo.

Nelle parole di Verdi:
Stranamente, però, nelle sue lettere non c'è — fatta eccezione per un paio di probabili interpolazioni già evidenziate — nessun chiaro riferimento a un Gesù identificabile con un uomo vissuto di recente: il solo elemento di stampo evangelico che si possa trovare negli scritti paolini è dato (come abbiamo visto in precedenza) dalle parole pronunciate da Gesù nell'ultima cena, ma Paolo afferma chiaramente che si tratta di una scena che gli è stata rivelata.
In sintesi, si può affermare che Paolo ha fede in un Figlio di Dio e nel suo sacrificio, ma non lo identifica con alcun essere umano in carne e ossa; la fede di Paolo, quindi, non è rivolta verso il Gesù storico, ma verso ciò che Gesù rappresenta e verso ciò che fece; il Gesù di Paolo non è un essere umano, ma un'entità: o vi si crede oppure no.

(pag. 97)


Dove l'autore sembra non abbia voluto prendere una posizione è in merito alla continuità o meno tra il Gesù predicato da Paolo e quello predicato dagli apostoli che lo precedettero, a parte gli ovvi conflitti in materia di Torah e dintorni tra il primo e i secondi. Vale a dire: a scanso di equivoci sulla Torah, il Gesù di Paolo era lo stesso Gesù dei Pilastri oppure era radicalmente un “altro” Gesù, al punto della totale e naturale inconciliabilità tra i due? Come lo stesso Richard Carrier pone mirabilmente il medesimo quesito:
Paolo stava trasformando ciò che era stato un culto della personalità e stava cancellando semplicemente il Gesù storico (e la sua stessa personalità) da esso, oppure lui era solo un altro rivelatore ed esegeta tra molti, il primo essendo semplicemente Pietro, la “Roccia” fondazionale sulle cui visioni e interpretazioni delle scritture fu fondata la nuova setta?
(mia traduzione da qui)


Se Verdi avesse risposto di sì
(che il Gesù di Paolo coincide col Gesù dei Pilastri) o l'avesse fatto trapelare in qualche modo dal suo libro, allora, come forse sembra trasmettere tra le righe quando scrive:
Giunti alla conclusione di questa disamina delle lettere di Paolo e degli altri documenti cristiani del I e del II secolo, una conclusione appare ineluttabile: i primi autori cristiani paiono vedere in Gesù una figura che “risiede” nell'Antico Testamento: è da lì che egli aveva parlato, è da lì che proveniva parte degli insegnamenti che gli venivano attribuiti. Quanto alla sua vita, essi non ne sanno nulla, al punto che per parlare della sua passione devono attingere dalle profezie bibliche, come se le tradizioni relative alla crocifissione fossero andate perdute o, peggio ancora, non fossero mai esistite. In definitiva, nei documenti cristiani più antichi Gesù non emerge affatto come un uomo reale, che solo pochi anni prima aveva raccolto folle oceaniche; al contrario, egli appare come una presenza che, per quanto viva e attiva, operava attraverso lo Spirito e parlava attraverso la Bibbia ebraica.
(pag. 103, mia sottolineatura)


...il Verdi rimane sostanzialmente agnostico sull'esistenza storica di Gesù
, non sapendo pronunciarsi se egli non esistette oppure se egli esistette ma fu totalmente eclissato dall'immagine cosmico-teologica del “Cristo Gesù” di Paolo.

Se invece Verdi avesse risposto di no, se avesse fatto capire a chiare lettere che tra il Gesù dei Pilastri e il Gesù di Paolo esisteva una perfetta e lineare continuità, salvo — ripeto — quel drammatico e inevitabile scontro sulla questione della Torah (scontro a fronte del quale il loro Gesù non poteva che spaccarsi in due perfino se fosse stato lo stesso unico Gesù comune ad entrambi nella loro origine), ebbene, c'è poco dubbio che l'esito della sua analisi sarebbe stato ancor più fieramente miticista e distruttivo nei confronti dell'ipotesi storicista di quanto lo sarebbe stato nell'ipotesi opposta. Perché sarebbe equivalso né più né meno alla conclusione che il Gesù dei Pilastri è ontologicamente lo stesso Gesù di Paolo, lo stesso essere, che, nelle parole di Verdi:
...non è un essere umano, ma un'entità: o vi si crede oppure no.
(pag. 97)


Se i Pilastri pure credevano a questo Gesù, e non solo Paolo dopo di loro, allora non c'è davvero nulla da fare per salvare la storicità dell'uomo Gesù: perché un Gesù del genere è chiaramente mitologico.

I Pilastri sarebbero stati sorprendentemente silenti sul Gesù storico, esattamente come lo è, a conti fatti, Paolo nelle sue lettere autentiche. Di fronte alla concreta possibilità, mai smentita dall'evidenza neppure una volta, che i Pilastri avessero taciuto sul Gesù storico alla stessa maniera di un Paolo, allora questo equivarrebbe a consegnare tout court il “Gesù storico” al dominio del mito puro e semplice.

Noi non disponiamo di un ipotetico “Vangelo dei Pilastri”, fatto sfortunatissimo che da solo rende probabilistica l'intera nostra speculazione sull'argomento, però un sacco di indizi ci fanno propendere nella direzione che tale ipotetico vangelo dei Pilastri fosse estremamente silente sul Gesù storico alla stessa maniera di quanto lo fu il vangelo predicato da Paolo l'apostolo (come riflesso nelle epistole considerate autentiche).

Vediamo di elencare questi indizi.

Il primo indizio lo riporta Verdi e si spiega da solo:
Accantoniamo dunque Paolo e diamo un'occhiata a un altro scritto neotestamentario, la Prima Lettera di Pietro, per imbatterci in un passo che, a prima vista, pare proprio descrivere la passione:
Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia.
[1 Pietro 2:22-24]

La lettura pare evocare echi del processo, con Gesù silenzioso e oltraggiato. Quanta vaghezza e quanta brevità, però! Se il silenzio di cui si parla è quello di Gesù davanti al Sinedrio o a Pilato, o magari mentre viene maltrattato e flagellato, perché si tace ogni dettaglio al riguardo? Dov'è la via crucis? Dove sono le parole pronunciate da Gesù sulla croce? Dov'è il famoso “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”? Sarebbero stati elementi di grande efficacia!
La risposta è tanto semplice quanto sorprendente: l'autore di questo brano non ha attinto né dai vangeli né dalla propria pretesa testimonianza oculare (visto che dovrebbe trattarsi di Pietro!). Il passo in questione, infatti, assomiglia maledettamente ad alcune parti del cantico del “Servo Sofferente” del capitolo 53 di Isaia, tanto da consentirci di affermare che siamo in presenza di una semplice parafrasi del profeta, come appare evidente nella seguente comparazione:
Prima Lettera di Pietro, 2, 21 segg.
Isaia 53
...poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia.

Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.
...si è addossato i nostri dolori...
...sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca.
... era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.

...il giusto mio servo giustificherà molti...
...egli si addosserà la loro iniquità.

Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
... si è addossato i nostri dolori...
Egli è stato trafitto per i nostri delitti...
il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.
...per le sue piaghe noi siamo stati guariti
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge...


Oggi, gli studiosi sono pressoché concordi nel ritenere che il testo di Isaia non abbia nulla a che vedere con Gesù e ritengono che il “servo di Dio” vada identificato con Israele, che tanto in Isaia viene sovente definito in questo modo. Ciononostante, Isaia 53 (inclusi alcuni versetti del precedente capitolo 52) rimane la profezia preferita dai cristiani, che continuano a vedere Gesù nell'uomo dei dolori. Tuttavia, quel che più conta in questa sede è il fatto che la Prima Lettera di Pietro è attribuita dalla tradizione al principe degli apostoli e, se non lo è (come non lo è!) è stata scritta in epoca successiva, quando i vangeli — secondo la tradizione — circolavano da tempo: perché, dunque, non attingere da essi per maggiori dettagli? Se, poi, davvero l'autore fosse Pietro, perché non ha descritto la passione di Gesù sulla base dei propri ricordi, anziché aggrapparsi al passo di Isaia? Forse pensava che una (presunta) profezia dell'evento fosse più affidabile della sua testimonianza?

(pag. 93-95)

Il secondo indizio è il libro dell'Apocalisse, così anti-paolino nelle sue istanze, e così giudeo-cristiano nella sua rozzezza (che può solo essere sintomo di primitività) che sembra provenire, se non dalla stessa bocca dei Pilastri, quantomeno dai loro diretti seguaci della generazione successiva, gli stessi che testimoniarono con ira repressa e mai sopita la arrogante riottosità di Paolo e dei primi apostoli gentili che all'eredità dell'Apostolo si richiamavano.

Nelle parole del grande miticista Paul-Louis Couchoud:

VALORE DELL'APOCALISSE

L'Apocalisse contiene il segreto del cristianesimo.
È il più antico libro cristiano. Il documento più prezioso che abbiamo sulla nascita del cristianesimo.
Dovremmo definirlo cristiano?
Sì, senza dubbio, poiché, dalla voce di un profeta, riferisce le parole del personaggio celeste che è il vero Dio dei cristiani, Gesù.
Eppure Gesù non ha la figura che gli danno gli altri libri cristiani. Non è né crocifisso né dotato di una vita terrena. Egli è un agnello sul trono di Jahvé, tra i cherubini e gli esseri celesti e lascia il cielo solo per sterminare gli uomini e inaugurare con i suoi eletti il suo regno millenario in una Gerusalemme celeste. Non ha nulla in comune con il Gesù dei vangeli. Si differenzia a stento dal Figlio dell'Uomo, di cui scrive un'apocalisse tutta ebraica, il Libro di Enoc.
Anche la piccola comunità che ammonisce dal cielo è di tipo arcaico. Semi-ebraica per credenze e osservanze, è fanatica nella sua semi-ortodossia. Deve odiare e anatematizzare le comunità più liberate dall'ebraismo: coloro che rivendicano di essere proseliti di Nicola d'Antiochia.
Il veggente dell'Apocalisse ha dato la prima espressione alla fede cristiana. Espressione rude, feroce, sublime. Niente delle sottigliezze di Paolo, niente del sentimentalismo dei vangeli. Odia le persone come Paolo; non prevede i vangeli. Conosce solo i suoi predecessori, i suoi pari: i grandi profeti della Bibbia e i visionari del Libro di Enoc. Emerge sulla soglia del cristianesimo come un gigante solitario.
Canta il cantico terribile dell'Età futura. Profetizza la fine del mondo. La annuncia come del tutto prossima. Questa è la sua buona novella, il suo vangelo. Sullo sfondo nero di domani, fa risplendere l'immagine, più terrificante che consolante, dei risultati divini.
E' rimandata a domani, da secolo a secolo. La profezia, tuttavia, non fu ritenuta smentita. Di età in età è stata riletta, esaminata, interpretata, spiegata, spiegata di nuovo senza regole né misure. Questo è il libro che ha fatto più delirare l'umanità. Quanti secoli ci sono voluti perché gli uomini si stancassero di domandare l'illusorio segreto della loro fine!
Ora gli domandiamo un altro segreto, appena meno impenetrabile, ma che ci può svelare. Esso non è nel futuro. È immerso in un passato oscuro. Più di ogni altro scritto, il poema barbarico del profeta Giovanni nasconde e può consegnare il grande segreto delle origini del cristianesimo.
Non una riga può essere presa ancora per una relazione storica. Non pretende di raccontare e in realtà racconta solo gli eventi che non hanno ancora avuto luogo. Se fornisce altre informazioni, è per puro caso, senza intenzione e senza la sua conoscenza.
In questo merita giustamente la fiducia di uno storico.

(Paul-Louis Couchoud, L'Apocalypse, Éditions Bossard, 1922, pag. 7-10, mia libera traduzione)
Perché dunque l'Apocalisse è così importante? Perché ci consegna, anche se fu scritto dopo il 70 E.C., lo specchio probabilmente più simile e più fedele di come sarebbe stata lanciata l'anatema, contro il gentilizzante Paolo, da parte dei giudaizzanti Pietro, Giacomo e Giovanni, i famigerati Pilastri, a seguito o forse anche prima del famoso “incidente di Antiochia”. In risposta ovviamente all'anatema lanciato a sua volta da Paolo contro di loro in Galati 1:6-9, il cui disgustoso fanatismo, in barba a qualsiasi morale “cristiana”, il Verdi tende giustamente a sottolineare ai suoi lettori:
Una volta posto l'assioma secondo cui il messaggio da lui predicato era di origine divina, per Paolo fu facile sostenere che esso era l'unico possibile e che, quindi, tutti gli altri “vangeli” erano falsi:
“Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!...
[Galati 1:6-9.]

Paolo, dunque, non esista a scagliare maledizioni su chiunque la pensi diversamente da lui: ecco, in nuce, la misericordia e l'amore cristiano, che non mancherà di prevaricare, sterminare e censurare per due millenni.
Chi sono questi “falsi predicatori” a cui Paolo allude? Il riferimento è chiaramente indirizzato alla cerchia dei più stretti seguaci di Gesù, che evidentemente tentavano di diffondere la verità vera. Appare qui in tutta la sua chiarezza come la tradizione abbia cercato di edulcorare al massimo la battaglia condotta contro Paolo dai seguaci di Gesù, riducendola a una semplice disputa sulla circoncisione, sulle norme alimentari e sulla Legge, mentre si trattava della lotta senza quartiere contro un uomo che, per quanto geniale, era e rimaneva un visionario o, peggio, un mentitore. Non è un caso, infatti, che Paolo debba sovente ricorrere all'affermazione “io non mentisco”: è la prova più lampante di quanto numerose dovettero essere le accuse di falsità piovutegli addosso.
Il testo in cui Paolo si scaglia con maggiore veemenza contro i propri avversari è la Seconda Lettera ai Corinzi, nella quale li definisce ironicamente “superapostoli” e li accosta addirittura a Satana.
Nelle lettere ai Corinzi e ai Filippesi, Paolo si occupa più dettagliatamente di quelle discordie che già dividevano il nascente universo cristiano e, a tale riguardo, fa un chiaro riferimento alla sua fazione e a quella legata agli apostoli. Paolo accusa i propri avversari di predicare un Gesù non rispondente alla verità e, quindi, un altro messaggio, e non esita a sostenere che essi siano spinti soltanto da invidia e odio. Da parte sua, egli non si fa scrupolo di definirli “mutilati”, alludendo con chiaro disprezzo alla circoncisione; inoltre, afferma che tutti i seguaci di Gesù lo accusavano di essere ipocrita e pazzo, pronto a falsare la dottrina di Gesù e, addirittura, a commettere truffe finanziarie, spingendosi al punto di fare di lui l'oggetto di oltraggi e umiliazioni.

(pag. 68-69, ho omesso le note)

(questa descrizione di Paolo tentata dal Verdi —e più di uno, probabilmente lo stesso Verdi!, dubiterà che si tratti solo di una mera coincidenza — ricorda il ritratto di Simon Mago consegnatoci dalla tendenziosa tradizione proto-cattolica)

Ebbene,
sfido chiunque a negare che il Gesù dell'Apocalisse sia totalmente mitologico, e privo del tutto di qualsiasi connotato degno di un “Gesù storico”. Eppure, prima di maledire qualcuno, i cristiani di solito si appellano alle ipsissima verba del loro “Gesù storico”. Perfino al giorno d'oggi, si prenda un brano di Antonio Socci contro il pontefice regnante, e si intuisca l'utilità di avere un dizionario sacro delle “parole di Gesù” a portata di mano:
“Con queste idee il cattoprogressismo vuole essere più misericordioso di Dio e di Gesù stesso che invece nel Vangelo descrive con parole terribili le pene dell'inferno. Ecco il senso della misericordia bergogliana: superare quella di Gesù.”
(“Così Papa Francesco smentisce Scalfari ed evita il processo dei cardinali”, articolo di “Libero” del 1 aprile 2018, mia enfasi)


Il terzo indizio è determinante, e a mio giudizio è sufficiente, assieme ai primi due, a far ritenere che il vangelo dei Pilastri ruotasse attorno ad un Gesù mitologico del tutto simile a quello celestiale di Paolo (perfino se si trattava ovviamente di un Gesù difensore della Torah e non, come per l'Apostolo dei gentili, liberatore dalla stessa). Nelle parole di Richard Carrier:


Paolo avrebbe dovuto evitare di parlare del Gesù storico, e quindi è per questo che non ne parla.
Questo argomento, sebbene tipico, non ha mai avuto alcun senso. Se c'era un problema del genere, Paolo non poteva evitare di parlarne. Perché gli sarebbe stato gettato in faccia costantemente, costringendolo a confutarlo e superarlo costantemente. E questo è solo un inizio delle ragioni per cui sarebbe stato costretto ad agire così. Ne discuto in maniera più approfondita nel capitolo 11 di OHJ. In effetti, l'assenza della minima consapevolezza da parte di Paolo che questo fosse perfino un problema, e il suo mai dover rispondervi, è una prova contro un Gesù storico.
(mia libera traduzione da qui)

E così questa è la non trascurabile differenza che mi divide da Verdi: lui sembra non volersi esprimere su quale Gesù fu predicato dai Pilastri che precedettero Paolo e che probabilmente dettero origine al culto. Rimane sostanzialmente agnostico sulla materia. Io invece, ritengo di aver spiegato a sufficienza le mie ragioni per fare a meno di quell'agnosticismo in favore piuttosto di una più netta presa di posizione scettico-minimalista: i Pilastri probabilmente ostentarono lo stesso silenzio di Paolo nei confronti di un ipotetico Gesù storico, e così la più probabile spiegazione del loro silenzio intorno a un Gesù storico — al pari di quello di Paolo — è che probabilmente un Gesù storico non è mai esistito.

Un altro punto che mi vede in sintonia con Verdi è nella condivisione del suo medesimo timore — senza peraltro che si traduca mai in certezza — che le lettere di Paolo (così preziose nel far pendere la bilancia delle probabilità nettamente a favore del miticismo, se autentiche) non furono scritte da lui. 
Tutto quello che abbiamo enunciato fin qui su Paolo e sul suo operato rimane, evidentemente, da prendere con la dovuta cautela. Appare legittimo, infatti, mettere in dubbio la storicità di un uomo che abbia realmente svolto quel ruolo nella divinizzazione di Gesù e nella diffusione del cristianesimo, visto e considerato che nessuna fonte extrabiblica nomina quest'individuo e che neppure Giuseppe Flavio, pur scrivendo alla fine del I secolo, spende una sola parola per il nascente movimento cristiano e per le gesta di Pietro e Paolo, sicuramente eclatanti se dobbiamo credere al racconto degli Atti degli Apostoli.
Paolo, dunque, è stato un personaggio reale? Oppure dietro il suo nome si nasconde un altro autore (ad esempio Marcione, come qualcuno ipotizza), se non un'intera corrente di pensiero, quella che gettò le basi dell'ortodossia cristiana?
Il dubbio è legittimo, ma si tratta di un'altra storia.

(pag. 83, mia enfasi)

Problema aimè irrisolvibile e che da solo è capace di gettare una sottile vena melanconicamente pessimista sul nostro grado di confidenza nel “vedere ciò che vediamo” a proposito di “antica letteratura cristiana”.


A questo proposito, l'unica timidissima (!) alternativa a mio parere relativamente plausibile, se davvero fu l'eresiarca Marcione l'autore dell'epistola ai Galati (non interpolata), e non uno storico Paolo, è quella esposta dal critico radicale Stuart Waugh, secondo cui l'“altro vangelo”, verso il quale “Paolo”/Marcione scaglierebbe l'anatema nell'“epistola”, sia proprio il vangelo (finto giudeo-cristiano, ma autentico proto-cattolico) di Matteo. In tal caso, io concorderei davvero con Verdi: veramente “si tratta di un'altra storia”

Ma ecco, questo è per quanto riguarda l'uomo chiamato Paolo.

Per quanto riguarda la successiva letteratura cristiana post-paolina, e in particolare i vangeli, come posso non concordare con Verdi quando scrive:
Per mezzo delle profezie, infatti, fu inculcata l'idea che la crocifissione fosse stata prevista dalle scritture e che, quindi, facesse parte del progetto divino; in parole povere, presentare la morte di Gesù come il risultato del volere di Dio e non come il fiasco di una missione terrena rendeva possibile rintuzzare lo scherno di cui sarebbe stato ricoperto il mancato messia.
(pag. 136, mia enfasi)

Qui Verdi è, per chi sa leggere, davvero lungimirante, degno di un encomio profondissimo da parte mia, per l'uso finale del condizionale nell'ultima frase. Coerentemente alla mia ipotesi personale circa chi scrisse il Più Antico Vangelo, io aggiungerei all'ultima frase (in distinto grassetto maiuscolo):


...rendeva possibile rintuzzare lo scherno di cui sarebbe stato ricoperto il mancato messia
PROPRIO DA PARTE DI QUEI CRISTIANI (!) CHE NON RITENEVANO GESÙ IL “CRISTO” E IL “RE DI ISRAELE” (dal momento che, essendo lui per costoro venuto “non nella carne” — si legga 1 Giovanni 2:22 e 1 Giovanni 4:3 —, non sarebbe giammai potuto essere “della stirpe di Davide).

Il lettore capirà a quale possibilità mi riferisco: ovvero alla possibilità del fatto che Gesù fosse stato già evemerizzato nel frattempo, e prima ancora che da “Marco”, proprio da una qualunque delle sette gnostiche cristiane, nell'unica maniera consentita a degli gnostici fieri odiatori del dio degli ebrei, ossia dipingendo Gesù come solo apparentemente il Messia ebraico (agli occhi degli stessi ciechi ebrei!), ma in realtà il Messia di un Dio straniero.

Sto proponendo qualcosa di molto simile, insomma, a quanto il Verdi riporta per le sorti subite da proto-Luca, aka Mcn:
È degno di nota ricordare che, secondo alcuni studiosi, non fu Marcione a scrivere il suo vangelo modificando Luca, ma, al contrario, l'autore di Luca lesse il testo di Marcione (o, quantomeno, l'ipotetica fonte da cui questo fu tratto) e ne trasse il suo vangelo. L'idea fu lanciata per la prima volta nel 1881 da Charles B. Waite, seguito nel 1942 da John Knox (in Marcion and the New Testament); infine, nel 2006, nel suo libro Marcion and Luke-Acts: a defining struggle, lo storico del cristianesimo Joseph B. Tyson ha sostenuto che non solo Luca, ma anche gli Atti sarebbero risposte a Marcione, sovvertendo anch'egli l'opinione tradizionale secondo cui il vangelo di Marcione sia una riscrittura di Luca.
(pag. 156, nota 163) 

Verdi sembra auspicare che venga abbandonata, se non la fede nel Gesù storico (che rimane, con tutte le migliori e peggiori intenzioni, comunque un mero articolo di fede) almeno la fede parimenti sospetta nella datazione tradizionale dei vangeli, cocciutamente intenta a fissare il più antico di essi addirittura a qualche anno prima del 70, in favore invece della datazione del primo vangelo intorno al 110 E.C., caldeggiata dallo stesso Verdi, che nel redigerla tiene conto dell'imbarazzante silenzio sullo stesso Più Antico Vangelo, e non solo sul “Gesù storico”.

Il Verdi mostra a pag. 113 l'immagine di un amuleto del terzo secolo che reca una figura crocifissa.



Non Gesù, ma Orfeo Bacchico. Questo dimostra che la croce era un simbolo mitico. Era anche uno strumento di tortura romano. La crocifissione come prova che Gesù è storico, una “prova” che, secondo i folli apologeti cristiani, sarebbe schiacciante, evapora rapidamente. Piuttosto, la crocifissione, seguita dalla resurrezione dai morti, supporta l'ipotesi secondo cui il vangelo è il mito del dio che muore e risorge.

Com'è possibile che sia stata concepita una biografia sulla Terra – sempre ammesso che si possa chiamarla “biografia” – per questo angelo ebraico morente e risorgente? E com'è possibile che sia stata poi presa alla lettera? Il Verdi spiega: 
Fu così che, in un momento non facile da individuare con precisione, ma che si colloca probabilmente tra la fine del I secolo e l'inizio del II, le comunità cristiane iniziarono a mettere per iscritto svariati resoconti delle gesta di Gesù e, soprattutto, a dare una biografia a quell'uomo altrimenti così avulso dal tempo e dallo spazio e a collocarne l'evanescente figura in un contesto storico credibile.
(pag. 147, mia enfasi)

La dura alternativa che si presentava di fronte al primo evemerizzatore era:


o storicizzare Gesù,

...oppure perderlo davvero, al tramonto drammatico ma inevitabile dell'entusiasmo mistico-allucinatorio originario di Paolo e dei primi cristiani.

L'ignoto evemerizzatore (gli anonimi autori di proto-Marco) optò per la prima soluzione. 

Combinando l'antico mito della morte e resurrezione dell'uomo-dio con le aspettative ebraiche della comparsa di un Messia storico, gli autori del Più Antico Vangelo avevano compiuto un passo senza precedenti, di cui non potevano prevedere le conseguenze. Eppure l'inizio contiene già la fine. Il Messia, secondo le Scritture, sarebbe stato un salvatore storico, non mitico. Era inevitabile che la vita di Gesù/Giosuè avrebbe dovuto essere collocata nella Storia reale, e per di più recente, al punto di contatto tra (quello che sembrava) passato ebraico e (quello che appariva) futuro gentile. È successo che quello che era iniziato come un mito senza tempo dell'ennesimo salvatore che muore e risorge ora rassomigliava a un documento storico di un particolare evento nel tempo. Una volta che accadde, emerse una religione di un nuovo genere – una religione basata sulla Storia “reale”, non su un mito, basata sulla fede cieca in presunti eventi piuttosto che su una conoscenza mistica di allegorie mitologiche, una religione basata su misteri essoterici “oggettivi” anziché su misteri nascosti, un involucro senza sostanza, una forma senza contenuto, una fede senza conoscenza.

In conclusione, penso che quello di Verdi sia un libro davvero ben degno di leggere per chi non mastica l'inglese e non può leggere OHJ di Richard Carrier, oppure per chi, pur conoscendo l'inglese, anche se già a conoscenza di OHJ, gradirebbe tuttavia sentire una piacevole voce italiana nell'atto di proclamare candidamente (e soprattutto, con cognizione di causa) che il “re è nudo”, ossia che:

Per un credente, in effetti, il semplice fatto di porre in dubbio la storicità del Gesù dei vangeli suonerà irriverente. Tuttavia, un pizzico di buon senso e di rigore, uniti all'imprescindibile verifica delle fonti, ci porterà in maniera pressoché ineluttabile a questa conclusione...
(pag. 15)
CONCLUSIONE 

Questa volta sono soddisfatto di vedere pubblicato, dopo l'ultima volta fin troppo remota, un vero libro miticista italiano, e finalmente questo fatto non risveglia in me nessuna delle frustrazioni che mi avevano turbato fino a solo qualche giorno prima, e mi riferisco a quell'indifferenza odiosamente italica alle migliori idee provenienti dall'estero, tra queste non da ultimo la messa in discussione, condotta criticamente sugli stessi cosiddetti “testi sacri”, dell'esistenza storica dell'uomo Gesù. Adesso quello che vedo è soprattutto l'assenza di un buon argomento storicista in difesa del chimerico ed evanescente “Gesù storico”: non esiste più nessuna differenza tra ciò che era il Gesù dei primi cristiani e ciò che erano gli altri dèi pagani che muoiono e risorgono, o la loro comune concezione immacolata, o il loro comune riscatto dal mondo, dalla carne e dalla morte, o l'anima agitata e sconvolta spinta confusamente verso il soprannaturale dei loro adoratori.

Perché il cristianesimo era soltanto una forma tra le altre di religione misterica che il mondo ellenistico manifestava ed esprimeva di continuo, non soltanto in Egitto, in Grecia, a Roma, in Frigia, in Siria, o in Tracia, ma anche nella remota Giudea. E la crocifissione di Gesù, che io avevo sempre considerato l'evento più storico della propaganda cristiana, non è altro che un MITO, al pari della morte di Dioniso, Tammuz, Osiride, Attis, Demetra, Talmoxis, ecc., un involucro senza sostanza, una forma senza contenuto, una fede senza conoscenza.