domenica 18 dicembre 2016

Sulla grande cospirazione contro i primi “fratelli del Signore”


AVVENIRE: Paese conosciuto dai geografi spirituali dove Dio pagherà di certo, alla scadenza, tutte le lettere di cambio dei suoi messaggeri o intermediari. Non risulta, fino ad ora, che abbia lasciato protestare le lettere dei suoi uomini d'affari: sono, come è noto, pagabili sempre, senza scadenze.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Dio non è quell'essere da voi tutti immaginato, ma quel principio che precede increato innanzi al tempo, capace attraverso i suoi disegni ordinati e preordinati di trarre la luce dalle tenebre.
David Lazzaretti
Pericoloso è per il cervello non attrezzato avventurarsi nel mare dell'ignoto.
Friedrich Nietzsche

I primi “fratelli del Signore” non avevano un'immaginazione di cui poter disporre con facilità. Ogni volta che tentavano di immaginare un messia tutto ciò che riuscivano a vedere era “Cristo Gesù”: un angelo rarefatto nel bagliore della sua apparizione. Una volta a quasi 500 di loro gli riuscì di vedere nello stesso istante il Cristo risorto... ...e il suono di una voce celeste che non avevano intenzionalmente evocato. Ma in pochi secondi tutto ciò si era dissipato, lasciando una silenziosa distesa di vuoto.

Questo handicap tuttavia, per quei primi “fratelli del Signore”, era tutto meno che una frustrazione o una delusione. Non metteva spesso alla prova la perseveranza della loro fede, perchè in qualche modo erano consapevoli che il messia Gesù, l'arcangelo Cristo, sarebbe finalmente arrivato nel più breve tempo possibile, quando meno perfino loro — loro che erano attenti e vigili e pronti all'imminenza della sua prima venuta sulla Terra, a differenza di tutti gli altri — se lo sarebbero aspettato.

Comunque, c'erano anche altri sistemi per rimediare all'altrimenti monotona sequenza di apparizioni fugaci e di sparizioni repentine dell'angelo Gesù di fronte ai loro occhi. Ne abbiamo già visto uno in quel fanatico fervore apocalittico nell'imminenza della Fine, fervore del tutto comune per quei tempi travagliati. Eccone ora un altro.

Questo secondo metodo consisteva in una specie di contraffazione artistica, o meglio un'ispirazione, un avvistamento e un ascolto, per descriverla coi termini che i primi “fratelli del Signore” preferivano. E cos'era la fonte di quell'ispirazione, di quell'avvistamento, e di quell'ascolto? In molti casi non c'era modo di saperlo: per lo più anonimi autori di vecchi libri sacri, antiche profezie sul punto di venire dimenticate per sempre. I “fratelli del Signore” ricercavano senza posa in quella vasta letteratura sacra, nei libri dell'Antico Patto come li definivano, ogni profezia o predizione o prefigurazione, da qualsiasi scrittura potevano provenire, purchè avvistassero nel loro linguaggio di enigmi e segreti la voce stessa del Figlio. Infatti, tanto più disparate erano le origini di quelle scritture, tanto meglio assolvevano ai loro propositi: poichè i “fratelli del Signore” riuscivano a percepire la voce del Figlio perfino attraverso il passo più remoto e irrilevante delle scritture, intravvedevano la profezia del Figlio perfino nella rappresentazione parimenti antica di un Servo sofferente di cui non avevano mai sentito parlare, così da proiettarla diligentemente verso per verso sull'immagine mentale che avevano del loro celeste messia risorto; e per finire, da pagine ancora più antiche ed esoteriche di quelle antiche scritture, i “fratelli del Signore” rammentavano con la più scrupolosa fedeltà la visione che un antico e nobile profeta aveva avuto di demoni e diavoli dell'aria nell'atto di lanciarsi su una povera vittima indifesa per crocifiggere su un albero il Figlio di Dio, “senza sapere chi è” (Ascensione di Isaia 9:14).

Questo era il metodo e questi i risultati dei loro avvistamenti in quelle antiche e sacre scritture, che i “fratelli del Signore” ritenevano non collaborassero affatto con loro ma piuttosto con il loro supremo arcangelo celeste, presagendone come per magico incanto la futura ordalia di morte e resurrezione. Loro non erano che gli eredi di immagini perdute del Figlio e ora ritrovate. Erano i loro resuscitatori, i loro evocatori, i medium sotto i cui occhi scrupolosi e attraverso le cui visioni e rivelazioni si verificava lo svelamento di verità ultime e misteri profondi, celati al resto dell'umanità dal principio del mondo e che solo ora precipitavano fuori dagli anni passati per manifestare l'oggetto dei loro sogni: il volto impersonale dell'arcangelo celeste “Gesù Cristo”, il cosmico Figlio di Dio.

E ai primi “fratelli del Signore” sembrava del tutto naturale che, come avviene a tutte le cose, persino i fenomeni più misteriosi e inviolabili da loro intravisti avrebbero alla fine trovato la via per passare dai loro sogni alla realtà di tutti, dalle loro esclusive e privilegiate visioni alla manifestazione piena e reale di fronte all'umanità intera.
Appena prima della distruzione totale di questo mondo e dei suoi malefici dominatori.

I “fratelli del Signore” continuarono così per qualche tempo, il tempo di un'intera generazione. E continuavano così pure nella divisione che il tempo, il fato o la necessità avrebbero inevitabilmente generato tra loro.

E ora spostiamoci un attimo per cogliere in realtà la differenza tra due momenti diversi, posti rispettivamente all'estremità di un lasso temporale così lungo da coprire almeno lo spazio di una o due generazioni rispetto ai primi “fratelli del Signore”. E osserviamo cosa capitò ad un gruppo di “fratelli del Signore” e apostoli del Cristo di un qualche imprecisato punto del bacino orientale del Mediterraneo, almeno 40 anni dopo la nascita della loro confraternita misterica: precisamente quando trovò attenzione la prima volta presso di loro una storia che non avevano mai udito prima d'allora, intitolata “INIZIO DEL VANGELO DI GESÙ CRISTO FIGLIO DI DIO”.

Se non fosse che in quella storia si stava parlando del loro
“Gesù Cristo”, non si sarebbero sentiti al tempo stesso dispiaciuti e leggermente sollevati dall'idea di poter apprendere circa un profeta leggendario e sapere le sue parabole fittizie... ...quando fu sulla Terra a predicare.

Chi era “Gesù Cristo”, allora, per quel racconto? Cosa? Dove e quando? Stando a quella storia, il nome poteva benissimo essere stato quello di un vero profeta, vivente nel recente passato appena 30 anni prima, “nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, quando Ponzio Pilato era governatore della Giudea” (Mcn 1:1), e la cui fama arrivava — su voci e ricordi mai definiti come tali nel racconto eppure pretesi a voce di essere tali da chi stava distribuendo loro quella storia — dalla Galilea, dalla Giudea e da Gerusalemme. Questa figura di profeta era associata da quella storia ad una vaga dolorosa tragedia: taumaturgo eccellente e figura che in Israele godeva del massimo rispetto e della massima notorietà, un giorno venne condannato dal Sinedrio e crocifisso dal governatore romano per una qualche ragione non meglio specificata. Dopo la morte resuscitò in Galilea dei gentili per esercitare la sua predicazione in maniera completamente nuova, in chiave del tutto diversa rispetto a prima della morte. O almeno così faceva intendere lo strano ed enigmatico finale di quell'incredibile storia.

Quando finirono di ascoltare quella storia, quei “fratelli del Signore” e quelli apostoli del Cristo videro che il lavoro che intendevano fare, per qualche strano miracolo, era già stato fatto. Loro erano ansiosi di predicare alle genti l'imminente prima venuta di Gesù Cristo sulla Terra, allo squillare della tromba, quando loro stessi sarebbero saliti in cielo abbandonando i loro corpi materiali sulla Terra, proprio come fece il loro più riverito apostolo, l'uomo chiamato Paolo, e come Paolo stesso aveva promesso loro. Non era ciò la ragione stessa per cui Paolo li aveva spinti a predicare in tutte le lande desolate dell'Impero? Eppure quel Cristo Gesù, che sarebbe dovuto arrivare sulla Terra nell'immediato futuro — e guai a chi avrebbe perduto quella fede sotto le persecuzioni e gli ostacoli di Satana — stando a questo nuovo “vangelo” era già stato sulla Terra, ma non doveva esservi stato. La nuova storia che avevano tra le mani sarebbe dovuta appartenere al genere di antiche scritture da dove loro solevano tratteggiare e attingere la voce del Figlio e il suo volto impersonale,  andando mai “non oltre quello è scritto”, proprio come aveva rassicurato l'apostolo, l'uomo chiamato Paolo (1 Corinzi 4:6), eppure era evidente che quella storia apparteneva a qualcosa che non avevano mai conosciuto, qualcosa che non sarebbe dovuto essere. E che pure era lì.

Perchè allora quei “fratelli del Signore” e quelli apostoli del Cristo si ritrovavano ad ascoltare la storia strana e incredibile, mai udita prima d'allora, di un Gesù “che fu chiamato Cristo” in Terra di Giudea, e quale altra mano d'artista aveva collaborato?

Se l'entusiasmo della rivelazione non li avesse motivati a tal punto, se non avessero avuto tutti quei sogni perduti e ora ritrovati che li sibilavano dentro, forse quei “fratelli del Signore” e quelli apostoli del Cristo avrebbero persino subodorato l'inganno di cui stavano per diventare vittime, visto che non avevano potuto fare a meno di notare quell'improvviso cambiamento nel concetto di Gesù che quella storia pretendeva di dare loro.

Ma forse erano troppo entusiasti per poterla contrastare, o forse nel loro più segreto intimo quella nuova e strana storia procurava loro un sollievo ad un'ansia che non avrebbero altrimenti mai sopito, se soltanto avessero continuato a fare come avevano sempre fatto, esperire l'arcangelo Gesù unicamente con la sola forza della mente.

E così, in quella notte della ragione nella quale erano sprofondati, una notte bianca come l'inverno, non si sarebbero certamente destati se non fosse stato per l'arrivo di qualcuno a reclamare il conto. E la voce di quel qualcuno ripeteva in tono asciutto e istituzionale, come un martello:
“Il resto di voi può pure continuare ad avere le loro visioni, ma noi abbiamo il reale deposito della verità. Divertitevi pure con i vostri oracoli. Noi abbiamo la chiesa. Noi abbiamo un oggettivo Gesù che morì e resuscitò nella carne e non apparve in diverse forme simultaneamente a parecchie persone, comunicando loro cose differenti”. 

Poi lo stesso protagonista della nuova storia, di cui quel qualcuno reclamava con voce dura il possesso esclusivo e legittimo, mutò drasticamente d'aspetto in una nuova storia:
 I suoi occhi erano come fiamma di fuoco. I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al fragore di grandi acque.  Teneva nella sua destra sette stelle e una spada affilata a doppio taglio usciva dalla bocca...
(Apocalisse 1:14-16)

...e con quella “spada affilata a doppio taglio” cominciò il suo lavoro, somministrando a quei dormienti il suo rimedio miracoloso.

 

Alla fine furono alcuni atei a ritrovare quei dormienti, o quel che ne restava di loro, dopo circa 2000 anni, anche se si ebbero alcune difficoltà nell'identificazione di quello che giaceva nell'evidenza sopravvissuta. Ciò che scoprirono non fu creduto dai più.

I negatori dell'esistenza storica di Gesù sono tuttora considerati elementi radioattivi dal consensus di teologi e apologeti sotto mentite spoglie di “esperti”. E tenuti debitamente alla larga, loro e la storia che hanno cercato di ricostruire, nel dubbio reame delle moderne leggende metropolitane.

Eppure, a dispetto di tutto, la voce di chi conosceva la verità sul conto di Gesù Cristo — che egli non esistette mai sulla Terra, ma fu solo un arcangelo del cielo — sarebbe continuata a risuonare di nuovo e ancora di nuovo (per mano degli stessi ignari della verità)...

... tutte le volte che dai pulpiti delle chiese si sarebbe letto ad alta voce un passo dalle lettere autentiche dell'uomo chiamato Paolo.

venerdì 9 dicembre 2016

Antica storia dell'angelo Gesù

SETTE: Branche e rami diversi che si dipartono dal tronco di una stessa religione. Il tronco si chiama religione dominante. Questo tronco è perpetuamente impegnato a scrollare i propri rami, così che spesso barcolla anche lui; d'altronde, è piantato su un terreno di sabbia. Se i principi non vi mettessero mano, immancabilmente cadrebbe.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Satana, condannato a una condizione di vagabondo, di girovago, di nomade, non ha una dimora sicura; pur avendo, infatti, come conseguenza della sua natura angelica, una sorta d'impegno sulla distesa liquida o sull'aria, è tuttavia sicuramente parte del castigo il suo essere... privo di un luogo, o di uno spazio, fisso su cui gli sia concesso posare la pianta del piede.
    (Daniel Defoe, The History of the Devil)

 Io sono e chi egli sia nol so, ma sono

Colui che esser dovrò, chi ero in prima.

Ma prima me non conoscevo me stesso

Ma or che conosco me non so chi egli ero,

E Colui che era in me non è più meco,

Perché or son Seco a chi con me prim'era

Ed essendo io seco opro con Seco,

Ed egli opra con me com'io opro in Lui,

E Lui opra con me come in se stesso,

Per cui me stesso opro in voler di Lui.  

(David Lazzaretti)


Se credere nel soprannaturale è pura superstizione, non si può negare il senso del soprannaturale. E quel senso è spesso uno dei sintomi di coloro che sono psicologicamente perturbati. È il senso di ciò che non dovrebbe essere all'ennesima potenza, il senso dell'impossibile che i primi apostoli del Cristo sperimentarono nelle loro visioni e che il visionario conosce quando è sveglio. Non che il resto degli ebrei e dei non-ebrei fossero immuni dall'essere colti da rivelazioni ultraterrene, poichè anche loro avevano un cervello. E, dove c'è un cervello, c'è anche pronta una vittima, a volte anche ben disposta, di fantasie oltre il confine dell'esistenza quotidiana. Specie quando si impongono, a suon di tendenziosa propaganda e tramite la menzogna, gli effetti stessi partoriti da una superstizione marginale, nella forma di una chimerica montatura — “Gesù Nazareno” —, confermando la creduloneria della coscienza umana pure quella volta che la sensibilità razionale degli stupidi hoi polloi fu esposta a insane fantasticherie predicate, vendute e propagandate da fanatici come verità “autoevidenti”.

Dopotutto, non c'è nulla di più sconcertante della vista di un'umanità così misera che giunge a credere veramente all'esistenza di un uomo che riemerge dalla tomba, che cammina sulle acque, che moltiplica pani e pesci, che resuscita i morti, che legge nei pensieri altrui, che insegna “come uno che ha autorità” (Marco 1:22), che viene crocifisso dal governatore romano in persona senza che si sappia mai la vera ragione, che non lascia nessuna traccia di sè tra i suoi presunti contemporanei, perfino tra chi lo avrebbe amato tantissimo al prezzo della propria stessa vita, che sarebbe ricordato in vita unicamente per ciò che avrebbe fatto dopo morto, e soprattutto, che può indossare di epoca in epoca una maschera di carta dietro la quale si nasconde il proprio vero nulla.

Com'è possibile spiegare, quindi, il repentino succedersi di eventi, la conversione notturna che spinse un minuscolo gruppo di ebrei di Gerusalemme a vedere, loro soltanto, il Messia Risorto, “Cristo Gesù” ?

Come risposta propongo l'esistenza di un moto oscuro nelle anime e nei sogni di quei primi futuri apostoli del Cristo.

La misteriosa rivelazione da loro esperita, spiegata in tal modo, perde un poco del suo mistero. Dobbiamo accettare tutti, o perlomeno solo noi atei, il fatto che alcuni uomini della Giudea del I secolo erano stati posseduti da un comune fantasma, e che certe idee visionarie si erano a poco a poco costruite e avevano trovato dimora stabile nella profondità di ciascuno di loro diventando parte della loro marginale esistenza al punto che tutti loro, nello stesso momento, decisero che le loro vite non potevano più rimanere com'erano sempre state.

Quando, per la prima volta, nacque l'idea di aver trovato la voce del Messia nelle scritture, i più zelanti e impazienti furono i Pilastri di Gerusalemme: Cefa, Giacomo e Giovanni. Perchè proprio loro avevano esperito la rivelazione più forte, vivendo a stretto contatto visivo con la sorprendente apparizione di un arcangelo celeste.

Sebbene fossero pochi gli apostoli inclini a parlare di tali esperienze, quasi tutti i più antichi “fratelli del Signore”, guardando in cielo o nelle scritture, avevano avuto visioni del genere che non si sentivano di negare. E quante strane cose vennero alla mente a causa di esse. Ognuno di loro, con gli occhi dell'interiorità, aveva spesso la vaga impressione di vedere lo stesso rarefatto arcangelo celeste Gesù Cristo prendere dimora tra loro stessi, in loro stessi.

La maggior parte di loro aveva visto quell'angelo proibito, portando per sempre il ricordo di quell'incredibile rivelazione. Col passare degli anni confrontarono le loro esperienze rivelatorie e arrivarono ad accumulare una conoscenza delle scritture, dietro cui affiorava di nuovo e di nuovo la stessa voce del Figlio di Dio, da crederne impossibile un ulteriore incremento.

E non molto tempo dopo le prime visioni e rivelazioni dell'arcangelo Gesù nella comunità originaria di Gerusalemme, l'uomo chiamato Paolo venne a farvi visita.

Degli apostoli non vide
nessun altro (Galati 1:19): avevano quasi tutti spiccato il volo a predicare il “Cristo Gesù” tra ebrei e pagani. Vide solo l'apostolo Cefa, e solo fratello Giacomo a fare da testimone del suo incontro con il fondatore stesso del culto. Dal quale l'uomo chiamato Paolo riuscì ad ottenere l'agognato riconoscimento della legittimità delle sue rivelazioni personali: anche lui, dunque, aveva visto veramente l'arcangelo Gesù, il Signore della gloria. Paolo sapeva che questo è vero, perchè fu testimone di un fatto, lui solo, che provava ciò che diceva.

I primi apostoli del Cristo non si videro mai come li vedevano il resto degli ebrei e i pagani — come anime possedute da demoni o come folli degenerati — ma come esseri che avevano stretto una strana alleanza con altri ordini di esistenza, che avevano dentro di loro una particella di un angelo eterno, un dorato barlume di divinità che secondo l'uomo chiamato Paolo poteva essere incrementato. Di conseguenza, la sua ambizione lo portò ad agire per esasperare quell'intima convinzione in tutti i suoi seguaci, concedendola di vivere di vita propria. E ottenne questo effetto al costo di sradicare completamente quanto del rispetto per le antiche tradizioni religiose era rimasto in quella gente: la Torah non era più strettamente necessaria per la salvezza, perfino se l'apostolo stesso vi si atteneva ancora.

Ma con la morte dell'uomo chiamato Paolo quella singolare magia che egli vedeva negli occhi dei suoi seguaci sembrava svanire a poco a poco. Il rischio era che i nemici di Paolo, il “partito dei circoncisi”, ne avrebbero approfittato, per imporre nuovamente tra di loro il rispetto incondizionato di tutte le antiche tradizioni, se soltanto avessero voluto continuare a proiettarsi ancor più avanti nell'assoluto, nel reame dell'arcangelo Gesù, nella fervente attesa della Gerusalemme celeste, allo stesso modo che permetteva di fare loro l'uomo chiamato Paolo, quando ancora tra loro.

Allora, per reazione, gli accoliti di una particolare confraternita fondata da Paolo misero in opera il loro piano segreto, consistente nel raccontare una particolare storia ai neoconvertiti alla fede in Cristo.

Si trattava di raccontare la tragedia sovrannaturale dell'arcangelo celeste Gesù scrivendo una breve storia — la prima storia intorno ad un inesistente “Gesù Nazareno” —, ma per quanto fecero, non riuscirono a raggiungere un climax di fantasia e intensità che rendesse giustizia al grado cosmico della sofferenza, morte e resurrezione dell'angelo Gesù, almeno per come esperite dall'uomo chiamato Paolo.

In compenso, quella storia i nuovi “fratelli del Signore” l'avrebbero dovuta prendere alla lettera, se desideravano davvero diventare membri della famiglia cosmica del Signore.
I nuovi adepti seppero così di questa storia quando erano stati appena iniziati alla confraternita, ma non così iniziati da comprendere la profondità del mistero riservato ai soli accoliti “perfetti” della confraternita.

Il segreto era che non fu quella storia a convincere i
“perfetti” dell'esistenza di Gesù: quella storia erano loro ad averla fabbricata.

Il risultato fu che quella storia convinse altri della sua verità letterale, e ormai divenne troppo tardi perchè qualcuno potesse scoprire la reale verità: la leggenda dell'inesistente “Gesù Nazareno” aveva cominciato a prendere una vita sua propria, e presto sarebbe sopraggiunto il tempo in cui tutti avrebbero creduto alla sua esistenza “storica”, perfino i suoi nemici.

Eppure qualcosa dell'antico mito originario sarebbe riuscito comunque a sopravvivere, pur nella forma velata ed enigmatica di parole criptiche dal contenuto oscuro perfino a chi li ripeteva meccanicamente a voce o per iscritto. Parole che mantennero la promessa fatta a suo tempo dall'uomo chiamato Paolo: quando sarebbero stati pronti a capire, non più come bambini ma come adulti, si sarebbe infine parlato di certe cose.

Cose come queste:
Il venerdì in cui fu appeso all'ora sesta del giorno, caddero le tenebre su tutta la terra. Il mio Signore stette in mezzo alla grotta, illuminandola e mi disse: «Giovanni, per il volgo di Gerusalemme io sono crocifisso, sono trapassato con lance e canne, e mi è dato da bere aceto e fiele, ma a te dico: ascolta quanto dico. Ti ho suggerito di salire su questo monte affinché potessi ascoltare quanto un discepolo deve imparare dal maestro e un uomo da Dio».

Dopo avere parlato così, mi mostrò una croce di luce, stabile, e attorno alla croce c'era una grande folla di aspetto diverso, ma dentro di essa aveva lo stesso e identico aspetto. Sulla croce vidi lo stesso Signore che non aveva alcuna forma, ma solo una voce. E non quella voce che ci era familiare, bensì una voce dolce, soave e veramente divina che mi disse:
«Giovanni, è necessario che uno ascolti da me queste cose, giacchè ho bisogno di uno che ascolti.

Questa croce di luce, a motivo di voi, a volte è da me chiamata lògos, a volte mente, a volte Gesù, a volte Cristo, a volte porta, a volte via, a volte pane, a volte semente, a volte resurrezione, a volte figlio, a volte padre, a volte spirito, a volte vita, a volte verità, a volte fede, a volte grazia: così è chiamata per gli uomini.

Ma in realtà, considerata in sè stessa, concepita ed espressa per noi, essa è la distinzione di ogni cosa, la stabile elevazione delle cose instabili e l'armonia della sapienza. Essendo dunque sapienza nell'armonia, in essa c'è posto per la destra e la sinistra, per la forza e la potenza, per le dominazioni e i demoni, per le opere e le minacce, per le ire e i diavoli, per satana e la radice profonda dalla quale procede la natura delle cose che vengono all'esistenza.

Questa croce è così ciò che, per mezzo del logos, unisce a sé tutte le cose insieme, che distingue le cose che devono accadere in futuro e quanto in esse si trova, e condensa poi tutto in uno.

Questa non è la croce di legno che tu vedrai allorché scenderai di qui, né io sono quello che è sulla croce e che tu ora non vedi, ma del quale odi soltanto una voce.

Io ero considerato ciò che non sono, non essendo io ciò che sono per molti altri. Ciò che essi diranno di me è misero e non degno di me.

Se il luogo del riposo non si può vedere né di lui si può parlare, tanto meno posso essere visto io, il tuo Signore.

La folla uniforme che è attorno alla croce è la natura inferiore. Se quelli che tu vedi sulla croce non hanno un solo aspetto, è perchè ancora non s'è congiunto ogni membro di colui che è disceso. Ma quando la natura umana sarà innalzata e la stirpe, tratta vicino a me, obbedirà alla mia voce, colui che ora mi ascolta sarà unito a lei non sarà più ciò che ora è, bensì sarà sopra di essi come io sono ora.

Infatti, fino a quando tu non ti chiami proprio mio, io non sono ciò che sono. Ma se tu mi ascolti e rimani ascoltatore come me, io sarò ciò che ero, quando io ti avrò presso di me come me stesso. Poiché è da me che tu sei (ciò che io sono).

Non curarti, dunque, dei molti e disprezza coloro che sono fuori del mistero. Impara che io sono tutt'intero presso il Padre e il Padre è presso di me.

Io dunque non ho sofferto alcuna di quelle cose che essi diranno a mio riguardo; ed anche la passione che danzando ho indicato a te e agli altri, voglio che sia chiamata un mistero. Giacché ciò che sei tu, tu lo vedi: te l'ho indicato io. Ma ciò che sono io, lo so soltanto io e nessun altro. Permettimi di conservare ciò che è mio, e vedi il tuo per mezzo mio; ma, come ti dissi, tu in realtà non vedi ciò che sono, bensì ciò che tu puoi conoscere come congiunto.

Tu senti (dire) che io patisco,
ed io invece non ho patito,

che io non patisco,
ed io invece ho patito,


che io sono trafitto,
ed io invece non sono stato sconfitto,

che io sono appeso, ed invece io non sono stato appeso,

che da me è uscito sangue,
ed invece non è uscito.

In breve: ciò che quelli affermano di me, non ha avuto luogo, mentre ciò che essi non affermano è proprio ciò che ho patito.

Ora ti indicherò qual è il significato di questo: so, infatti, che tu comprenderai. Conoscimi dunque come tormento del logos, trafiggimento del logos, sangue del logos, ferita del logos, affissione del logos, dolore del logos, inchiodatura del logos, morte del logos. Parlo così prescindendo dall'uomo.

Tu dunque, in primo luogo conosci il logos, poi conoscerai il Signore e, in terzo luogo, l'uomo e ciò che egli ha patito ».

Dopo che egli mi disse queste cose e altre ancora che io non so riferire come lui vuole, fu assunto senza essere visto da alcuna folla. Ed allorché discesi, io li deridevo tutti, poiché egli mi aveva detto quanto essi mi dicevano su di lui. Tenni fermo in me stesso soltanto questo: il Signore ha compiuto tutte le cose in modo simbolico, e provvedendo alla conversione e alla salvezza degli uomini.

(Atti del Santo Apostolo ed Evangelista Giovanni, il Teologo, 97:2-102:1, mia enfasi)


E continua:
Perciò, fratelli, contemplando la grazia del Signore e il suo trasporto verso di noi che ne abbiamo sperimentato la misericordia non con le dita, non con la bocca, non con la lingua o qualsiasi altro organo corporeo, ma con la disposizione della nostra anima, preghiamo colui che s'è fatto uomo per noi indipendentemente da questo corpo. E vegliamo poiché, per noi, egli è tuttora rinchiuso nelle prigioni e nelle tombe, nelle catene e nelle carceri, è tra le beffe e i maltrattamenti, è sul mare e sulla terra asciutta, è tra i flagelli e le condanne, è tra le persecuzioni, tra le insidie e le punizioni. In breve: egli, fratelli, è con tutti noi e anch'egli soffre con noi allorché noi soffriamo.

Allorchè è chiamato da uno qualsiasi di noi, egli non è capace di fingere di non sentire: essendo in ogni luogo egli ode ognuno di noi. Così anche ora egli, con la sua misericordia, aiuta me e Drusiana, essendo il Dio di coloro che sono rinchiusi.

Siate dunque persuasi, cari, che io non predico di venerare un uomo, ma un Dio immutabile, un Dio invincibile, un Dio superiore ad ogni autorità e a ogni potere, più antico e più forte di tutti gli angeli, delle cosiddette creature e di tutti gli eoni. Se quindi rimanete in lui e siete edificati su di lui, la vostra anima sarà indistruttibile.

(ibid., 103:1-104:1, mia enfasi)

mercoledì 7 dicembre 2016

Sul Suono del Silenzio (IV)

ZELO: Febbre sacra spesso accompagnata da sconvolgimenti e crisi cerebrali, cui devoti e devote sono molto soggetti. È una malattia endemica e contagiosa con cui il cristianesimo ha gratificato il genere umano. Da diciotto secoli i cristiani possono lodarsi moltissimo per i vantaggi che traggono dalle crisi salutari che il figlio di Dio e il suo clero hanno causato sulla Terra e che, se Dio o i principi non intervenissero, durerebbero immancabilmente fino alla fine dei secoli.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
Hieronymus Bosch. Trasporto della Croce, 1515. Poteva il volto di Gesù non figurare sul Velo della Veronica ?


I folli apologeti cristiani sono così propensi ad esaltare l'unicità “storica” di Gesù (che fu chiamato Cristo). A loro avviso, tutte le persone dovrebbero meravigliarsi, fermare le loro attività, aprire la mente con la fonte rivolta verso il “Gesù storico” e gli occhi scintillanti di curiosità e di brama di bellezza.

E perchè mai le persone dovrebbero farlo? Se i diversi episodi dei vangeli avessero avuto un significato risalente ad un preciso nucleo storico, se per esempio in essi si fossero depositati ricordi reali di un reale Gesù storico, che andavano solo decodificati in modo corretto, allora un'attenzione continua a quanto narrano i vangeli sarebbe inevitabile e comprensibile. Ma non è così: le diverse scene evangeliche non significano niente di storico, l'aspetto che assumono in qualsiasi momento si basa — ieri come oggi — esclusivamente sull'interpretazione che ogni lettore sarebbe capace di dare loro, a suo totale piacimento.
Quindi se i vangeli sono la prova dell'esistenza di qualcosa, è della mancanza di significato nella sua forma più pura e perfetta.

La realtà è piena di destini terribili, e uno dei peggiori è quello che attende i cristiani di oggi (e sempre più di domani): la trasformazione del loro venerato e adorato “Gesù di Nazaret” in un manichino, un burattino o una marionetta. A questo punto i cristiani entrano di fatto in un mondo che essi pensavano fosse solo una remota, raccapricciante possibilità ben lontana dal realizzarsi: un mondo dove Gesù (che fu chiamato Cristo) non è mai esistito nel passato reale. Quanto è spiacevole
— per i cristiani — scoprire che questa possibilità del reale che, nella peggiore delle ipotesi, pensavano fosse solo un simbolo del maligno e dell'Anticristo (così 2 Giovanni 1:7: State in guardia dai falsi maestri (se ne sono presentati tanti), parlo di quelli che non credono che Gesù Cristo venne sulla terra come essere umano, con un corpo come il nostro. Qualsiasi persona così è l'ingannatore e l'anticristo.”) è in realtà non solo plausibile, ma addirittura probabile. I cristiani credono che Gesù (che fu chiamato Cristo) è sicuramente esistito nel passato reale. E che perciò i miticisti sono in grave torto nell'affermare il contrario. Sarebbe un fato troppo orribile se avessero davvero confuso — come sostengono i miticisti — un arcangelo celeste mai sceso sulla terra (il “Gesù Cristo” di Paolo l'apostolo) per un profeta ebreo itinerante vissuto “sotto Ponzio Pilato”. Sarebbe certamente più orribile scoprire che questa confusione è la realtà — che Gesù di Nazaret non è affatto vissuto nel passato reale, se non come personaggio di fantasia. E che la fede cristiana è radicata su una finzione.

Presento la quarta parte dei 200 mancati riferimenti al Gesù storico nelle epistole di Paolo. L'autore è Earl Doherty e la sua analisi in lingua originale si trova a questo indirizzo.

GALATI, EFESINI, FILIPPESI, COLOSSESI

Galati


64. - Galati 1:11-12
    11 Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; 12 infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. [NASB]

Niente poteva essere dichiarato più chiaramente. Paolo è giunto alla sua conoscenza e dottrina del Cristo da lui predicato mediante una rivelazione personale. Egli nega di aver ricevuto qualcosa da altri uomini, per insegnamento, o per passata tradizione apostolica. Abbiamo il diritto, quindi, a considerare il vangelo da lui enunciato in 1 Corinzi 15:3-4, al pari delle informazioni che dà ai Corinzi circa la Cena del Signore in 1 Corinzi 11:23f, come un prodotto di rivelazione, e non una tradizione ricevuta da altri. (Egli usa lo stesso verbo, paralambano, in tutti e tre i contesti.) Questa conclusione è ben sostenuto nel mio Articolo Complementare Numero 6: La Fonte del Vangelo di Paolo.

Paolo considera, ovviamente, che la rivelazione che ha ricevuto da Dio è più valida e importante di qualsiasi altra cosa che altri uomini avrebbero potuto insegnargli. Ma è concepibile che poteva così allegramente denigrare e rifiutare il valore di tutto ciò che gli apostoli che avevano accompagnato Gesù nella sua predicazione terrena potevano aver da offrire? In effetti, non otteniamo mai un indizio che Paolo derivò qualche informazione su Gesù dagli apostoli di Gerusalemme. Questo ignorare la tradizione orale degli uomini che avevano conosciuto e ascoltato Gesù stesso avrebbe provocato una critica giustificabile, non solo dagli stessi apostoli di Gerusalemme, ma da altri predicatori cristiani nel campo, e Paolo sarebbe stato costretto a rispondere a quella critica. Un qualche indizio di quella critica e della sua ragion d'essere sarebbe affiorato nelle sue lettere, quando lui discute il valore e la validità del suo apostolato e vangelo. Nessun indizio appare.

In una tale assenza, possiamo vedere il punto di Paolo qui. L'apostolo superiore è colui che è benedetto da una diretta rivelazione da Dio. Altri avrebbero potuto insegnare Cristo, ma si affidavano ad un apprendimento su di lui da parte di quelli che godevano di un accesso privilegiato al canale di rivelazione divina.

Dovremmo balzare in piedi dalla meraviglia per questo quadro dell'apostolo leader del periodo che definisce appassionatamente la più alta misura di affidabilità e autenticità per il vangelo di un predicatore cristiano: non che avesse le sue radici nelle cose che Gesù aveva fatto e insegnato sulla terra, non nella personale delega di autorità da Gesù durante la sua predicazione, non tramite qualche canale apostolico, che risalisse ad una genesi nella vita stessa del Signore, ma mediante una rivelazione divina, lo spirito di Dio elargito singolarmente su profeti cristiani prescelti! Sorprendentemente, Paolo  sta riconoscendo che nessun vangelo di Gesù risale a Gesù. Egli non sta concedendo alcun primato ad ogni vangelo detenuto da coloro che avessero visto, ascoltato e seguito il Signore mentre era sulla terra, nessuna superiorità ad ogni apostolo che fosse stato nominato da Gesù stesso. In entrambi i casi o Paolo era colpevole della più suprema arroganza, oppure tali concetti semplicemente non esistevano per lui.


65. - Galati 1:13
 Avete infatti udito quale fu un tempo la mia condotta nel giudaismo, come perseguitavo con grande ferocia la chiesa di Dio e la devastavo. [NEB]

Una chiesa fondata dai seguaci del Gesù terreno, che aveva personalmente scelto loro come apostoli e li aveva inviati ad insegnare a tutte le nazioni—eppure Paolo la chiama “la Chiesa di Dio? D'altra parte, se la chiesa si fosse formata a seguito della rivelazione di Dio per mezzo dello Spirito (come Paolo e altri scrittori di epistole dicono più volte), con Gesù mero contenuto di quella rivelazione, il termine è perfettamente adatto.

66. - Galati 2:6
Ma quelli che godono di particolare stima [oppure, che sembrano essere importanti] (quello che possono essere stati, a me non importa; Dio non ha riguardi personali), quelli, dico, che godono di maggiore stima non m'imposero nulla;  [NEB]

Qui Paolo scredita l'importanza di Pietro e degli altri apostoli di Gerusalemme in quanto né di alcun interesse per lui, né per Dio per quella materia. Come poteva Paolo, per quanto si ritenesse importante, respingere con questo disprezzo gli stessi apostoli scelti da Gesù, in particolare quello sul quale si suppone che Gesù avesse “edificato la sua Chiesa” (Matteo 16:18)? Paolo passa poi (nel passo successivo) a mettere in parallelo la sua costituzione all'apostolato da parte di Dio con la costituzione di Pietro—a sua volta da parte di Dio. Paolo non solo ignora qualsiasi posizione superiore di Pietro in virtù dell'essere stato scelto ed elevato da Gesù stesso, ma addirittura la esclude!

 — Galati 2:8 - Si veda i “Principali 20” #6

67. - Galati 2:14
   Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?» [NEB]

Forse nessun problema nel periodo più antico del cristianesimo si profilava più grande e aveva un effetto più divisivo di questo: in che misura i convertiti gentili alla fede dovevano necessariamente conformarsi alla legge ebraica, in particolare per quanto riguarda la circoncisione dei maschi e le pratiche alimentari? Se mai ci fosse stato un bisogno impellente di attingere all'insegnamento e all'esempio di Gesù, sarebbe nel contesto di quei dibattiti cruciali. Eppure, in passi come questo, in cui Paolo racconta come Pietro sospese la sua disponibilità a mangiare coi gentili, non otteniamo neppure un indizio di un eventuale ricorso.

Scene evangeliche, come Marco 2:15-17 e Luca 5:30-32 hanno un Gesù che si difende dalle critiche alla condivisione della sua tavola con i pubblicani e i peccatori. Poteva questo comportamento esemplare non esser servito a Paolo come un argomento contro la riluttanza di Pietro alla condizione dei pasti coi gentili? (I raccoglitori d'imposta possono essere stati per lo più ebrei locali, ma il principio era sempre lo stesso: impegnarsi alla tavola in comune con l'impuro.) Tali considerazioni smentiscono tutta la razionalizzazione che Paolo non provava alcun interesse alla vita terrena di Gesù e non avrebbe il desiderio o il bisogno di attingervi nella sua opera missionaria. La linea di apertura del passo sopra in realtà dovrebbe esser letto: “Ma quando vidi che il loro comportamento non si conformava con la stessa condotta di Gesù ... ”

[Si noti che non sarebbe un problema se Gesù si fosse pronunciato veramente o meno sulla questione in discussione. Le esigenze di queste situazioni polemiche avrebbero inevitabilmente condotto allo sviluppo di una tradizione che egli aveva detto qualcosa. Quello che vediamo nei vangeli, ovviamente, è questo processo nel senso inverso. Sviluppi generali da circoli settari riformisti (qui, il rilassamento delle regole di purezza per consentire una condivisione mista dei pasti) divennero concentrati e personificati in una figura fondativa che aveva realmente insegnato queste cose e al quale un appello per autorità si poteva ora fare. Questo fu uno degli scopi principali  serviti dai vangeli. ]

68. - Galati 3:23-25
23 Ora, prima che venisse la fede noi eravamo custoditi sotto la legge, come rinchiusi, in attesa della fede che doveva essere rivelata. 24 Così la legge è stata nostro precettore finchè venne Cristo [oppure, precettore per portarci a Cristo], affinché fossimo giustificati per mezzo della fede. 25 Ma, venuta la fede, non siamo più sotto un precettore. [NEB]

Nel passo che porta a quei versi, Paolo sta spiegando e giustificando la sua sospensione della legge ebraica come requisito di salvezza. Al suo posto si trova solo “la fede in Gesù Cristo” (verso 22). E che cos'è che segna la grande svolta, la scomparsa del termine di effetto ed utilità della legge? Non l'arrivo di Cristo stesso, non la sua carriera sulla terra, ma l'inizio della fede in lui, cioè la risposta dei fedeli al vangelo, rivelato e predicato da apostoli come Paolo.

Il “finchè venne Cristo” del verso 24 (NEB e pochi altri) è un'interessata traduzione di un semplice eis Christon (a Cristo), che anche se in teoria traducibile come “fino al tempo di Cristo”, gode della traduzione più comune di “condurre qualcuno a Cristo”, cioè alla fede in lui; in alternativa, potrebbe significare fino al tempo della rivelazione di Cristo. Ciascun caso si adatta al pensiero espresso in entrambi i versi di contorno che parlano dell'arrivo della fede, non di Cristo stesso. Si noti che nel verso 23 Paolo parla della “rivelazione” di una fede, oppure della “fede che sta per essere rivelata”. Tale espressione ha un senso solo nel contesto di ciò che le lettere stanno dicendo in continuazione: che la dottrina del Cristo, l'esistenza stessa del Figlio, è qualcosa che è stata rivelata da Dio nel tempo presente ad apostoli come Paolo (Romani 16:25-27, 1 Pietro 1:20, ecc.).

69. - Galati 4:4-6
    4 Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, 5 per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. 6 E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! [NASB]

Molti indicano questo passo come “prova” che Paolo conosce e sta parlando di un Gesù storico, umano. Mi occupo ampiamente di questo passo nel mio Articolo  Complementare Numero 8: Cristo come “Uomo”, e sarà anche discusso in Appendice da questo aspetto. Qui mi limiterò a sottolineare le difficoltà di base nel fare così affidamento su questo passo.

I due verbi “inviò” dei versi 4 e 6 sono esattamente gli stessi, ma quest'ultimo precisa che è lo spirito del Figlio che Dio manda, non la sua persona fisica. E quand'è che Dio “mandò suo figlio”? Quando “eravamo bambini” (4:1), al fine di conferire i diritti di figli, che avviene quando Dio manda lo spirito del Figlio, tutto di cui avviene nel  presente paolino. Cosa più sconcertante di tutte, perché nella frase “per riscattare coloro sotto la legge” è, grammaticalmente parlando, Dio che sta facendo la redenzione e non lo stesso Gesù? La stessa stranezza si verifica nel verso 7. Come il NEB lo rende: “Sei. . . anche per volontà di Dio un erede”. Perché Paolo è incapace di concentrarsi su Gesù, alla sua recente incarnazione e atti storici di redenzione, come la fonte di tutti quei benefici?

[Mi capita spesso di citare un'osservazione di Burton (International Critical Commentary, Galatians, pag. 218-19) che, grammaticalmente parlando, le frasi “nato da donna [Burton la preferisce senza l'articolo], nato sotto la legge” non sono necessariamente collegate temporalmente con il “Dio mandò suo Figlio”, ma sono semplicemente dichiarate caratteristiche del Figlio. E perché Paolo si preoccupa di dire a tutti che Gesù è nato da (una) donna? Non sarebbe questo auto-evidente se lui fosse un uomo storico? Piuttosto, egli ha bisogno di fare un parallelo paradigmatico con quelli in via di redenzione, i quali erano essi stessi nati da donna e nati sotto la legge. Figure controparti celesti potevano garantire certi effetti ai loro iniziati proprio perché riflettevano, o subivano, gli stessi aspetti ed esperienze al pari delle loro controparti terrestri. Può una deità del mondo spirituale essere “nato da donna”? Egli può in senso mitico (come col dio salvatore Dioniso), e lo può se la Scrittura dice che lo era. Il famoso Isaia 7:14, “Una giovane donna concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” era un importante testo messianico che i primi cristiani non potevano ignorare. Anche il “nato sotto la legge” avrebbe potuto, nell'uso molto fantasioso che fa Paolo della scrittura, essere derivato da una sua interpretazione di Cristo come “seme” di Abramo in Galati 3:16. ]

70. - Galati 4: 22-31
    Poiché sta scritto che Abramo ebbe due figli. . . (eccetera.)

In Galati 4:22-31, Paolo fa la sua personale interpretazione della storia di Abramo e dei due figli che ebbe dalle sue due donne. La prima donna è concubina di Abramo, la schiava Agar; partorisce Ismaele, che sta per la razza ebraica che ancora esiste in stato di schiavitù sotto la Legge e il vecchio patto. Quella razza e quel patto è rappresentato dal monte Sinai. E qual è l'altra metà del parallelo? La seconda donna è la moglie legittima di Abramo, la nata libera Sara; lei è la madre di Isacco, il vero erede della promessa di Dio, erede spirituale di Abramo. In un modo non specificato, Paolo collega i suoi lettori gentili con Isacco; anche loro sono figli della promessa, figli di Sara, che è simboleggiata dalla Gerusalemme celeste. Questa rappresenta la fonte del nuovo patto.

Paolo rende un pò forzata questa allegoria, ma in superficie poteva sembrare che il tutto potesse reggere assieme. Eppure qualcosa sembra mancare qui, qualcosa che ci si aspetterebbe di trovare, soprattutto poichè un Cristo “nato da donna” è ancora fresco nella mente di Paolo. Si sta parlando di madri e figli. Perché Maria non ha operato in quest'analogia, anche se solo come una parte secondaria dell'interpretazione? Lei fu dopo tutto la madre dello stesso Gesù, che stabilì il nuovo patto. Lei è sicuramente un tipo di archetipo per Sara (che significa una rappresentazione successiva di qualche figura archetipa nella scrittura, o per dirla in altro modo, la figura o elemento scritturale prefigura la figura o elemento scritturale più tardo). Così lo è Gesù stesso per Isacco, entrambi simboli di vittime sacrificate. (Anche se Isacco non fu effettivamente ucciso, egli assunse questo significato nel pensiero ebraico.)

Paolo ha speso gran parte di Galati 3 nel collegare i pagani ad Abramo mediante Cristo come suo “seme”: perché non raddoppiare tale collegamento mediante Maria e Sara? Maria non poteva essere allegorizzata come la madre dei cristiani? Dov'è, del resto, la cosa che avrebbe dovuto essere evidente come simbolo della nuova alleanza, in parallelo al Monte Sinai come simbolo di quella vecchia: non la Gerusalemme celeste, ma il Monte del Calvario dove fu crocifisso Gesù, sede del sacrificio di sangue che aveva stabilito quel nuovo patto?

Paolo si dimostra ancora una volta totalmente immune nel suo pensiero ed espressione a tutti gli aspetti della vita terrena di Gesù di Nazaret.

71. - Galati 5:14
    Tutta la legge può essere riassunta in un unico comandamento: 'Ama il prossimo tuo come te stesso.' [NEB]

Questa è la seconda volta (si veda Romani 13:8) che Paolo si esprime esattamente come  fa il Gesù evangelico laddove parla di tutta la Legge riassunta in quest'unica prescrizione del Levitico. Da nessuna parte egli mostra la consapevolezza di qualche tradizione che Gesù avesse fatto di questo un elemento centrale del suo insegnamento (ad esempio, Matteo 22:39). Paolo potrebbe, se dobbiamo credere alla solita razionalizzazione, non aver avuto “alcun interesse” alla predicazione di Gesù e alle cose da lui fatte sulla terra, ma se avesse saputo il fatto puro e semplice che Gesù aveva insegnato (e come poteva non saperlo?), dovrebbe aver sentito che il comandamento dell'amore aveva figurato in modo prominente in quell'insegnamento. È difficile credere che la sua mancanza di interesse fosse stata così profonda, anzi così patologica, che avrebbe parlato in più punti nelle sue lettere dell'etica dell'amore cristiano e ancora si sarebbe rifiutato perfino di suggerire che un tale insegnamento avesse a che fare con lo storico predicatore Figlio di Dio.


Efesini

72. - Efesini 1:7-10
    (Dopo aver parlato della redenzione e il perdono dei peccati acquisiti attraverso il sangue del Figlio) 7. . . secondo la ricchezza della sua grazia. 8 Egli  [Dio] l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, 9 poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito 10 per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. [NEB / KJ]

Un passo un pò contorto e ambiguo in greco, ma una cosa è chiara: l'assenza di qualsiasi Gesù storico nel pensiero di questo scrittore pseudo-paolino. Se il “sangue” di Cristo è considerato spirituale e riversato nel regno mitico, il resto della frase parla della rivelazione di Dio ai tempi di Paolo, del mistero che l'universo frammentato (era uno dei concetti dell'epoca che gli spiriti maligni avessero diviso il cielo dalla terra) doveva tornare ad essere un'unità attraverso il sacrificio spirituale del Figlio. La “pienezza del tempo” (verso 10) è segnata, non dal sacrificio in sé, tantomeno da qualche vita e predicazione del Figlio, ma dalla rivelazione delle intenzioni di Dio a persone come Paolo, e dalla riunificazione di cose terrene e celesti. Quest'ultimo è un evento interamente mitologico che era difficilmente verificabile tramite l'osservazione storica o materiale del mondo. Si noti inoltre che i versi 7 e 8 parlano della grazia di Dio che spande su di noi, ma è quella grazia la persona e l'evento di Gesù di Nazaret? No, è la “sapienza e intelligenza”, che Dio ha concesso, di nuovo in modo coerente col contesto di rivelazione. (Questo è seguito nel verso 9 da una parola di rivelazione, gnoridzo.) La rivelazione circa il Figlio, non l'arrivo del Figlio stesso.

Ci sono molti usi di “in Cristo” in questo passo (si veda 1:3f), ma tutti loro si inseriscono nel contesto di un Cristo inteso come canale spirituale e agente divino operante in un ambiente mitico; ciò che non troviamo è la frase associata a qualsiasi menzione di un evento storico.

73. - Efesini 1:19-23
    19 ...e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza 20 che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, 21 al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. 22 Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, 23 la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose. [NEB]

Cito questo passo per fare un punto su uno dei silenzi vasti e fondamentali trovati nelle epistole, nella loro frequente rappresentazione (si veda Colossesi 1:15-20, Ebrei 1:2-3, ecc.) di Cristo in questi termini elevati. Non c'è mai menzione che questo cosmico Figlio di Dio, al quale viene conferito piena divinità e il potere su tutte le cose, il compimento e sostegno dell'intero universo, al quale l'umanità credente è misticamente unita, fosse stato precedentemente sulla terra come umile predicatore ebreo noto come Gesù di Nazaret. Da nessuna parte si tratta il fenomeno bizzarro e blasfemo che un criminale crocifisso, ignominiosamente condannato a morte su una collina fuori Gerusalemme, fosse stato sollevato — tra gli ebrei, nientemeno — ad uno status così esaltato e senza precedenti, alla pari di Dio stesso. Nessuno mai parla o difende la necessità che i cristiani credano in questa sorprendente trasformazione di un uomo umano. Questo è senza dubbio il più grande singolo silenzio che risuona per tutta l'antica documentazione cristiana.

74. - Efesini 2:17-18
    17 Con la sua venuta ha annunciato la pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini; 18 perché per mezzo di lui gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito. [NASB]

È il verso 17 un riferimento al ministero di predicazione di Gesù sulla terra? Invece di afferrare l'occasione di riferirsi ad alcuni di quegli insegnamenti (come ad esempio Matteo 5:23 che parla di “pace” con i fratelli, oppure il messaggio che deve essere portato a “tutte le nazioni”), lo scrittore recita Isaia 57:19, che presumibilmente parla di una riconciliazione alla fine dei tempi tra i popoli. Anche le parole preliminari circa la buona notizia di predicazione si basano su Isaia 52:7.

Questo passo non è un riferimento ad un evento storico, ma un'interpretazione della scrittura, un'espressione dell'antica idea cristiana (che si trova in particolare in Ebrei) che il Figlio abitava il mondo spirituale delle scritture e comunicava da lì. Un'altra idea comune era che Cristo fosse “venuto” mediante la sua rivelazione da parte di Dio ai profeti cristiani. Era ora attivo in tutto il mondo e comunicante attraverso i profeti (il verbo euangelidzo, annunciare una buona notizia, è usato per descrivere l'opera di apostoli come Paolo). Il verso 18 riflette anche il ruolo del Cristo spirituale nel fornire un canale al Padre.

A questo proposito ci si potrebbe chiedere perché lo scrittore non avrebbe passato detti evangelici di Gesù su sé stesso come colui che offre l'accesso a Dio, come ad esempio Giovanni 10:7, “Io sono la porta”, oppure 14:16, “Nessuno viene al Padre se non per me
, o Luca 10:22, “Nessuno sa chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”.

(Questo passo sarà trattato di nuovo in Appendice.)

75. - Efesini 2:20-21
    State edificati sopra il fondamento posto dagli apostoli e dei profeti, e Cristo Gesù stesso è la prima pietra. In lui l'intero edificio è legato insieme e cresce in un tempio santo nel Signore. [NEB]

Un'illuminante omissione qui. Il fondamento della fede cristiana e il movimento stesso è opera di apostoli e di profeti come Paolo. Questo ignora del tutto la carriera di Gesù stesso. Cristo Gesù come la “prima pietra” è semplicemente l'oggetto della fede esposta dagli apostoli. Se Gesù di Nazaret fosse vissuto e avesse cominciato il movimento nel suo nome, nessuno scrittore cristiano avrebbe potuto mancare di designare Gesù come l'iniziale costruttore principale della chiesa. E dov'è la stessa citazione di Gesù del Salmo 118:22, in riferimento a sé stesso: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo principale”, come ricordato in Marco 12:10?

C. L. Mitton (Ephesians, pag.113) suggerisce che il significato di akrogoniaios (testata d'angolo) in LXX Isaia 28:16 determina il suo significato in Efesini, ma questo non fa altro che dimostrare che l'idea è stata derivata non dalla tradizione storica ma dall'esegesi scritturale. Mitton suggerisce inoltre che gli apostoli e i profeti sono pure da considerarsi come parte della fondazione, al fianco di Cristo, ma non vi è alcuna giustificazione di questo nel testo.


76. - Efesini 3:4-6 (+ 7-11)
   4 Leggendole, potrete capire la conoscenza che io ho del mistero di Cristo. 5 Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui; 6 vale a dire che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo, . . [NIV]

Qui vediamo il solo meccanismo di rivelazione all'opera nella predicazione di apostoli come Paolo, la rivelazione del mistero, del segreto, di Cristo. Non è sulla passata tradizione, risalente allo stesso Gesù e ai suoi immediati seguaci che apostoli cristiani basano la loro conoscenza e autorità, ma sull'azione dello spirito mandato da Dio. È vero che, mentre altri passi, come Colossesi 2:2, parlano di Cristo stesso come il mistero a lungo nascosto da Dio, ma qui (e lo si confronti con Colossesi 1:27) il segreto è ridotto a qualcosa di specifico, vale a dire all'inclusione dei Gentili negli effetti salvifici della salvezza di Dio tramite Cristo. A questa specificità spesso si fa appello per renderne valido il pensiero nel contesto di un Gesù storico, partendo dal presupposto che l'inclusione dei gentili non fosse un marchio identificabile della predicazione personale di Gesù.

Ma è davvero una legittima “conclusione”? Apostoli che predicano una simile dottrina non cercherebbero di trovare la sua legittimità e il suo precedente nella predicazione di Gesù, per ancorarla all'esempio di un Gesù che accoglie i peccatori, che ha contatto con i non-ebrei, ecc. ? È praticamente impossibile che non avrebbero fatto così, poichè gli impulsi settari sono sempre tesi a dare alle dottrine importanti della setta le più forti fondamenta e autorità possibili.  Infatti, non è pensabile che in tutti i riferimenti alla rivelazione del segreto di Cristo, qualunque fosse la sua natura, nessuno scrittore cristiano avrebbe mai espresso il pensiero che il primo e principale rivelatore di questi segreti fosse stato Cristo stesso durante la sua predicazione sulla terra. Questo silenzio è un silenzio devastante.

E poi, che cosa delle direttive di Gesù (Matteo 28:19, Atti 1:8) ad andare a predicare a tutte le nazioni, un'istruzione che avrebbe automaticamente compreso l'idea di Efesini che i Gentili dovevano essere inclusi nella promessa di redenzione? Come poteva questo scrittore non possedere alcuna tradizione di una tale direttiva (perfino se non fosse una direttiva storica) da parte di Gesù? Mitton (pag. 123) dichiara (sulla base dei vangeli) che “questo abbattimento delle barriere (tra Ebreo e Gentile) era stato il segno di Gesù nella sua vita ed insegnamenti”, ma se gli studiosi moderni possono riconoscere l'ovvio, possiamo credere che Paolo e gli altri antichi scrittori non furono capaci di riconoscere l'ovvio, oppure scelsero di ignorarlo?

[Si consideri i versi 10-11:
(il piano segreto di Dio fu nascosto per lunghe età) 10 affinché i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano oggi, per mezzo della chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio, 11 secondo il disegno eterno che egli ha attuato mediante il nostro Signore, Cristo Gesù. Anche in questo caso, la sapienza a lungo nascosta di Dio in tutte le sue forme si rivela non mediante un Gesù storico nella sua vita e predicazione, ma solo ora, nel tempo di Paolo, tramite apostoli come lui e “la chiesa”. Il ruolo di Cristo nel verso 11 si riferisce a quel “disegno eterno” e non nello specifico al tempo presente, in cui (come nel verso 10) Cristo non svolge alcun ruolo a fianco della chiesa che rivela la sapienza di Dio. Mitton (pag. 128) insiste sull'interpretare “in Cristo” come un riferimento alle azioni oppure all'esempio di Gesù di Nazaret nella sua vita terrena, ma è più consistente col significato generale di questo tipo di frase come viene usata in tutte le epistole: Dio è l'agente, Cristo è la “forza abilitante” da lui impiegata sia per la redenzione che per la comunicazione intermediaria, tutto questo in un contesto mitologico e spirituale in linea con la filosofia del tempo.

E chi, in quei versi, è il destinatario di quella sapienza a lungo nascosta di Dio? Se c'è un passo a portata di mano che indica che lo scrittore sta operando in un regno del pensiero diverso dal nostro, è questo. La rivelazione della sapienza di Dio è sul punto di venir rivolta ai dominatori e alle autorità nei regni del cielo, in modo che possano venire a conoscenza del piano di Dio e del destino del mondo! In altre parole, gli spiriti ostili e i poteri malvagi sono reali elementi chiave nella visione del mondo e nella teologia degli scrittori del Nuovo Testamento. (il “piuttosto sorprendentemente” di Mitton è un eufemismo, e il suo suggerimento che “questo potrebbe significare poco più allo scrittore di quanto possa significare per noi, se non come ornamento retorico”, riflette l'incapacità di molti commentatori moderni a percepire ed accettare il divario che esiste tra la mentalità antica e la nostra, e pure come sono traballanti tutti i presupposti e i pregiudizi da noi addossati sui creatori della fede del mondo occidentale. Si veda anche Efesini 6:11-12, #85.)]


77. - Efesini 4:1-2
    Vi esorto a vivere una vita degna della vocazione che avete ricevuto. Essere completamente umile e dolce; essere paziente, tenendo uno con l'altro nell'amore. [NIV]

Nessun riferimento qui a Gesù come esempio di un comportamento simile, oppure agli insegnamenti che contenevano tali raccomandazioni. Eppure Matteo (11:29) ricorda un detto di Gesù in cui si descrive mentre utilizza proprio quelle due parole: umile e gentile. “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime”. Ci si potrebbe aspettare che questo sia un detto ben noto nella tradizione di Gesù, un detto che provocò polemiche per la sua audacia, quando fu pronunciato per la prima volta. Eppure lo scrittore sorvola la possibilità di citarlo, per rafforzare la propria esortazione tramite la sottolineatura che Gesù stesso si era descritto con queste stesse parole, fornendo l'esempio ideale. Anche se il detto in sé non fosse molto diffuso, sicuramente la tradizione che Gesù fosse “mite e dolce” avrebbe goduto di ampia notorietà.

In realtà, si tratta di un detto sapienziale, simile a quelli collocati sulla bocca della Sapienza personificata in documenti come Proverbi, e infine fu collocata sulla bocca del Gesù evangelico.

78. - Efesini 4:8-12
    8 Per questo è detto: «Salito in alto, egli ha portato con sé dei prigionieri e ha fatto dei doni agli uomini». 9 Ora, questo «è salito» che cosa vuol dire se non che egli era anche disceso nelle parti più basse della terra? 10 Colui che è disceso, è lo stesso che è salito al di sopra di tutti i cieli, affinché riempisse ogni cosa. 11 È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, 12 per il perfezionamento dei santi in vista dell'opera del ministero e dell'edificazione del corpo di Cristo. [NEB / NIV]

Un passo pure estremamente rivelatore. Lo scrittore usa la citazione del salmo (68:18) per due scopi. Uno è quello di 'dimostrare” che Cristo discese sulla terra, dal momento che l'atto di “ascesa” in alto implicava che avesse fatto così da un livello più basso. (Alcuni traduttori sottolineano che “le parti più basse della terra” potrebbero significare il mondo degli inferi, ma questo non è probabile dal momento che lo scrittore parla di Cristo che agisce tra gli uomini, non nello Sheol.) Ma perché avrebbe bisogno di ricorrere a tale “prova” se Cristo avesse vissuto una vita recente nella piena vista di tutti? Questo strano, perfino bizzarro, pensiero suggerisce che ciò che mancava nella mente dello scrittore fu la conoscenza storica che realmente Gesù fosse stato sulla terra.

E cosa aveva fatto, mentre era in quella località più inferiore? In effetti, lo scrittore sembra di non star cercando per nulla di implicare una “vita”, non una presenza fisica sulla terra. Di certo non esiste una descrizione di eventi fisici, e tanto meno di dettagli del vangelo. Piuttosto, egli si preoccupa del conferimento di doni da parte di Cristo, che sono di natura spirituale (e conferiti mediante canali spirituali), vale a dire la chiamata di varie persone a ruoli nella diffusione della fede, nell'edificazione del corpo di Cristo, che è un concetto completamente mistico. I doni enumerati non tradiscono nessun senso della predicazione evangelica di Gesù di Nazaret, ma sono coerenti col concetto che lo spirito di Dio o Cristo aveva seminato qualifiche di ispirazione per una chiamata al servizio della comunità cristiana. Questo è il secondo scopo della citazione del salmo, per indicare che Cristo era disceso ad elargire quei doni—anche se per farlo lo scrittore inverte il contenuto reale del verso del Salmo, dove la figura rivolta sta ricevendo doni dagli uomini. Tali erano le libertà del midrash.

Si noti che il significato per lo scrittore dei “prigionieri portati con sè” si riferisce ai poteri cosmici dei cieli, su cui Cristo è detto trionfare attraverso il suo sacrificio nel mondo spirituale. (Si confronti Colossesi 2:15 e, come sempre, 1 Corinzi 2:8.)


79. - Efesini 4:23-24
    Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. [NEB]

Qui lo scrittore non sembra essere a conoscenza dell'insegnamento di Gesù che noi dobbiamo essere “nati di nuovo”, come in Giovanni 3:3.

80. - Efesini 4:26
    Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira. [NEB]

Lo scrittore non riesce a rafforzare la sua ammonizione citando le parole di Gesù del Discorso della Montagna (Matteo 5:22): “Chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale”. Una delle ironie trovate nella maggior parte dei commentari, come quello di Mitton su Efesini, è la loro incrollabile abitudine di ricordare fedelmente questi paralleli evangelici senza chiedere il motivo per cui, al contrario, gli autori di quelle lettere pervasivamente mancano di indicare Gesù come la fonte di queste direttive etiche.

81. - Efesini 4:32
  Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. [NEB]

Anche in questo caso, lo scrittore non riesce a citare gli insegnamenti di Gesù non solo sul tema del perdono (ad esempio, Matteo 6:14: “Se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi”, Matteo 18:21, ecc.), ma anche le parole esemplari di Gesù dalla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23:34). Queste ultime parole sarebbero state una potente illustrazione del perdono sotto anche la più terribile delle circostanze, e se fossero esistite queste tradizioni ed insegnamenti, non ci può essere alcun dubbio che lo scrittore di Efesini avrebbe richiamato l'attenzione su di loro.

82. - Efesini 5:2
   E camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.  [NEB]

Ancora un altro passo che esorta il credente all'amore, senza notare che questo era stato un pilastro dell'insegnamento di Gesù sulla terra. Potremmo anche prendere atto dell'atmosfera del riferimento dello scrittore alla crocifissione. Manca il senso della rappresentazione evangelica di quell'evento, come l'esecuzione ignominiosa di un innocente, una cattiva azione accompagnata da tradimento e insulti e false accuse, tutto questo che provoca la collera divina di Dio. (Si confronti una simile mancanza di atmosfera evangelica in Romani 8:32.)

83. - Efesini 5:8
    Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. [NEB]

Non sarebbe appropriata qui la stessa descrizione da parte di Gesù dei credenti del Discorso della Montagna (5:14-16) : “Voi siete la luce del mondo . . . così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinchè vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”? Oppure le parole di Gesù in Giovanni (8:12): “Chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Confronta con 12:36).

Lo scrittore di Efesini non può saper nulla di eventuali insegnamenti di Gesù per mancare così puntualmente di appellarsi a loro nei vari e molteplici contesti di ammonimento etico per tutta la sua lettera. In questo, naturalmente, si aggiunge in compagnia di ogni altro scrittore di epistole.


84. - Efesini 6:8
    Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene.  [NEB]

Gesù non insegnò che il bene sarà ricompensato? “E il padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa...” (Matteo 6:4), “non perderà affatto il suo premio” (Matteo 10:42), “il Figlio dell'uomo renderà a ciascuno secondo l'opera sua” (Matteo 16:27), e così via. Quanta energia ci sarebbe voluta per alcuni di quelli scrittori, qualche volta, per darci un semplice “come disse Gesù” oppure “come ci insegnò Gesù” ?

85. - Efesini 6:11-12
    11 Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. 12 La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. [NEB]

Uno dei silenzi clamorosi sia in Efesini che in Colossesi è la loro incapacità di indicare le vittorie che Cristo in terra conseguì contro le forze delle tenebre. Entrambe quelle lettere illustrano la preoccupazione del mondo antico con le potenze spirituali ostili (che erano considerate abitare proprio l'aria intorno a loro) e le forze del Fato, e gli effetti negativi che avevano sulle vite umane. Questa paura dei demoni, e la ricerca di espedienti per neutralizzare la loro attività attraverso la magia e l'invocazione delle divinità protettrici, era particolarmente forte nella società pagana. La dichiarazione centrale circa Gesù sia in Colossesi che in Efesini è che lui è una deità del genere, che la sua morte ha riscosso l'umanità “dal dominio delle tenebre” (Colossesi 1:13), che “ogni potenza e autorità (ad esempio, gli spiriti) nell'universo è stato sottoposta a lui” (2:10), e che un universo fratturato dal potere di quegli spiriti è stato riunificato dal sacrificio di Cristo (Efesini 1:10; si veda 3:10). Efesini 6:11-12 (sopra) dimostra chiaramente questa ossessione. Molti cristiani ancora oggi perpetuano una paranoia simile nella loro enfasi su Satana.

Ogni religione salvifica dell'epoca cercava di colmare questa necessità di una “corazza” e rassicurazione contro le potenze ostili. Ogni dio salvifico degno di questo nome doveva possedere il potere su questi spiriti ed essere disposto ad esercitarlo per conto dei suoi seguaci; Iside, per esempio, teneva un ruolo di primo piano proprio nel ruolo di protettrice del genere. Ma che dire del grande beneficio che Cristo possedeva più di tutti gli altri? Come possiamo spiegare il fallimento di Efesini e Colossesi nel puntare alla drammatica prova storica ricordata dai vangeli, la prova che Gesù possedette veramente e aveva dimostrato il potere sui demoni e sulle astuzie del diavolo? Infatti lo aveva provato anche mentre era sulla terra. Gli spiriti impuri si erano arresi all'esorcismo dei malati; avevano gridato pietà. Anche agli apostoli di Gesù era stato dato il potere di scacciare i demoni. Eppure quelle due lettere non hanno una parola da dire su questi esorcismi di guarigione. Né preservano la dichiarazione di Gesù (Marco 3:2-7) che il suo scopo era quello di rovesciare Satana e tutta la sua casa.

Data la preoccupazione pagana con gli spiriti maligni, l'affermazione che Paolo non avesse provato alcun interesse per la vita e gli atti di Gesù è completamente screditata, infatti questo aspetto della predicazione di Gesù sarebbe stato un vantaggio immenso per il fascino del suo messaggio, e di grande interesse ai suoi ascoltatori e convertiti. Più in generale, il Cristo nella sua incarnazione avrebbe goduto di un drammatico vantaggio rispetto ai suoi mitici rivali greco-romani: infatti a differenza loro, lui era stato recentemente sulla terra in carne e ossa, visto da migliaia e migliaia, si era occupato delle forze del male in prima persona, sullo stesso terreno dell'umanità. Nei suoi rapporti personali Gesù aveva mostrato compassione, tolleranza, generosità, tutte quelle cose che uomini e donne bramavano nell'affrontare un mondo ostile, indifferente. È semplicemente impensabile che Paolo e gli autori di lettere come Colossesi ed Efesini avrebbero scelto di rimanere in silenzio su tutti quei vantaggi del Gesù umano al momento di presentare ai loro lettori (gentili ed ebrei in pari misura) il loro agente di salvezza.


Filippesi

86. - Filippesi 1:6
    E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un'opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. [NEB]

Quest'affermazione nelle sue poche parole riassume il quadro dell'antico movimento cristiano. Comunità di credenti sono sorte in vari centri, rispondendo alla predicazione di profeti come Paolo, mediante la potenza dello Spirito mandato da Dio. (Il “colui” nel verso di cui sopra è Dio, come conferma il senso della frase.) Il concetto che Gesù stesso avesse iniziato qualcosa manca completamente dalla prospettiva delle epistole.

Sia che Gesù avesse avuto o meno qualche contatto coi Filippesi, se fosse morto da tempo prima che i Filippesi si fossero convertiti o no, l'immagine del Figlio di recente sulla terra come la forza dietro l'origine e la crescita della fede non poteva fare a meno di essere presente nella mente parimenti di predicatori e credenti. Eppure è sempre Dio che viene presentato come il motore e la “personalità” dietro la diffusione del cristianesimo. Cristo Gesù può aver offerto il sacrificio, ma come indicherebbe il verso di sopra, c'è un senso inconfondibile in tutte le epistole che egli non doveva fare una apparizione sulla scena terrestre fino al giorno del suo arrivo dal cielo per portare il giudizio e una trasformazione del mondo.

— Filippesi 3:10 - Si veda “Principali 20” #20


Colossesi

87. - Colossesi 1:15-20
    15 Egli (il Figlio) è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; 16 poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17 Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. 18 Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. 19 Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza 20 e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli. [NEB]

Paragonabile solo a Ebrei 1:2-3, non c'è descrizione più cosmica e esaltata del Figlio da trovarsi nelle epistole del Nuovo Testamento di questo “inno cristologico” di Colossesi. L'immagine stessa di Dio e recante la sua pienezza, preesistente con Dio prima della creazione, lo strumento di quella creazione e operante come suo potere sovrano e reggitore per preservare la sua stessa esistenza. Ma l'autore dell'inno ha lasciato fuori tutta la menzione della incarnazione, l'identità dell'uomo che era stato questo cosmico Figlio sulla terra, per non parlare di tutto ciò che aveva fatto, mentre era in quella forma umana. Lo scrittore, insieme ad ogni altro autore di epistole, ha anche trascurato di spiegare come un semplice uomo, un criminale crocifisso, avrebbe potuto essere sollevato ad una tale vertiginosa altezza, soprattutto all'interno di un ambiente ebraico, dove separare Dio da tutte le cose umane fu un'ossessione. Nessuna difesa di un simile stravagante e blasfemo innalzamento di Gesù di Nazaret è mai offerta.

Risorto dai morti — ma quando e dove non è indicato, e il suo scopo è quello di far  raggiungere a Cristo il primato in tutte le cose, un concetto mitologico in un ambiente del mondo spirituale. Quanto all'essere capo della chiesa, le lettere autentiche di Paolo dimostrano che questo è inteso in un senso puramente mistico. Perché tutti quelli autori di inni (si veda Filippesi 2:6-11, 1 Timoteo 3:16, Efesini 1:19-23) rimarrebbero sempre in silenzio su tutti gli aspetti dell'identità e delle attività terrene del Figlio?

La risposta, ovviamente, è che questo linguaggio — più visibilmente qui e in Ebrei 1 — appartiene al concetto filosofico primaria dell'epoca, il Figlio come l'immagine ed emanazione conoscibile di un Dio trascendente e una forza intermediaria tra la divinità e l'umanità, un essere del tutto spirituale. Questo concetto si riflette nel Logos greco e nella Sapienza personificata ebraica. (Si veda Articolo Complementare Numero 5: Rintracciare l'Eredità Cristiana ad Alessandria) Questo è il motivo per cui l'inno descrive il Figlio in termini di quello che è, un'entità presente, eterna, e non con qualche senso di una figura umana del passato recente al quale questa colossale sovrastruttura teologica è stata aggiunta. (Si veda anche la sezione “Una Forza Cosmica” nella mia recensione del libro di Burton Mack, Chi Scrisse il Nuovo Testamento?).


88. - Colossesi 1:25-27
25 Di questa (la chiesa) io sono diventato servitore, secondo l'incarico che Dio mi ha dato per voi di annunciare nella sua totalità la parola di Dio, 26 cioè, il mistero che è stato nascosto per tutti i secoli e per tutte le generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi. 27 Dio ha voluto far loro conoscere quale sia la ricchezza della gloria di questo mistero fra gli stranieri, cioè Cristo in voi, la speranza della gloria. [NIV]

Un passo simile ad Efesini 3:4-6 (#76) in cui Dio rivela un segreto a lungo nascosto ad apostoli come Paolo mediante rivelazione. Come nel caso di Efesini, il segreto è limitato, questa volta, al mistico concetto paolino che Cristo dimora nel credente, dando promessa della gloria futura. Anche in questo caso il punto deve essere fatto che, anche se non abbiamo nessun ricordo di un Cristo che ha predicato una dottrina specifica come questa (anche se alcune delle dichiarazioni di Gesù nel quarto vangelo si avvicinano nello spirito), la tendenza sarebbe stata quella di attribuire una cosa del genere a lui o trovarvi puntatori nelle cose che lui proferì. Inoltre, la forte dicotomia presente-passato — un segreto a lungo nascosto nel tempo passato, seguito dalla sua divulgazione nel presente, un'idea presente in tutto il corpus paolino — non getta uno sguardo su nessuna predicazione sopraggiunta del Figlio sulla terra, molto meno concede spazio al ruolo di Gesù nel rivelare qualcosa intorno a sé.

Il passo successivo si occupa anche del segreto rivelato da Dio circa Cristo, e questa volta non vi è alcuna limitazione del mistero.

89. - Colossesi 2:2-3
2 Io voglio loro . . . affinché siano dotati di tutta la ricchezza della piena intelligenza per conoscere a fondo il mistero di Dio, cioè Cristo, 3 nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti. [NEB] (Confronta anche 4:3).

Qui il segreto a lungo nascosto da Dio non è limitato ad un elemento specifico. È Cristo stesso che è stato rivelato nel tempo presente. Non viene espresso nessun pensiero che il Figlio fosse stato rivelato dal Figlio stesso, incarnatosi di recente. E il dimorare della sapienza e della conoscenza di Dio all'interno del Figlio viene espresso nel tempo presente, quando ci si poteva aspettare di trovare un tempo passato, ad esprimere il pensiero naturale che queste cose erano risiedute nella figura storica di Gesù di Nazaret. Invece, il tempo presente comporta un essere eterno, spirituale, il Figlio intermediario della filosofia contemporanea.

90. - Colossesi 2:8-10
    8 Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini (insegnamenti fatti da uomini) e gli elementi del mondo e non secondo Cristo; 9 perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità; 10 e voi avete tutto pienamente in lui, che è il capo di ogni principato e di ogni potenza. [NEB]

Come nel passo precedente, Dio si trova in Cristo nel presente e non nel passato nella persona di Gesù di Nazaret. E se, come osservano in molti (si veda il Lexicon di Bauer), gli “spiriti elementari” (stoicheia) del verso 8 si riferiscono alle entità divine che gli antichi credevano abitassero i corpi celesti e alcuni aspetti del mondo fisico, dov'è il contrasto che ci si dovrebbe aspettare da parte dell'autore tra tali entità spirituali e Cristo? Vale a dire, che quest'ultimo avesse assunto un'umanità e avesse vissuto un'esistenza sulla terra.

Nel verso 10 lo scrittore, come lo scrittore di Efesini (6:12, #85), manca di menzionare una predicazione di Gesù nella quale, in quanto taumaturgo ed esorcista, avesse dimostrato agli occhi di tutti che lui aveva davvero il potere sugli spiriti maligni. A tale potere si allude nel verso 15: “(sulla croce) Cristo ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce.” [Traduttore del Nuovo Testamento; se Cristo oppure Dio è da considerarsi soggetto di questa frase è incerto.] Ma è un potere esercitato chiaramente nella dimensione spirituale, a sostegno della vista che l'intera crocifissione ebbe luogo nel regno spirituale.

91. - Colossesi 2:11
    In lui siete anche stati circoncisi di una circoncisione non fatta da mano d'uomo, ma della circoncisione di Cristo, che consiste nello spogliamento del corpo della carne. [NEB]

Entrambe le storie della Natività (Matteo e Luca) sono probabilmente fabbricazioni di inizio secondo secolo, ma se Gesù fosse vissuto, ci sarebbe stata ovviamente  l'aspettativa automatica che otto giorni dopo la sua nascita egli fosse stato circonciso, come tutti i maschi ebrei. Così le parole di questo verso potrebbero benissimo aver confuso quei lettori che sempre assumevano che “fisicamente” fosse proprio il modo in cui Gesù fu circonciso.

Anche se il punto a prima vista può sembrare frivolo, in realtà conduce a qualche considerazione. Infatti, se la prospettiva paolina difendeva il rifiuto del requisito della circoncisione per i Gentili (“Non esiste una cosa come Ebreo o Greco...”) a favore dell'essere “in Cristo Gesù”, ci si poteva aspettare che qualche compromesso dovesse essere fatto alla discrepanza fisica tra i credenti e il Gesù storico. Per lo meno, non ci si aspetterebbe che uno scrittore paolino sopraggiungesse con una metafora che non solo ignorava la discrepanza, ma implicava che essa non esisteva.

92. - Colossesi 3:2-4
    2 Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; 3 poiché voi moriste e la vostra vita [nuova] è nascosta con Cristo in Dio. 4 Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria. [NASB]

Un passo che trasmette vividamente il senso che Cristo non era mai stato visto da nessuno, non era mai stato sulla terra. Il vero destino del credente, la sua nuova vita, è “nascosta”, insieme con Cristo che dimora con Dio. Entrambi stanno per “essere rivelati” quando Cristo arriva dal cielo. Nell'interpretazione ortodossa, questa sarebbe sicuramente una scelta strana di parola— phaneroo: rivelare sé stesso o essere rivelato, diventare visibile, apparire, di solito comporta la manifestazione o la realizzazione nota di qualcosa non ancora conosciuta o esperita. Dal momento che lo stesso verbo è usato in entrambe le metà del verso 3 — la “rivelazione” di Cristo e la “rivelazione” della vera vita del credente — si può assumere che hanno un significato parallelo. Poichè la futura nuova vita del credente è qualcosa che non si è ancora manifestata, l'implicazione è che Cristo stesso deve ancora manifestarsi a sua volta.

Se Cristo fosse stato di recente sulla terra e l'avesse lasciata, quale scrittore non avrebbe semplicemente detto l'equivalente di “ritorno” o “tornar indietro”, qualche frase che fosse consapevole del fatto che questa sarebbe una seconda venuta? Ironia della sorte, la maggior parte dei commentari specificano che una definizione di questo verbo è il suo riferimento al secondo avvento di Cristo, ma gli esempi forniti sono di passi come questo nelle epistole, in cui un significato del genere viene letto nel termine sulla base di preconcetti evangelici. In realtà, nessuno dei passi citati (qui in Colossesi 3:4, 1 Pietro 5:4, 1 Giovanni 2:28 e 3:2 — anche se questi ultimi si riferiscono a Dio) contengono qualche indizio di un Avvento precedente, col risultato di rendere circolare e senza fondamento una definizione simile. 

Mentre phaneroo può significare “manifestare”, è anche una delle numerose parole di “rivelazione” utilizzate in tutte le epistole che parlano chiaramente di “rendere noto” Cristo nel tempo presente (ad esempio, 1 Pietro 1:20) le quali, se si mettono da parte i preconcetti del vangelo, ci dicono che questa è una rivelazione della conoscenza del Figlio e Salvatore in un modo spirituale, senza nessuna presenza fisica o visibile, passato o presente, coinvolta.

93. - Colossesi 3:9-10
    9 Non mentite gli uni agli altri, perché vi siete spogliati dell'uomo vecchio con le sue opere 10 e vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di colui che l'ha creato. [NIV]

Un altro passo che suggerisce l'insegnamento di Gesù che uno deve nascere di nuovo (ad esempio, Giovanni 3:3), ma l'autore non ne fa menzione. Potremmo anche notare che l'“immagine” di Cristo non dev'essere troppo forte nella mente dello scrittore perchè lui vi passi sopra avendo concentrato il lettore sull'immagine di Gesù, piuttosto che di Dio.

94. - Colossesi 3:12-14
12 Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. 13 Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutte queste cose rivestitevi dell'amore che è il vincolo della perfezione. [NIV]

Che perversione avrebbe potuto portare tutti gli scrittori di epistole a parlare in termini delle qualità che Gesù fu reputato di aver posseduto sulla terra, a parlare degli insegnamenti che lui fu ricordato di aver pronunciato, e tuttavia, sistematicamente, mancare di fare perfino un'attribuzione di passaggio di cose del genere a lui?

“Il Signore” nel verso 13 si riferisce a Dio o a Cristo?  Expositor’s Greek Testament osserva che “non vi è alcun motivo per riferire kurios a Dio, dal momento che Gesù quando era sulla terra perdonò i peccati”. Ma ciò significa leggere i vangeli nel passo, e infatti qui il termine è quasi certamente un riferimento a Dio. Non solo lo scrittore ha appena parlato di Dio nel verso precedente, ma parla di Dio che perdona i peccati dei lettori in 2:13. Anche 1:14 ha Dio che fa il perdono dei peccati “nel Figlio”, la stessa idea simile a quella espressa in Efesini 4:32. Si potrebbe anche constatare che, poiché Gesù in nessuna occasione perdonò i peccati dei Colossesi, lo scrittore non avrebbe avuto necessità ad esprimersi in tal senso. Il sacrificio di Gesù rese possibile il perdono, ma la sua fonte era Dio.